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Padre Rodrigo Miranda, cileno, ha trascorso gli ultimi
quattro anni nell'inferno della città siriana. Ha assistito i suoi parrocchiani
durante i tre anni di assedio tra le violenze, le uccisioni, i sequestri. Ha
vissuto in prima persona la battaglia iniziata nell'estate del 2012, che più
delle altre riassume la tragedia della popolazione. "La gente non ha mai
chiesto un cambiamento, né politico, né culturale. Stava bene come stava. Non
voglio canonizzare Assad, ma tra i ribelli solo il 2% sono siriani, la
maggioranza sono stranieri, di 83 diverse nazionalità"
17 febbraio 2015
di ALESSANDRA BENIGNETTI e ROBERTO DI MATTEO
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Un conflitto artificiale. "Con il suo mosaico di
culture e religioni, Aleppo è sempre stata una città modello della convivenza
tra cristiani e musulmani" ci racconta Padre Rodrigo, e "la guerra è
arrivata all'improvviso, contro persone che mai si sarebbero aspettate una
reazione del genere di fronte ad un conflitto artificiale". Ci
incuriosisce quest'ultima affermazione. "La popolazione siriana",
spiega il sacerdote, "non ha mai chiesto un cambiamento, né politico, né
culturale. Mai. La gente stava bene così come stava". "Con questo non
voglio canonizzare Assad", continua, "ma voglio dire che il conflitto
è stato il frutto di un processo estremamente veloce e violento. Tra i
combattenti dell'esercito libero, infatti, solo il 2% sono siriani. La
maggioranza sono stranieri, di 83 diverse nazionalità".
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Un grado di violenza inaudito. A pochi metri di distanza
dalla parrocchia di Padre Rodrigo si trovava l'università di Aleppo, che il 15
gennaio del 2013 è stata il teatro di un violento attentato in cui hanno perso
la vita centinaia di giovani studenti. "Era mezzogiorno, l'ora di punta,
quando sono caduti i tre missili. L'università era piena e molte persone erano
in strada" ci racconta. "Quando è caduto il primo missile ho iniziato
ad aiutare le persone che avevo davanti a me. Poi mentre stavo correndo verso
l'università per aiutare gli altri, ho visto il secondo missile che arrivava.
Ho cercato di rifugiarmi tra un muro e alcune auto. Ho sentito un rumore, uno
strano silenzio, e poi il disastro. È stato un massacro".
"All'inizio", continua, "hanno detto che i missili erano dell'esercito
di Assad. Ma il nostro quartiere è controllato dall'esercito: sarebbe come dire
che hanno sparato contro loro stessi. Poi, che l'esercito aveva colpito per
sbaglio. Ma se sbagli, sbagli una volta, non tre. L'altra ipotesi è che siano
stati i ribelli, che sparavano per colpire l'esercito che controlla il nostro
quartiere". Il ricordo che è rimasto più vivido nella mente del sacerdote
è proprio il "grado di violenza contro i civili". Ascoltiamo il suo
racconto e ci viene in mente solo una domanda, la più banale. Non ha mai avuto
paura? Mai, ci risponde sorridendo: "in quei secondi non riesci neanche ad
avere paura. Pensi soltanto ad aiutare".
Le bugie dell'informazione. "Quello che il popolo
siriano desidera sopra ogni altra cosa è che fuori dalla Siria si racconti
finalmente cosa succede davvero in Siria". La disinformazione riguardo il
conflitto, secondo il sacerdote, è stata enorme.
Gli chiediamo qual è la bugia
più grande: "quella dei 'regimi', il voler catalogare a tutti i costi come
'dittatorì tutti quelli che non fanno come vogliono loro", ci risponde
senza esitare. "Non si può applicare la 'democrazià come la intendiamo
noi, in Paesi dove c'è un substrato culturale totalmente diverso: il rispetto
della diversità e della cultura dell'altro è il presupposto per garantire la
pace". Altrimenti, il rischio è quello di "una radicalizzazione
sempre maggiore". Che è pronta a diffondersi anche in Europa, come già sta
accadendo.
http://www.repubblica.it/solidarieta/volontariato/2015/02/17/news/aleppo-107564261/
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