Il Libano è un Paese letteralmente “schiacciato” tra Siria, Israele e Mar Mediterraneo. Ha una caratteristica che lo rende unico, ma anche particolarmente fragile.
Nei
poco più di diecimila chilometri quadrati che compongono il suo territorio
convivono in un equilibro, maturato nei secoli eppure ancora non di rado
precario, ben diciassette diverse comunità religiose. Musulmani sciiti e
sunniti, drusi, cattolici di rito orientale (principalmente maroniti) e latino,
cristiani ortodossi di varie liturgie, armeni, ebrei e piccole realtà
protestanti. A differenza degli altri paesi arabi i cristiani non sono una
piccola minoranza, ma rappresentano circa il 50% della popolazione (e oltre se
si considera la diaspora libanese all'estero). Le due città principali sono
Beirut, la capitale, e Tripoli del Libano che fu un importante porto nel nord
del Paese, ma che oggi vive un periodo di seria decadenza.
Il
Libano è stato travagliato dal 1975 al 1990 da una guerra che ha fatto quasi
duecentomila morti (su meno di quattro milioni di abitanti), ha messo le
comunità religiose l'una contro l'altra, ha diviso i Maroniti in due fronti che
hanno finito, nel 1990, addirittura per combattersi tra di loro ed ha provocato
una duplice invasione straniera: quella israeliana e quella siriana. Da alcuni
anni, e malgrado gravissimi ed irrisolti problemi, il “Paese dei Cedri” ha
cercato di ritrovare una sua normalità, sanando le ferite della guerra e
ritrovando, dopo il duplice ritiro degli eserciti di Israele e Siria, un certo
grado di reale indipendenza. Attualmente nel Paese si fronteggiano due
schieramenti politici: l'alleanza definita del “14 marzo” composta dai sunniti
di Hariri (un miliardario legato all'Arabia saudita, di cui ha persino la
cittadinanza) e dai Cristiani delle Forze Libanesi e di altri piccoli partiti.
Contro, ed attualmente al governo, vi è l'alleanza del “23 marzo” composta
invece dagli sciiti di Hezbollah, dai Cristiani che fanno capo al Movimento
Patriottico Libero del generale Michel Aoun, dagli Armeni e da altre formazioni
minori tra le quali il Partito Nazionale Socialista pro-siriano. In mezzo tra i
due schieramenti ondeggiano i Drusi di Walid Joumblatt.
Nel
nord del Paese la comunità religiosa prevalente è quella sunnita, con una
presenza cristiana che si è notevolmente ridotta nel corso della guerra
1975-1990. Solo per fare un esempio, a Tripoli del Libano prima del 1975 le
comunità cristiane erano complessivamente circa il 30% della popolazione,
mentre oggi non arrivano neppure al 5%. Rimane invece, sempre al nord, una
consistente presenza cristiana -quasi integralmente maronita- nella regione
dell'Akkar e nelle valli più impervie del Monte Libano.
Tripoli
è oggi considerata in assoluto la città più povera del Libano, con percentuali
di disoccupati superiori al 50% della forza lavoro e la stragrande maggioranza
della popolazione che vive con un reddito di meno di seicento dollari all'anno.
Questa drammatica situazione sociale, unitamente alla massiccia presenza
sunnita, rendono questa città del nord Libano il terreno ideale per la
diffusione di quell'ideologia islamista conosciuta come salafismo (che
letteralmente significa i pii antetati) che trova appoggio e comprensione nei
regimi della penisola arabica ed in particolare nell'Arabia Saudita wahabita.
Ricordiamo che i salafiti sono la componente principale e più sanguinaria del
movimento di rivolta in corso in Siria ed è quindi facilmente comprensibile la
ragione per cui la tensione nel nord Libano stia rapidamente crescendo.
Le
avvisaglie si erano, per la verità, percepite ben prima che si aprisse la crisi
siriana.
Nel
2006, infatti, si era costituito a Tripoli un movimento islamista chiamato
Fatah Al Islami, composto non solo da Libanesi, ma anche da Ceceni, Algerini,
Afgani, Sauditi, Pakistani e Yemeniti. Soldi e armi erano stati forniti
dall'Arabia Saudita con il beneplacito degli Stati Uniti e dello stesso capo
del Governo libanese, che era allora il libano-saudita Saad Hariri, a cui non
spiaceva veder sorgere un contraltare armato al movimento Hezbollah. Alla fine
del 2006 i militanti di Fatah Al Islami (circa settecento uomini) assumevano il
controllo di un grosso campo profughi palestinese, chiamato Nahr el Bared e
situato alla periferia di Tripoli.
La
scelta non era casuale: i campi palestinesi in Libano godono di uno statuto
speciale internazionalmente garantito, in base al quale la Polizia libanese non
può accedervi e l'ordine interno deve essere mantenuto dai Palestinesi stessi.
Con l'occupazione di Nahr El Bared, gli uomini di Fatah Al Islam si erano
garantiti una base sicura da dove espandere su tutto il nord Libano la propria
influenza. Dopo una lunga serie di attentati mortali contro militari libanesi di stanza a Tripoli, le
Forze Armate del paese dei cedri decisero però di intervenire -malgrado la
riluttanza del capo del Governo Saad Hariri che continuava a considerarsi il
protettore di Fatah Al Islam- e posero l'assedio al campo. I miliziani di Fatah
Al Islam erano dotati di armi modernissime -pare addirittura dei mini-robot
combattenti- e godevano di appoggi tra i sunniti della corrente del Futuro, il
partito del capo del Governo- che riuscirono a far giungere rifornimenti nel
campo persino dopo l'inizio dell'assedio. Si creò così una situazione
paradossale: un gruppo armato combattuto dall'esercito di un Paese e
appoggiato, di fatto, da militanti del partito al governo nel Paese stesso! La
battaglia durò per tutta l'estate del 2007 e costò la vita ad oltre
centocinquanta militari libanesi, duecento miliziani ed un numero imprecisato
di civili. Solo ai primi di settembre i miliziani superstiti cercarono di
fuggire dal campo, divenuto ormai una trappola mortale. Molti vi riuscirono e
si dispersero nei villaggi sunniti del nord Libano, altri vennero catturati
dall'esercito (e sono tutt'oggi in carcere in attesa di processo). Il capo
riconosciuto di Fatah Al Islam, Sakir Al Absi, venne invece ucciso nel
tentativo di fuga, anche se qualcuno dubita che il corpo mostrato all'ospedale
di Tripoli fosse veramente il suo. Di Fatah Al Islam si risentirà parlare un
anno più tardi, il 27 settembre 2008, in occasione di un sanguinoso attentato
compiuto a Damasco e attribuito dalle autorità siriane proprio a militanti del
gruppo terrorista. Quell'attentato fu forse il primo atto della tragedia che
oggi è in corso in Siria.
Sconfitto
Fatah Al Islam dall'esercito libanese sembrò che sul nord Libano potesse
tornare una parvenza di tranquillità. Non era così. Finanziata dall'Arabia
Saudita e appoggiata dalla Corrente del Futuro (il partito di Saad Hariri) in
molte moschee dilagava una violenta propaganda salafita e islamista. Si
cominciava allora a parlare di Califfato di Tripoli e si indicavano i nemici di
sempre: gli Sciiti, i Cristiani ed i Sunniti che non aderivano alle posizioni
estremiste espresse dai Salafiti. Persino alcuni deputati del Partito di Hariri
incominciarono a farsi crescere la barba con quella particolare forma che
denota la vicinanza ai movimenti salafiti ed a frequentare ambienti e circoli
estremisti.
La
crisi siriana sta facendo precipitare la situazione anche nel nord Libano,
divenuto la retrovia dei combattenti della provincia siriana più insanguinata,
quella di Homs. Gli ospedali di Tripoli sono utilizzati dai combattenti che
vengono dalla Siria per curare i propri feriti mentre, malgrado gli sforzi
dell'esercito libanese, un flusso continuo di armi, denaro, combattenti e droga
passa attraverso la frontiera libano-siriana, contribuendo ad alimentare la
guerra nel Paese confinante. Diversi quantitativi di armi sono state
sequestrate dalle autorità, ivi compreso -nel mese di maggio- il carico di
un'intera nave di provenienza libica attraccata a Tripoli. Si tratta però solo
di una goccia in quel mare di armi che, provenendo da paesi esteri, si sta
rovesciando in Siria. Molte di queste armi rimangono però a Tripoli e nei
villaggi sunniti al confine con la Siria, giudicati di importanza vitale per
poter garantire la continuità dell'afflusso di rifornimenti ai ribelli siriani.
I gruppi salafiti libanesi, quindi, oltre ad essere sempre più numerosi, organizzati
e forniti di appoggi interni e internazionali, sono oggi anche pesantemente
armati: e, ovviamente, sono incominciati gli incidenti. Già nel mese di
febbraio di quest'anno, a più riprese, a Tripoli vi sono stati scontri armati,
ma è intorno alla metà di maggio che si è verificata la prima vera battaglia,
quando i miliziani provenienti dal
quartiere sunnita di Bab al Tabbaneh hanno tentato di invadere il
quartiere di Jabal Mohsen, abitato prevalentemente da alauiti (quindi
simpatizzanti per il regime siriano di Bashar Assad, anche lui alauita). Gli
scontri, che sono durati tre giorni, addirittura con l'impiego di mortai e
lanciarazzi RPG, hanno fatto alcune decine tra morti e feriti e si sono
conclusi solo dopo il massiccio dispiegamento nella zona di unità blindate
dell'Esercito Libanese.
Le
notizie degli scontri a Tripoli hanno provocato disordini in tutto il resto del
Libano. I più gravi a Beirut, dove miliziani del partito di Hariri hanno
attaccato la sede del Partito del Movimento Arabo, considerato filo-siriano.
Anche in questo caso solo l'intervento dell'esercito regolare ha posto fine
agli scontri e salvato i militanti del Partito del Movimento Arabo (pochi e
praticamente disarmati) da un probabile massacro.
Sempre
alla fine del mese di maggio un altro grave episodio ha fatto ulteriormente
crescere la tensione. Ad un posto di blocco dell'esercito nella regione
settentrionale dell'Akkar è rimasto ucciso in uno scontro a fuoco lo Sheikh
Ahmad Abdul Waled, noto per le sue posizioni estremiste e filo-salafite.
Secondo le fonti ufficiali non si sarebbe fermato all'alt dei militari ed anzi
le sue guardie del corpo avrebbero aperto per prime il fuoco sui soldati.
Opposta la versione dei salafiti, che hanno accusato l'esercito di assassinio a
sangue freddo. Immediatamente è partita una campagna mediatica per chiedere il
ritiro dell'esercito libanese dalle regioni del nord Libano e l'affidamento del
controllo del territorio alle sole Forze di Sicurezza Interna, costituite sotto
il Governo Hariri e notoriamente considerate filo-corrente del Futuro. Sarebbe
il modo per lasciare campo libero ai salafiti e trasformare le regioni del
Libano settentrionale in un sicuro retrovia delle operazioni in Siria.
L'esercito non è stato ritirato, anche per la decisa presa di posizione
contraria assunta da Hezbollah, ma ha assunto un profilo molto più basso,
cercando in ogni modo possibile di evitare incidenti con membri della comunità
sunnita. Questo però ha sicuramente facilitato le attività di chi utilizza le
frontiere libanesi come transito di rifornimenti di uomini e armi per i ribelli
siriani.
Oltre
a creare preoccupanti problemi di ordine pubblico, questa situazione mette
molti esponenti della comunità politica libanese in grave imbarazzo.
In
primo luogo Saad Hariri, che peraltro vive da oltre un anno e mezzo a Parigi,
il quale non sembra più in grado di controllare le frange armate del suo
partito che quindi finiscono sempre più per appiattirsi su posizioni
filo-salafite, rischiando di porre così le premesse per un futuro scontro con
il potente e ben organizzato Hezbollah. Ancora più in difficoltà appare il
leader delle Forze Libanesi Samir Geagea, che da sempre (e sempre meno
credibilmente) si propone come campione della Cristianità libanese. Stretto
alleato di Hariri e della Corrente del Futuro fatica sempre di più a
tranquillizzare l'opinione pubblica cristiana, letteralmente terrorizzata dalla
crescita del movimento salafita e dallo slittamento verso posizioni sempre più
integraliste del partito di Hariri. Una nemesi storica, proprio Geagea che
aveva accusato di tradimento il generale Aoun per la sua alleanza con
Hezbollah, ora si trova a dover giustificare la sua alleanza con un partito che
ha, nei confronti dei Cristiani, un atteggiamento sicuramente molto più ostile
del potente movimento sciita.
Come
potrà essere il futuro del Libano?
Il
piccolo Paese mediterraneo è – come disse Papa Giovanni Paolo II°- una
“laboratorio di coesistenza” tra diverse confessioni religiose. Vive però su
equilibri fragili, che per poter reggersi e consolidarsi hanno bisogno di una
ambiente regionale relativamente stabile e pacifico. Esattamente il contrario
di quello che sta diventando il Medio Oriente. La guerra in Siria, le tensioni
con l'Iran, la diffusa (e ben alimentata) ostilità tra Sciiti e Sunniti, la
crescita di movimenti estremisti di matrice salafita stanno creando un vortice
spaventoso. Sarà ben difficile impedire che anche il Pese dei cedri non vi
venga risucchiato.
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