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giovedì 16 maggio 2019

Quella lezione al mondo intero dei Cristiani di Siria

di Fulvio Scaglione
16 maggio 2019

La guerra in Siria, come ci dimostrano le cronache, era tutt’altro che conclusa. Da giorni l’offensiva dell’esercito di Damasco e delle truppe russe contro Idlib e l’ultimo caposaldo di ribelli e jihadisti provoca altre centinaia di migliaia di sfollati e moltissimi morti tra i civili. 
L'immagine può contenere: 7 persone, persone in piedi, persone che camminano, folla e spazio all'apertoTra loro, anche sei bambini uccisi da un missile nel villaggio cristiano di Al-Squalbiyeh.
Mentre il dramma continua, proprio la situazione dei cristiani consente di allargare lo sguardo sull’intera regione. In Siria, come si sa, in questi otto anni di guerra più di metà degli abitanti ha dovuto abbandonare la propria casa. Milioni di persone si sono trasformate in sfollati interni (quasi 6,5 milioni) o rifugiati all’estero (quasi 5 milioni). Tra coloro che hanno dovuto o voluto abbandonare il Paese ci sono, ovviamente, anche molti cristiani. Secondo uno studio di Aiuto alla Chiesa che soffre, già nel 2017 il numero dei cristiani di Siria si era dimezzato, passando dal 10 al 5% della popolazione (circa 20 milioni di persone nel 2011). In certi luoghi il crollo è stato verticale: ad Aleppo, i quattro anni di assedio e di bombardamenti hanno ridotto i cristiani dai 150mila del 2011 ai 35-40 mila attuali.  
 Ai numeri, comunque indicativi, andrebbero aggiunte altre considerazioni. Per esempio: l’esodo ha spesso privato le comunità cristiane, e la Siria intera, della classe dirigente, della borghesia delle professioni e dei mestieri, decisiva soprattutto quando si dovrà avviare l’opera di ricostruzione del Paese. E l’opera indefessa delle Chiese, che si battono per far tornare in patria i loro fedeli acquistando biglietti aerei, trovando appartamenti ai senza tetto, pagando in parte o in toto le pigioni, scovando o addirittura inventando posti di lavoro, pare spesso una goccia nel mare dei bisogni. 
Per quanto si possa essere pessimisti, però, una cosa è già chiara: non succederà in Siria quanto è successo in Iraq, dove la comunità cristiana nel suo insieme è arrivata vicina all’estinzione. Prendiamo, per l’Iraq, i numeri forniti da Sua Beatitudine Louis Raphael I Sako, patriarca della Chiesa caldea cattolica. Prima dell’invasione anglo-americana del 2003 in Iraq c’era un milione e mezzo di cristiani. Nel 2014 ne restava mezzo milione. Poi, in quell’anno, arrivò l’Isis e ora i cristiani sono ridotti a 300mila. Molti dei quali tuttora ammassati nei campi profughi del Kurdistan.
L'immagine può contenere: 1 persona
In estrema sintesi: mentre i cristiani dell’Iraq rischiano di sparire, quelli di Siria hanno sofferto e soffrono ma resistono come parte importante del mosaico etnico-religioso del Paese. Questo per due ragioni fondamentali. La prima è che la Siria ha un innegabile Dna cristiano. Qui si sviluppò, per opera di san Paolo convertito, non a caso, sulla via di Damasco, il cattolicesimo come noi lo conosciamo. Qui, tra fine Ottocento e primi del Novecento, e quasi sempre per opera di pensatori cristiani, nacque il nazionalismo panarabo e poi il nazionalismo siriano. 
Qui, negli anni atroci di questa guerra civile, le Chiese cristiane hanno saputo proporsi come un modello di intervento sociale superiore a qualunque divisione politica, etnica o confessionale.
L’altra ragione, piaccia o no ammetterlo e qualunque opinione si abbia di Bashar al Assad e dei suoi, è che in Siria i cristiani nono sono stati abbandonati. Il governo o, per chi preferisce, il regime, si è occupato dei cristiani, ha cercato di difenderli, ha esaltato il loro ruolo nella società siriana. In Iraq è successo esattamente il contrario. Essendo una minoranza pacifica e disarmata, i cristiani sono diventati il bersaglio di tutte le parti in guerra. E chi avrebbe dovuto proteggerli, soprattutto nel 2003, cioè prima i governi invasori di Usa e Regno Unito e poi il governo da loro insediato, si è di fatto disinteressato della loro sorte.
Per tutte queste ragioni ai cristiani del Medio Oriente, e soprattutto ai cattolici, servirebbe ora un segno forte di sostegno da parte della Santa Sede e di papa Bergoglio. Intendiamoci, l’attenzione è sempre stata altissima. Basterebbero a dimostrarlo la nomina a cardinale, nel 2016, di monsignor Mario Zenari, dal 2008 nunzio vaticano a Damasco, un inedito nella storia della Chiesa visto che mai prima era accaduto che un diplomatico vaticano ottenesse la porpora. E anche la nomina del patriarca Sako a membro del Pontificio consiglio per il dialogo interreligioso.
Ma è inutile nascondere che ciò che i cristiani del Medio Oriente ora si aspettano è un viaggio di papa Francesco, che è appena stato negli Emirati Arabi Uniti e in Marocco e che nel 2020 dovrebbe partecipare alla Conferenza per il dialogo cattolico-islamico organizzata a Beirut dalla Lega musulmana mondiale, anche nelle loro tormentatissime terre. La Siria è una meta troppo complessa per l’enorme valenza politica che un simile viaggio porterebbe inevitabilmente con sé. Ma non l’Iraq, dove il sostegno di Roma ai profughi non è certo mancato in questi anni. L’Iraq dove il cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato, si è recato lo scorso Natale. L’Iraq dove i cristiani rischiano di sparire come presenza visibile e organizzata. Diverse fonti vaticane, e in prima persona il cardinale Parolin attraverso una lunga intervista a Tv2000, hanno fatto sapere che “per un viaggio del Papa in Iraq ci devono essere quel minimo di condizioni che permettano al viaggio stesso di realizzarsi ma che attualmente non esistono”. Il pensiero va ai problemi della sicurezza, tuttora cruciali nel Paese dove, per fare un solo esempio, con ogni probabilità da cinque anni latitante lo stesso Al Baghdadi. Nondimeno, e proprio per questo, posando anche solo un piede in Iraq, papa Francesco farebbe un’ineguagliabile iniezione di coraggio a chi ha scelto di testimoniare la fede fino al possibile martirio.  In un’epoca in cui la persecuzione dei cristiani è diventata, secondo tutti gli indicatori, un allarme mondiale.
https://it.insideover.com/senza-categoria/cristiani-siria-lezione.html

lunedì 13 maggio 2019

E' ancora troppo presto per il ritorno di IDLIB al Governo Siriano?

Troppi sono gli interessi divergenti e le complesse relazioni tra i principali attori sulla scena del Levante perchè avvenga finalmente la liberazione della provincia di Idlib, occupata dalle formazioni jihadiste: intanto, la carneficina quotidiana continua ...  



Di Elijah J. Magnier
tradotto da: Alice Censi
Durante tutta la guerra in Siria, la Turchia ha avuto un ruolo attivo nella destabilizzazione del paese. Erdogan ha reso possibile l’ afflusso di migliaia di stranieri che in seguito avrebbero poi formato le unità combattenti straniere dell’ISIS. Il presidente turco ha agevolato il sostegno logistico, il trasporto di petrolio rubato e i rifornimenti al gruppo terroristico. Inoltre la Turchia ha aiutato al-Qaeda a strappare Idlib al governo siriano e, coordinandosi con i militanti di questa organizzazione, cercava di riprendersi Kessab, nel distretto di Latakia, (per potersi aprire così una finestra sul Mediterraneo su questa costa) prima che i jihadisti venissero scacciati da questa provincia ma non da Idlib e dalla sua zona rurale. Il presidente Erdogan ha il sostegno di molti gruppi siriani che si trovano ad Afrin e attorno alla provincia di al-Hasaka. Ha quindi bisogno di accontentarli trovando il modo di inserire i loro leaders e rappresentanti nella commissione che riscriverà la costituzione siriana. 
Questi ribelli siriani, comunque, nonostante siano tantissimi, hanno mostrato la loro incapacità di opporsi ad al-Qaeda. Sono stati sopraffatti da questo gruppo jihadista, motivato al punto da riuscire ad avere il controllo di una gran fetta della provincia di Idlib nonché della città. Nonostante ciò il presidente Erdogan ha bisogno di questi cosiddetti ribelli per combattere i curdi di al-Hasaka casomai se ne presentasse l’occasione dopo un accordo ( che per il momento sembra ben lungi da poter essere raggiunto) con le forze americane di stanza nella zona. I combattenti siriani alleati della Turchia sono uno scudo utile a proteggere le truppe turche e a ridurne le vittime in caso di eventuali battaglie.            I turchi, con i loro interlocutori in Siria, cioè la Russia e l’Iran (che sono  alleati del governo siriano), sostengono che le modifiche da apportare alla costituzione potrebbero rabbonire l’opposizione siriana. La Turchia ha fatto i nomi di 150 personaggi, inclusi dei membri dei “Fratelli Musulmani”, che dovrebbero prendere parte ad una trattativa con l’amministrazione siriana e le cui proposte dovrebbero essere tenute in conto nel processo di riforma costituzionale. Damasco rifiuta queste proposte e ha anche detto no a parecchi nomi che la Turchia ha suggerito. 
Malgrado il presidente Erdogan abbia sempre dimostrato di non impegnarsi in modo serio, per gli alleati del presidente Assad la Turchia ha un’importanza strategica notevole. Non hanno intenzione di tenerla  fuori dai giochi e liquidarla in quattro e quattr’otto.   La Turchia ha un ruolo importante in Medio Oriente. La sua avversione per i curdi ha indirettamente aiutato Damasco e contribuito a sventare il piano di Washington di dividere la Siria creando uno stato curdo, il “Rojava”.      Agli occhi dell’amministrazione americana questa mossa è apparsa accettabile perchè la presenza delle truppe turche nel nord-ovest della Siria bilancia quella delle truppe statunitensi che continuano ad occupare il nord-est. La Turchia, inoltre, insiste sul disarmo dei curdi quando terminerà l’occupazione americana. Se gli Stati Uniti non si impegneranno a disarmarli, ci penserà lei a farlo. E anche questo va a favore del presidente Assad dato che i leaders curdi sono coscienti della minaccia turca quando trattano con le autorità di Damasco. 
L'immagine può contenere: 5 persone, persone che sorridono, persone sedute e tabella
Il pianto delle mamme dei 5 bambini della cittadina cristiana Ạl Sqylbyẗ uccisi ieri dal bombardamento dei miliziani jihadisti di Idlib
Anche se l’involontario contributo della Turchia ha dato sotto certi aspetti dei risultati positivi, il presidente Assad non accetta la presenza turca sul territorio siriano e insiste sul recupero di Idlib proprio per evitare che questa presenza diventi permanente. Ma sia Damasco che Mosca ritengono che riconquistare Idlib con il consenso di Ankara potrebbe diminuire le vittime e ridurre i danni alle infrastrutture locali.  
  Mosca appare meno disposta di Assad a fare pressione su Erdogan e a forzarlo su Idlib. La Russia sa bene che una pressione militare sui jihadisti di Idlib porterebbe all’esodo di centinaia di migliaia di civili verso la Turchia e non verso le zone controllate dal governo siriano. 
Oggi le relazioni tra Turchia e Russia sono più forti che mai, vista soprattutto l’aggressiva diplomazia degli Stati Uniti che trascina con sé  i suoi alleati, Turchia compresa. Mosca è riuscita a mandar giù l’abbattimento del suo aereo da parte di Ankara nel 2015 e ha aumentato con lei la collaborazione militare e commerciale. Putin ha ottenuto un vero e proprio successo riuscendo a rompere l’unità della NATO ( di cui la Turchia è parte essenziale) che oggi è in prima linea per fronteggiare la “minaccia russa”. Inoltre i 910km del gasdotto “Turkstream” che uniscono la Russia con la Turchia forniranno il gas all’alleato della Russia e permetteranno a Erdogan di diventare un fornitore fondamentale per l’Europa. 
Mosca, (per proteggere i suoi scambi commerciali del valore di 100 miliardi di dollari con la Turchia e i 5-6 milioni di turisti che vanno a visitarla) è sicura di essere in una posizione privilegiata per chiedere a Damasco di frenare le sue pretese sul territorio che oggi fa parte della zona controllata dai turchi. L’aviazione russa aveva e ha ancora un ruolo essenziale per tenere in vita il governo siriano e la sua stabilità. La Russia ha sostenuto la Siria alle Nazioni Unite, ha evitato che Obama la bombardasse e ha pure attenuato l’istinto omicida dell’amministrazione Trump evitandole un bombardamento a tappeto. 
Erdogan è ormai un partner indiscutibile non solo per la Russia ma anche per l’Iran, oggi più che mai, data la “guerra di strangolamento” portata avanti da Trump contro Teheran. Centinaia di nuovi uffici di collegamento iraniani sono stati aperti nella capitale turca per gestire gli effetti delle pesanti sanzioni americane e contrastarne le procedure. Le esportazioni iraniane in Turchia hanno raggiunto i 563 milioni di dollari ed entrambi i paesi si prefiggono di aumentarle di molto negli anni a venire.            L’Iran ha avuto un ruolo importante nel far fallire il colpo di stato contro il presidente Erdogan nel 2016 e questo ha fatto sì che i governanti iraniani abbiano un trattamento di favore tra la gerarchia turca. Questa situazione permette all’Iran di usare i suoi buoni rapporti con la Turchia a vantaggio della Siria. 
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Tutti questi elementi e le relazioni tra i principali attori sulla scena del Levante significano che un attacco contro Idlib non avverrà domani. O il presidente Erdogan troverà il modo di neutralizzare al-Qaeda e i jihadisti ( cosa poco probabile a breve termine) oppure, probabilmente, darà il via libera alla Russia e al governo siriano per attaccare Idlib quando verrà allestito un luogo sicuro in cui proteggere gli abitanti. Erdogan deve anche gestire decine di migliaia di ribelli armati e i loro leaders. O riusciranno ad essere inseriti nell’esercito e nelle istituzioni siriane, quando Damasco accetterà una soluzione, oppure Idlib dovrà aspettare ancora moltissimo tempo prima di essere liberata. La sua liberazione potrebbe richiedere forse lo stesso tempo che servirebbe a rendere effettivo un (ipotetico) ritiro completo delle forze degli Stati Uniti. 

mercoledì 8 maggio 2019

La situazione a Idlib e il gioco della Turchia tra Russia e Stati Uniti


di Michael Jansen*
trad. Gb.P. OraproSiria
Durante la scorsa settimana la stampa occidentale ha riferito di bombardamenti russi e siriani nella provincia nord-occidentale di Idlib e della fuga di migliaia di civili dai villaggi presi di mira. Gli articolisti denunciano, con l'obiettivo di fermare un'operazione militare a tutto campo contro Idlib, che Mosca e Damasco hanno violato l'accordo di "de-escalation" raggiunto lo scorso anno tra Russia e Turchia: coloro che hanno segnalato la situazione in questo modo stanno promulgando "false notizie". Le forze governative russe e siriane non hanno violato l'accordo raggiunto dal presidente russo Vladimir Putin e dal suo omologo turco Recep Tayyip Erdogan il 16 settembre 2018, invece i gruppi filoturchi affiliati ad Al Qaeda che controllano Idlib non hanno implementato l'accordo sin dal primo giorno.
L'accordo prevede l'imposizione di un cessate il fuoco per tutta Idlib, la creazione di una zona cuscinetto di 15-25 chilometri attorno a Idlib, il ritiro da questa zona delle armi pesanti detenute da tutti i gruppi e da tutti i combattenti radicali. La Turchia è tenuta a separare i radicali dai "ribelli" (sebbene ciò sia impossibile) e smobilitare e disarmare le fazioni radicali. Con questo accordo, finalmente si riaprirebbero le autostrade che collegano Damasco ad Aleppo e Latakia. Tutti i firmatari hanno l'impegno di osservare il cessate il fuoco. Anche gli elementi di al-Qaeda sono stati inclusi nel cessate il fuoco, sebbene secondo l'ONU siano gruppi "terroristi" e non abbiano diritto a tale trattamento.
L'accordo è stato prontamente respinto dal Partito Islamico Cinese dell'Uighur Turkistan, dall'Organizzazione dei Guardiani della Religione, da Ansar al-Tawhid, Fronte Ansar al-Din e Ansar al-Islam. Hay'at Tahrir al-Sham successore di Al Qaeda non si è impegnato.
La Turchia, con i suoi "ribelli" surrogati nell'Esercito Siriano Libero e Tahrir al-Sham e i suoi partner altrettanto radicali non hanno rispettato i termini dell'accordo. Armi pesanti, ribelli e combattenti radicali non sono stati ritirati dalla zona cuscinetto, sono rimaste le armi pesanti e il cessate il fuoco non è stato onorato. Invece, Tahrir al-Sham ha esteso il suo controllo su Idlib dal 60 al 100 per cento e ha continuato gli attacchi contro l'esercito siriano e i villaggi e le città controllati dal governo nelle province settentrionali di Aleppo e in quelle occidentali di Hama. I droni sono stati lanciati contro la base militare russa a Latakia, a sud di Idlib. Un collega occidentale che ha recentemente visitato Aleppo e un villaggio cristiano presso Hama, vicino al confine della zona del cessate il fuoco, ha detto a Gulf Today che i combattenti hanno costantemente sparato mortai dentro aree residenziali in violazione del cessate il fuoco.
Mosca e Damasco hanno accettato questo accordo sotto la pressione delle Nazioni Unite, delle organizzazioni umanitarie internazionali e delle potenze occidentali. Queste sostengono che un attacco frontale contro gli elementi armati anti-governativi di Idlib comporterebbe un disastro umanitario per 2,5/3 milioni di civili residenti nella provincia e una nuova inondazione di rifugiati in Turchia. Ankara continua ad ammonire contro queste conseguenze se un attacco a tutto campo venisse attuato su Idlib, che è diventata di fatto la base occidentale di al-Qaeda.
Ma permettendo a Idlib di cadere sotto la dominazione di Tahrir al-Sham, Ankara ha creato una nuova minaccia per sé e per l'Europa in un momento in cui l'Occidente si concentrava sulla battaglia contro Daesh. Insistendo sul monito che Damasco e Mosca continuino a esercitare moderazione, le Nazioni Unite e le potenze occidentali (e i media) stanno proteggendo la base di al-Qaeda in Siria e stanno dando al gruppo radicale il tempo di consolidare la sua presa su Idlib.
Pertanto, il rifiuto della Turchia e dei suoi protetti di adempiere ai propri impegni, ha fornito una giusta causa per gli attacchi degli aerei russi e siriani e delle truppe siriane che sono stati costantemente presi di mira da Tahrir al-Sham.
Mosca ha tollerato l'inerzia di Ankara per così tanti mesi perché la Russia cerca di indebolire l'alleanza della Nato spingendo la Turchia a disertare. Questa politica è stata un fallimento. La Turchia sta giocando sia Russia che Stati Uniti e ha intenzione di trarre il massimo vantaggio da questo gioco, anche se, fin troppo chiaramente, il gioco è finito. La Russia è stufa della doppiezza di Ankara.
Mentre i russi e l'esercito siriano hanno rinviato l'azione militare, Tahrir al-Sham si è consolidata su tutto il territorio di Idlib sotto la protezione turca e internazionale. Erdogan intrattiene la vana speranza di reclutare combattenti di Tahrir al-Sham per il suo piano di prendersi ampi tratti della Siria settentrionale incoraggiando il gruppo radicale a impadronirsi della zona di frontiera turco-siriana a ovest del fiume Eufrate, mentre elementi del cosiddetto Esercito Libero (ESL) combattono i curdi sostenuti dagli Stati Uniti a est.
Nel frattempo, incoraggiati dagli Stati Uniti, i curdi siriani hanno invitato leader arabi tribali e capi delle comunità che vivono nella zona che controllano, per una conferenza nella città di Ain Issa. L'obiettivo era quello di presentare un fronte compatto negoziando con Damasco. Nel suo discorso all'evento, il leader curdo Mazloum Kobani ha detto che Damasco dovrebbe riconoscere l'amministrazione curda nel nord-est e lo status speciale dell'alleanza dei curdi con elementi arabi e il suo ruolo nella sconfitta di Daesh. Ha affermato che non ci può essere pace senza il riconoscimento dei diritti delle minoranze curde.
Damasco ha risposto accusando i curdi e i loro alleati di "tradimento".
I Curdi sono pressati per raggiungere un accordo con Damasco a causa della decisione degli Stati Uniti di ritirare la maggior parte delle sue truppe nel nord della Siria e della minaccia della Turchia di invadere l'area presa dai curdi che costituisce il 25 per cento della Siria. Negli ultimi mesi i curdi hanno abbandonato la loro richiesta di una zona autonoma curda, in una Siria decentrata e federale. Damasco rifiuta categoricamente questa richiesta.
Inoltre, gli arabi che vivono nell'area dominata dai curdi, che rappresentano il 70% della popolazione locale, non vogliono vivere sotto il dominio curdo e hanno preso accordi separati con il governo siriano, scalzando la richiesta di continuare il controllo amministrativo curdo delle aree arabe.
Mosca ha accusato Washington di usare i curdi siriani, allo scopo di indebolire il modello Astana sponsorizzato da Russia, Iran e Turchia sui negoziati tra il governo e i gruppi ribelli e al fine di assicurare una presenza statunitense a lungo termine in Siria. Il Ministro degli Esteri russo ha accusato gli Stati Uniti di tentare di creare uno stato separatista curdo in Siria, in violazione del principio di preservare l'integrità e la sovranità territoriale siriana stabilito nella carta delle Nazioni Unite e confermato nelle risoluzioni riguardanti la guerra siriana.
Washington ha fatto proprio questo, intervenendo in Siria negli ultimi otto anni. Gli Stati Uniti hanno cominciato fornendo all'Esercito Siriano Libero fondato in Turchia aiuti "non letali", poi hanno addestrato e armato combattenti "controllati", e infine hanno fornito truppe e copertura aerea per sostenere i curdi siriani nelle operazioni contro Daesh. I curdi si aspettavano un sostegno a lungo termine, ma hanno scoperto che gli Stati Uniti sono pronti ad abbandonarli, lasciandoli nella ricerca disperata di preservare la propria milizia e far valere i propri diritti utilizzando il territorio che detengono come leva nei negoziati con Damasco. Finora, questo ha fallito.
*L'autore, un rispettato osservatore degli affari mediorientali, ha scritto tre libri sul conflitto arabo-israeliano.

sabato 4 maggio 2019

Sulla linea del fronte di Idlib, le città cristiane si preparano con coraggio e fede alla sfida del terrorismo

I molti volti belli e coraggiosi di Al Skeilbiyyeh e Mhardeh nel nord di Hama. 
di VANESSA BEELEY

Trad. Gb. P. OraproSiria

Sono appena tornata a Damasco dopo aver trascorso quasi 4 giorni nelle città cristiane siriane di Al Skeilbiyyeh e Mhardeh. Durante la mia permanenza ad Al Skeilbiyyeh, la città è stata attaccata da Hayat Tahrir Al Sham (già Fronte al Nusra / Al Qaeda). Il 24 aprile, 16 missili Grad lanciati dai terroristi hanno preso di mira case di civili nella città, causando ingentissimi danni materiali, ma per fortuna niente martiri o feriti.
Le Forze di Difesa Nazionale (NDF) hanno risposto vigorosamente e le mie foto mostrano il successo dei bersagli sulle enclavi terroristiche nella Cittadella di Madiq - l'edificio bianco più alto (una ex fabbrica di grano e centro di stoccaggio) è ora occupato da una combinazione di Elmetti Bianchi e Fronte Al Nusra, secondo i soldati delle NDF.
Più tardi nella stessa notte, gli attacchi si sono intensificati considerevolmente, le forze terroriste del Fronte Al Nusra si sono avvicinate a meno di 200 metri dalla città e ci è stato chiesto di tornare in luoghi riparati. Il lancio di missili da parte delle NDF è stato un suono gradito, conoscendo la vicinanza del Fronte Al Nusra ai civili di questa città risoluta e resiliente. Un razzo del Fronte Al Nusra è esploso a meno di 10 metri da dove mi trovavo, secondo i soldati (e il suono dell'esplosione). Mentre le NDF intensificavano il loro fuoco difensivo sulle posizioni terroristiche, un caro amico, Wissam Sliman, mi ha inviato i seguenti messaggi che era riuscito a raccogliere tra i combattenti terroristi: Primo terrorista: "Giuro su Dio, senti come se la terra si spezzasse con ogni razzo che atterra". Secondo terrorista: "Bastardi! Loro (NDF) stanno sparando 4 o 5 proiettili simultaneamente".
La strategia determinata dal comandante delle NDF, Nabel Alabdalla, era quella di mirare agli avvicinamenti di Al Nusra verso la città di Al Skeilbiyyeh, per respingere i terroristi che avanzavano e costringerli a rientrare nelle loro tane nella Cittadella di Madiq. Le NDF hanno avuto successo: dopo alcune ore di scambi di fuoco, divenne chiaro che i vigliacchi terroristi si erano ritirati, sopraffatti dal superiore coraggio e dall'intelligenza delle forze delle NDF che hanno difeso la loro città e il loro popolo negli ultimi otto anni. I terroristi non sono mai stati in grado di entrare a Skeilbiyyeh durante tutto questo tempo.
La mattina seguente, i jet russi Sukhoi si potevano udire sopra la testa, e un certo numero di aree occupate dai terroristi a Hama e Idlib sono tutt'ora il loro obiettivo.
Il giorno seguente era il Venerdì Santo e i civili si sono riversati nelle strade di Al Skeilbiyyeh per la processione della bara di Gesù Cristo. La chiesa era gremita, le persone in piedi nei corridoi per la cerimonia, nonostante il pericolo che avevano appena affrontato. La fede in Nabel Alabdalla e nei suoi soldati è qualcosa che viene espressa da tutti i cittadini di questa città, le persone si sentono al sicuro perché sanno che saranno protetti da ogni tipo di male che possa minacciarli, da questi giovani uomini e donne coraggiosi senza paura. 
Abdullah Elias Farouh, 99 anni, il più vecchio abitante
di Al Skeilbiyyeh. 
(Photo: Vanessa Beeley)

Dal più vecchio cittadino, il novantanovenne Abdullah Elias Farouh (fotografato con Nabel Alabdalla), al più giovane, tutti si sono riuniti nella chiesa, nelle strade e poi nei ristoranti in questo giorno di lutto per la morte di Cristo.

L'immagine può contenere: cielo, erba, natura e spazio all'aperto
Abbiamo trascorso del tempo prezioso nella campagna di Al Skeilbiyyeh, tra i campi di grano ora incolti, gli uliveti, i pistacchi che si estendono tutti in lontananza dove le montagne incombono sui campi verdeggianti e sui paesaggi assolati.

Cavalli che pascolano liberamente sul ciglio della strada sotto il forte sole primaverile. Un momento di natura sublime tra il caos e il disordine creato dall'Occidente che ha infranto la pace e la semplicità di questa antica terra e della sua gente.
 Nabel Alabdalla si è fermato sul ciglio della strada per salutare Umm Firdaus, vestita tradizionalmente nelle foto. Umm Firdaus ha manifestato un profondo amore e ammirazione per Nabel mentre conversavano: il suo viso avvolto di sorrisi e di gioia.
Maha Assaad con la figlia disabile di 25 anni, Amal. Foto: Vanessa Beeley
L'arazzo multicolore di cui è fatta la Siria si riflette nelle città di Skeilbiyyeh e Mhardeh: la diversità, l'unità, la solidarietà sono espresse attraverso la parola e l'azione senza esitazione. Quando ho riferito riguardo al razzo che aveva preso di mira la casa di Maha Asaad e la sua figlia disabile di 25 anni, Amal, la risposta è stata immediata, la gente ha iniziato a chiamare i funzionari della città e a chiedere cosa potevano fare per aiutare. Il razzo era entrato dal tetto dell'edificio in una stanza dove Maha e sua figlia e altri due civili si stavano riposando, miracolosamente nessuno è rimasto ferito. In una città in cui la comunità è così importante, nessuno sarà lasciato senza aiuto o supporto. Questa è la Siria.
The funeral of the martyrs in Mhardeh. (Photo: Mhardeh Facebook page)
A Mhardeh ho intervistato le famiglie dei martiri più recenti, uccisi durante gli attacchi terroristici missilistici: Yousef Habib Najjar di 42 anni, padre di due figli, e il 22enne Majed Monif Qiddeeseh. Pubblicherò queste interviste a breve. Era straziante condividere il dolore e la perdita di queste famiglie, ma la luce della resistenza bruciava ancora così intensamente nelle loro parole, nei loro occhi e nella loro determinazione a rimanere nella loro terra e nel loro rifiuto di permettere che il lutto li portasse a lasciare le loro case. Mi sono sentita profondamente umile davanti alla fermezza che queste persone gentili e generose mostrano attraverso le loro lacrime e i ricordi di un figlio o di un padre / fratello / marito che non avrebbero mai dovuti essere loro rubati.
La nonna di Majed mi ha detto che lui rideva e scherzava sempre, che l'avrebbe abbracciata ogni giorno rassicurandola che l'avrebbe tenuta al sicuro durante gli attacchi terroristici.
L'immagine può contenere: 7 persone, persone che sorridono, persone sedute
Con la famiglia del martire di 42 anni,
 padre di 2 figli, Yousef Habib Najjar, a Mhardeh.
Foto: Vanessa Beeley
Il fratello di Yousef, Dr. Noni, è un neurochirurgo. Quando Yousef è stato ferito dalle schegge del missile che ha anche preso la vita di Majed, è stato il Dr. Noni che ha dovuto operare il proprio fratello. La scheggia era entrata nel cervello di Youssef dalla nuca e nonostante tutti gli sforzi del dottor Noni per salvare la vita di suo fratello, non è stato in grado di farlo.
A volte mi sento sopraffatta dal dolore e dalla sofferenza che queste persone eroiche devono sopportare, ma è la loro resistenza e dignità che dovrebbe incoraggiarci tutti a combattere più fortemente per loro, a negare ai nostri governi la vittoria che stanno cercando - spezzare gli animi di queste persone nobili con tutti i mezzi a loro disposizione, militari, economici, psicologici - ... Queste persone non meritano queste tenebre, meritano di essere lasciate vivere in pace.
L'immagine può contenere: 1 persona, in piedi e spazio all'aperto
I residenti di Al Skeilbiyyeh ripuliscono il pavimento
dopo che un razzo di Al Qaeda ha preso di mira la loro casa.
 Foto: Vanessa Beeley.
Ho voluto scrivere solo queste parole stasera, perché sono fresche nella mia mente e nel mio cuore. Ne aggiungerò altre molto presto, ma per ora vi lascio con queste immagini di questa bellissima regione e della sua bella gente. Dio li benedica tutti, li protegga e porti loro la vittoria contro la peste terrorista che è stata portata loro dai mostri in Occidente e dai tiranni loro alleati che sono la Turchia, gli Stati del Golfo e Israele.

giovedì 2 maggio 2019

Appeals against the Embargo, a Weapon that is Killing the People



texts translated into English by Alessandra Nucci

An Appeal from Syria : “Please circulate this message so that the world many know what the consequences of the embargo are on my people”.

The embargo imposed on Syria by the United States and Europe to the purpose of ousting its government is plunging the Syrian people, already debilitated by 8 years of war, into a never ending agony. By preventing any fuel from entering this martyred country the West is perilously damaging the daily life of the Syrian people. Buses, taxis and cars are paralyzed to the point that not even students can go to school or college.

The chronically ill, e.g. cancer patients, who come from small towns to get their free treatment in the state-run hospitals of Damascus, miss their appointments because they are unable to arrive due to the paralysis of transportation, due to the lack of fuel (se for example what happened to Fadi’s mother, who was supposed to get treated 4 days ago now).
Syria’s tens of thousands of taxi drivers can no longer support their families; the lack of fuel has even stopped the ambulances, as in the case of Homs.

The “scorched earth” strategy adopted by the United States and by the countries of the European Union against Syria and its people is only increasing the suffering of a people who have been undergoing martyrdom for 8 years now.
A few European newspapers have clearly seen the dire consequences for the Syrian people of the West’s resolve to reinforce the embargo on Syria. The Washington Post has reported the decision of the U.S. Treasury Department to impose sanctions on whatever ship should go to Syria, no matter what its cargo and whatever country it hails from. The upshot is that no one can get anything at all over to us!
Even if medicine and hospitals are not explicitly mentioned in the embargo, these do not reach us anyway because banks in every country are forbidden from doing business with Syrian banks.
Hospitals work at a minimum, there is a scarcity of medicine, chronic patients can no longer be treated, hospital machinery is unusable due to the lack of spare parts, etc ...
According to Britain’s newspaper, The Independent, not even the humanitarian aid associations are able to supply food or medical aid.
Now you can imagine how the Syrians are suffering!

The European Commission for Foreign Affairs believes that the West’s scorched earth strategy is hitting out at random civilians and that the embargo imposed on Syria, to put pressure on the government to get it to change its policies and adopt the ones of the West is wrong-headed because it actually harms the weakest and poorest, and is undeniably destructive and inhuman.

From the outset all the Western media, in the United States and in the European Union, have boasted of having the interests of the Syrian people at heart and of wanting to protect the people’s rights and give them a better life: this has been revealed to be a grandiose and shameful lie, as the reality confronting us is quite the opposite! It is their own policies that are starving the population, made up of innocent and pacific civilians, and are suffocating them more and more as the days go by.

  original articlehttps://oraprosiria.blogspot.com/2019/04/appello-contro-lembargo-arma-che-uccide.html


AN INTERVIEW WITH THE LATIN BISHOP OF ALEPPO



Msgr Abu Khazen asks for Prayers: “Please pray that the sanctions on Syria be lifted and we be given back our right to live in peace”

   interview by Gian Micalessin

Msgr George Abu Khazen has been Latin bishop of Aleppo since 2014. There he has lived out the most difficult moments of the war together with his flock. Yet – as he explains in this interview with Gian Micalessin, for Sputnik Italia – today the situation is almost worse than when the rebel jihadis and Isis encircled the town.

“The war may be over, or be about to end, but here in Aleppo and in the rest of Syria the weight of the sanctions is becoming unbearable. We lack everything. We Christians, like all Syrians, are living in impossible conditions. Everything, even the most essential things, is rationed. Gas cylinders can be refilled only once every twenty days. Private cars have a right to twenty litres of gasoline every five days… taxi drivers can buy twenty liters every other day. Believe me, the repercussions of this rationing are appalling. Many means of public transport are no longer in circulation and school buses have almost all stopped, so many children, especially the ones that live on the outskirts or in poorer areas of town, are unable to go to class. If you add to all this the enormous rise in cost of living you will understand how difficult the situation is. For the first time in all this we are feeling the weight of the situation to be almost unbearable”.

 “The situation is almost worse than before, because we used to have hope and the will to react. Today instead there is only confusion. While the battle for Aleppo was ongoing, people were motivated, they had an energy within that led them to put up with adversity. Today instead people are tired and depressed… they are losing hope…. They no longer know how things are going to end up”.
- Is it just a matter of sanctions?
Yes, the sanctions are the main obstacle to a return to normal. Syria could be self-sufficient thanks to its oil and gas pits, but these resources are in the North East and that is where the Kurds and the Americans are. The Americans are the main advocates for the economic blockade. They prevent us not only from using our oil and our gas, but also from receiving fuel from other countries. The intervention of Americans and Turks makes everything very confusing, we really don’t know where this is all going to end up.

But at least there is no more shooting …
 That’s not true either….. around Aleppo the fighting has started up again. There are no big battles but there is shooting going on. Once again we are hearing the bombs, the machine guns, the missiles, every night. At this point the rebels of Jabhat Al Nusra, Syria’s version of Al Qaida, control the entire province of Idlib. So they are practically at the gates of Aleppo. Turkey says it wants to cooperate to send them away, but the truth of the matter is that Turkey is actually their main ally. And since we know the Turks and we know that they are in the habit of promising one thing and then doing something else we are very concerned.

Has the Christian community come home now that the siege is over?
 No, unfortunately! The Christians who have come home to Aleppo are very few. But what is most worrying is the malaise of the ones who have stayed on. For the first time I am hearing them say “it was a mistake to stay here”. During the war no one ever said anything like that. Now, instead, many are saying so. And not just among the Christians. This is a very bad sign.

Is there a risk that the presence of Christians never return to be what it was?
We have never lost hope. Not even in the darkest moments of the war have we ever lost hope. To hope is part and parcel of our faith….. so I can’t entertain the thought that Christians may no longer be present here. Our destiny is not in the hands of men but of God. He is our only savior and therefore hope can never and must never be lost.

Do you feel supported by the Vatican?
We are grateful to the institutions of the Church that help us and to all our benefactors. It is only thanks to them that we manage to support the Christians and many other Syrian brothers and sisters.

And what about Europe and its countries? Do you get the impression that they have forgotten you?
I actually wish they would forget about us…. Unfortunately they remember us only when they want to strike out at us by imposing the sanctions. Except for Hungary and Poland all the other European countries seem to be bent on hurting us.

What about Italy?
 Italy should reflect on the consequences of the economic blockade imposed on Syria. Please understand that the sanctions do no hurt the leaders and those high in command in the State, and they don’t halt the importation of arms either. The sanctions only hurt the poor. We Christians don’t care at all about arms. What we care about are the dire straits of the people. What are millions of families with their elderly, their ill and their children to care for guilty of? Why should they suffer? You Italians should realize that the war may be over, but the sanctions willed by the Americans make our life more and more difficult. Our message to the Italians is one alone “Pray that the sanctions be lifted and that we be given back our right to live in peace”.

But surely there must be someone helping you?
Russia alone has always helped us out. It is only thanks to Moscow that the jihadis have not taken over all of Syria. Only thanks to Russia are there peace talks going on.


FROM THE TRAPPIST NUNS OF AZEIR- SYRIA:


"I also wanted to tell you a little bit about the sanctions now that we are once again approaching a new vote on whether or not to renew the sanctions. I would like to let you know how hard they bear down on us, because it is the first time in all these years that we are seeing people really dejected. The renewed sanctions really hurt. There is no methane gas, no gasoline, no diesel fuel, and in our region, which is mainly  farmland, after the people grow their crops they find to their dismay that they have no means of taking them to Damascus or to market. Everything is  paralyzed, all our little activities. Many things  even today  are preserved thanks to ice, but those who produce ice can't make any because there is no electricity to run the freezers on nor gasoline to take the blocks of ice to customers. 
It's all like this. ..... Same thing with bread. Bread is rationed because ovens run on diesel .... As I said, the situation is really appalling and people are truly discouraged. Never until today had we heard people saying "we wish we had left!"
These voices are not listened to in the upper spheres.
What war was unable to obtain is now being obtained by wearing people out: I think we should react, because everything is getting so difficult, there is  no gas....
Here we are able to cook because we've got solar panels, which run our electric burner and the women of the village come over to cook at our place on our electric burner, but how can the country ever start up again, under such heavy harassment? There are drafted army recruits in Homs who can't come home in between shifts because there are no buses. People who have to go and get something can't find a car, or even if they can, the gasoline is so expensive that they give up on the idea of moving anywhere. This way work too becomes harder and more costly. Merchandise triples in price. Truly the situation is unbearable."  
     
 By Sister Martha

mercoledì 1 maggio 2019

Maggio, mese di Maria: storia dell'icona miracolosa di Aleppo

di Jean-Claude Antakli
 trad. Gb. P. OraproSiria


È una città ferita, una città luminosa dalla quale il sole è fuggito. Quartieri opulenti con persiane chiuse, tende abbassate, porte fracassate, dormono sotto un velo spesso, opaco e pallido. A cinque chilometri dal centro, in agguato dietro i cumuli di macerie, la guerra è ancora lì, i tizzoni ardenti sotto la cenere aspettano che una brezza fredda li accenda di nuovo. La guerra è al suo 7° anno! I giorni sono brevi e al mattino presto, rivive ancora la speranza. Domani forse le persiane dall'altra parte della strada si apriranno, i buchi spalancati delle finestre si animeranno, le voci, le grida, la vita tornerà a spazzare via, a cancellare, fino al ricordo degli anni perduti.
Sette anni, l'età della ragione! Ora sappiamo, ora capiamo, anche se il perché sfugge. Chi, del resto, sensatamente, poteva trovare cause e ancor meno scuse, per tale follia distruttiva?
Maged, l'amico di Aleppo, nell'ufficio sopra il suo studio, dove ha formato per anni tanti apprendisti nell'oreficeria, al delicato e preciso lavoro di oro, argento e pietre preziose, può immaginare il futuro da molte prospettive. Non viene più pressato sui tempi, né dai suoi clienti esigenti, né dai suoi otto dipendenti licenziati, la maggior parte dei quali ha lasciato la città.
Con la sua esperienza, la sua reputazione, la sua fama, avrebbe potuto lasciare l'inferno di Aleppo e mettersi al riparo da tutto, lui e la sua famiglia. Ci ha pensato, ci si è persino preparato, ma ecco, Lei lo ha trattenuto. Lo dice chiaramente e senza enfasi: Lei lo ha trattenuto! Nel momento in cui era arrivato da basso nell'edificio sventrato e trovato la madre e la sorella irriconoscibili, fantasmi intonacati, stravolti ma incolumi, ha saputo che non avrebbe mai potuto lasciare l'appartamento al primo piano, intatto in mezzo alle macerie degli edifici circostanti colpiti da un missile.
La scala ha resistito, nulla è stato toccato. Nella stanza d'ingresso, l'Icona della Madonna col Bambino nella sua cornice scolpita e smaltata brilla debolmente, esattamente nello stesso posto. Se non fosse per il deflusso dell'acqua dalle tubazioni recise dei piani superiori che si riversano sul pavimento, nulla potrebbe indicare il terremoto avvenuto lì accanto. Era il 4 maggio 2014, il mese di Maria, ad Azizié, più di 4 anni fa: Aleppo era appena stata colpita nel cuore del quartiere cristiano. Seduto dietro la sua scrivania, Maged rivive intensamente quel giorno, pallido, gli occhi umidi, poi rivolge verso di noi una piccola immagine dell'Icona miracolosa, circondata da tre volti di bambini ridenti. "È Lei che mi ha trattenuto", dice, "e mi trattiene ancora oggi! È nella famiglia di mio padre da 300 anni, lo sai?! È una lunga storia iniziata ad Antiochia."
JCA: Sei di Antiochia, dico sorpreso. Mio nonno è nato lì.
Maged: Sì, siamo come te originari di Antiochia.
Un silenzio, quindi:
- vorresti vederla o raccoglierti davanti questa icona? Ti ci posso portare quando vuoi. Lei è ancora a casa di mia madre e delle mie sorelle.
Potremmo rifiutarci di onorare la Santa Vergine? Il giorno seguente, Maged ci conduce da sua madre che ci stava aspettando, piccola, fragile, rannicchiata su una poltrona con un plaid sulle ginocchia. La stanza è aperta e illuminata, e con un gesto lei ci invita a entrare. La stanza è abitata da un'Icona maestosa collocata nel suo reliquiario. Lei brilla incoronata d'oro. Il bambino è sulle sue ginocchia, coronato anche lui, la bocca al seno di lei che possiamo indovinare senza vederlo. È fasciato e mezzo-nudo, protetto dalle due mani di sua madre. La luce si riflette delicatamente sul pizzo della corona e sul bordo orlato del severo velo che le incornicia il viso. Entrambi ci guardano, pacifici ma seri. Nel mezzo del dipinto, una croce preziosa.
Ritorniamo da Madeleine (la madre di Maged) e da sua figlia Nayla. La stanza è fredda e improvvisamente la luce si spegne. Le interruzioni di corrente sono frequenti e ogni famiglia deve utilizzare dei generatori.
- Lei è rimasta nonostante tutto - dico.
- - risponde Nayla - ci siamo abituati.
- Non ci si abitua mai alla guerra - dice mia moglie.
- Se ti trovi di fronte all'orrore - risponde Nayla - non hai scelta: l'affronti, ti rialzi. E poi Maged ve l'ha già spiegato. Dopo il bombardamento non potevamo più andarcene e dimenticare il segno che avevamo ricevuto; non è così mamma?
Madeleine, silenziosa fino ad allora, ha riordinato i suoi ricordi e inizia:
« Sono nata ad Antiochia nel 1926 nella famiglia Khoury. Mio padre era un orafo e io avevo una sorella maggiore: Antoinette. Gli ottomani, ai quali la Francia poco dopo ha dato questa regione, hanno immediatamente chiuso le scuole private. I miei genitori ci mandarono quindi a studiare a Beirut (Libano) presso le suore di San Giuseppe, poco prima dello scoppio della seconda guerra mondiale. Eravamo là in convitto. Ho sposato mio marito ad Antiochia nel 1954. Avevo 28 anni. Il vero nome di famiglia di mio marito è Yaacoub Pandelli Daoud. Ma per tre secoli (Origine dell'icona) è diventato usuale chiamarli «Saïdé» cioè «la Vergine». Erano diventati familiarmente la «famiglia della Vergine» o «la casa della Vergine» ed è così che l'Icona è entrata nella mia vita e che tutti portiamo fino ad oggi, il nome di «Saïdé»
JCA: La prego, può raccontarci la sua storia?
Madeleine: Beninteso, noi la veneriamo. Io, ogni mattina, prego davanti a Lei. Ad Antiochia, la casa dei «Saïdé» era un luogo aperto alla preghiera. Un giorno, sotto l'impero ottomano, si presenta una delegazione greco-ortodossa. Hanno sentito parlare di questa icona miracolosa e mentre il Patriarca è in visita apostolica nella regione chiede incuriosito e intrigato che gliela si porti, per pregare davanti a Lei. Ma il nonno di mio marito si rifiuta, non tocca alla Beata Vergine di spostarsi, è lui che deve venire per renderle omaggio. Il patriarca insiste e manda un vescovo accompagnato da un diacono, a capo di una processione di seminaristi. La famiglia finisce per cedere. L'Icona viene quindi portata via e messa sotto sigilli in una Chiesa chiusa a chiave, dove il Patriarca è invitato a venire il giorno dopo per onorarla. Arriva il Patriarca, si apre la porta... l'Icona è scomparsa! Nella famiglia Saidé, come ogni sera, ci riuniamo per pregare, quella sera con il cuore un po' pesante, e miracolo... Lei è tornata nello stesso posto! La voce si sparge immediatamente fino al Patriarca, che comprende il segno e la lezione: è lui che deve andare alla Vergine Maria!
Prima di questo evento si racconta anche che nel 1820 un'epidemia di colera aveva infuriato a Baghdad e ad Aleppo, fino alle province russe del Mar Caspio, senza risparmiare Antiochia. L'epidemia colpì indiscriminatamente tutte le classi della popolazione e in quel periodo la città, come tutte le città d'Oriente, era organizzata in quartieri. Fu una grande piaga che ispirava terrore e colpiva la nostra immaginazione. L'inutilità dei trattamenti portava a ricorrere alla preghiera per proteggersi. Nel quartiere della famiglia Saïdé, in quarantena come tutte le altre, si affidavano alla Vergine. Si dice che non sia stato trovato un solo caso di contagio, mentre tutti i quartieri senza eccezione ne furono interessati! Diverse testimonianze affermavano che, mentre ogni sera i barellieri venivano per rimuovere i cadaveri, nel quartiere «  della Vergine  » c'era una donna vestita di bianco, misteriosa e bella, che vagava di porta in porta senza che nessuno, mai, abbia potuto conoscere il suo nome.
Circa Nayla e me, tuttavia, nel 2014, sappiamo chi ci ha risparmiato! Perché il missile ha colpito i tre piani sopra di noi, e l'altra parte dell'edificio è completamente crollata. Solo il nostro appartamento è rimasto intatto.
JCA: Da quanto tempo l'avete portata in Siria?
Madeleine: Una parte della famiglia di mio marito è emigrata a Damasco tra 1938-1940, alla vigilia della Seconda Guerra Mondiale. È rimasta lì fino al 1973, quando l'abbiamo collocata qui ad Aleppo, dove la vedete. Non ha mai cambiato posto.
JCA: In questo piccolo oratorio dove pregate ogni mattina, la Vergine si è manifestata?
Madeleine è un po' sorpresa. Ma la Vergine è qui! La casa dei Saïdé è la casa della Vergine! Rimette il plaid sulle ginocchia. La luce non è tornata, il riscaldamento è spento, fuori fa molto freddo. Il caffè, i pasticcini e la calma di questo appartamento ci riscaldano. Nayla si alza e torna con una cornice contenente la fotografia leggermente invecchiata e ingiallita dell'icona. È sigillata.
- Ah! Sì, dice Madeleine, questa cornice ha una storia, è vero, raccontala, Nayla.
- Era alla fine degli anni 1970. Mio nonno era stato portato d'urgenza all'ospedale St. Louis di Aleppo, che voi conoscete. Per sostenerlo in questa prova, mia nonna aveva portato al suo capezzale la foto in bianco e nero della Vergine con il Bambino che aveva messo in una teca sotto vetro. Mentre lei lo veglia la notte, sente nella stanza accanto alla sua singhiozzi e gemiti. Va nel corridoio, socchiude la porta più vicina e vede una donna seduta accanto al letto di un paziente inanimato. Lei le parla per consolarla, perché il chirurgo ha dato pochi giorni di vita al marito che era venuto da Kamishli (città siriana sulle rive dell'Eufrate) per le cure. Mia nonna allora le propone di mettere al capezzale del morente la foto che ha portato e di pregare intensamente la Vergine. Al mattino, il signor Bakdachi è vivo, cosciente e dice di aver visto ai piedi del suo letto una donna vestita di bianco che lo ha vegliato tutta la notte. Una volta guarito lui testimonierà.
Sporgendomi un poco in avanti, vedo la croce al centro dell'icona che spicca e brilla, così come le due corone d'oro. Nei momenti difficili, è stata un promemoria per la vibrante fede di questi Cristiani d'Oriente. Da dove viene? Quale mano d'artista l'ha modellata? Forse Youssef che è un famoso iconografo della cosiddetta scuola Aleppina?
JCA: Se voi l'avete fin dal diciottesimo secolo in famiglia, l'avevate ordinata voi?
Madeleine: Niente affatto. Sono stati dei viaggiatori che, provenienti dalla Grecia, si sono fermati ad Antiochia. Lì si ammalarono e la famiglia Pandelli li accolse e si prese cura di loro per molti mesi. Riprendendo il loro viaggio di ritorno a casa, hanno manifestato la loro gratitudine offrendo loro ciò che avevano di più caro.
Frutto di un'arte religiosa tipicamente orientale, che non ha cessato di esprimere una pietà ahimè estranea all'Occidente, l'Icona non è un'arte gelida e sclerotizzata. Ciò che è dipinto, converge verso chi lo contempla e appare come una proiezione sacra di teologia e di spiritualità strettamente legate, di una ricchezza, di una delicatezza che ci immergono nella contemplazione, spogliati di ogni esaltazione. Questa è la sacralità dell'icona. La nostra profonda gratitudine va alla famiglia «Saïdé», la cui accoglienza calda e semplice non è che il riflesso dell'arte di vivere dei Cristiani d'Oriente.
J.C. e Geneviève Antakli

sabato 27 aprile 2019

Monsignor Abu Khazen agli italiani: “pregate perché le sanzioni vengano tolte e ci venga restituito il diritto di vivere in pace”.

Monsignor George Abu Khazen è dal 2014 il vescovo latino di Aleppo. In quella città ha trascorso con i suoi fedeli i momenti più difficili della guerra. Eppure – come spiega in questa intervista esclusiva a Sputnik Italia - oggi la situazione è quasi peggiore di quando i ribelli jihadisti e l’Isis circondavano la città.

  Intervista di Gian Micalessin

“La guerra forse è finita, o sta per finire, ma qui ad Aleppo e in tutto il resto della Siria il peso delle sanzioni sta diventando insopportabile. Manca tutto. Noi cristiani, come tutti i siriani, viviamo in condizioni impossibili. Ogni cosa, anche la più essenziale, è razionata. La bombola del gas si può cambiare solo una volta ogni venti giorni. Le automobili private hanno diritto a venti litri di benzina ogni cinque giorni, i tassisti possono comprarne venti ogni secondo giorno. Le ripercussioni, credetemi sono assai pesanti. Molti mezzi pubblici non circolano più e i pullman delle scuole sono quasi tutti fermi così molti bimbi, soprattutto quelli dei quartieri più lontani e disagiati non riescono a raggiungere le aule. Se a tutto questo aggiungete un caro vita inarrestabile capite quanto la situazione sia difficile. Per la prima volta proviamo un peso quasi insopportabile”.

“La situazione è quasi peggiore perché allora c’erano la speranza e la voglia di reagire. Oggi invece c’è solo confusione. Quando ad Aleppo si combatteva la gente era motivata, aveva uno slancio interiore che la spingeva a sopportare le avversità. Oggi invece la gente è stanca e depressa….sta perdendo la speranza…non sa più come andrà a finire”.


– E’ solo colpa delle sanzioni?
– Sì, le sanzioni sono il principale ostacolo al ritorno alla normalità. La Siria grazie ai suoi giacimenti di petrolio e gas potrebbe essere autosufficiente, ma quei giacimenti sono nel nord est e lì ci sono i curdi e gli americani. Gli americani sono i primi sostenitori del blocco economico. Per questo ci impediscono non solo di utilizzare il nostro petrolio e il nostro gas, ma anche di ricevere combustibili da altri paesi. L’intervento di americani e turchi rende tutto molto confuso, non sappiamo proprio come andrà a finire.
– Ma almeno non si spara più…
– Neanche questo è vero… intorno ad Aleppo si è tornato a combattere. Non sono grandi battaglie, ma si spara. Ogni sera si sentono di nuovo le bombe, le raffiche di mitragliatrice, le esplosioni dei missili. I ribelli di Jabhat Al Nusra, la costola siriana di Al Qaida ormai controllano tutta la provincia di Idlib. Quindi sono praticamente alle porte di Aleppo. La Turchia dice di voler collaborare per mandarli via, ma in verità è il loro principale alleato. E poiché conosciamo i turchi e sappiamo che sono abituati a promettere una cosa e farne un'altra siamo molto inquieti.
– C’è stato un ritorno della comunità cristiana dopo la fine dell’assedio?
– Purtroppo no! I cristiani ritornati ad Aleppo sono pochissimi. Ma quel che più ci preoccupa è il malessere quelli rimasti. Per la prima volta li sento dire “abbiamo sbagliato a restare qui”. Durante la guerra nessuno diceva mai una cosa del genere. Ora, invece, lo dicono in tanti.. E non solo fra i cristiani. Questo è un pessimo segnale.
– C’è il rischio che la presenza cristiana non torni più quella di un tempo?
– Noi non abbiamo perso la speranza neanche nei momenti più bui della guerra. Sperare fa parte della nostra fede….. dunque non posso credere che la presenza cristiana vada perduta. Il nostro destino non è nelle mani degli uomini, ma nelle mani di Dio. Lui è il nostro unico salvatore e quindi la speranza non può e non deve andar mai perduta.
– Vi sentite appoggiati dal Vaticano?
– Noi siamo grati alle istituzioni della Chiesa che ci aiutano e a tutti i benefattori. Solo grazie a loro riusciamo a mantenere i cristiani e tanti altri fratelli siriani.
– E dell’Europa e dei suoi paesi cosa pensate? Avete l’impressione che si siano scordati di voi?
– Magari si scordassero di noi...purtroppo si ricordano di noi solo per colpirci e farci del male imponendoci le sanzioni. Tolte Ungheria e Polonia tutte le altre nazioni europee sembrano volerci fare del male.
– E l’Italia?
– L’Italia deve fare un esame di coscienza e riflettere sulle conseguenze del blocco economico imposto alla Siria. Gli italiani devono capire che le sanzioni non toccano gli alti funzionari dello Stato e non contribuiscono a fermare le importazione di armi. Le sanzioni toccano solo la povera gente. A noi cristiani delle armi non importa nulla. A noi interessano le condizioni della povera gente. Che colpa hanno milioni di famiglie con anziani, malati e bambini a carico. Perché bisogna farli soffrire? Voi italiani dovete rendervi conto che la guerra forse è finita, ma le sanzioni volute dagli americani rendono sempre più difficile la nostra vita. Il nostro messaggio agli italiani è uno solo “pregate perché le sanzioni vengano tolte e ci venga restituito il diritto di vivere in pace”.
– Ma ci sarà qualcuno che vi aiuta?
– La Russia è la sola che ci ha sempre aiutato. Solo grazie a Mosca i jihadisti non hanno preso il potere in tutta la Siria. Solo grazie alla Russia oggi si discute pace.

DALLE MONACHE TRAPPISTE DI AZEIR , UNA CONFERMA
"Volevo raccontarvi un po' anche delle sanzioni, ora che si ripresenta ancora una volta a giugno la votazione, e dirvi quanto incidono, perchè è la prima volta in tutti questi anni che vediamo la gente veramente scoraggiata perchè le sanzioni stanno ancora una volta incidendo pesantemente: non c'è gas, non c'è benzina, non c'è gasolio e , nella nostra regione che è soprattutto agricola, la gente coltiva  e poi non c'è possibilità di portare frutta e verdura a Damasco o sui mercati , quindi è tutto fermo. Anche tutte le piccole attività, per esempio da noi molte cose si conservano ancora col ghiaccio e chi fa il ghiaccio non riesce a produrre, non c'è elettricità per i freezer nè benzina per portare in giro i blocchi di ghiaccio, è tutto così... Il pane è la stessa cosa, il pane è razionato perchè i forni funzionano col gasolio... insomma questa realtà e davvero pesante e la gente è veramente scoraggiata. Non era mai successo fino ad oggi di sentire le persone dire "quanto mai non siamo partiti!". 
Davvero queste voci non sono ascoltate agli alti livelli, quello che non si è riusciti ad ottenere con la guerra lo si sta ottenendo facendo stancare le gente: penso che dobbiamo reagire, perchè tutto diventa difficile..., non c'è gas, noi possiamo cucinare perchè abbiamo i pannelli solari, abbiamo il fornellino elettrico e le donne del villaggio vengono a cucinare su da noi, sul nostro fornello elettrico, ma come si può pensare che il Paese riparta, con una vessazione così pesante? Ci sono dei militari di leva che stanno magari ad Homs, finiscono il loro turno e non possono tornare semplicemente a casa per le ore di congedo perchè non ci sono pulmini. La gente che deve andare a prendere qualcosa non trova le macchine oppure la benzina ha costi talmente alti che rinunciano a spostarsi, quindi anche il lavoro diventa più impegnativo e diventa più costoso. La merce triplica i prezzi. Davvero è una situazione insostenibile."
Da una comunicazione di Suor Marta delle Trappiste di Azeir