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lunedì 20 ottobre 2025

Breve storia della Striscia di Gaza

Cartina della Striscia di Gaza, da ISPI, 20 giugno 2025


Riprendiamo dal sito Pro Terra Sancta, da anni presente con interventi umanitari a Gaza, un interessante articolo che approfondisce la storia, la geografia e le tradizioni di Gaza, più antiche e longeve di quanto siamo abituati a pensare: queste ci aiutano a ricostruire l’identità di un luogo e di un popolo che, oggi, è sempre più urgente guardare, raccontare e ascoltare. DEmma Garroni Giulia Colaluce

Gaza,«terra di passaggi, terra di vie», Gaza antica, una volta fiorente: oggi terra da salvare.  La “Striscia di Gaza” deve il suo nome alle dimensioni e alla forma del territorio identificato da questo toponimo: una striscia, un lembo di terra sottile che s’immerge nel Mar Mediterraneo. Poco più di 360 kmdi terra, spiaggia e cielo, terreni fertili sui quali si sviluppò nel tempo una fiorente agricoltura: 360 kmche oggi sono il teatro di uno degli scenari più terribili e dolorosi della storia moderna. Ma Gaza dove si trova esattamente? Quali eventi, quali scelte hanno portato alla tragedia che vediamo oggi? 

Dove si trova Gaza?

La Striscia di Gaza è un’exclave dei Territori Palestinesi, che si estendono nella loro maggior parte un po’ più a nord-ovest rispetto alla Striscia, in quella zona nota come “Cisgiordania”.  A nord-est lo stato di Israele, a sud l’Egitto, raggiungibile attraverso il valico di Rafah; a ovest, solo la distesa azzurra del Mar Mediterraneo. Muovendosi da nord verso sud si trovano Gaza City, il capoluogo e il centro abitato più popolato della zona, Khan Younis e Rafah: le tre principali città della Striscia, un tempo centri fiorenti di scambio culturale e commerciale, oggi irrimediabilmente danneggiate con un altissimo numero di edifici distrutti (nell’ordine di decine di migliaia in ognuna di esse) e di popolazione uccisa, ferita o sfollata. Gli altri centri abitati della Striscia – da nord verso sud: Beit Lahiya, Jabalia, Beit Hanoun (o Beit Hanoon), Deir al-Balah, Bani Suheila, Abu Middein, Al-Mawasi– sono in gran parte diventati oggi centri di accoglienza o campi profughi, per chi sfolla dalle zone più colpite o sotto attacco. A Deir al-Balah, per esempio, c’è oggi un grande campo profughi dove Pro Terra Sancta, insieme al partner locale Atfaluna Society, organizza aiuti umanitari e attività di supporto psicologico per le famiglie e i bambini colpiti dalla guerra.

La storia oggi: l’occupazione, Israele, Hamas, la guerra a Gaza

All’interno della complessa e drammatica guerra tra Israele e Palestina (per approfondimenti sul tema: parte 1 parte 2), Gaza è purtroppo diventata uno dei punti focali del conflitto.

Dal 1917, con la dichiarazione di Balfour, ha inizio la contesa internazionale – i cui principali attori sono i britannici, gli arabi d’Egitto e gli ebrei sionisti che iniziavano a migrare verso il territorio di Israele – dei territori della Palestina (la cosiddetta questione palestinese), che con le guerre arabo-israeliane, la Nakba, la guerra dello Yom Kippur e le Intifade ha condotto Gaza e la Palestina intera alla distruzione di cui oggi siamo tutti testimoni.

Hamas

Le spinte alla rivolta e la durissima repressione israeliana della Prima Intifada, nel 1987, creano il terreno fertile in cui nasce Hamas: un movimento radicale il cui nome, in arabo, è l’acronimo di Movimento di Resistenza Islamica (arakat al-Muqāwama al-Islāmiyya). Da una parte partito politico, dall’altra braccio armato che ha fatto uso di azioni terroristiche come arma di combattimento, Hamas è un gruppo religioso e militante con radicate basi islamiste, nato come movimento di resistenza armata contro lo Stato di Israele e promotore al contempo di attività sociali e religiose, soprattutto sul territorio di Gaza.    Rispetto all’OLP – l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina, l’altro grande partito politico palestinese, nato nel 1964 – l’approccio di Hamas è nettamente più radicale: sempre contrario a qualsiasi tentativo di riconciliazione o patteggiamento, rifiuta la soluzione dei due Stati che l’OLP invece appoggia nel 1988, e ritiene la lotta armata l’unica via possibile per la liberazione della Palestina. Nel 2006 Hamas vince le elezioni palestinesi e prende il controllo politico della regione, creando grande paura e scompiglio nel panorama internazionale.

La pressioni del mondo occidentale e le inconciliabili posizioni di Hamas e dell’OLP portano a una scissione tanto politica quanto territoriale della Palestina: l’OLP, insieme all’ANP (l’Autorità Nazionale Palestinese, governo autonomo nato dall’OLP a partire dagli accordi di Oslo con la funzione di organo amministrativo territoriale) mantiene la gestione della Cisgiordania, mentre Hamas, nel 2007, prende il controllo della Striscia di Gaza, instaurando un controllo militare.

Le operazioni militari di Israele

I tentativi di occupazione dello Stato di Israele contro i territori palestinesi e gli attacchi di gruppi armati palestinesi come Al-Qassam o lo stesso Hamas si snodano lungo tutto il conflitto, coinvolgendo sempre più profondamente il territorio e la popolazione di Gaza.   Israele crea degli insediamenti nella Striscia con lo scopo dichiarato di proteggere i propri confini e di smantellare le reti terroristiche di Hamas. Nel 2005 il cosiddetto Piano di disimpegno unilaterale israeliano promosso dal primo ministro israeliano rimuove gli insediamenti dei coloni dalla Striscia e alcuni dalla Cisgiordania settentrionale; questa operazione però non riesce a far cessare gli scontri tra Israele e i gruppi armati palestinesi, che continuano e si intensificano dopo la vittoria elettorale di Hamas.

L’Operazione Piombo Fuso del dicembre 2008 è il primo dei numerosi attacchi israeliani nella Striscia di Gaza, volto a sgominare e neutralizzare Hamas. La campagna militare, tra fitti bombardamenti e attacchi via terra, ha causato in ventidue giorni la morte di circa 1.400 palestinesi e di 13 israeliani. Uno degli obiettivi più discussi dell’attacco è la scuola al-Fakhura, nel nord della Striscia, adibita a rifugio per civili sfollati per iniziativa dell’ONU: secondo Israele si trattava di un avamposto di Hamas dal quale erano partiti razzi diretti verso Israele.

Seguono numerose campagne militari israeliane contro la Striscia, i cui obiettivi dichiarati sono le basi di Hamas, e che continuano però a causare migliaia di vittime civili. Nel 2017 Hamas accetta, per la prima volta, che i confini dello stato di Palestina siano quelli stabiliti nel 1967, accettando dunque formalmente una spartizione territoriale con Israele - stato che, però, Hamas continua a non riconoscere formalmente.

L’ultima offensiva israeliana, iniziata come risposta all’attacco di Hamas del 7 ottobre 2023 e prolungata fino ad oggi, ha causato danni irrecuperabili: ad oggi, nel settembre 2025, le vittime palestinesi sono stimate intorno alle 65.000 e i feriti sono più di 160.000; le città di Gaza City e Rafah sono quasi completamente distrutte, gli sfollati sono più di mezzo milione e le condizioni di vita non fanno che peggiorare.   Le forniture di aiuti umanitari sono state più volte ostacolate o interrotte, fino a creare uno stato di carestia riconosciuto dalle Nazioni Unite il 22 agosto 2025: più di 500.000 persone sono in stato di grave insicurezza alimentare, e più di 130.000 bambini rischiano la vita a causa della malnutrizione. Questa situazione porta alla formazione di movimenti di protesta in varie parti del panorama internazionale; nell’estate del 2025 parte un’iniziativa umanitaria internazionale di origine civile che vuole rompere il blocco israeliano degli aiuti nella Striscia di Gaza, la Global Sumud Flotilla. Il nome identifica una flotta civile (flotilla, piccola flotta organizzata dalla società civile e non militarmente connotata) globale (le imbarcazioni provengono da più di 44 paesi) promotrice di resistenza pronta a resistere e tener duro di fronte alle difficoltà che incontrerà lungo la navigazione (ṣumūd in arabo significa proprio resistenza, resilienza, perseveranza di fronte agli ostacoli): ad oggi le imbarcazioni sono in viaggio verso Gaza, nel tentativo di raggiungere la popolazione e consegnare gli aiuti che portano con sé.

Pro Terra Sancta si appoggia alla Parrocchia Latina di Gaza City e a partner locali per fornire aiuti di primo soccorso: generi alimentari, coperte, beni di prima necessità. La nostra campagna di sostegno all’emergenza a Gaza e in Palestina è attiva da tempo, adattandosi di volta in volta ai bisogni più impellenti e mantenendo sempre l’attenzione rivolta anche ai danni psicologici che le condizioni di vita a Gaza oggi causano nella popolazione.

La storia ieri: 3.500 anni fa

Il toponimo “Gaza” è invece antico, antichissimo: un mosaico bizantino, situato a Umm ar-Rasas e risalente al 758 d.C., raffigura le principali città mediorientali dell’epoca, e tra queste figura proprio Gaza.   Gaza porta lo stesso nome da almeno 3.500 anni; come ha detto la giornalista Paola Caridi in una lectio magistralis tenuta presso l’Università per Stranieri di Siena il 22 gennaio 2025:«Come gli alberi, le città fondano le loro radici. E quando vengono spostate – anche in questo caso dagli esseri umani – perdono i riferimenti, i punti cardinali, le prospettive. Gaza è sempre stata lì, ed è la stessa permanenza del nome a confermarlo». Ridurre Gaza ad essere lo spettro di una città distrutta, ad essere nient’altro che una terra di guerra, terra infelice per destino, significa eliminare tutta la storia che precede il secolo breve. Gaza è stata una terra fiorente, ricca di commerci, mercanti, colori tra le sue strade; per usare ancora le parole di Caridi, è stata una «terra di passaggi, terra di vie»; «terra già fiorita, non deserto da far fiorire».     Rivediamo brevemente la sua storia.

La Striscia di Gaza dalle origini all'epoca ellenistica

La città di Gaza ha una storia millenaria che risale al periodo del Bronzo Antico (3500-3000 a.C.). Situata lungo la costa della Palestina, occupava una posizione strategica lungo la Via Maris, un'antica rotta commerciale che collegava l'Egitto alla Siria e alla Mesopotamia, fungendo da crocevia tra tre continenti.    Il più antico insediamento nella regione, Tell Al-Sakan, situato a cinque chilometri a sud dell'attuale Gaza, fu originariamente una fortezza egiziana. Il porto di Gaza, soggetto ad accordi con l'Egitto, fungeva da importante punto di scambio commerciale, in particolare per il legname proveniente dal Libano.   Dopo che Tell Al-Sakan fu abbandonata, un nuovo centro urbano iniziò a svilupparsi leggermente più all'interno della regione, intorno al 2000 a.C., chiamato Tell Al-Ajjul. Tuttavia, questo insediamento cessò di esistere nel XIV secolo a.C. con l'emergere della città di Gaza, che si sviluppò nello stesso sito dell'attuale città. Gaza divenne la capitale amministrativa egiziana della regione.

Intorno al 1200 a.C., i Filistei, un popolo di origine incerta che si insediò lungo la costa del Mediterraneo e dai quali prende il nome la Palestina (“terra dei filistei”), occuparono Gaza. Proprio in questo periodo il Libro dei Giudici colloca a Gaza la storia del giudice israelita Sansone, noto per la sua forza sovrumana. Vittima di un inganno architettato da Dalila, donna filistea di cui si era innamorato, egli perse il suo potere che risiedeva nei lunghi capelli. Catturato dai Filistei, gli furono asportati gli occhi e fu imprigionato. Durante una festa nel tempio del dio filisteo Dagon, Sansone chiese a Dio di riacquistare la sua forza. Dio lo esaudì e, mentre era legato alle colonne del tempio, Sansone fece crollare il tempio sui Filistei, morendo insieme a loro.

Nel periodo Neo-Assiro e Neo-Babilonese (IX secolo a.C. – 539 a.C.), la città, utilizzata come porta di passaggio tra l'Egitto e la Siria, continuò ad essere contesa. Alleatasi, poi, con Ciro il Grande di Persia, la città si sviluppò notevolmente in questo periodo.   Ricordata da Erodoto, nel periodo successivo il suo ruolo principale continuava ad essere quello di crocevia commerciale delle rotte carovaniere. Alessandro il Grande la conquistò nel 332 a.C. e, alla sua morte, una delle battaglie decisive trai suoi successori si svolse proprio qui. In quel periodo Gaza era pagana e fortemente influenzata dalla cultura ellenistica.

Madaba, mosaico del VI° secolo 

L’epoca romana e la diffusione del Cristianesimo

Dopo essere stata assediata e distrutta dai Maccabei e dagli Asmonei, la città fu conquistata e pian piano ricostruita dai Romani nel 64-63 a.C. su modello delle altre città dell’Oriente romano. Nel II d.C. divenne una città prospera grazie al commercio dell’incenso e alla viticultura.    Grazie agli sforzi del Vescovo Porfirio (347 d.C. – 420 d.C.), che guidò la piccola comunità cristiana per 25 anni, il cristianesimo si diffuse a Gaza, non senza difficoltà. Gli scontri con i pagani erano, infatti, assai frequenti e Porfirio si rivolse all’Imperatrice Eudocia, madre del futuro Teodosio II, che stabilì la distruzione dei tempi pagani a cui seguì la costruzione delle prime chiese. Il corpo del vescovo e santo Porfirio è conservato nella chiesa greco-ortodossa a lui dedicata, bombardata nell’ottobre 2023. 

Gaza divenne, inoltre, un importante porto per i pellegrini cristiani diretti verso il Sinai. Le testimonianze di questo periodo bizantino sopravvivono attraverso splendidi mosaici pavimentali, che adornavano le chiese dell'epoca. Questi mosaici sono un segno tangibile dell'importanza e della prosperità che Gaza conobbe durante il periodo cristiano.     Infine, la tradizione cristiana lega Gaza ad un importante capitolo nella storia del cristianesimo. Secondo alcuni vangeli apocrifi come il "Protovangelo di Giacomo" e il "Vangelo dell'infanzia di Tommaso", infatti, la Sacra Famiglia passò da Gaza durante la fuga in Egitto.

L’avvento dell’Islam e la dominazione Ottomana a Gaza

Nel 634 d.C. il territorio di Gaza venne conquistata dagli arabi e, a parte la parentesi di circa ottant'anni del Regno latino di Gerusalemme istituito dopo le Crociate, rimase sotto il dominio islamico fino alla fine dell’Impero Ottomano nel 1917.    Fatimidi, Mongoli e Mamelucchi si alternarono nel controllo di questo territorio fino alla conquista ottomana nel 1517. Durante la guerra turco-mamelucca (1516-1517), entrò a far parte del Sangiaccato di Gaza. Subì quindi un declino economico a causa della cattiva gestione. Successivamente, fu guidata da governatori inviati da Costantinopoli.

Dal Mandato Britannico alla nascita dello Stato d’Israele

Al termine della Prima guerra mondiale, con la sconfitta dell’Impero OttomanoGaza e l’intera Palestina passarono sotto l’amministrazione inglese, su mandato della Società delle Nazioni.   Durante questo periodo, che durò fino al 1948, la Palestina fu teatro di crescenti tensioni tra la popolazione ebraica e quella araba, nonché di un aumento dell'immigrazione ebraica. La Seconda Guerra Mondiale contribuì poi ad acuire ulteriormente le tensioni e le divisioni all'interno della regione: gli ebrei contribuirono al loro sforzo bellico supportando la guerra alleata, gli arabi, d'altra parte, videro la guerra come un'opportunità per riaffermare la propria identità e rinnovare la lotta contro la presenza ebraica in Palestina.

Con la fine della Seconda guerra mondiale, nel 1947 vide la luce la famosa risoluzione 181, proposta dalle Nazioni Unite. Essa raccomandava la suddivisione della Palestina in due stati indipendenti. Uno ebraico (56% del territorio) e l'altro arabo (34% del territorio), con Gerusalemme sotto controllo internazionale. Nonostante l’opposizione palestinese, la risoluzione 181 venne ratificata. Il 14 maggio 1948 David Ben-Gurion, leader del movimento sionista, proclamò l'indipendenza dello Stato d'Israele a seguito del ritiro delle truppe britanniche dalla regione.

Cultura da preservare: «ricordare Gaza per raccontarla»  

Nel già citato mosaico di Umm al-Rasass Gaza è raffigurata e rappresentata dai suoi edifici pubblici, che raccontano una città ricca di arte, storia e cultura. Il mosaico, scoperto e restaurato dall'archeologo padre Michele Piccirillo, diventa così la testimonianza parlante di una storia antica e gloriosa, l'affermazione di un'identità culturale e artistica che non può scomparire sotto il fumo dei missili e delle macerie.   «Ricordare Gaza per raccontarla», dice Paola Caridi: ricordare per poter raccontare tutto, e non solo una parte, per far sopravvivere la storia di un popolo e delle persone che, ancora oggi, ne testimoniano e ne rivendicano l'esistenza.

https://www.proterrasancta.org/it/news/breve-storia-della-striscia-di-gaza?utm_source=newsletter-mensile&utm_medium=email&utm_campaign=newslettersettembre

mercoledì 15 ottobre 2025

La Bellezza salverà il mondo. In Siria, veramente


 Vogliamo condividere con voi le foto che oggi ci sono giunte dalle Sorelle Trappiste di 'Azer in Siria

























Le foto ci parlano del miracolo di una presenza di pace in quella meravigliosa terra, tuttora martoriata, che le Monache non vogliono abbandonare, ma in cui permanere come segno di una speranza indefettibile per i cristiani e per il popolo siriano tutto.  Il 17 ottobre si festeggia S.Ignazio di Antiochia, patrono della Siria: vi rimandiamo alla preghiera scritta dalle Monache Trappiste e con semplicità vi chiediamo se volete sostenere la loro comunità: ecco i riferimenti.

DONA ORA

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Sta nascendo il nuovo Monastero, segno di una Presenza che continua a portare speranza.

Aiuta a completare quest'opera! 

 

IBAN:VA49001000000050567001

CODICE BIC: IOPRVAVX 

Intestato a: Monastero Beata Maria Fons Pacis

lunedì 13 ottobre 2025

Per Ahmed al-Sharaa tappeti rossi a New York

Il nuovo presidente siriano (considerato un terrorista ricercato fino a pochi mesi fa) è con molti altri capi di Stato e di governo a New York per l'assemblea generale dell'Onu. Lo accolgono abbracci e strette di mano, quasi che fosse il leader di un Paese prospero e democratico, cosa che ancora non è.
 

di Fulvio Scaglione

L’operazione adesso è completata. Gli esperti di marketing lo chiamerebbero rebranding, come quando la vecchia gazzosa fu ribattezzata con un bel nome in inglese e venduta come una bibita nuova. Il terrorista Abu Mohammed Al Jolani, che fino a un anno fa era il leader militare di Hayat Tahrir al-Sham (erede di Al Qaeda) ed era ricercato con una taglia di 10 milioni di dollari sulla testa, è stato definitivamente trasformato nel signor Ahmed al-Sharaa, presidente provvisorio (sì, come no!) della nuova Siria, quella finalmente liberata da Bashar al-Assad e quindi abbracciata dal mondo libero, dall’Occidente che con tanta intensità desiderava vederla affrancata dalla dittatura. Il presidente Al-Sharaa è volato negli Usa ed è stato accolto da David Petraeus, ex generale che comandava le truppe americane in Iraq (quelle contro cui Al Jolani sparava) e poi direttore della Cia, che premurosamente gli ha chiesto (non è uno scherzo, ci sono mille video a testimoniarlo) se riesce a riposare bene la notte. Poi Al-Sharaa ha parlato all’Onu ed è stato ricevuto dal segretario di Stato americano Marco Rubio. Molte foto testimoniano di cordiali saluti e abbracci da parte di molti altri capi di Stato e di governo europei, a cominciare da Emmanuel Macron.

Uno potrebbe pensare che in Siria sia tornata, di colpo, la democrazia. E invece… in ottobre è eletta la nuova Assemblea legislativa, con questo sistema: dei 210 parlamentari totali, un terzo (e cioè 70) sarà scelto dal presidente; gli altri saranno eletti su liste bloccate in collegi elettorali ristretti. Un’elezione simile in un altro Paese del Medio Oriente sarebbe definita «elezione farsa». Ma noi siamo talmente innamorati della nuova Siria che ci sta tutto bene. 

Anche, per esempio, che le milizie di Hayat Tahrir al-Sham abbiano trucidato centinaia e centinaia di alawiti, vecchi donne e bambini compresi, nella regione di Latakia. Che i cristiani, come testimoniato anche da Terrasanta.netvivano nella preoccupazione. Che i drusi abbiano ingaggiato una vera guerra pur di non sottostare al nuovo regime. E naturalmente che la Turchia, vecchio sponsor di Al Jolani, continui a occupare una fetta consistente della Siria a Nord, mentre a Sud un altro grosso pezzo se l’è preso Israele.

Ma conviene così, a quanto pare. Il bene trionfa e gli affari prosperano.

https://www.terrasanta.net/2025/09/siria-per-ahmed-al-sharaa-tappeti-rossi-a-new-york/


Quand rien n'a été élu... Les élections les plus rapides de l'histoire !

Sulle "elezioni" riprendiamo il post pubblicato su Facebook da InfoSyrie.fr

Par : Dr Bassam Abu Abdullah
5 octobre 2025

« Dans un pays gouverné par l'étonnement plutôt que par la logique, les élections à l'Assemblée du peuple se sont déroulées comme une brise par un après-midi de juillet : rapides, invisibles, et personne ne savait d'où elles venaient ni où elles allaient.
Des élections sans compétition, sans foule, sans voix à entendre... seulement l'écho de phrases toutes faites : « mariage démocratique », « participation massive » et « urnes équitables », comme s'il s'agissait de poèmes d'une époque d'hypocrisie nationale.
Mais cette fois, les chiffres ne mentent pas ; ils sont hilarants :
À Zabadani, Ammar Ashrafani a gagné avec seulement 15 voix.
Quinze ! Un chiffre qui pourrait être obtenu dans un seul café si ses clients décidaient d'accomplir leur « devoir national » entre une tasse de café et une cigarette.
À Qatif, Khaled Arafat Orabi a gagné avec 18 voix, soit l'équivalent d'un demi-bus aux heures de pointe.
À À al-Tall, Ayman Abdo Shamo a réalisé son exploit historique avec 24 voix, un nombre suffisant pour établir une « société coopérative », et non un « conseil populaire ».
À Darayya, où les cendres ont une histoire, Mu'ayyad Habib n'a recueilli que 30 voix, comme si la ville n'avait même pas organisé d'élections, mais simplement envoyé une convocation symbolique pour des funérailles politiques.
Al-Nabk a élu Muhammad Sharif Talib avec 18 voix, un nombre suffisant pour former une équipe de réserve de football avec un staff technique.
À Qatana, Ali Masoud Masoud a obtenu 12 voix… seulement 12 !
Un nombre digne d'une élection à qui remportera le siège, et non d'une élection nationale censée représenter des centaines de milliers de personnes.
Dans la campagne de Damas et à Yabroud, le décompte des voix semblait plus généreux :
Muhammad Suleiman al-Dahla (75 voix),
Muhammad Azzam Haidar (68 voix),
Hassan Ahmad Saif al-Din Ataya (65 voix) votes).
On peut dire ici que la participation était « acceptable » au regard des « grandes élections familiales ».
Mais le couronnement est venu de Douma, où les chiffres semblaient astronomiques en comparaison :
Hussam Hamdan (105 voix),
Nizar al-Shayeb (103 voix),
Mustafa Saqr (91 voix).
Oh, la cohue démocratique ! Cent électeurs d’un coup ! Les comités de dépouillement ont dû avoir besoin d’eau froide pour résister à ce déluge populaire.
De quel genre d’élections s’agit-il ?
Qui représente qui ?
La nation est-elle devenue un petit quartier et le peuple un groupe de parents ?
Suffit-il qu’une famille compte ses votes pour que les lois d’un État soient rédigées en son nom ?
Tout au long de l’histoire, nous avons assisté à des élections passionnantes, frauduleuses, houleuses et tendues, mais jamais auparavant nous n’avons vu d’élections aussi silencieuses, aussi rapides que les résultats étaient annoncés avant même que l’encre ne soit froide.
Peut-être que cet exploit sera bientôt étudié sous le titre : Élections quantiques : où le candidat vote avant même d'être vu.

À une époque où le peuple est devenu un accessoire rhétorique, l'« Assemblée du peuple » est devenue un tableau symbolique, où des acteurs assis sans public débattent de questions que personne ne peut entendre, tout comme un acteur dans un théâtre abandonné s'adresse à des chaises vides avec une assurance surprenante.

Nizar Qabbani a dit un jour :

« Je t'aime profondément, et je sais que le chemin vers l'impossible est long. »

Aujourd'hui, nous lui disons du fond de cette impossibilité :

Nous aimons profondément notre pays, mais le chemin vers de véritables élections est bien plus long que toute impossibilité poétique.

En conclusion, le peuple syrien adresse ses félicitations officielles :

« Nous félicitons les vainqueurs de ce mariage secret, qui s'est déroulé sans bruit, sans foule et avec le moins de participants possible. » Vous avez prouvé que la démocratie peut être menée avec humour, et avec un nombre de voix insuffisant pour constituer une troupe de dabke.
Félicitations à vous, députés.
Vous avez bien représenté les absents,
et avec votre modeste nombre, vous avez enregistré les élections les plus rapides de l'histoire… et le sentiment de dignité nationale le plus lent. 

giovedì 9 ottobre 2025

Firmato accordo che prevede la cessazione degli attacchi nella Striscia di Gaza


Condividiamo la gioia dei bambini di Gaza all'annuncio del possibile accordo per la cessazione del genocidio 



Comunicato Stampa Patriarcato Latino di Gerusalemme sull’annuncio di un accordo a Gaza

Gerusalemme, 9 ottobre 2025

Il Patriarcato Latino di Gerusalemme accoglie con gioia l’annuncio di un accordo che prevede la cessazione degli attacchi nella Striscia di Gaza e la liberazione immediata degli ostaggi, così come quella dei prigionieri palestinesi. Il Patriarcato auspica ardentemente che tale intesa venga pienamente e fedelmente attuata, affinché possa segnare l’inizio della fine di questa terribile guerra. Il Patriarcato ribadisce l’assoluta urgenza di un immediato soccorso umanitario e dell’ingresso incondizionato di aiuti sufficienti per la popolazione sofferente di Gaza. Soprattutto, il Patriarcato prega affinché questo passo apra un cammino di guarigione e di riconciliazione tanto per i Palestinesi quanto per gli Israeliani.

Sua Beatitudine il Cardinale Pierbattista Pizzaballa, Patriarca Latino di Gerusalemme, ha dichiarato:

“È una buona notizia e siamo molto felici. È un primo passo, una prima fase. Naturalmente ve ne saranno altri, e certamente sorgeranno altri ostacoli. Ma ora dobbiamo gioire di questo passo importante che porterà un po’ più di fiducia per il futuro e anche nuova speranza, specialmente per i popoli, sia israeliano che palestinese.”
“Ora finalmente vediamo qualcosa di nuovo e di diverso. Certamente vi sarà anche una nuova atmosfera per la continuazione dei negoziati, anche se la vita dentro Gaza resterà terribile ancora per molto tempo. Ma ora siamo felici e speriamo che questo sia solo l’inizio di una nuova fase in cui possiamo, poco a poco, iniziare a pensare non più alla guerra, ma a come ricostruire dopo la guerra.”

Il Patriarcato loda il lavoro di tutti coloro che hanno preso parte ai negoziati ed esprime apprezzamento per i loro instancabili sforzi che hanno reso possibile questo passo.

In questo tempo così delicato, il Patriarcato invita tutti a unirsi alla Giornata di Preghiera per la Pace indetta da Papa Leone XIV l’11 ottobre. Il Signore abbia misericordia della Terra Santa e le conceda la pace.

https://www.lpj.org/index.php/it/news/press-release-on-the-announcement-of-an-agreement-in-gaza

domenica 5 ottobre 2025

Rinnoviamo alla Regina di Palestina la preghiera di intercessione per la pace

  dal Card. Pizzaballa , Patriarca di Gerusalemme dei Latini

5 ottobre 2025

A tutta la diocesi del Patriarcato Latino di Gerusalemme 

Carissimi fratelli e sorelle,
il Signore vi dia pace!

Sono due anni che la guerra ha assorbito gran parte delle nostre attenzioni ed energie. È ormai a tutti tristemente noto quanto è accaduto a Gaza. Continui massacri di civili, fame, sfollamenti ripetuti, difficoltà di accesso agli ospedali e alle cure mediche, mancanza di igiene, senza dimenticare coloro che sono detenuti contro la loro volontà.

Per la prima volta, comunque, le notizie parlano finalmente di una possibile nuova pagina positiva, della liberazione degli ostaggi israeliani, di alcuni prigionieri palestinesi e della cessazione dei bombardamenti e dell’offensiva militare. È un primo passo importante e lungamente atteso. Nulla è ancora del tutto chiaro e definito, ci sono ancora molte domande che attendono risposta, molto resta da definire, e non dobbiamo farci illusioni. Ma siamo lieti che vi sia comunque qualcosa di nuovo e positivo all’orizzonte.

Attendiamo il momento per gioire per le famiglie degli ostaggi, che potranno finalmente abbracciare i loro cari. Ci auguriamo lo stesso anche per le famiglie palestinesi che potranno abbracciare quanti ritornano dalla prigione. Gioiamo soprattutto per la fine delle ostilità, che ci auguriamo non sia temporanea, che porterà sollievo agli abitanti di Gaza. Gioiamo anche per tutti noi, perché la possibile fine di questa guerra orribile, che davvero sembra ormai vicina, potrà finalmente segnare un nuovo inizio per tutti, non solo israeliani e palestinesi, ma anche per tutto il mondo. Dobbiamo comunque restare con i piedi per terra. Molto resta ancora da definire per dare a Gaza un futuro sereno. La cessazione delle ostilità è solo il primo passo –necessario e indispensabile – di un percorso insidioso, in un contesto che resta comunque problematico.

Non dobbiamo dimenticare, inoltre, che la situazione continua a deteriorarsi anche in Cisgiordania. Sono ormai quotidiani i problemi di ogni genere che le nostre comunità sono costrette ad affrontare, soprattutto nei piccoli villaggi, sempre più accerchiati e soffocati dagli attacchi dei coloni, senza sufficiente difesa delle autorità di sicurezza.

I problemi, insomma, sono ancora tanti. Il conflitto continuerà ancora per lungo tempo ad essere parte integrale della vita personale e comunitaria della nostra Chiesa. Nelle decisioni da prendere riguardo alla nostra vita, anche le più banali, dobbiamo sempre prendere in considerazione le dinamiche contorte e dolorose da esso causate: se i confini sono aperti, se abbiamo i permessi, se le strade saranno aperte, se saremo al sicuro.

La mancanza di chiarezza sulle prospettive future, che sono ancora tutte da definire, inoltre, contribuisce al senso di disorientamento e fa crescere il sentimento di sfiducia. Ma è proprio qui che, come Chiesa, siamo chiamati a dire una parola di speranza, ad avere il coraggio di una narrativa che apra orizzonti, che costruisca anziché distruggere, sia nel linguaggio che usiamo che nelle azioni e gesti che porremo.

Non siamo qui per dire una parola politica, né per offrire una lettura strategica degli eventi. Il mondo è già pieno di parole simili, che raramente cambiano la realtà. Ci interessa, invece, una visione spirituale che ci aiuti a restare saldi nel Vangelo. Questa guerra, infatti, interroga le nostre coscienze ed è all’origine di riflessioni, non solo politiche ma anche spirituali. La violenza spropositata a cui abbiamo assistito fino ad ora ha devastato non solo il nostro territorio, ma anche l’animo umano di molti, in Terra Santa e nel resto del mondo. Rabbia, rancore, sfiducia, ma anche odio e disprezzo dominano troppo spesso i nostri discorsi e inquinano i nostri cuori. Le immagini sono devastanti, ci sconvolgono e ci pongono davanti a ciò che san Paolo ha chiamato “il mistero dell’iniquità” (2Tes 2,7), che supera la comprensione della mente umana. Corriamo il rischio di abituarci alla sofferenza, ma non deve essere così. Ogni vita perduta, ogni ferita inflitta, ogni fame sopportata rimane uno scandalo agli occhi di Dio.

Potenza, forza, violenza sono diventati il criterio principale sul quale si fondano i modelli politici, culturali, economici e forse anche religiosi del nostro tempo. Abbiamo sentito molte volte ripetere in questi ultimi mesi che bisogna usare la forza e solo la forza può imporre le scelte giuste da fare. Solo con la forza si può imporre la pace. Non sembra che la storia abbia insegnato molto, purtroppo. Abbiamo visto nel passato, infatti, cosa producono violenza e forza. Dall’altro lato, però, in Terra Santa e nel mondo, abbiamo assistito e vediamo sempre più spesso la reazione indignata della società civile a questa arrogante logica di potere e di forza. Le immagini di Gaza hanno ferito nel profondo la comune coscienza di diritti e di dignità che abitano il nostro cuore.

Questo tempo ha messo alla prova anche la nostra fede. Anche per un credente non è scontato vivere nella fede tempi duri come questo. A volte percepiamo forte dentro di noi la distanza tra la durezza degli eventi drammatici da un lato, e la vita di fede e di preghiera dall’altro. Come se fossero lontane l’una dall’altra. L’uso della religione, inoltre, spesso manipolata per giustificare queste tragedie, non ci aiuta ad accostarci con animo riconciliato al dolore e alla sofferenza delle persone. L’odio profondo che ci invade, con le sue conseguenze di morte e dolore, costituisce una sfida non indifferente per chi vede nella vita del mondo e delle persone un riflesso della presenza di Dio.

Da soli non riusciremo a comprendere questo mistero. Con le nostre sole forze non riusciremo a stare di fronte al mistero del male e a resistergli. Per questo sento sempre più impellente il richiamo a tenere fisso lo sguardo su Gesù (cf. Eb 12,2). Solo così riusciremo a mettere ordine dentro di noi e a guardare alla realtà con occhi diversi.

E insieme a Gesù, come comunità cristiana vorremmo raccogliere le tante lacrime di questi due anni: le lacrime di chi ha perso parenti, amici, uccisi o rapiti, di chi ha perso casa, lavoro, paese, vita, vittime innocenti di una resa dei conti di cui ancora non si vede la fine.

Lo scontro e la resa dei conti sono stati la narrativa dominante di questi anni, con la inevitabile e dolorosissima conseguenza delle prese di posizione. Come Chiesa la resa dei conti non ci appartiene, né come logica né come linguaggio. Gesù, nostro maestro e Signore, ha fatto dell’amore che si fa dono e perdono, la sua scelta di vita. Le sue ferite non sono un incitamento alla vendetta, ma la capacità di soffrire per amore.

In questo tempo drammatico la nostra Chiesa è chiamata con maggiore energia a testimoniare la sua fede nella passione e risurrezione di Gesù. La nostra decisione di restare, quando tutto ci chiede di partire, non è una sfida ma un rimanere nell’amore. Il nostro denunciare non è un’offesa alle parti, ma la richiesta di osare una via diversa dalla resa dei conti. Il nostro morire è avvenuto sotto la croce, non su un campo di battaglia.

Non sappiamo se questa guerra davvero finirà, ma sappiamo che il conflitto continuerà ancora, perché le cause profonde che lo alimentano sono ancora tutte da affrontare. Se anche la guerra dovesse finire ora, tutto questo e molto altro costituirà ancora una tragedia umana che avrà bisogno di molto tempo e tante energie per ristabilirsi. La fine della guerra non segna necessariamente l’inizio della pace. Ma è il primo passo indispensabile per cominciare a costruirla. Ci attende un lungo percorso per ricostruire la fiducia tra noi, per dare concretezza alla speranza, per disintossicarci dall’odio di questi anni. Ma ci impegneremo in questo senso, insieme ai tanti uomini e donne che qui ancora credono che sia possibile immaginare un futuro diverso.

La tomba vuota di Cristo, presso cui mai come in questi due anni il nostro cuore ha sostato in attesa di una risurrezione, ci assicura che il dolore non sarà per sempre, che l’attesa non sarà delusa, che le lacrime che stanno innaffiando il deserto faranno fiorire il giardino di Pasqua.

Come Maria di Magdala presso quello stesso sepolcro, noi vogliamo continuare a cercare, anche se a tentoni. Vogliamo insistere a cercare vie di giustizia, di verità, di riconciliazione, di perdono: prima o poi, in fondo ad esse, incontreremo la pace del risorto. E come lei, su queste vie vogliamo spingere altri a correre, ad aiutarci nel nostro cercare. Quando tutto sembra volerci dividere, noi diciamo la nostra fiducia nella comunità, nel dialogo, nell’ incontro, nella solidarietà che matura in carità. Noi vogliamo continuare ad annunciare la Vita eterna più forte della morte con gesti nuovi di apertura, di fiducia, di speranza. Sappiamo che il male e la morte, pur così potenti e presenti in noi e attorno a noi, non possono eliminare quel sentimento di umanità che sopravvive nel cuore di ognuno. Sono tante le persone che in Terra Santa e nel mondo si stanno mettendo in gioco per tenere vivo questo desiderio di bene e si impegnano a sostenere la Chiesa di Terra Santa. E li ringraziamo, portando ciascuno di loro nella nostra preghiera. “Circondati da tale moltitudine di testimoni, avendo deposto tutto ciò che è di peso e il peccato che ci assedia, corriamo con perseveranza nella corsa che ci sta davanti, tenendo fisso lo sguardo su Gesù” (Eb. 12,1-2).

In questo mese, dedicato alla Vergine Santissima, vogliamo pregare per questo. Per custodire e preservare da ogni male il nostro cuore e quello di coloro che desiderano il bene, la giustizia e la verità. Per avere il coraggio di seminare germi di vita nonostante il dolore, per non arrendersi mai alla logica dell’esclusione e del rifiuto dell’altro. Preghiamo per le nostre comunità ecclesiali, perché restino unite e salde, per i nostri giovani, le nostre famiglie, i nostri sacerdoti, religiosi e religiose, per tutti coloro che si impegnano per portare ristoro e conforto a chi è nel bisogno. Preghiamo per i nostri fratelli e sorelle di Gaza, che nonostante l’infuriare della guerra su di loro, continuano a testimoniare con coraggio la gioia della vita.

Ci uniamo, infine, all’invito di Papa Leone XIV che ha indetto per sabato 11 ottobre una giornata di digiuno e di preghiera per la pace. Invito tutte le comunità parrocchiali e religiose ad organizzare liberamente, per quella giornata, momenti di preghiera, come il rosario, l’adorazione eucaristica, liturgie della Parola e altri momenti simili di condivisione.

Ci avviciniamo alla festa della Patrona della nostra diocesi, la Regina di Palestina e di tutta la Terra Santa. Nella speranza che in quella giornata ci si possa finalmente incontrare, rinnoviamo alla nostra Patrona la preghiera di intercessione per la pace.

Un fraterno augurio di bene a tutti!

   †Pierbattista Card. Pizzaballa

https://www.lpj.org/index.php/it/news/to-the-diocese-of-the-latin-patriarchate-of-jerusalem