Il volontario francese Pierre Le Corf raccoglie nel suo diario i commoventi preziosi racconti di vita dei ragazzi di Aleppo di cui si prende cura. Ne riportiamo uno, per capire cosa significa per un popolo che non desidera altro che di poter vivere in pace aver sopportato per 7 anni ogni giorno la minaccia di centinaia di mortai e razzi, paura, freddo, fame, esodo forzato, perdita di speranza; nell'evidenza che quei terroristi e soprattutto le organizzazioni straniere che li manovrano hanno distrutto il Paese ma non la volontà di resistere.
"Mi
chiamo George e ho 16 anni. Ho imparato molto dalla guerra, abbiamo
assunto grandi responsabilità e abbiamo guadagnato forza, capacità
di resilienza ... abbiamo imparato a resistere per ciò in cui
crediamo, a non lasciarci indebolire, per resistere, per capire il
valore della nostra vita e per rafforzare la nostra volontà di farne
qualcosa di positivo.
Ci
sono stati momenti buoni e cattivi, il più bello è stato quando ho
ritrovato mio cugino che non vedevo da 5 anni, ricordo che ci siamo
abbracciati e pianto ... sì, siamo cresciuti insieme, ma quando la
situazione si è deteriorata ad Aleppo lui si è rifugiato a Damasco,
anche mio fratello è espatriato in Libano.
Conservo
in me anche molti vissuti di bombardamenti.. Ricordo che una volta
ero nel mio letto e un colpo di mortaio è caduto a qualcosa come 7
metri di distanza, sono stato fortunato. Quel suono ... gente che
urlava ... la mia famiglia ha deciso di lasciare Aleppo per Tartous,
2 mesi dopo siamo tornati. Una delle cose che mi fa più male di ogni
altra è il fatto che la maggior parte dei miei amici ha dovuto
espatriare durante la guerra.
All'inizio
non potevamo uscire, era troppo pericoloso, ma col tempo ci siamo
abituati, abbiamo imparato a conviverci perché la vita deve
continuare, siamo dei ragazzini che devono crescere e malgrado tutto dobbiamo avere speranza per il futuro.
Purtroppo
c'erano molte volte in cui non avevamo altra scelta che semplicemente
sopravvivere. Siamo stati sotto assedio per un po', non riuscivamo
più a trovare cibo, non c'era più acqua, abbiamo provato ad
attingerla dai pozzi ma spesso erano stati avvelenati, ... tutto
questo mentre continuavano pesanti bombardamenti su di noi ,
proiettili che cadevano dappertutto ... eravamo intrappolati nelle
nostre case, a volte per intere ore.
L'esercito
libero (FSA), Al Nosra ecc. sono arrivati nelle nostre strade ma non
sono riusciti a ottenere quello che cercavano perché è il nostro
Paese e siamo rimasti qui, io odio l'idea di andarmene dalla Siria
perché non ne vedo l'interesse, non c'è niente per me fuori, questo
è il mio Paese, il nostro futuro è qui, la nostra vita è qui.
Di
quello che sta succedendo qui, ancora una volta l'esercito libero
(ESL o FSA), Al Nosra o gli altri gruppi sono quelli che ci
massacrano, non il regime o l'esercito regolare siriano, come dicono
i vostri media in Europa, questa è propaganda e molte persone lo
sanno ma non lo dicono e non fanno nulla al riguardo ... i soldi, i
soldi fanno tutto ... ma qui è la nostra vita e qui resteremo.
Spero
che la vita torni bella come prima, ritrovandoci tutti come un'unica
famiglia, amici, fratelli e sorelle, e spero che questa guerra sia
alla fine".
L’“eremita missionario”, come è stato chiamato, figura monastica fuori dell’ordinario e grande mistico, la cui fama di santità si sta sempre più allargando, nasce, ultimo di sei figli, a san Donato di Lamon (Belluno) nel 1921, in una famiglia di condizione molto modesta. Dopo le scuole elementari, il piccolo Romano entra nel seminario minore di Feltre e poi in quello maggiore di Belluno, dove ha come vice-rettore don Albino Luciani, il futuro papa Giovanni Paolo I, che lo apprezza molto e lascerà di lui una testimonianza significativa. Durante gli anni di teologia matura una forte vocazione monastica, ma i suoi superiori ed il direttore spirituale gli consigliano di aspettare l’ordinazione sacerdotale, che riceve il 29 giugno 1946. Dopo l’ordinazione lascia la diocesi ed entra nell’abbazia delle Tre Fontane, a Roma. Qui fa la professione solenne nel 1951, segue dei corsi all’università Gregoriana, dove nel 1953 ottiene la licenza di teologia, ed è maestro dei fratelli conversi, cantore, poi maestro dei novizi e priore. Nel 1961 risponde all’appello dell’abate di Latroun, in Israele, che cercava dei volontari per realizzare in Libano una fondazione trappista di rito maronita e partecipa a questo tentativo, iniziando a studiare l’arabo, il siriaco e la liturgia orientale. Nel mese di dicembre del 1963, dopo che il progetto libanese non riceve l’approvazione del capitolo generale dell’Ordine, lascia il Medio Oriente e rientra alle Tre Fontane, dove, l’abate, che conosce la serietà del suo impegno monastico e la sua virtù interiore,gli permette di condurre una vita solitaria nel territorio del monastero. Poco più tardi, però, quando il nuovo superiore pensa di non potergli più concedere di continuare la sua esperienza di vita solitaria nella sua comunità, P. Romano, che ha ormai la certezza della chiamata del Signore a una vita più austera e solitaria, domanda alla Santa Sede un indulto di esclaustrazione, che gli viene accordato, per poter condurre vita eremitica.
Dopo un tempo di ricerca, parte per il Libano, mettendosi sotto l’autorità del vescovo melkita di Baalbek e vivendo in vita solitaria a Jabbouleh, in un eremitaggio appartenente alla diocesi. Qui condusse una vita molto austera, con un regime alimentare appena sufficiente, senza mai riscaldamento, né mobili, né alcun agio.
Il suo eremo era formato da 4 minuscole celle: l’oratorio, il dormitorio, la cucina, il deposito e luogo di lavoro. Il suo letto consisteva in assi di legno poste su blocchi di cemento, come materasso aveva un pagliericcio e per coprirsi una vecchia coperta di lana. Nella cucina c’era una caminetto rudimentale a legna su cui faceva cuocere delle gallette di pane e un po’ di riso o grano. Per vestirsi una sola tonaca bianca da monaco trappista che gli serviva anche per celebrare la Messa, e per il lavoro un abito di canapa che si era cucito da sé. Rifiutava tutti i doni, dicendo che doveva provvedere lui stesso alle sue necessità.
La penitenza, però, non lo indurì, anzi, era gioioso, sorridente, amabile pieno di amore e anche di tenerezza. Tutti i testimoni parlano della sua gioia e dell’irradiazione della presenza del Signore dal suo volto, frutto anche di qualche esperienza mistica, di cui ha conservato un geloso segreto, ma che traspare chiaramente dai suoi diari. P. Romano ha vissuto in mezzo ai musulmani, semplicemente pregando e perdonando. Si racconta che, arrestato nella notte da dei soldati siriani che avevano invaso e saccheggiato il suo eremo, sospettandolo ingiustamente di spionaggio, lì perdonò di cuore e fu subito rilasciato dal comandante musulmano, che poi si raccomandò alle sue preghiere. Era convinto che il miglior apostolato in mezzo ai musulmani fosse una vita povera, di preghiera, di lavoro e che la sua missione in mezzo a loro era di vivere solo, ma vicino a loro più povero di loro, aiutandoli e amandoli. Colpito dalla tubercolosi e sfinito dalle privazioni, P. Romano si spense il 19 febbraio del 1978, all’età di 56 anni, all’ospedale di Beirut, dopo 32 anni di vita monastica, di cui 14 passati in solitudine. Il Capitolo generale del 1999 ha approvato l’inizio della causa di beatificazione, Papa Francesco l’ha dichiarato Venerabile il 9 dicembre 2013.
È stato scritto che se “la sua austerissima vita è difficilmente imitabile, la semplicità e l’unificazione da lui raggiunte sono invece il cammino normale di ogni ricercatore di Dio”. L’archimandrita Hanna Naddaff ha testimoniato di lui: «P. Romano mi impressionava molto per la sua semplicità: semplicità di cuore, d’anima, di mente; penso che questa semplicità fosse il risultato dello spogliamento totale nel quale viveva. A lui importava solo Dio, tutta la sua vita era orientata a Dio: viveva senza preoccupazioni, come un bambino. Mi sembra che guardasse con gli occhi di un bambino, amasse con il cuore di un bambino, ammirasse con lo spirito di un bambino, pregasse con la fiducia di un bambino». In una lettera del 5 ottobre 1974 lo stesso P. Romano spiegava il senso della sua vita monastica: «La vita eremitica da me concepita non era tanto il vivere solo, ma vivere meglio la regola da me professata nel suo spirito di amore, di regalità, di umiltà, di obbedienza, di silenzio, di povertà, di lavoro, di astinenza e digiuno, di preghiera, sì da realizzare più che possibile la vita fervorosa della Chiesa, la vita fervorosa della vita monastica che si ha in una vita quaresimale e pasquale».
uno dei tanti bambini di Aleppo resi mutilati dai missili lanciati dai jhadisti sui quartieri della città fino a ieri (foto Pierre le Corf)
Intervista
di Paolo Vites a Fra Firas Lutfi
“L’Unicef
lancia l’allarme, ma cosa ha fatto finora per i bambini siriani? E
cosa fanno le potenti nazioni occidentali, i cui giornali mettono in
prima pagina le foto del piccolo Aylan, morto annegato, o di Iman,
morta assiderata tra le braccia del padre? Non parlano di chi ha
scatenato la guerra in Siria, una guerra per procura, dietro alla
quale si nascondono le nazioni più potenti del mondo. Non dicono
niente. Ma non ci sono solo Aylan e Iman, in questa guerra si contano
almeno 300mila bambini morti”.
A
parlare così, con voce alta e decisa, è padre
Firas Lutfi, Superiore del Collegio di Terra Santa ad Aleppo,
dopo l’“allarme” lanciato in queste ore dall’Unicef: “Il
clima freddo presto colpirà di nuovo tutto il Medio Oriente, con
temperature che scenderanno sotto lo zero in diverse aree e ogni
inverno i bambini nella regione si ammalano, smettono di andare a
scuola e rischiano di morire… Occorre un grande movimento globale e
umano di carità o sarà una strage”.
“L’Unicef
– aggiunge Lutfi – non dice però che ‘un grande movimento’
esiste già e andrebbe aiutato: è la Chiesa siriana, che ha sempre
sostenuto, da quando è iniziata questa guerra e ancora oggi, i
bambini e le donne siriane. Nessuno dice che a Idlib, dove la Siria
sta combattendo contro gli ultimi ribelli jihadisti per liberare la
provincia, operano due padri francescani che accolgono nelle case dei
cristiani e nei loro conventi tutti coloro che scappano dalle bombe,
anche i musulmani. E la responsabilità dei giornalisti che tacciono
su queste cose è gravissima”.
Padre
Lutfi, l’Unicef lancia l’allarme,dopo
il caso di Iman,
la bambina di un anno e mezzo morta assiderata in un villaggio vicino
ad Aleppo in braccio al suo papà che cercava disperatamente di
raggiungere l’ospedale per farla curare. Come stanno le cose?
Chiariamo
alcune cose prima di entrare nei dettagli.
I
bambini rappresentano una linea rossa che non si può superare, vanno
difesi in ogni istante, fin dalla nascita, come insegna il Magistero
della Chiesa ed è ciò che il Vangelo richiama alla coscienza di
tutti ogni giorno. In una guerra bambini, donne e anziani sono i
primi a pagare con la vita le conseguenze delle atrocità e della
cattiveria degli adulti. Detto questo, aggiungo un altro appunto:
spesso e volentieri la vita di questi bambini viene strumentalizzata.
In
che senso?
Il
caso di Aylan è diventato un simbolo, il simbolo di queste famiglie
che scappano in cerca di una vita sicura. Ma non solo lui ha pagato,
prima e dopo tanti altri Aylan e tante altre famiglie sono morti.
Dove scoppia un conflitto i più vulnerabili sono i bambini, i primi
ad andarci di mezzo, perché o civili sono i primi bersagli quando i
combattimenti si fanno più intensi e cruenti.
Hassan, unico sopravvissuto della sua famiglia nel bombardamento dei jihadisti di Idlib su Aleppo, il 25 gennaio di quest'anno
C’è
però chi dice, come una volta gli americani, che in guerra si
possono usare “le bombe intelligenti”: colpiscono gli obiettivi
in modo chirurgico risparmiando però vittime civili…
Ipocrisia
vergognosa. La realtà, invece, ci dice che oltre alle bombe,
ora si aggiungono situazioni climatiche durissime, come il freddo del
deserto siriano, dove si può scendere anche sotto lo zero. E tutto
questo accresce la tragedia. Piuttosto che piangere e basta sui corpi
inermi di Iman o Aylan come simboli di questa strage di innocenti,
tutti dovrebbero spostare l’attenzione sui responsabili di questa
drammatica situazione e raccontare per quali veri fini, già nove
anni fa, fu scatenata la guerra in Libia, in Siria e in Iraq, che ha
già mietuto milioni di bambini e di anziani morti.
Si
riferisce alle potenze occidentali e non solo, che hanno dato
inizio a queste guerre che stanno devastando il Medio Oriente?
Sono circa
300mila i bambini morti in questi nove anni. Invece di impietosire le
coscienze portando alla ribalta uno o due casi drammatici, bisogna
risolvere la questione alla radice. Non è giusto prendere in giro
l’intelligenza degli uomini. La guerra non scoppia solo perché si
vuole combattere un regime o abbattere un dittatore, ma per interessi
politici e economici anche da parte di grandi nazioni che predicano
la libertà, la democrazia e la dignità umana. La vita non è sacra
solo se muore un americano o un europeo, la vita è sacra per tutti.
Ma questo sembra non avere importanza.
Davanti
alla denuncia dell’Unicef e dei media internazionali che hanno
messo in prima pagina i casi di Aylan e Iman cosa dice?
Direi
che non si possono assumere solo posizioni singole di denuncia, ma
occorre andare contro tutta la situazione che devasta la Siria.
Cito
il caso della Turchia che invade la Siria. La
Siria è un paese sovrano, deve difendere il proprio territorio, che
già in precedenza era stato violato dai terroristi di tutto il
mondo. È una guerra per procura. E il colmo è che l’esercito
siriano, impegnato a liberare la provincia siriana di Idlib, viene
dipinto come invasore.
Unicef
e Onu non fanno mai riferimento all’impegno costante profuso in
questi anni di violenze dalla Chiesa per aiutare il popolo siriano.
Perché, secondo lei?
Purtroppo
certi mestieri dovrebbero mostrare maggiore onestà intellettuale. Il
ruolo di queste organizzazioni, come l’Unicef, ha perso
credibilità, sono diventati burattini in mano ai potenti. Anche le
Nazioni Unite non hanno avuto il coraggio di prendere decisioni sulla
Siria. E come ha ricordato lei non parlano del bene, enorme, che
viene fatto.
Si
censura il bene, si esalta il male?
Vivo
ad Aleppo da quando è cominciata la guerra e la Chiesa si è sempre mossa per tutti, non solo per i cristiani . La
comunità cristiana a Idlib è sotto il tallone jihadista, ci sono
centinaia di cristiani ostaggi in quella regione. Sono rimasti
solo due sacerdoti francescani di rito latino, che però continuano a
servire tutte le comunità, non solo la comunità latina, ma anche
quelle armena e greco-ortodossa, e stanno cercando in tutti i modi di
aiutare, sia a livello umanitario, sia a livello spirituale.
Accolgono nei conventi e nelle case dei cristiani anche i musulmani
in fuga. Eppure questi due sacerdoti sono sottoposti a ogni
limitazione, non possono manifestare la loro fede, rischiano ogni
giorno di essere rapiti o uccisi.
Intanto
i giornali occidentali accusano Assad di stragismo…
Un
proverbio italiano dice che fa più rumore un albero che cade che una
foresta che cresce. Questi due sacerdoti vivono una fede umana e
coraggiosa, aperta a tutti. Voi giornalisti che avete una coscienza e
il coraggio di dire la verità parlate della presenza eroica di
queste persone e della loro straordinaria testimonianza in un
contesto di persecuzione.
Alla
fine, in tutta questa tragedia, si può dire che resteranno impressi
i gesti di carità compiuti eroicamente da questi uomini santi?
È
il compito di noi cristiani: essere lievito e sale del mondo.
Da quasi dieci anni la Siria è teatro di una guerra devastante che ha causato cinquecentomila morti e milioni di sfollati, all'interno del paese e all'estero. Scopo della guerra era ed è è la sconfitta militare del governo siriano presieduto da Bashar Assad. Meno chiaro è chi, da anni, stia conducendo la guerra e cosa si proponga di sostituire all’ attuale assetto politico del paese.
Non si può descrivere un conflitto così lungo e complesso in poche righe, ma, per capire che non si tratta di una semplice guerra civile tra schieramenti siriani contrapposti, è sufficiente sapere che dall’ inizio della guerra operano nel paese decine di migliaia di combattenti non siriani e che la coalizione delle milizie armate anti governative, anche quando fino a metà 2013 ne era componente organica lo Stato islamico di Al Baghdadi, è stata sempre sostenuta ufficialmente dagli “Amici della Siria”, undici paesi appartenenti alla Nato o alle petromonarchie del Golfo Persico.
Comunque il governo e lo stato siriano, con l’ aiuto della Russia e di altri alleati regionali, hanno resistito alla violenta offensiva e territori che erano stati occupati dalla coalizione avversaria sono tornati sotto il controllo di Damasco. La vita del paese è stata però drammaticamente sconvolta, alcune città sono praticamente distrutte e l’ economia ridotta ai minimi termini.
Le sanzioni italiane e UE a Damasco
In questo difficile contesto l’ Unione Europea non trova di meglio che continuare a infliggere alla Siria pesanti sanzioni economiche che colpiscono la vita quotidiana della gente comune, come denunciato più volte anche dai religiosi cristiani operanti nel paese, mentre l’ Italia continua a non avere con Damasco relazioni diplomatiche nonostante fosse al momento dell’ inizio della guerra il suo primo partner economico europeo.
Appello per aiutare insieme gli uomini e le donne siriane
I siriani hanno bisogno di aiuto per continuare a difendersi e per ricostruire una vita migliore.
Siamo un gruppo di persone e piccole associazioni che hanno seguito e seguono le tragiche vicende siriane e vogliamo unirci per contribuire a sostenere in modo più efficace la popolazione di questo martoriato paese.
Vogliamo aiutare gli uomini e le donne siriane, dagli anziani ai bambini e alle bambine,
- dando il nostro contributo alla lotta per abolire le sanzioni economiche UE alla Siria e per ristabilire le relazioni diplomatiche di Damasco con l’ Italia
- diffondendo un’ informazione più veritiera sulla guerra in corso dal 2011 e sugli avvenimenti degli ultimi anni, organizzando presentazioni di libri, video, dossier e tenendo altri incontri pubblici, aiutando i siti di informazione, piccoli ma di ottima qualità, che seguono da tempo la vicenda siriana.
- favorendo relazioni tra comunità siriane e italiane di ogni tipo, con particolare attenzione alle scuole e alle realtà locali.
avviando forme di "gemellaggio" per la ripresa e la resilienza, fra realtà e cittadini italiani e siriani.
- aiutando le attività economiche, piccole e grandi, a ripartire nel loro lavoro, sin da subito dando un piccolo sbocco di mercato ad iniziative artigianali già operanti.
- facendo conoscere in Italia la storia e la cultura di questo straordinario paese mediorientale.
Ci siamo dati appuntamento a Roma
Roma, sabato 7 marzo 2020 alle ore 16 in via Opita Oppio 24 (fermata metro A Porta Furba), Circolo Berlinguer, per discutere come organizzarci e concretizzare il nostro proposito comune e invitiamo caldamente ad unirsi a noi tutti coloro, singole persone o associazioni, che condividono le nostre idee.
Sappiamo che ci rivolgiamo a persone che vivono in ogni angolo d’ Italia, e speriamo anche fuori dal nostro paese, e che non possono facilmente venire a Roma.
Invitiamo comunque tutti a contattarci, e a scambiare con noi opinioni, notizie e speranze, troveremo sicuramente un modo soddisfacente per operare concretamente nella direzione che auspichiamo.
Per aderire al nostro appello e mettersi in comunicazione con noi
La folla è in allegria, gli aleppini ballano per le strade; la periferia occidentale di Aleppo è stata liberata. Non riceveremo più granate ogni giorno come succedeva da anni. Inoltre, l'altroieri, l'autostrada Aleppo-Damasco è stata liberata e resa sicura."
Il
ministro della Difesa turco Hulusi Akar ieri, nell'intervista con AP,
ha chiesto alla NATO e all'Europa di intervenire a Idlib al di là
degli aiuti umanitari. Dovrebbero "prevenire questi attacchi
indipendentemente dalle loro relazioni con Russia e Siria".
Akar
ha detto esattamente: I
paesi della NATO, la NATO, l'Europa e il mondo devono esaminare più
da vicino la questione e fornire un sostegno serio e concreto. Devono
fermare questi attacchi non solo da una prospettiva umanitaria, a
prescindere dalle loro relazioni con la Russia e la Siria. Inoltre,
ha sottolineato che la Turchia non lascerà nessuno dei suoi 12 posti
di osservazione, alcuni dei quali si trovano in aree riconquistate
dell'esercito siriano. Ha assicurato che se le truppe siriane li
dovessero attaccare, la Turchia risponderebbe con attacchi di
ritorsione molto "più potenti".
Con
l'aiuto russo e iraniano, le truppe siriane sono in avanzamento a
Idlib e vogliono sconfiggere l'ultima roccaforte estremista nel
paese. Oltre a decine di villaggi e città che sono già stati
riconquistati, le unità di combattimento siriane sono state
recentemente in grado di riprendere il pieno controllo della
superstrada M5 strategicamente importante, che collega la Siria
meridionale e settentrionale, per la prima volta dal 2012.
Il
ministro della Difesa turco ha chiesto che le truppe siriane si
ritirassero da questa. “Abbiamo
chiesto che le unità del regime si ritirino immediatamente dalla
autostrada M5 e continueremo a farlo. A questo proposito, non abbiamo
altri punti di vista, nessun cambiamento di posizione. Stiamo facendo
tutto il possibile per garantire che questo tema venga realizzato al
più presto. Allo stesso modo, abbiamo chiesto alla Russia di farlo
attraverso una molteplicità di incontri, faccia a faccia o per
telefono. Stiamo aspettando”
Ha
esortato la Russia a usare la sua influenza sul governo siriano per
fermare gli attacchi a Idlib.
La
Russia, a sua volta, critica la Turchia, che non ha rispettato gli
impegni assunti con Idlib secondo gli accordi comuni. Ha mancato di
separare i nemici "moderati" del governo da quei terroristi
radicali che si rifiutano di dialogare e che fanno affidamento su
attacchi quotidiani.
La
Turchia sostiene gli oppositori del governo a Idlib, nei cui ranghi
si mescolano anche estremisti dell'ex Fronte di Al Nusra. Dopo due
scontri diretti tra truppe turche e siriane che hanno provocato morti
da entrambe le parti, le tensioni sono aumentate e la Turchia ha
risposto con massicci contrattacchi, presumibilmente uccidendo
dozzine di soldati siriani. Inoltre, la Turchia sta trasferendo
massicciamente i militari turchi nella regione e si sta preparando
per un'offensiva insieme alle milizie.
Il
ministro turco ha anche chiesto alle forze siriane di ritirarsi
dietro le frontiere dai negoziati di Astana. “Il
regime si trova assolutamente nell'area della de-escalation ... c'è
una mappa creata con il processo di Astana, ci sono linee di confine
nella regione di Idlib dove si stanno diffondendo le tensioni, ed è
per questo che vogliamo che il regime si tiri indietro su queste
linee. Il
ministro ha affermato che l'obiettivo della Turchia a Idlib era
sostenere un accordo di cessate il fuoco per Idlib e prevenire un
flusso di rifugiati.”
Si
dice che circa 700.000 persone siano in fuga dalla regione di Idlib
. Il
presidente turco ha parlato di Idlib oggi e ha minacciato le truppe
siriane: “
Annuncio
che da oggi in poi attaccheremo ovunque le forze del regime in caso
di danni anche minori ai nostri soldati, senza essere vincolati
dall'Idlib o dai limiti dell'Accordo di Sochi.” Fonte
:
https://deutsch.rt.com/
Gli
accordi di Astana sono ora imposti dall'Esercito Siriano
di
Eliah Magnier
Tradotto
da Alice Censi
E’
dal 2012 che l’autostrada M5 che collega Damasco ad Aleppo è sotto
il controllo dei gruppi jihadisti. L’esercito siriano l’ha appena
liberata, riconquistando 140 città, villaggi e colline strategiche.
La Turchia con gli Uzbeki, gli Uiguri e Hayat Tahrir al-Sham (ex
al-Nusra) non è riuscita a proteggere le sue postazioni fortificate
e le ha abbandonate ritirandosi nella zona attorno a Idlib.
Per
la prima volta l’esercito turco è stato bombardato da quello
siriano. Cinque soldati turchi sono morti nell’aeroporto militare
di Taftanaz, la base in cui sono radunati soldati turchi e jihadisti.
Ankara è stata obbligata a schierare le sue truppe in Siria a
sostegno dei suoi alleati jihadisti in evidente difficoltà dal punto
di vista militare.
La
liberazione di tutti i 432 km dell’autostrada M5 dalla presenza dei
jihadisti era prevista negli accordi di Astana siglati nell’ottobre
2018, accordi che però la Turchia in questi anni non è
stata in grado di rispettare. Da allora l’esercito siriano è
avanzato per ben tre volte verso l’autostrada ma stavolta il
governo ha preso la decisione di riconquistarla
definitivamente. E’ il messaggio, chiaro, della Russia e della
Siria al presidente Erdogan in riferimento a Idlib: il tempo è
scaduto. Ma la prova di forza tra la Turchia e la Russia va oltre i
confini della Siria e si manifesta in Ucraina e in Libia dove la
Turchia sta cercando di avere un ruolo importante.
La
Russia sta fornendo all’esercito siriano attrezzature militari
d’avanguardia e decine di carri armati T-90 efficaci anche nelle
offensive notturne. Tutto questo, unito alle centinaia di raid aerei
condotti dall’aviazione russa ha fatto in modo che avvenisse la
liberazione di tutta l’area a est dell’autostrada e di molte zone
a ovest dove le operazioni militari continuano. La Russia ha inoltre
garantito all’esercito siriano una intelligence militare senza
precedenti, il suo aiuto nella pianificazione di questa operazione
vincente e la sua partecipazione al bombardamento delle linee dei
jihadisti anche alle loro spalle durante la ritirata.
La
cosa sorprendente è stata la scoperta di chilometri di tunnel
sotterranei in tutte le aree liberate su entrambi i lati della M5 e
nelle città più importanti come Saraqeb e El-Eiss, gallerie
sotterranee in cui c’erano ospedali da campo, munizioni e
vettovaglie per resistere ad un lunghissimo assedio. Questi tunnel
erano collegati tra loro, univano i vari villaggi e alcuni erano
anche profondi 20 metri, per proteggerli dai bombardamenti aerei. I
jihadisti in fuga li hanno evacuati lasciandosi dietro ogni cosa.
Una
delle tattiche dell’esercito siriano negli ultimi anni è quella di
lasciare una via aperta ai jihadisti che permetta loro di andarsene
prima di essere circondati. Dopo la liberazione di Aleppo l’esercito
siriano ha sempre evitato di assediare le città per non dare spago
alla propaganda a favore dei jihadisti portata avanti dai mezzi di
informazione e dagli interventisti stranieri che farebbero di tutto
per impedire la liberazione della Siria e la sua riunificazione. Ecco
perché c’erano sempre strade aperte per la fuga dei jihadisti
prima dell’assalto finale.
La
Turchia in realtà non è in grado di proteggere i suoi alleati
jihadisti e non può intervenire con l’aviazione in loro soccorso.
E’ la Russia che ha il controllo dello spazio aereo siriano e
Damasco aveva avvertito la Turchia che avrebbe abbattuto i suoi aerei
se avessero violato il suo cielo.
La
liberazione di Maarat al-Nu’man, di Saraqeb, di Tal el-Eiss e del
distretto di Rashidin4 segna una svolta strategica nella guerra in
Siria. Indica che alla lunga la Turchia farà molta fatica a
proteggere i suoi jihadisti. La stabilità della Siria è
strettamente legata alla liberazione di tutto il suo territorio ma
non solo, questa stabilità è essenziale per la Russia e i suoi
obbiettivi di sicurezza nazionale. La Russia è entrata nel Levante
per metter fine alla guerra. E’ in gioco la sua credibilità. Ha
una grande base navale che offre un accesso unico al mar
Mediterraneo. E’ inoltre nell’interesse di Mosca eliminare
al-Qaeda e tutti quei gruppi che ne condividono l’ideologia takfira
nonostante abbiano priorità e nomi diversi. I jihadisti uzbeki e
uiguri che si trovano in Siria non hanno nessun altro posto dove
andare per cui molto probabilmente combatteranno fino all’ultimo.
La
Turchia sta mostrando i denti alla Russia, si rifiuta di riconoscere
la Crimea e offre armi all’Ucraina per 33 miliardi di dollari. Sta
cercando di avere un ruolo di primo piano in Libia e il
governo centrale ha richiesto ufficialmente il suo appoggio. La
situazione in Siria però è diversa. Ankara sa che la sua presenza
in Siria non può durare ancora a lungo e che la liberazione di
Idlib, sebbene non sia prevista subito, avverrà a breve. E’ solo
questione di tempo.
Le
forze d’occupazione statunitensi sono confinate in una zona
limitata del nordest della Siria dove possono rubare il petrolio
siriano, come ha affermato il presidente Trump. La loro presenza non
è però una priorità per l’esercito siriano. Prima verrà
liberata Idlib e poi Afrin. E questo è il motivo per cui la Turchia
sta cercando di aumentare e stabilizzare la sua influenza in Siria.
Quattro incontri ci sono stati tra membri di alto livello
dell’intelligence siriana e turca per trovare nuovi accordi. La
Turchia vorrebbe modificare gli accordi di Adana del 1998 con la
Siria perché il suo esercito possa dare la caccia al PKK curdo in
territorio siriano.
La
Russia e l’Iran giocano un ruolo importante nel cercare di
sciogliere le tensioni esistenti tra Turchia e Siria ma un ritiro
totale della Turchia dalla Siria è fondamentale.
La
Turchia ha comprato il sistema missilistico di difesa aerea S-400
dalla Russia e il gasdotto TurkStream, che riduce il passaggio del
gas russo dall’Ucraina, è stato inaugurato il mese scorso. Ma la
Turchia fa anche parte della NATO e ha una importante base militare
americana sui suoi confini. Ankara avrà mille difficoltà a stare in
equilibrio tra le due superpotenze e contemporaneamente a proteggere
i suoi jihadisti in Siria. E’ arrivato il momento, per la Turchia,
di valutare con attenzione le diverse opzioni.
Scontri annunciati e poi smentiti o ridimensionati tra truppe regolari siriane ed esercito turco, tensione alle stelle negli avamposti turchi nel nord ovest della Siria ormai circondati dalle truppe di Bashar Assad e russe; ed infine l’Iran, che a conferma della gravità della situazione, si offre di mediare tra Ankara e Damasco.
L’ennesima fase di tensione tra turchi e siriani, dopo l’attacco di Ankara nel nord della Siria dell’ottobre scorso, si è aperta nella provincia nord-occidentale di Idlib, ultima roccaforte dei ribelli jihadisti sostenuti con armi e truppe dalla Turchia.
L’Esercito Arabo Siriano ha lanciato da un paio di settimane un’offensiva che potrebbe rivelarsi risolutiva spazzando via le milizie qaediste e di altri gruppi estremisti islamici e riconquistando la regione di confine con la Turchia nel nord ovest.
L'8 febbraio l’esercito siriano, sostenuto da aerei e truppe russi, ha conquistato dopo due giorni di duri combattimenti Saraqeb, crocevia strategico nella regione all'incrocio delle autostrade Latakia-Aleppo e Hama-Aleppo.
Mercoledì scorso i media governativi avevano annunciato la presa di Saraqeb, ma fonti sul terreno e miliziani anti-regime avevano smentito la circostanza. L' Onu ha documentato lo sfollamento di più di 200mila persone nelle ultime due settimane dalla zona di Saraqeb e dei distretti circostanti investiti dall' offensiva governativa e russa. In tutto, sempre secondo l'Onu, sono quasi 600mila i civili sfollati a Idlib da inizio dicembre scorso, quando prese il via l’operazione siriana che potrebbe concludere la guerra civile in atto dal 2012.
Nei giorni precedenti, l’offensiva siriana aveva determinato numerosi contatti con le forze turche. L’uccisione di 5 soldati e 3 contractors di Ankara (già quasi 150 i caduti turchi in Siria), dopo che i siriani avevano lamentato l’arrivo di un convoglio di 240 camion turchi carichi di rifornimenti per i ribelli, aveva determinato un bombardamento di rappresaglia che avrebbe ucciso 13 soldati siriani e ferendone una ventina, anche se il ministro della Difesa di Ankara, Hulusi Akar, ha rivendicato l'uccisione di 76 militari di Damasco.
Le forze governative siriane avevano poi circondato la postazione di osservazione militare turca di Tell Tuqan, nei pressi di Saraqeb, a est del capoluogo di Idlib e teatro degli scontri tra turchi e siriani.
Consapevole delle ripercussioni interne di un inasprimento del conflitto siriano, il presidente turco Recep Tayyp Erdogan ha annunciato prossime consultazioni con Mosca, un asse strategico che finora ha garantito un equilibrio lungo tutto il confine siro-turco. Un accordo che prevedeva anche la tregua a Idlib anche se il legittimo desiderio di Assad di chiudere la guerra con la vittoria nell’ultima roccaforte dei ribelli jihadisti non può essere messo in discussione, soprattutto sul piano giuridico.
È evidente che la presenza di milizie jihadiste così come di militari turchi nel nord e statunitensi (questi ultimi intorno a un paio di pozzi petroliferi nella Siria orientale) è del tutto illegittima e autorizza Assad a compiere ogni azione per liberare il territorio nazionale.
La posizione russa mostra ambiguità poiché da un lato tende a rassicurare i turchi circa gli accordi raggiunti nelle zone di "de-escalation" ma poi appoggia con truppe e raid aerei ed elicotteri le offensive di Assad a Idlib.
Il 5 febbraio Erdogan è tornato a minacciare i siriani promettendo che Ankara "interverrà" se gli uomini di Damasco non si ritireranno entro febbraio dalle aree di Idlib dove sono presenti i turchi. "Ne ho parlato con il presidente russo Vladimir Putin e ho detto che il regime deve ritirarsi dalle aree dei nostri check point entro febbraio, come stabilito dagli accordi di Sochi, se il ritiro non avverrà saremo costretti a intervenire", ha detto Erdogan. "A Idlib abbiamo dei check-point costituiti d'accordo con la Russia e non vogliamo avere problemi con i nostri alleati con cui gli accordi e i patti saranno mantenuti. Con la Russia abbiamo relazioni ottime e ci aspettiamo sensibilità da parte di Mosca nel capire la nostra posizione in Siria”.
Damasco ha risposto con un portavoce del ministero della Difesa che ha reso noto che "i militari risponderanno a ogni attacco proveniente dalle forze turche nella regione di Idlib”.
L’obiettivo di Assad (e di Mosca) sembra quindi essere quello di ottenere rapidi successi sul fronte nord occidentale ma senza attaccare direttamente gli avamposti turchi per mettere Ankara di fronte alla rapida riconquista della provincia e indurre le truppe turche al ritiro.
Non è certo la prima volta che Siria e Turchia si trovano ai ferri corti dall’inizio del conflitto civile (largamente ispirato da Ankara) e certo Erdogan può mettere in campo un discreto dispositivo militare, ma sul fronte interno non può permettersi ulteriori gravi perdite tra i suoi soldati che avrebbero un forte peso sociale. Anche per questo i turchi impiegano preferibilmente, in Siria come in Libia, volontari e mercenari siriani arruolati tra i disertori sunniti dell’esercito di Assad, le milizie jihadiste sunnite e la minoranza turcomanna.
I media non vi dicono perché la Turchia ha invaso la Siria. Facciamo chiarezza
Da parte dell’informazione su Idlib sembra in atto una congiura del silenzio. Anzi peggio: è in atto una distorsione delle notizie, una selezione e sostituzione delle parole (“ribelli” invece di pericolosi takfiri), la censura di altre. Finché a capovolgere in maniera diametralmente opposta i fatti, ci sono le campagne mediatiche dei soliti media center (in passato abbondantemente smascherati ma tornati magicamente alla ribalta). Mentre questo fuoco di sbarramento informativo è per noi, la parte più dura la devono sopportare i siriani: le sanzioni internazionali rimangono, le centrali elettriche, i depositi di energia e impianti petroliferi siriani vengono attaccati frequentemente da droni di ”paesi” la cui tecnologia non è alla portata dei militanti jihadisti. Infine il simbolo ecco più efficace: Europa che si dice che lotta contro il terrorismo, ha minacciosamente mandato sulle coste della Siria la portaerei francese Charles de Gaulle. Non male per far sentire tutta la nostra amicizia, in un momento per la Siria di estrema difficoltà. ...... Poi c’ è un altro punto mai toccato riguardo alle tensioni tra Turchia e Siria di questi giorni. Nessuna testata giornalistica dice chiaramente cosa sta effettivamente facendo Erdogan, ovvero chi sono i soggetti che si combattono nella provincia di Idlib, chi la detiene, che tipo di vita conduce la popolazione e chi è l’aggressore. Non fornire mai questi elementi al giudizio pubblico, è molto scorretto da parte dell’informazione.
Il vero motivo per cui la Turchia non vuol mollare la Siria
Eppure è molto semplice : Erdogan”, fa ogni cosa, fa tutto ciò che sta facendo, ha preoccupazioni umanistiche perché semplicemente non vuol lasciare la Siria. Ed in questi giorni ha ammassato intorno ad Idlib una mole gigantesca di mezzi e truppe che vanno in crescendo. In questo contesto, gli Stati Uniti, già fanno per riavvicinarsi ad Erdogan mostrando il proprio sostegno. Nulla importa se in quell’area all’ufficio comunale siede il capo locale di al Qaeda, che ad amministrare la legge ci sia il tribunale della Sharia e che alle scuole i minorenni imparino solo la dottrina whabita. Non ci troviamo in Venezuela e non occorre un Guaido da contrapporre al cattivissimo Maduro, in Siria vanno bene i tagliagole di al Qaeda.
Ma lasciamo stare le ambiguità occidentali, alla sua lotta al terrorismo che serve solo a sfornare una nuova scusa utile all’occorrenza per intervenire dove si vuole o giustificare una sottrazione di libertà ai propri cittadini all’insegna della sicurezza. Torniamo a noi dicevo, torniamo ad Erdogan: a cosa mira Erdogan? Cosa si aspetta da tutto questo ”il Sultano”, a cosa mira? La risposta è semplice, anche se nessuno la proferisce: Erdogan semplicemente cerca di cambiare il quadro etnico nelle regioni del paese occupato dalla Turchia – per cacciare i curdi e gli arabi, per formare enclavi compatte per i turchi – Turkmeni siriani vicino ai turchi in lingua e cultura.
Nelle aree sotto il controllo dell’esercito turco, la lira turca è in circolazione e le scuole sono introdotte secondo gli standard turchi. Cosa c’è da capire? Viene a pensare che la stampa occidentale mentre si strappa le vesti per i civili che muoiono sotto i bombardamenti, sia in linea con Erdogan. Altrimenti caccerebbe le bande di Tharir al Sham da Idlib e restituirebbe la sovranità al paese. La stessa cosa farebbero gli USA la nord della Siria dove continuano ad uno stato sovrano (riconosciuto dalle Nazioni Unite), a distogliere risorse e a costruire basi.
L’Europa ed il mondo occidentale in genere, non parla chiaro, e questo non parlar mai chiaro non può uscire mai niente di buono anche se molti sono convinti del contrario. L’ambito che oggi detiene i principali diritti dell’uomo dell’uomo non si rende conto che agire in modo disonesto ed essere bravi solo con gli alleati ed agire in modo disonesto con tutti gli altri, alla lunga non paga. Agire in questo modo equivale a barare. Non si può intrattenere buoni rapporti solo con partner strategici: anche un piccolo paese deve poter essere sovrano, indipendente, rispettato e vivere dignitosamente.
I lavori di manutenzione dopo l'attacco sono ancora in corso nella stazione Al-Rayyan, negli impianti di gas a sud della regione centrale e di Ebla, e nella raffineria di Homs
6 febbraio 2019: "Soffriamo per la scarsezza dell'elettricità. Erogazione dalle 6 alle 8 am; dalle 12alle 2 pm; dalle 6alle 8 pm. 6 ore al giorno non sono sufficienti per svolgere le faccende domestiche e lavorative ...
Non è disponibile gas di cucina. La Siria ha il suo gas vicino a Homs e la sicurezza è buona lì, senza terroristi. Ma i pozzi di gas sono stati ripetutamente attaccati dai droni che arrivano dal mare e sono di origine straniera. Non provengono da alcun gruppo terroristico, ma da un Paese.
Produciamo elettricità in Siria, dal gas naturale che è un prodotto locale, ma quando gli impianti a gas vengono attaccati, significa che non c'è gas da cucina e meno elettricità. I due sono interdipendenti.
Si annuncia un'ennesima carenza di benzina per le auto, poiché non ci è permesso importare benzina, petrolio, gas naturale o altri prodotti petroliferi. Gli Stati Uniti e l'Unione Europea hanno imposto sanzioni alla Siria che ci impediscono di vivere, cucinare e conseguire i materiali necessari per riedificare le case.
Abbiamo ancora soldi, ma gli Stati Uniti e l'Europa ci vietano di importare gli articoli di cui abbiamo bisogno per ricostruire la Siria.
L'esercito siriano sta compiendo enormi progressi nella sconfitta dei terroristi di al Qaeda a Idlib, ma il Segretario di Stato Mike Pompeo ha dichiarato di condannare la Siria per aver attaccato i terroristi e riguadagnato la propria terra. ... È molto difficile sentire un ufficiale americano che difende apertamente al-Qaeda. Sembra la fine di ogni decenza nel governo degli Stati Uniti."
Il
film documentario "For Sama" ha vinto numerosi premi in
Europa e Nord America. I suoi produttori e protagonisti, i siriani
Waad Kateab e suo marito Dr. Hamza Kateab e il regista inglese Edward
Watts , hanno ricevuto elogi entusiasti. Ed i premi probabilmente
continueranno ad arrivare.
Sfortunatamente,
dietro una storia di interesse umano, il film "For Sama" è
PROPAGANDA : parziale, fuorviante e politicamente partigiano.
“For
Sama” è un ampio documentario con una storia personale
commovente. Combina la storia di un giovane amore e la nascita di un
bambino - Sama - nel mezzo della guerra. Questo lo rende avvincente e
personale. Ma il film distorce sostanzialmente la realtà di Aleppo
orientale negli anni 2012-2016. Mentre la narrazione personale può
essere vera, il contesto e l'ambiente sono distorti e occultati. Lo
spettatore non avrà idea della realtà:
La
maggior parte dei residenti di Aleppo orientale non voleva che i
militanti prendessero il controllo dei loro quartieri. Il breve
video 'Nine Days from my Window' (Nove giorni dalla mia finestra),
mostra l'occupazione di un quartiere. Molti civili fuggirono dal
lato est di Aleppo dopo che i "ribelli" presero il
sopravvento. Quelli che rimasero erano per lo più militanti (e le
loro famiglie) più quelli che non avevano nessun altro posto dove
andare o pensavano di poter aspettare.
I
militanti che presero il controllo di Aleppo est divennero sempre
più impopolari. Come scrisse il giornalista americano James Foley:
“Aleppo,
una città di circa 3 milioni di abitanti, una volta era il cuore
finanziario della Siria. Mentre questo continua a decadere, molti
civili qui stanno perdendo la pazienza con l'opposizione sempre più
violenta e irriconoscibile - stante che è intralciata da lotte
interne e dalla mancanza di struttura, e profondamente infiltrata
sia da combattenti stranieri che da gruppi terroristici.”
L'onesto resoconto di Foley potrebbe aver contribuito alla sua
condanna a morte.
Il
gruppo di opposizione che arrivò a dominare Aleppo est era la
versione siriana di Al Qaeda, Jabhat al Nusra. Il film "For
Sama" ignora il loro dominio, l'estremismo e le politiche
settarie. C'è solo un riferimento fugace e nessun video che mostri
chi stesse esattamente governando Aleppo est.
In
effetti, i militanti (noti anche come "ribelli") erano
incredibilmente violenti e viziosi. Alcuni esempi sono: quando
hanno gettato i lavoratori delle poste dal tetto dell'edificio,
quando hanno inviato l'autobomba suicida all'ospedale di Al Kindi,
quando hanno massacrato i soldati siriani in difesa dell'ospedale e
quando si sono registrati un video decapitando un ragazzino.
L'85%
dei civili di Aleppo viveva nella parte occidentale di Aleppo
controllata dal governo. Migliaia di persone furono uccise da
cecchini "ribelli", da mortai e missili lanciati dai
"cannoni dell'inferno" (un mortaio autocostruito per
lanciare bombole riempite di esplosivo e chiodi - NDT) lanciati da
Aleppo est. Questo breve video descrive la situazione nella parte
occidentale di Aleppo, completamente ignorata da For Sama .
L'ospedale
Al Quds NON è stato distrutto
"L'ospedale
Al Quds" è descritto nel documentario "For Sama". E'
dove Hamza lavorava e dove è nata Sama. Secondo il film, l'ospedale
è stato distrutto nel febbraio 2016. All'epoca c'era un'enorme
pubblicità sull'ospedale e accuse contro i russi che avevano
bombardato di proposito l'ospedale. Medici Senza Frontiere (Medecins
sans Frontieres) ha twittato: "Siamo indignati per la
distruzione dell'ospedale Al Quds di #Aleppo " . Queste
affermazioni sono ripetute nel documentario. All'epoca c'erano
domande e sfide sull'autenticità dell'account. Si è scoperto che
"Al Quds Hospital" non esisteva prima del conflitto ed era
null'altro che uno o due piani di un condominio. Si è scoperto che
Medici Senza Frontiere non aveva personale in loco e ha semplicemente
accettato l'account che gli era stato comunicato. Dopo la liberazione
di Aleppo Est, un importante medico di Aleppo Ovest, il dott. Nabil
Antaki , visitò il luogo per scoprire la verità. E' un medico di
lunga data ma non aveva mai sentito parlare dell'ospedale Al Quds.
Ha
riferito:
“Sono
andato domenica 12 febbraio 2017 a visitare il quartiere di
Ansari-Sukari per vedere gli ospedali Zarzour e Al Quds. La mia guida
era un giovane che viveva lì e conosce molto bene la zona. La
mia prima sosta è stata l'ospedale Zarzour (menzionato nel
rapporto di MSF) ed ho scoperto che era stato bruciato. La mia guida
mi ha detto che i ribelli l'hanno bruciato il giorno prima
dell'evacuazione (informazioni confermate da un'alto funzionario
responsabile della Mezzaluna Rossa Siriana). Sul marciapiede
laterale, ho trovato centinaia di nuove sacche di sangue bruciate
(per la raccolta di donazioni di sangue). Un uomo incontrato lì mi
ha invitato a visitare il suo edificio proprio accanto all'ospedale.
Anche il suo edificio è stato bruciato e sui pavimenti ho trovato
centinaia di sacche di soluzione IV.
Quindi,
ci siamo trasferiti nella scuola di Ain Jalout. In realtà, ci sono 3
scuole contigue. Due sono completamente distrutte; una lo è
parzialmente. Dietro le scuole, c'è una moschea chiamata moschea
Abbas con il suo minareto. Rispondendo alla mia sorpresa nel vedere
scuole distrutte da attacchi aerei, la mia guida mi disse che la
moschea era un quartier generale dei ribelli e una scuola era un
deposito di munizioni e l'altra era un deposito di cibo. Ho notato la
bandiera di Al Nosra dipinta sul muro esterno della scuola e dozzine
di edifici nei dintorni parzialmente distrutti.
In seguito,
ci siamo spostati per vedere l'ospedale Al Quds. Ovviamente, è
l'edificio più conservato della strada. Ovviamente, non è stato
colpito direttamente dalle bombe e probabilmente ha ricevuto alcuni
frammenti dalle bombe cadute su altri edifici. Ho chiesto alla mia
guida se sono stati eseguiti restauri o riparazioni. Ha detto di no. La
mia impressione è la seguente: la scuola di Ain Jalout era il
bersaglio degli attacchi, gli edifici distrutti circostanti erano
danni collaterali e l'ospedale di Al Quds non è stato direttamente
colpito dal bombardamento. "
Quindi
abbiamo un resoconto di testimoni oculari, oltre a fotografie e
video, che dimostrano che è falso che "l'ospedale Al Quds"
sia stato distrutto. Ciò significa che anche le affermazioni nel
film sulla morte di un medico all'ospedale Al Quds, presumibilmente
ripreso da una telecamera con sottotitoli, sono false.
“Al
Quds Hospital” (piano terra del condominio sull'angolo)
(credito
fotografico Dr. Nabil Antaki)
L'opposizione
armata e i suoi sostenitori occidentali hanno simulato eventi per
demonizzare il governo siriano sin dall'inizio. Un esempio che
divenne pubblico fu la bufala del rapimento di Richard Engels, dove
i militanti organizzarono il rapimento e il "salvataggio"
di Engels e della sua squadra.
Pagato
e promosso dall'Occidente
Waad
aveva una costosa videocamera e un'infinità di dischi rigidi. Aveva
persino un drone per riprendere video dall'alto. Come confermato da
Hillary Clinton nel suo libro "Hard Choices", gli Stati
Uniti hanno fornito "computer collegati al satellite, telefoni,
telecamere e formazione per oltre un migliaio di attivisti, studenti
e giornalisti indipendenti". Waad afferma di essere una
cittadina giornalista ma è stata pagata e fornita da governi che
hanno a lungo cercato il rovesciamento del governo siriano. Anche nel
2005, la conduttrice della CNN Christiane Amanpour ha avvertito
Bashar al Assad che "la retorica del cambio di regime è diretta
verso di te dagli Stati Uniti. Stanno attivamente cercando un nuovo
leader siriano ... Stanno parlando di isolarti diplomaticamente e,
forse, un colpo di stato o la rovina del tuo regime. "
Dal
2011, i governi occidentali, Turchia, Israele e monarchie del Golfo
hanno speso molti miliardi di dollari nel tentativo di rovesciare il
governo siriano. Solo il budget della CIA per la Siria era vicino a
un miliardo all'anno. La componente "soft power" include
apparecchiature video e addestramento a persone come Waad per
sostenere l'insurrezione armata, demonizzare il governo siriano e
convincere il pubblico a continuare la guerra.
"Abbiamo
sofferto tutti ... La differenza è che alcuni la guerra la
volevano!"
Il
medico di Aleppo occidentale, il dottor Nabil Antaki, non nega la
sofferenza nell'est di Aleppo. Ma sottolinea la discrepanza nella
copertura mediatica in cui tutta l'attenzione è rivolta ai
"ribelli". Sottolinea inoltre che tutti hanno sofferto, ma
non tutti erano responsabili. Alcuni, in particolare i sostenitori
della "rivoluzione", hanno iniziato e continuato il
conflitto. Egli dice:
“C'erano
molte storie simili a 'For Sama' nella parte occidentale di Aleppo.
Sfortunatamente, nessuno ha avuto l'idea di documentarle perché
eravamo impegnati a cercare di proteggerci dai razzi, di trovare
acqua da bere, di trovare pane e prodotti essenziali che non erano
disponibili a causa del blocco di Aleppo da parte dei gruppi armati.
Hanno interrotto l'energia elettrica, il riscaldamento, ecc. Sì, le
persone che si trovavano nei quartieri orientali hanno sofferto della
guerra così come quelle che vivevano nei quartieri occidentali.
Tutti, noi tutti, abbiamo sofferto. La differenza è che alcune
persone hanno voluto la guerra, l'hanno iniziata, l'hanno sostenuta e
ne hanno sofferto. Gli altri non l'hanno mai voluta o sostenuta e
purtroppo ne hanno sofferto anch'essi. "
Postumi
Waad
Al Kateab e suo marito Hamza vivono attualmente nel Regno Unito. Lui
lavora per una società di trasferimento di denaro e si occupa di "Al
Quds Hospital" a Idlib. Come indicato nel film, Waad non è mai
stata orgogliosa di essere siriana e voleva emigrare in Occidente. Da
lontano, afferma di essere orgogliosa della "rivoluzione"
che ha portato a questa distruzione e tragedia umana.
Nel
frattempo la gente sta tornando ad Aleppo e sta ricostruendo la
città. Ci sono anche alcuni turisti . Sebbene ci siano sacche di
cecchini in Aleppo, l'estremismo di Al Qaeda è per lo più limitato
alla provincia di Idlib.
Save
Idlib?
Il
film documentario del 2019 “Of Fathers and Sons” tratta di un
regista che ha vissuto con militanti a Idlib. Parte di ciò che è
nascosto in "For Sama" è rivelato in questo documentario.
Mostra la vita nella provincia di Idlib dominata da Al Nusra. Le
donne sono confinate in casa e devono essere velate. Ragazzi di dieci
anni vengono inviati alla scuola di sharia e all'addestramento
militare, preparandosi ad unirsi ad Al Nusra. Credono nei Talebani,
glorificano l'11 settembre e espellono o puniscono le persone che non
si adeguano alla loro religione fondamentalista. I giovani sono
indottrinati con l'ideologia estremista e la fede nella violenza.
Questo è il regime che coloro che vogliono "salvare Idlib"
stanno proteggendo.
Militanti
di Al Nusra uccidono i soldati siriani che hanno cercato di difendere
l'ospedale Al Kindi (cattura video)
Per
decenni l'Occidente ha sostenuto organizzazioni estremiste fanatiche
per rovesciare o minare stati indipendenti laici socialisti. La
maggior parte delle persone in Occidente non ne sono consapevoli,
sebbene sia ben documentato in "Il gioco del diavolo: come gli
Stati Uniti hanno aiutato a scatenare l'Islam fondamentalista"
e nel nuovo libro "La gestione della barbarie: come lo stato di
sicurezza nazionale americano ha alimentato l'ascesa di Al Qaeda,
ISIS e Donald Trump” .
Il
futuro
Cosa
sconosciuta in Occidente: la maggior parte dei Siriani sostiene il
proprio governo, ammira il proprio presidente e sente che l'Esercito
Siriano li sta proteggendo. Anche coloro che sono critici nei
confronti del governo lo preferiscono al caos o al fondamentalismo
salafita.
Waad
e Hamza Al Kateab rappresentano una piccola minoranza di siriani. Le
loro voci e la prospettiva di Edward Watts, il regista che non è mai
stato in Siria, vengono ampiamente proiettate e diffuse attraverso
"For Sama" mentre le altre vengono ignorate.
Quando
Waad e Hamza lasciarono Aleppo con i militanti di Al Nusra, la
stragrande maggioranza degli Aleppini festeggiava!
In
superficie, "For Sama" è un racconto romantico, di nascita.
Ma nel fondo è molto politico, come confermano le interviste con i
produttori.
Ho
il sospetto che sia stato ampiamente promosso proprio perché dà
un'immagine distorta. Per continuare la sporca guerra in Siria , sono
richiesti travisamenti pubblici.
Il conflitto israelo-palestinese da
decenni è al centro di molte iniziative di pace e proposte di
soluzione.
Come detto più volte in passato,
pensiamo che nessuna proposta e nessuna prospettiva seria possa
essere raggiunta senza l’accordo dei due popoli, israeliano e
palestinese. Queste proposte devono essere basate sull’uguaglianza
dei diritti e sulla dignità.
Il piano “Peace-to-Prosperity”
presentato ieri non contiene queste condizioni. Non dà dignità e
diritti ai palestinesi. È da considerarsi un’iniziativa
unilaterale, poiché sostiene quasi tutte le richieste di una parte,
quella israeliana, e la sua agenda politica. D’altra parte, questo
piano non prende veramente in considerazione le giuste richieste del
popolo palestinese per la sua terra d’origine, i suoi diritti e una
vita dignitosa.
Questo piano non porterà alcuna
soluzione, ma al contrario creerà più tensioni e probabilmente più
violenza e spargimento di sangue.
Ci aspettiamo che i precedenti accordi
firmati tra le due parti siano rispettati e migliorati sulla base di
una completa uguaglianza tra i popoli.
Invitiamo tutte le Chiese del mondo a
pregare per la Terra Santa, a lavorare per la giustizia e la pace e
ad essere la voce dei senza voce.
“Per coloro che fanno opera di
pace viene seminato nella pace un frutto di giustizia” (Giacomo 3,
18)