di Mauro Indelicato da INSIDEOVER
Bandiere turche date alle fiamme, blindati dell’esercito di Ankara assaltati e oggetto del lancio di pietre e ordigni rudimentali: lo scenario descritto non appartiene a quello delle fasi più calde dello scontro tra turchi e curdi. Al contrario, il contesto in questione riguarda il Nord della Siria. Proprio le regioni cioè che diversi anni sono controllate quasi direttamente da Ankara.
Centinaia di siriani hanno assaltato postazioni turche, con il governo di Erdogan costretto a emanare una nota urgente in cui si ordina l’evacuazione dei funzionari turchi presenti nel cantone di Afrin, a Nord di Aleppo, e in alcune aree della provincia di Idlib.
La Turchia e il Nord della Siria
Per comprendere al meglio cosa sta accadendo, occorre fare un passo indietro e ricordare il motivo per cui dei blindati e dei mezzi di Ankara sono presenti all’interno di questa parte del territorio siriano. La Siria, come ben noto, sta affrontando una dura 'guerra civile' dal 2011 e il presidente turco Erdogan, già dai primi mesi di conflitto, ha sostenuto attivamente i gruppi definiti ribelli che hanno imbracciato le armi contro il governo del presidente Assad.
Una mossa che però si è rivelata un boomerang: lo sfaldamento dello Stato siriano nel Nord del Paese, nelle zone cioè confinanti con la Turchia, ha portato al rafforzamento dei curdi siriani i quali hanno iniziato a controllare vaste porzioni di territorio lungo le frontiere turche. Non solo, ma la guerra ha anche comportato per Ankara l’afflusso massiccio e incontrollabile di milioni di profughi.
Nel 2016, a seguito del riavvicinamento tra Erdogan e Putin, con quest’ultimo primo sponsor di Assad, si è giunti a un compromesso: la Turchia non avrebbe più lavorato per abbattere il potere del presidente siriano, in cambio Mosca ha concesso l’opportunità a Erdogan di entrare in territorio siriano in funzione anti curda. Ankara ha così sostenuto e armato interi gruppi di ribelli, spesso riconducibili alla galassia islamista, i quali hanno solidificato il proprio potere nelle aree settentrionali della Siria. Si tratta di formazioni che non hanno la forza di creare veri e propri apparati amministrativi, Erdogan ha così inviato soldati, poliziotti e funzionari per controllare il territorio in possesso dei suoi alleati.
Gli scontri tra siriani e turchi
A partire da sabato però, sia da Afrin che da alcune aree della provincia di Idlib, sono arrivate immagini di battaglie urbane ingaggiate dai combattenti siriani proprio contro i turchi. I soldati di Ankara sono stati colti di sorpresa e hanno dovuto improvvisamente organizzarsi per difendere le postazioni e, in certi casi, anche abbandonare alcune aree sotto il loro controllo. Particolarmente significativo che gli scontri più importanti siano avvenuti ad Afrin: cantone in maggioranza curda prima della guerra, qui gran parte dei miliziani presenti sono stati direttamente armati e addestrati dai turchi e vengono ancora oggi finanziati per fronteggiare la mai domata guerriglia curda.
Al momento è difficile capire quali sono le sigle ribelli che hanno ingaggiato gli scontri contro i turchi. Nei video, alcuni combattenti indossano le divise del Free Syrian Army (Fsa) sostenuto dalla Turchia, altri invece non hanno uniformi addosso ma appaiono ben addestrati nell’uso di armi e ordigni. Non si tratterebbe quindi di civili, bensì di quegli stessi miliziani appoggiati da Erdogan.
Un delicato equilibrio
Ma qual è l’origine degli scontri? Inizialmente tutto era stato ricollegato alle frasi di Erdogan che, nei giorni precedenti all’inizio dei disordini, aveva annunciato l’avvio di una fase di normalizzazione dei rapporti con il governo di Assad. In realtà, come fatto notare dalla stampa turca, tutto è partito dalla stessa Turchia. Qui la scorsa settimana sono scoppiate rivolte contro i rifugiati siriani. In alcuni casi, come ad esempio a Kayseri, è partita una vera “caccia” alle famiglie siriane. Con tanto di auto, case e negozi appartenenti ai siriani dati alle fiamme. Il motivo di questa ondata di scontri anti-migranti, secondo la ricostruzione fatta dalle agenzie turche, è da ricercare nella notizia dell’arresto di un rifugiato siriano per molestie sessuali contro una bimba sua connazionale di sette anni. Il fatto è avvenuto sempre a Kayseri e, subito dopo la scoperta dell’abuso, sui social e per strada la situazione è sfuggita di mano.
Dall’altra parte del confine, dunque, i siriani hanno reagito scagliandosi contro soldati ma anche civili e funzionari turchi. Erdogan teme adesso l’implosione dei delicati equilibri interni e di quelli legati al Nord della Siria. Sul fronte interno infatti, in tanti stanno accusando il presidente di essere responsabile di un’immigrazione siriana giudicata fuori controllo. In Siria invece, il leader turco teme ora di perdere il controllo delle regioni in cui ha sostenuto l’opposizione.
Non è un caso se le autorità di Ankara hanno reagito arrestando più di 400 persone accusate dei saccheggi e delle violenze contro i rifugiati siriani. Lo stesso Erdogan ha parlato di “odio e xenofobia inaccettabili”: segno della volontà di mostrare, al di là del confine, di aver già punito chi ha commesso violenze contro i migranti.
https://it.insideover.com/guerra/guai-pesanti-per-erdogan-nel-pentolone-siriano.html
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