di Giovanni Maria Lazzaretti: la mia conferenza sul tema del Sionismo con l’appendice più ampia “ideologia,
politica, religione” nella giornata dell’Osservatorio Van Thuan (prima parte)
Ho
letto il libro di Furio Aharon Biagini, “Giudaismo contro
sionismo”, storia dei Neturei Karta e dell’opposizione ebraica al
sionismo e allo Stato di Israele. Biagini è ebreo e storico
dell’ebraismo. Poi
ho letto Ilan Pappé, “Brevissima storia del conflitto tra Israele
e Palestina”. Pappé è ebreo, socialista, antisionista, di
formazione comunista. Ho
poi ricevuto la segnalazione dell’enorme dossier che ha consentito
al Sudafrica di denunciare Netanyahu e Gallant alla Corte Penale
Internazionale.
Mi chiedo allora cos’è
l’essenziale, posto che il titolo «Il Sionismo ieri e oggi -
Ideologia, politica, religione» è vastissimo.
Ho
pensato che l’essenziale sia
prendere
la narrazione che, volenti o nolenti, abbiamo tutti in testa
e
confrontarla con la realtà dei fatti.
Ecco
una carrellata della narrazione standard, sono 2000 anni di storia in
poche righe.
Dopo
la distruzione del tempio di Gerusalemme, il popolo ebraico patì
frequenti espulsioni e ghettizzazioni.
Con
l’emancipazione napoleonica, poterono uscire dai ghetti e iniziare
una vita da cittadini partecipi.
Si
resero conto che l’emancipazione non cancellava l’antisemitismo.
Cominciarono
a mettere in conto anche l’ipotesi della migrazione dall’Europa,
Stati Uniti in primis, ma anche la Terra d’Israele.
Il
professorino andava in Terra d’Israele, deserta, comprava un pezzo
di terra, si improvvisava contadino.
Arrivati
al nazismo e poi all’olocausto, la necessità di emigrazione
crebbe a dismisura.
L’ONU
ritenne necessaria la creazione dello Stato d’Israele.
I
paese arabi circostanti attaccarono Israele e furono sconfitti,
1948. Poi 1953 1967 1973 altre guerre.
Negli
anni ’70 inizia la fase del terrorismo palestinese, culminata con
la guerra in Libano.
Si
arriva anche ad accordi di pace “due Stati per due popoli”,
oppure “pace contro sicurezza”.
Con
l’11 settembre 2001 avviene una sterzata di violenza anche in
Israele. Da allora si susseguono le guerre di Gaza.
Il
7 ottobre 2023 Hamas la fa davvero grossa, e inizia la guerra di
oggi.
Tutto
a posto? Non
c’è niente da ridire? Posso
affermare che questa narrazione è un po’ come la storia dell’unità
d’Italia descritta nel nostro sussidiario delle scuole elementari :
una descrizione di propaganda, che entra nel cervello e impedisce di
ragionare sui fatti.
LE
FONTI
Non
sono una persona che ha fonti segrete. L’unica
maniera che ho per esporre il pensiero è basarmi su scritti e fatti
che chiunque può reperire, meglio se provenienti da fonti ebraiche. Vado
allora ad elencare i 5 testi base che ho utilizzato per questa
conferenza.
[1]
LA LEGIONE EBRAICA NELLA GUERRA MONDIALE
Libro
trovato per puro caso nel 2004 in un mercatino, 180 euro, poi
mercanteggiati a 90 euro. Perché
è interessante questo libro?
Innanzitutto
per l’autore: Vladimir Žabotinskij, sionista della prima ora,
combattente o terrorista (secondo il punto di vista), fondatore
dell’Irgun, giornalista, scrittore, poliglotta, fondatore del
sionismo di destra.
È
pubblicato in Italia nel 1935, XIII anno dell’era fascista: c’è
l’italianizzazione dei nomi, l’editrice è “L’idea
sionistica”, tutto tranquillo; pare impossibile che 3 anni dopo
debbano apparire le leggi razziali.
È
il libro di un ebreo che parla agli ebrei, e dice quindi cose che
normalmente non si comunicherebbero ai non ebrei.
Il
testo non è “inquinato” dall’olocausto. Prima dell’olocausto
si può scoprire il sionismo “vero”; dopo l’olocausto il
sionismo viene attenuato dalle nostre emozioni.
[2]
GIUDAISMO CONTRO SIONISMO
Furio
Aharon Biagini percorre la storia dei Neturei Karta e
dell’opposizione ebraica al sionismo e allo Stato di Israele.
[3]
BREVISSIMA STORIA DEL CONFLITTO TRA ISRAELE E PALESTINA
Un
libro è nato dopo il 7 ottobre 2023, utile perché ripercorre una
serie di vicende a me ben note unite a nuove notizie che non
conoscevo. Ilan
Pappé è ebreo, socialista, antisionista, di formazione comunista. È
quindi l’opposto dei Neturei Karta (che non cita minimamente nel
libro), pur essendo, come loro, antisionista.
[4]
PIANO “ONE HOPE”, UNA SOLA SPERANZA
Testo
di 65.000 caratteri, non è un libro, ma è un testo consistente del
2017. L’autore
è Bezalel Smotrich, ultraortodosso sionista. Allora vicepresidente
della Knesset, oggi ministro delle finanze.
[5]
UNA CARTOGRAFIA DEL GENOCIDIO
Un
testo di 827 pagine e una cartografia interattiva disponibile su
Internet. Lo
studio è prodotto da Forensic Architecture, presidente Eyal Weizman,
architetto israeliano che vive tra Tel Aviv e Londra.
L’attacco
singolo a una panetteria, a un rifugio, a una fila di persone, non ti
dice molto quando li ascolti occasionalmente in un telegiornale. Ma
quando metti insieme, nello spazio e nel tempo, centinaia di attacchi
simili si osserva un chiaro disegno operativo.
PARTIAMO
DA UNA CARRELLATA STORICA
Gli
Ebrei nei secoli hanno subito una sequela ininterrotta di espulsioni,
da singole città o da interi Stati. Il che significa che, per
espellere, dovevi sapere dove erano e la loro identità ebraica era
nota.
Nel
139 avanti Cristo vengono ad esempio espulsi da Roma con l’accusa
di proselitismo aggressivo.
Un’altra
espulsione ci è nota anche dagli Atti degli Apostoli: Aquila,
collaboratore di San Paolo, era un ebreo espulso da Roma con tutti i
Giudei da un decreto di Claudio.
Fino
al 1500 gli Ebrei vivevano in quartieri chiamati Giudecca. La
Giudecca era uno “stare uniti per scelta” (per la sicurezza, per
il mantenimento dell’identità culturale e religiosa, per la rete
lavorativa). Il Ghetto era invece una “Giudecca coatta”, con una
serie di limitazioni, variabili da città a città.
Il
ghetto iniziale è quello di Venezia nel 1516. Avere il ghetto non
era un obbligo, anche se di fatto vi aderirono nel tempo quasi tutte
le città d’Italia.
Possiamo
quindi affermare che il ghetto era, per una fetta della popolazione
ebraica, una costrizione non sgradita.
(Non
per niente Žabotinskij, nel suo libro, parla dello “spirito del
ghetto” contrapposto alle derive dell’assimilazione.)
Poi
venne la fase dell’emancipazione, portata dalla rivoluzione
francese e soprattutto da Napoleone.
Naturalmente
gli anni dell’emancipazione furono diversissimi da luogo a luogo.
In Russia, ad esempio, l’emancipazione coincise più o meno con la
rivoluzione, e molti ebrei divennero dirigenti comunisti.
Ciò
che ci chiediamo però è una cosa più profonda: emancipazione “da
che cosa”?
Verrebbe
da dire “emancipazione da chi li costringeva a stare nel ghetto”.
Vero solo in parte. Era anche emancipazione dai loro rabbini.
Ricordiamoci
che il ritorno dell’esilio babilonese dà inizio a un mondo
giudaico diverso: è il mondo della separazione razziale, l’elemento
straniero viene espulso dal popolo, il matrimonio misto viene
proibito.
Nel
ghetto coatto la volontà esterna e la volontà dei rabbini veniva
sostanzialmente a coincidere.
L’EMANCIPAZIONE
E IL SIONISMO
La
preparazione al Sionismo avvenne con la “emancipazione”. La
Haskalah era un movimento ebraico che sosteneva l’adozione dei
valori illuministici e, puntando sulla “tolleranza”
illuministica, chiedeva l'espansione dei diritti per gli ebrei nella
società europea.
Annunciavano
quindi la “uscita dal ghetto”, uscita non solo fisica, ma anche
mentale e spirituale. Ma
l’uscita dal ghetto divise gli ebrei in categorie.
Se
eri un oste del ghetto, o un bottegaio del ghetto, o un artigiano
del ghetto, cosa andavi a fare fuori dal ghetto? Anche dopo
l’emancipazione, quello era il tuo luogo, scelto da sempre e non
forzato.
Fuori
dal ghetto (fisico, mentale, spirituale) andarono quelli che
potevano aspirare a ricoprire ruoli: divennero professori
universitari, medici, politici, amministratori, ufficiali
dell’esercito, leader di partito, rivoluzionari,… Ma uscirono
dal ghetto come illuministi ebraici, divenendo in breve, in
maggioranza, illuministi atei, o ebrei “leggeri” (privi dello
“spirito del ghetto”, direbbe Žabotinskij).
L’ebreo
diventa semplicemente “cittadino di religione ebraica”.
I
matrimoni misti, consentiti dall’emancipazione, portarono con
facilità i figli all’allontanamento dalle radici ebraiche.
Ecco
quindi che l’emancipazione, vista inizialmente come il “sole
dell’avvenire”, cominciò a mostrare i suoi problemi e cominciò
a generare anche il magma delle possibili linee di tendenza. Proviamo
a schematizzarle.
Salvaguardia
dell’identità religiosa tramite l’isolamento, non più coatto,
ma scelto.
L’assimilazione
tout court. L’ebreo come il cattolico. Vive come gli altri, si
trova in sinagoga il sabato, fa certe pratiche, ma niente deve farlo
riconoscere come “ebreo alla prima occhiata”.
La
creazione di un’autonomia nazionale e culturale. Qualcosa di
simile ai sudtirolesi nei confronti dell’Italia, volendo
semplificare al massimo. Cosa possibile ovviamente solo all’interno
di Stati di una certa dimensione (l’Impero Russo in primis).
L’emigrazione.
Con l’emancipazione si è persa l’identità. Ma l’emancipazione
via via generalizzata nei vari Stati consente di andare altrove,
dove si pensa che l’identità perduta possa essere ricostruita.
Da
notare che l’ipotesi emigrazione portava con sé un corollario
pesante: l’oste, il bottegaio, l’artigiano, avrebbe dovuto
diventare un colono, di fatto un contadino.
E
l’emigrazione di massa non poteva avvenire con un movimento fai da
te, ma rendeva necessario l’intervento del super-ricco con acquisto
preventivo di terre e organizzazione dei viaggi.
Da
questo magma nasce il Sionismo.
Nasce
ufficialmente nel 1897 a opera di Theodor Herzl e Max Nordau, a
seguito dell’affare Dreyfus (antisemitismo in Francia) e si
inserisce nell’epoca delle grandi migrazioni dall’impero russo
generate dai pogrom antisemiti del 1881-1882 e del 1903-1906.
Due
le linee sioniste.
Le
due idee potevano essere sintetizzate così: occorre creare un ghetto
moderno, non una piccola enclave all’interno di uno Stato, ma uno
Stato-ghetto dove ci siano solo ebrei o dove gli ebrei siano
sufficientemente armati da poter controllare e/o ghettizzare i non
ebrei.
LA
SCELTA INIZIALE E LA SCELTA IDEOLOGICA
Nel
1903 Theodor Herzl porta al Congresso Ebraico l’offerta che era
riuscito a ottenere dal Regno Unito: la creazione di uno Stato
ebraico in Uganda.
La
scelta di insediarsi nei Monti Mau (che comunque stanno in Kenya, non
in Uganda) era una soluzione ragionevole: la creazione di uno Stato
ebraico sulla scia degli “Stati” creati dal colonialismo
britannico.
Come
è nata dal nulla la Rhodesia, così può nascere sui Monti Mau (dove
ci sono molte piogge, temperature moderate, terreni fertili) uno
Stato simile alla Rhodesia, su base ebraica, legato alla corona
britannica.
Il
Congresso approva la “proposta Uganda”: 295 voti a favore e 175
contro. Nonostante il voto favorevole, “vince” la minoranza,
evidentemente più determinata: la proposta è accantonata.
Al
settimo congresso sionista del 1905 ogni alternativa alla Palestina
viene scartata. La scelta di andare in Palestina fu quindi
ideologica, priva di senso sia per l’antisemitismo che per la
sicurezza.
Sono
da rileggere le parole di Žabotinskij scritte nel libro già citato.
Siamo
nel 1914. Žabotinskij sta parlando col fondatore sionista Max
Nordau, e gli contesta di usare ancora l’espressione “cugino
Ismaele” riferendosi ai turchi, o agli islamici in generale.
«Dottor
Nordau, noi non dobbiamo prendere la strada degli idioti. Non
soltanto il turco non è nostro cugino, ma neanche col vero Ismaele
non abbiamo niente in comune. Noi, grazie a Dio, apparteniamo
all’Europa; per duemila anni abbiamo contribuito a creare la
cultura occidentale. Dalla vostra stessa bocca ho sentito
pronunciare, nei discorsi al Congresso, le parole: “Noi andiamo in
Palestina per estendere i confini (morali) dell’Europa fino alle
rive dell’Eufrate. Il nostro massimo nemico per questa guerra è il
Turco”. È venuta adesso la sua ora. Dobbiamo noi rimanere a far
niente?»
Questa
è l’essenza del Sionismo come ideologia.
L’IDEOLOGIA
Naturalmente
non è vero che gli Ebrei per duemila anni hanno contribuito a creare
la cultura occidentale, per il semplice motivo che il concetto di
“occidente” è piuttosto moderno. Diciamo
che certamente gli Ebrei hanno contribuito a formare l’Europa
illuminista e rivoluzionaria, quella che esporta in armi la sua
“superiorità morale”.
Estendere
i confini morali dell’Europa fino all’Eufrate (all’Eufrate,
ricordiamolo!, non al Giordano) è l’analogo dell’esportazione di
democrazia in Iraq dell’amministrazione Bush figlio.
Creare
un luogo con antisemitismo assente? Creare
un luogo per la sicurezza? Niente
di tutto questo. Solo ideologia. «Estendere i confini morali
dell’Europa fino alle rive dell’Eufrate».
«Il
nostro massimo nemico per questa guerra è il Turco». E
perché mai il Turco dovrebbe essere il “massimo nemico”? Per il
solo fatto che “è lì”. È l’ostacolo.
TERRA
SENZA POPOLO?
La
Palestina di inizio ‘900 viene spesso definita come «terra senza
popolo, per un popolo senza terra». Ossia i sionisti potevano
tranquillamente prenderla, come si fosse trattato di andare a
occupare i Monti Mau.
La
Palestina agli inizi del movimento sionista aveva circa 560.000
abitanti. Divisi per i 28.000 km2
di superficie fa una densità di 20 abitanti per km2. Considerato
che la popolazione mondiale all’inizio del ‘900 era meno di ¼ di
quella attuale, un calcolo a spanne brutali dice che quei 20 abitanti
per km2
corrisponderebbero oggi a 80 per km2.
Una
densità paragonabile a Croazia, Egitto, Grecia, Ucraina,…
Quindi
una terra abitata, non una terra vuota.
LO
SVOLGIMENTO DEL PERCORSO SIONISTA
Cominciamo
a vedere il Sionismo all’opera.
Una
parte importante del primo Sionismo è la costituzione della Legione
Ebraica all’interno dell’esercito britannico nella prima guerra
mondiale. Il compito (ideologico) della Legione è di arrivare per
prima a varcare il Giordano, e ci riesce.
Nella
Legione non ci sono solo sionisti, ci sono anche ebrei costretti ad
arruolarsi lì dalle autorità britanniche. Sono ebrei assimilati,
fanno coscienziosamente il loro dovere militare, come riconosce lo
stesso Žabotinskij, ma di Gerusalemme non gliene frega niente. Non
accettarono neanche di visitare la Palestina come turisti a spese
dell’esercito dopo l’armistizio. Interessava solo tornare a casa,
da assimilati.
Durante
la guerra mondiale c’è la “Dichiarazione Balfour” del 1917:
Balfour era ministro degli esteri del governo britannico, e scrisse
una lettera a Lord Rothschild dove prometteva la creazione di un
“focolare ebraico” in Palestina, al momento della disgregazione
dell’Impero Ottomano.
Al
momento della “dichiarazione Balfour” c’erano in Palestina
574.000 arabi, 74.000 cristiani e 56.000 ebrei. La dichiarazione era
quindi una promessa “ideologica”, bastava guardare i numeri.
Dal
1920 inizia il mandato britannico in Palestina, quindi né stato
arabo (come era stato promesso agli arabi in funzione anti-ottomana),
né focolare ebraico (come era stato promesso agli ebrei per averne
il sostegno internazionale).
L’immigrazione
ebraica durante il mandato britannico 1920-1948 passerà da 60.000 a
716.700 (cifre del primo censimento d’Israele). Scoppiano due
rivolte arabe anti-ebraiche nel 1929 e nel 1936.
Dal
1930 i britannici tentano di frenare l’immigrazione ebraica,
disconoscendo di fatto la Dichiarazione Balfour. In
tutta la fase del mandato britannico gli ebrei si organizzano come
“coloni armati” in formazioni paramilitari e/o terroristiche, o
semplicemente come kibbutz in armi.
E
qui è bene ricordare queste formazioni, la galassia del
paramilitarismo che prepara la nascita di Israele.
LA
GALASSIA PARAMILITARE SIONISTA
Haganah
era l’organizzazione paramilitare in Palestina durante il Mandato
Britannico (1920-1948). Fu sempre in rapporto di
collaborazione-conflitto coi Britannici.
Dopo
la seconda guerra mondiale effettuò operazioni anti-britanniche in
Palestina con la liberazione di immigranti internati, con attentati
dinamitardi alle strutture ferroviarie del paese, col sabotaggio e
con le incursioni ai danni delle installazioni radar e delle
postazioni della polizia britannica. Continuò
anche a organizzare l'immigrazione illegale.
Irgun,
era invece un’organizzazione paramilitare scissionista dall’Haganah
(1931-1948). Il
gruppo era stato fondato da Žabotinskij, e aveva un’impostazione
terroristica antibritannica, ma fece una tregua coi britannici in
funzione antinazista. Dopo
la guerra riprese le attività antibritanniche. Il 22 luglio 1946
fece saltare in aria l’hotel King David, attentato dove morirono 91
persone, tra cui 41 arabi, 28 britannici, 17 ebrei.
Banda
Stern.
Non accettarono la collaborazione coi britannici durante la guerra
mondiale e si scissero dall’Irgun, assassinando ufficiali e alti
esponenti britannici, arabi, ebrei collaborazionisti. A
loro si deve il massacro di 100 civili nel villaggio di Deir Yassin
(9 aprile 1948). Inquadrati
poi nell’esercito di Israele, alcuni suoi componenti assassinarono
Folke Bernadotte, mediatore dell’ONU, il 17 settembre 1948.
Palmach
era un gruppo fondato dall’Haganah per formare i
combattenti-dirigenti. Idearono la commistione civile-militare
inserendosi nei kibbutz dove si mantenevano lavorando: 14 giorni di
lavoro, 8 di addestramento, 7 di riposo. Fra
il 1945 e il 1946 il Palmach svolse attacchi contro le infrastrutture
britanniche: ponti, ferrovie, installazioni radar e stazioni di
polizia.
***
Questa
mappa descrive bene quanto è sottile la distinzione tra combattenti
e terroristi.
Quando
l’Irgun faceva saltare in aria l’hotel King David era palesemente
un atto terroristico, ma loro si ritenevano combattenti.
Quando
la Banda Stern massacrò i 100 civili a Deir Yassin erano palesemente
terroristi (stavano facendo un pogrom, come quelli che originarono il
Sionismo), ma Israele li riconobbe come combattenti, amnistiandoli
nel 1949 e addirittura decorandoli nel 1980 con apposita medaglia.
In
Israele vige l’auto-amnistia generale: Begin (Irgun), Rabin
(Palmach), Shamir (Banda Stern), Sharon (Haganah), sono stati tutti
primi Ministri d’Israele, pur avendo un passato che loro chiamano
“combattente” e che noi definiremmo “terrorista” (se
terrorismo è uccidere uomini politici, uccidere dei civili,
attaccare infrastrutture civili).
GLI
ALTRI EBREI, QUELLI CHE “C’ERANO GIÀ”
Con
questa carrellata ci siamo portati di corsa a ridosso della seconda
guerra mondiale, e si può avere l’impressione che tutto il popolo
ebraico si fosse trasformato in popolo sionista. Non
è così, e bisogna quindi riposizionarsi al primo dopoguerra. Gli
ebrei vivevano in Terra Santa da sempre, in quartieri all’interno
delle città principali.
C’erano
ebrei molto antichi, comunità formatesi nel medioevo, generalmente
indicate come sefardite (spagnole o mediorientali).
E
c’erano ebrei recenti, ma comunque ben più antichi dei sionisti
(arrivati circa 100 anni prima dei sionisti), askenaziti dell’est
Europa, che formavano le loro comunità.
Questi
askenaziti nel 1875 avevano anche “osato” costruire fuori da
Gerusalemme un quartiere quadrilatero denominato Mea Shearim.
Nell’anno 1900 aveva 110 abitazioni, due case di studio e
preghiera, macelleria rituale, 7 edifici per gli ospiti occasionali. Il
quartiere continuò a svilupparsi nel corso delle generazioni e
divenne il centro della lotta contro il sionismo. Quartiere
di nuova costruzione, ma decisamente povero.
«Tutto
era nero, arrugginito, rattoppato con delle tavole e dei pezzi di
lamiera. Là regnava la povertà, ma anche il pudore. […] un mondo
dove l’apparenza non conta. Un mondo dove tutto è concepito per la
vita interiore […] Un mondo dove, in ogni focolare, Dio è in
permanenza l’invitato d’onore.» (memorie di Ruth Blau, moglie
del rabbino Amram Blau fondatore dei Neturei Karta)
Come
campava questo avamposto dell’ebraismo in Terra Santa? Campava
sostanzialmente di un’elemosina, la halukah, che veniva raccolta
dagli ebrei europei, dell’est in particolare.
Quando
arrivano i primi insediamenti di nuovi ebrei, quelli dell’illuminismo
ebraico, c’è uno shock reciproco. Gli
arrivati dall’Europa trovano una terra inospitale: devono viverci
imparando a fare la vita agricola, e sono per di più imbarazzati nel
vedere il modo di vita dei già residenti.
E
i già residenti a loro volta sono sconvolti dalla irreligiosità e
dalla mancanza di pudore dei nuovi arrivati. Attenzione.
I nuovi arrivati sono in gran parte ebrei osservanti. Ma la
irreligiosità consiste in questo: cercano di affermarsi con le loro
forze senza attendere il Messia. Cercavano
di creare un nuovo tipo di ebreo, che aspirava a costituirsi come
“nazione tra le nazioni”.
Secondo
l’ebreo tradizionale, il Signore aveva fatto prestare al popolo
d’Israele tre giuramenti.
Nella
tristezza dell’esilio, gli ebrei non avrebbero cercato di
organizzarsi come esercito per tornare in Terra d’Israele con la
forza.
Non
si sarebbero ribellati contro il giogo delle nazioni che li
opprimeva, ma avrebbe atteso la mano dell’Eterno.
Infine
non avrebbero cercato di affrettare la fine dei tempi.
Se
avessero rispettato questi tre giuramenti, che indicano una fiducia
assoluta nella volontà divina, il Signore avrebbe spinto le nazioni
a non opprimere troppo duramente il popolo ebraico.
Il
sionista ha rotto i tre giuramenti, e questo è il massimo
dell’eresia. Non
c’è da stupirsi che, per questi ebrei della tradizione, la Shoah
sia vista come punizione collettiva per la ribellione di Israele al
Regno dei Cieli e per aver cercato di formare uno Stato. Punizione
che non colpisce i colpevoli, ma il popolo in quanto tale. Tanto è
vero che colpì in massima parte (91%) gli ebrei dell’est dai quali
veniva la maggior parte del sostegno per gli ebrei askenaziti della
Terra di Israele.
IL
RECIPROCO SHOCK
I
sionisti vanno in Palestina impostati secondo la descrizione di
Žabotinskij: «ebrei moderni, coi calzoncini corti, i berretti in
testa ed idee europee nel cervello. Un veicolo pubblico a
Gerusalemme? Al posto dei cammelli e dei paesaggi di palme, tetti
rossi nuovi fiammanti, colonie dove le ragazze passeggiano per le
strade coi giovanotti, come in Inghilterra».
Ma
in Palestina vivono altri ebrei, tradizionali, avamposto di chi
attende il Messia. Sono i «pittoreschi hassidim con i loro
riccioli», irrisi dal medesimo Žabotinskij. Il vivere di carità li
faceva vedere anche come “parassiti”. Questi
“ebrei pittoreschi” avevano però un appoggio vasto in Europa,
per cui riuscirono a formare un’organizzazione che provò a
contrastare i sionisti (Agudat Israel).
I
sionisti avevano però dalla loro il contatto diretto con i
Britannici, ed erano i Britannici a comandare in Palestina dal
dopoguerra. Bisognava
quindi andare a dire le proprie ragioni ai Britannici. Chi
poteva andarci, degli hassidim con cappottone consunto, cappello di
pelo e riccioli? Qui appare la figura di Jacob Israel De Haan. Spirito
inquieto, libertino, attratto dal sionismo e dal socialismo,
scrittore, giornalista, poeta, è stato avvicinato a un Gabriele
D’Annunzio per fare un paragone.
Va
in Palestina da sionista e finisce invece per orientalizzarsi e
trovare pace nella comunità askenazita, in contatto libero con gli
arabi locali. Diventa la voce degli ebrei ortodossi. Alla
vigilia di un suo viaggio a Londra dove doveva perorare la causa dei
suoi perché non finissero sotto il giogo dei sionisti, viene
assassinato.
L’omicidio
ha caratteristiche molto moderne: ucciso dai sionisti, colpa girata
agli arabi, addirittura lo si dice ucciso per aver sedotto un
ragazzino arabo, fino alla verità che emergerà solo molti decenni
dopo. Con
lui finisce la possibilità per gli ebrei ortodossi di avere un ruolo
politico. Resterà solo il ruolo del “chiamarsi fuori”.
Molti
però cominciarono ad avere contatti coi sionisti per ragioni molto
pratiche (la gestione dell’immigrazione) e anche religiose (il
dubbio che la “mano di Dio” per i tempi ultimi potesse passare
attraverso l’empietà sionista).
Quelli
intransigenti formarono il movimento dei Neturei Karta, più o meno i
“Guardiani della Città”.
LO
SFRATTO DEI PALESTINESI
«I
Palestinesi, quando vendevano le terre agli ebrei, incassavano
serenamente i soldi e non si ponevano problemi. Di che si lamentano
adesso?».
Non
andò così.
Noi
immaginiamo sempre l’ebreo che parte dall’Europa sulla spinta
dall’antisemitismo, arriva in Palestina, acquista un pezzo di terra
da un abitante e si insedia. Si inventa come colono, anche se in
Europa era semmai un insegnante. Una vicenda “romantica”, se così
si può dire.
Ma
il diritto fondiario in Palestina non funzionava così. Con
l’Impero Ottomano la terra era tutta di proprietà dell’Impero e
tutti erano affittuari. Affittuari non sfrattabili, avevano dei
doveri, e avevano il diritto all’insediamento perpetuo.
Poi
c’è una prima riforma, e le terre possono essere acquistate da
privati, pur restando il diritto degli affittuari di restare dove
sono. La terra insomma portava con sé i suoi affittuari, ovvero gli
abitanti dei villaggi e i villaggi stessi. I privati che acquistavano
erano grandi famiglie di non residenti in Palestina.
I
primi ebrei che arrivano acquistano terreni incolti per i loro
insediamenti. Ma poi ne arrivano troppi, e devono cambiare metodo. I
Britannici cambiarono le regole fondiarie e gli abitanti dei villaggi
divennero fittavoli “all’europea”, come li immaginiamo noi:
ossia soggetti in qualche modo alla volontà del padrone.
Capita
così che le organizzazioni sioniste acquistino interi villaggi non
dagli abitanti, ma da grandi famiglie che non stanno in Palestina. Ad
esempio la famiglia Sursock di Beirut vende ai sionisti
(organizzazione American Zion Commonwealth) dal 1925 al 1929 circa
80.000 acri di terra. Vende i villaggi con le loro famiglie, in un
certo senso. 80.000
acri sarebbero 323 km2,
4 volte il comune di Vicenza. Mi sembrava inverosimile, invece si
trova la relazione Shaw scritta dopo la rivolta araba del 1929, in
cui c’è tra gli allegati l’elenco dei villaggi venduti dai
Sursock ai sionisti, col numero di famiglie coinvolte. Ho
solo la prima pagina, ma fanno già 48.000 acri. Quindi è vero.
Queste
famiglie diventano fittavoli all’europea, e possono venire
sfrattati. Non hanno alcun modo per appellarsi ad alcunché, se non
al loro diritto naturale di vivere come hanno sempre vissuto, ossia
sotto il diritto fondiario orientale. Vanno
sotto sfratto. E lo sfratto viene fatto via via con metodi di
esproprio violento. C’è la parte mediatica che dipinge gli
abitanti come primitivi, selvaggi e nomadi: in questo modo la tua
azione riceve consenso. Poi si applicano le tecniche ordinarie di
espulsione: entri in casa armato, raduni uomini donne bambini, fai
capire che le armi non hai remore ad usarle.
È
il classico colonialismo insediativo, in cui l’europeo vuole
sostituire la popolazione, non semplicemente farla suddita. L’idea
quindi che «vennero i sionisti e fecero fiorire il deserto» è
un’idea di propaganda. La realtà è diversa, molto brutta e molto
violenta. La ribellione araba del 1929 nasce anche da queste
operazioni di pulizia etnica.
LA
FINE DEL MANDATO BRITANNICO E LO STATO D’ISRAELE
Tra
la fase terroristica ebrea e la nascita dello Stato d’Israele c’è
di mezzo l’olocausto. L’olocausto
crea uno scudo insormontabile. Il mondo sente di doversi in qualche
modo “scusare” con gli ebrei.
È
questo il “tacito ricatto” che consente agli ebrei di ottenere
l’impensabile: gli immigrati ebrei
che
hanno comperato ampie fette di terra grazie ai finanziatori che
hanno alle spalle
che
hanno trasformati gli affittuari permanenti in affittuari
all’europea
che
li hanno espulsi con la forza dai loro villaggi
vengono
designati dal consesso internazionale a diventare i governanti di
quella terra; e gli abitanti esistenti da prima dovranno essere
sudditi.
Viene
disegnata un ripartizione della Palestina tra ebrei e arabi; la
ripartizione favorisce gli ebrei in modo marcato, ben al di là delle
terre acquistate.
L’annuncio
di guerra da parte degli Stati arabi è contestuale, e per Israele è
la manna. Con la guerra del 1948 il paramilitarismo diventa esercito.
Israele allarga i confini.
Lo
Stato Palestinese svanisce, occupato da Israele stesso, dalla
Giordania e dall’Egitto. Inizia la fase delle guerre con gli Stati
arabi: dopo il 1948-1949, ci sono le guerre del 1953, del 1967, del
1973.
La
guerra dei 6 giorni del 1967 è la “vittoria maledetta”
(riprendendo il titolo di un libro di Ahron Bregman). Maledetta
perché, una volta conquistata Cisgiordania, Gaza, alture del Golan e
Sinai (che poi sarà restituito all’Egitto) Israele non può farle
diventare parte integrante dello Stato: gli arabi diventerebbero la
maggioranza.
È
necessario mantenere quelle terre in situazione di occupazione
militare, senza integrarle. Una situazione che richiederebbe un
equilibrio sopraffino, che Israele non ha. Anche perché le
occupazioni militari o sono fasi provvisorie, o si trasformano in
Stato di polizia.
Colonizzazioni,
vessazioni, introduzione di passaporti interni. La popolazione
palestinese “esplode”: inizia nel 1987 la prima Intifada.
Le
trattative di pace tra Peres e Arafat, poi tra Barak e Arafat,
definiscono linee di principio, ma non riescono mai a sciogliere
tutti i nodi (status di Gerusalemme, prigionieri politici, gestione
dell’acqua, confini certi).
Bastano
invece atti provocatori (Sharon che passeggia sulla spianata delle
moschee) per far detonare la seconda Intifada nel 2000 (solite
faccende: esplode l’Intifada per la passeggiata, ma l’Intifada
era già preparata).
Le
torri gemelle del 2001 e la “lotta al terrorismo globale” deviano
l’attenzione su altro, e Israele ha mano libera. Da
allora si succedono le guerre periodiche su Gaza, 7 in questo
millennio, prima di quella attuale.
Avviene
anche la fase del ritiro da Gaza nel 2005, sostituito da un blocco di
terra, di mare e di cielo. Fuori da Gaza si consolida il sistema dei
muri di separazione, dei posti di blocco, dei permessi per i
movimenti interni.
C’è
anche la guerra interna a Gaza tra Hamas e Fatah (2006-2007), che si
conclude con la presa del controllo da parte di Hamas della Striscia
di Gaza.
L’Autorità
Nazionale Palestinese, formalmente votata per la prima volta nel
1996, non ha mai preso il controllo vero del territorio, dovendo
sempre convivere con una occupazione palese o latente, e con
l’aberrazione di dover gestire due pezzi di Stato di cui uno (Gaza)
trasformato in un ghetto.
COME
SI REGGE LO STATO D’ISRAELE
Nessuno
Stato potrebbe fare ciò che fa Israele: sostanziale assenza di una
Costituzione, occupazione permanente di terre senza ricevere
sanzioni, discriminazione e segregazione di uomini, mancata
definizione dei propri confini, immigrazione basata su una
“identità”.
Come
può funzionare una struttura del genere?
Funziona
più o meno così.
La
popolazione mondiale ebraica è divisa così: 6 milioni in Israele,
6 milioni in USA, e minuzie altrove.
In
Israele ci sono i nazionalisti ebrei più “determinati”.
Come
spiegò Žabotinskij nel solito libro, «nella politica ebraica
mondiale il cresus assimilato non è un fattore potente, malgrado
egli possieda dell’influenza politica e finanziaria. Invece il
nazionalista ebreo è una potenza, sia egli pure uno straniero
sconosciuto».
Quindi
il “cresus”, il riccone che si è assimilato negli USA, è
sempre “comandato” dal nazionalista ebreo.
Aggiungendo
che la politica in USA vive di soldi, è facile notare che il
nazionalista comanda il cresus, e il cresus finanzia il politico
USA. Il fatto che Biden avesse chiamato al governo 12 ebrei non deve
stupire.
Tra
i dodici è bene ricordare Blinken. Blinken non era un ebreo
qualunque. Suo nonno era Maurice Blinken, fondatore dell’Istituto
Americano per la Palestina, che studiava la fattibilità economica
dello Stato d’Israele. Quando Blinken andava da Netanyahu, era un
sionista che andava da un altro sionista. Discutevano di modalità,
non di pace.
Il
cresus poi comanda anche i media.
L’olocausto
fa da lasciapassare per tutto. Nessuno Stato potrebbe erigere i muri
che erige Israele, installare posti di blocco e passaporti interni,
uccidere o mutilare decine di migliaia di civili, distruggere città
intere, avendo sostanzialmente i media “non ostili”.
Israele
è protetto dai cresus, da una politica USA che non può fare a meno
dei cresus, dai media che dipendono dai cresus. In questo clima
ognuno sa che con Israele bisogna essere “mediaticamente garbati”.
HO
CITATO TROPPO ŽABOTINSKIJ ?
Si
potrebbe pensare di sì, in fondo è un uomo morto nel 1940, e
citarlo ancora a distanza di 84 anni sarebbe come continuare a citare
Garibaldi durante la contestazione giovanile del 1968. Non
è così, però.
L’uomo
che comanda oggi Israele è Benjamin Netanyahu, detto Bibi. È al suo
sesto governo. In altri governi ha fatto il ministro della difesa e
il ministro delle finanze. È capo del Likud da vent’anni. Si
rifà alle idee di Žabotinskij? Certo. Ma detto così è riduttivo.
Il
padre di Bibi, morto a 102 anni nel 2012, era il segretario di
Žabotinskij. Quindi Bibi è cresciuto immerso nel sionismo di destra
da sempre. È anche fratello di Yonathan, unico morto israeliano
nell’operazione Entebbe in Uganda, quindi ha anche l’eroe in
casa.
Bibi
sta realizzando le idee di Žabotinskij, che prevedevano un Grande
Israele comprendente l’intero mandato britannico, ossia l’intera
Palestina e l’intera Giordania.
Ma
Netanyahu è, in fondo, un moderato.
Proviamo
ad ascoltare qualcuno di più muscolare.
Fine prima parte, a seguire la seconda parte della conferenza di Lazzaretti