Due buone notizie dal Medio Oriente: l’Iran ha annunciato che proseguono positivamente i colloqui con l’Arabia Saudita e il re di Giordania Abdullah ha tenuto una conversazione telefonica con il presidente Assad, la prima dall’inizio del lungo conflitto siriano.
Al tempo avevamo dato notizia di una ripresa dei rapporti tra Teheran e Riad, dopo la lunga crisi che ha visto allargarsi la linea di faglia che separa il faro dell’islam sciita dall’omologo sunnita, con colloqui intrapresi in Iraq, che si è offerto di mediare. Tali colloqui sono andati avanti. Ad annunciare che i colloqui stanno producendo frutti è stato Faisal bin Farhan al-Saud, ministro degli esteri del Regno, con dichiarazioni confermate ieri dal portavoce del ministero degli esteri iraniano Saeed Khatibzadeh, che ha spiegato che, insieme ai sauditi, si sta procedendo nell’intento di “raggiungere delle relazioni durature all’interno di un quadro consensuale” (Tansim Agency).
Il dialogo, come abbiamo scritto, prosegue da tempo sottotraccia, con i protagonisti sempre riluttanti a rendere pubblico quanto sta avvenendo. Colpisce, dunque, delle dichiarazioni di Khatibzadeh, il tono alquanto enfatico che ha voluto dare alle sue parole, come se fosse accaduto qualcosa di significativo. Di certo, non può essere una coincidenza che tale dichiarazione sia avvenuta quattro giorni dopo la visita del Consigliere per la Sicurezza nazionale Usa, Jake Sullivan, in Arabia Saudita (Reuters). Si sa che Sullivan è andato a Riad per sollecitare i sauditi ad aumentare le forniture di petrolio, cosa che servirebbe ad abbassarne i prezzi ormai alle stelle. Ma di certo avrà parlato anche della guerra che i sauditi stanno conducendo in Yemen contro gli Houti.
Ciò perché gli Stati Uniti hanno finalmente dato seguito a una determinazione di Biden: il 23 settembre, infatti, il Congresso Usa ha approvato una legge che disimpegna totalmente Washington dalla guerra in Yemen, nella quale supportavano i sauditi.
Come ha spiegato il repubblicano Ro Khanna, uno dei principali sostenitori del provvedimento, tale iniziativa “invia un chiaro segnale al governo dell’Arabia Saudita per porre fine alla sua guerra di logoramento, sostenere un accordo politico e fare ammenda”. Infine, è abbastanza ovvio che, nella sua visita a Riad, Sullivan abbia toccato anche il tema del nucleare iraniano, dossier che gli Stati Uniti stanno trattando con Teheran e del quale i sauditi sono convitati di pietra a causa della loro rivalità con l’antagonista regionale. Per arrivare a un accordo con Teheran, serve anche frenare tale rivalità, da cui il sollievo col quale l’amministrazione Usa ha accolto l’annuncio del positivo prosieguo del dialogo tra i duellanti (CNBC). È presto per parlare di intese ufficiali, ma di certo qualcosa sta succedendo.
Ancora più positivo per la distensione mediorientale, e clamoroso, appare quanto avvenuto sull’asse Giordania-Siria, con la telefonata tra il presidente Assad e re Abdullah, dopo anni di distanza e silenzio, durante i quali la Giordania è stata anche usata come base di appoggio per sostenere i cosiddetti ribelli siriani, scatenati nel Paese confinante proprio per rovesciare Assad. La telefonata fa seguito a un’altra iniziativa distensiva tra i due Paesi, la riapertura del più importante valico di frontiera, che la Giordania aveva chiuso a suo tempo. Un passo per favorire la riapertura degli scambi commerciali tra Damasco e Amman.
Ma tale distensione pare che dia molto fastidio al potere che ha alimentato questa sanguinosa e interminabile guerra, come sembra rivelare quanto avvenuto ieri.
Infatti, è di 24 ore fa la pubblicazione dei Pandora Papers, un dossier prodotto dall’International Consortium of Investigative Journalists, che, a stare ai media, metterebbe a nudo le ricchezze occultate dai potenti nei paradisi fiscali. Roba da intelligence, più che da giornalisti, di cui ieri i media pubblicavano solo le parti relative a Putin e ad altri personaggi non perfettamente allineati a determinati dettati internazionali.
Attendiamo fiduciosi che il consorzio in questione ci racconti dove tengono i loro soldi Jeff Bezos, Bill Gates, George Soros e i loro compagni di merende prima di dare un giudizio sulla sua asserita professionalità e imparzialità.
Detto questo, proprio mentre il re di Giordania parlava al telefono con Assad, i media di tutto il mondo pubblicavano una prima parte del dossier, scegliendo a caso alcune delle figure coinvolte (pochissime tra migliaia), tra cui, guarda il caso, proprio re Abdullah di Giordania, il cui nome campeggiava su tutti i titoli degli articoli in questione. Coincidenze strabilianti e strabiliate.
Detto questo, a quanto pare nel dossier c’era ben altro e molto più dirompente che non i soldi che Putin avrebbe dato alla sua presunta amante e ai palazzi che re Abdullah possederebbe al di fuori del regno. E cioè le armi pagate dai sauditi e finite all’Isis ingaggiato nella guerra in Yemen contro gli Houti. Ovviamente di questo piccolo scandaletto (che forse serve ad aumentare la pressione sul Regno perché ponga fine alla guerra in Yemen), molto più esplosivo di altri, non ha scritto nessun media occidentale. Lo riporta al Manar, che si occupa da tempo della guerra in Yemen, e al quale rimandiamo.