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lunedì 28 agosto 2017

La geopolitica di ISIS


Piccole Note, 28 agosto

L’Isis fa politica, anzi geopolitica, a modo suo. L’attacco a Barcellona, infatti, non sembra casuale, ma dettato dal progetto di inserire una nuova variante nel braccio dii ferro che oppone la Catalogna a Madrid.   Il primo ottobre, infatti, i leader indipendentisti catalani hanno indetto un referendum per decidere la secessione dalla Spagna. Referendum dichiarato illegale dalle autorità madrilene, che però ad oggi non è stato revocato.
Un referendum  che fa paura non solo a Madrid ma anche alla leadership dell’Unione europea, che lo vede come una minaccia alla stabilità del sistema.
Si sta replicando un po’ quel che accadde con il quesito sulla Brexit. Una brexit in formato ridotto, certo, ché la Catalogna non è la Gran Bretagna per importanza e per storia.  E però, il solo fatto che si possa svolgere la consultazione rappresenta un’insidia, dal momento che, peraltro, si rischia un effetto emulativo. Una querelle nella quale è entrata a suo modo l’Isis, compiendo strage sulle Ramblas.
L’azione destabilizzante avrebbe dovuto sortire l’effetto opposto: la Catalogna, da sola, non può assicurare la sicurezza dei suoi cittadini: da qui la tragica incertezza di un’avventura in solitaria.  Peraltro sono argomentazioni che alcuni analisti e politici, spagnoli e non, hanno usato all’indomani della strage.   Una convergenza parallela, quella tra Isis e oppositori della secessione catalana, che non deve stupire: non si tratta di scomodare chissà quali complotti. L’Isis, almeno le sue menti strategiche, sa bene che la globalizzazione è un brodo di coltura ideale per le sue manovre.
Senza globalizzazione non si dà terrorismo globale. Un assioma banale, che l’Isis tiene presente quando dispiega le proprie azioni. Così oltre al solito effetto-paura, l’attentato doveva servire per fiaccare le forze indipendentiste, meglio, convincere i cittadini catalani della pericolosità del loro progetto, dal momento che il referendum indipendentista è, per quanto piccolo, un vulnus alla globalizzazione, un’operazione oppositiva al processo di integrazione mondiale.
Non è andata così, come dimostra anche il netto contrasto tra gli inquirenti catalani, gli ormai noti mossos d’esquadra, e quelli spagnoli, che hanno pubblicamente duellato.  Clamorosa la smentita all’annuncio iberico che avvertiva il mondo della chiusura dell’indagine. Niente affatto, hanno replicato da Barcellona, dove gli inquirenti hanno continuato a inseguire e arrestare, mentre il Ministero dell’Interno spagnolo si stracciava le vesti per la mancanza di coordinamento tra polizia catalana e guardia civil iberica , di fatto tagliata fuori dall’inchiesta.
Insomma, l’Isis ha fatto da catalizzatore a uno scontro che si sta dipanando a vari livelli, anche se pare che la sua azione abbia sortito l’effetto contrario a quanto sperato: almeno questo indica la pubblica contestazione diretta verso le autorità spagnole e lo stesso re, giunti a Barcellona a piangere le vittime dell’eccidio.
Ma al di là del dato politico, ancora in evoluzione, va accennato a un altro particolare della strage cui si è dato poco peso. L’attentato, spiegano tutti i giornali, avrebbe dovuto svolgersi in altro modo, ovvero attraverso una serie di deflagrazioni contemporanee.
Sarebbe stata una strage epocale. Tra l’altro la distruzione della Sagrada Familia, la chiesa capolavoro di Gaudì che doveva essere investita da camion bomba, avrebbe dato all’eccidio un valore simbolico, anti-cristiano, ancora più forte.
Poco rischioso procurarsi l’esplosivo adatto: si trattava di usare allo scopo delle bombole di gas, facili da reperire senza destare sospetti; le bombole dovevano essere modificate per ottenere l’effetto desiderato, ma un qualche errore umano ha mandato all’aria tutto.  E la casa-covo di Alcanar, dove erano state stipate le bombole, è saltata in aria e con lei il piano originale (purtroppo non il proposito sanguinario).
Una nuova modalità stragista, anzi antica. Già, perché è stata perfezionata in Siria, dai cosiddetti ribelli siriani. come si vede nella foto che accompagna l’articolo, che vede questi “ribelli” all’opera.  Tali ordigni sono stati lanciati a migliaia sui quartieri di Aleppo controllati dal governo, massacrando civili inermi, tra cui molte donne e bambini. Cannon Hell, erano stati battezzati i meccanismi di lancio di tali ordigni, per dare un tocco di simpatia al tutto.
Tutto ciò avveniva con la benedizione dei governi d’Occidente, pronti a denunciare i crimini di Damasco, ma miopi e afoni riguardo le malefatte sanguinarie dei “loro”ribelli di fiducia, quelli impegnati a combattere contro Damasco per porre fine al governo di Assad.  Un martellamento durato anni, nel silenzio più totale delle cancellerie occidentali (rotto solo dagli inascoltati presuli locali, e pochi altri, che pure hanno denunciato ad alta voce lo scempio; sul punto vedi anche Piccolenote).
Cancellerie che si sono ridestate solo quando Assad ha iniziato a riprendere i quartieri di Aleppo in mano ai macellai diletti dall’Occidente, stavolta per invocare la fine delle operazioni belliche dell’esercito siriano (cosa che dava respiro e nuova libertà di manovra ai macellai incistati nei quartieri occupati di Aleppo).
Ma questa è storia vecchia, anche se prima o poi dovrà essere scritta scevra della propaganda occidentale, che ancora oggi non si rassegna al fallimento del regime-change siriano. Quel che conta in questa sede è sottolineare che la tecnica usata dai terroristi di Barcellona è stata messa a punto e ampiamente utilizzata dai terroristi che hanno insanguinato la Siria.
Come uguali sono le reti di riferimento degli agenti del Terrore di Barcellona e di Aleppo, anche se per necessità mimetiche si nascondono sotto altre e più fantasiose sigle.
Facile concludere che le cancellerie occidentali hanno seminato vento e ora raccolgono tempesta. Il problema è che la tempesta non tocca quanti hanno contribuito ad alimentare il mostro, ma poveri civili innocenti. A Barcellona oggi come in Siria allora.
Eppure, anche di fronte all’evidenza, si negano gli errori del passato, anzi si persevera ciecamente in essi, continuando a propalare narrazioni che vedono in Assad un macellaio e nei suoi antagonisti dei paladini della libertà.
Non è solo un tragico errore storico, è anche una questione di igiene. Anzitutto mentale, ché il sonno della mente produce mostri. Ma anche igiene delle parole, che diventano non più utili alla comprensione ma alla propaganda. Tutto ciò non aiuta a contrastare il Terrore, che si anzi nutre di queste oscure ambiguità.

lunedì 21 agosto 2017

I Patriarchi cattolici d’Oriente e la fine delle comunità cristiane orientali

Sperando contro ogni speranza” e rimettendosi nelle mani della “giustizia di Dio”: con questa coscienza il Consiglio dei patriarchi cattolici d’oriente ha pubblicato il comunicato finale della sua sessione annuale (10-11 agosto 2017), tenutosi a Dimane (nord del Libano), sede estiva del patriarcato maronita.

Non senza tristezza, i patriarchi rimproverano la comunità internazionale di assistere allo spegnersi - a causa dell’insicurezza e dell’emigrazione - l’una dopo l’altra le Chiese orientali in Iraq, Siria, ma anche in Palestina, Libano e perfino in Egitto, senza che la loro reazione sia all’altezza della tragedia. Essi avvertono che se questo stato di cose continuerà, si tratterà di un vero “progetto di genocidio” e di un “affronto contro l’umanità”.

Il loro messaggio coincide con la pubblicazione di cifre eloquenti sulla diminuzione dei cristiani nei vari Paesi del Medio oriente, in particolare in Iraq, Siria e Terra santa. In quest’ultimo spazio condiviso dal punto geografico fra Israele e i Territori occupati, i cristiani rappresentano solo l’1,2% della popolazione; in Siria, per il fatto della guerra scoppiata nel 2011, il loro numero è in caduta da 250mila a 100mila, secondo statistiche recenti. E intanto anche il patriarca dei caldei fa fatica a convincere i cristiani della Piana di Ninive a riguadagnare il suolo natale, riconquistato a Daesh.
In un “appello generale” un po’ confuso, forse per essere stato scritto a più mani, dove la speranza di mescola alle grida e ai lamenti, i patriarchi affermano: “È tempo di lanciare un appello profetico a testimonianza della verità… siamo invitati a restare attaccati alla nostra identità orientale e a restare fedeli alla nostra missione. Assumendo la cura del piccolo gregge, noi patriarchi orientali siamo afflitti nell’assistere all’emorragia umana dei cristiani che abbandonano le loro terre natali in Medio oriente”.
Gli oppressori che agiscono in piena cognizione di causa, gli insensati che abusano del nostro pacifismo, sappiano che la giustizia di Dio avrà l’ultima parola. Ai nostri fedeli, diciamo che ormai noi somigliamo al lievito nella pasta, alla luce che brilla in un mondo assetato dello Spirito vivificante. Restiamo radicati nella terra dei padri e degli antenati, sperando contro ogni speranza in un avvenire in cui, come componenti di un patrimonio autentico e specifico, saremo compresi come delle fonti di arricchimento per le nostre società e per la Chiesa universale in Oriente e in Occidente”.
Dobbiamo rimanere attaccati alla proclamazione della verità nella carità, e a proclamare con coraggio la legittimità della separazione fra Stato e religione nella costituzione delle nostre patrie, e dell’uguaglianza di tutti per diritti e doveri, senza badare all’appartenenza religiosa o comunitaria. Si tratta di una condizione sine qua non perché vengano rassicurati i cristiani e gli altri piccoli componenti nazionali”.

Appello alla comunità internazionale
Alle Nazioni Unite e ai Paesi interessati in modo diretto dalla guerra in Sira, Iraq e Palestina, noi domandiamo di fermare le guerre, i cui obbiettivi sono ormai chiari: distruggere, uccidere, spingere all’esodo, rilanciare le organizzazioni terroriste, diffondere lo spirito d’intolleranza e di conflitto fra le religioni e le culture. Il prosieguo di questa situazione e l’incapacità a stabilire una pace giusta, globale e duratura nella regione, assicurando il ritorno dei rifugiati e degli sfollati al loro focolare nella dignità e nella giustizia, rimarrà come uno stigma di vergogna per tutto il XXI secolo”.

Appello a papa Francesco
Al successore di Pietro, diciamo che siamo pronti a rispondere all’appello per la santità, seguendo il Salvatore sul cammino della Passione. Ma ricordiamo pure che noi rappresentiamo delle Chiese fiorite in terra d’Oriente fin dall’epoca apostolica... e la cui esistenza è in reale pericolo”.
Abbiamo tutti partecipato a conferenze, seminari, fatto incontri; abbiamo cercato di trasmettere al mondo la bruttura della sorte inflitta al popolo cristiano. Ma non siamo una “nazione” con larghe frontiere, o che attiri l’attenzione dei giganti della finanza; noi siamo ormai un ‘piccolo gregge’ pacifico! Un piccolo gregge che non conta su nessun altro che voi per invitare i grandi che presidiano ai destini del mondo, che continuano a spingere all’esodo i cristiani del Medio oriente e, senza dubbio, a un progetto di genocidio, una catastrofe umana, come pure uno scacco alla civiltà e un affronto a tutta l’umanità”.

In Libano scuole a rischio chiusura
In altra parte, il comunicato registra la sequenza ecumenica tradizionale, tenutasi al primo giorno, con la presenza dei patriarchi orientali ortodossi e la visita al capo di Stato. Come è ovvio, i patriarchi ortodossi orientali condividono le stesse preoccupazioni e sono di fronte alle stesse sfide.
Il comunicato esprime anche l’inquietudine del Segretariato delle scuole cattoliche del Libano (che accolgono il 70% della popolazione scolastica), di fronte all’approvazione della nuova griglia salariale di cui beneficiano gli insegnanti e che andrà a gonfiare almeno del 20% i costi del funzionamento. Il segretariato prevede che numerose scuole gratuite, sovvenzionate dallo Stato, specie in provincia e nel mondo rurale, saranno incapaci di far fronte agli aumenti e dovranno chiudere. Essi hanno dunque espresso la loro preoccupazione nel vedere “centinaia” di insegnanti lasciati disoccupati e domandano allo Stato libanese di supplire agli aumenti generati.
Il comunicato non ha mancato di presentare il Libano come un modello democratico, che tutti i Paesi arabi dovrebbero imitare, a causa del principio della separazione fra lo Stato e la religione; ed ha infine domandato il ritorno degli sfollati [siriani e palestinesi - ndr] accolti dal Libano e divenuti “un pesante fardello e una minaccia per la sicurezza politica, economica e sociale” del Paese.

Fra i partecipanti al raduno vi sono: i patriarchi cattolici Béchara-Raï (maroniti); Ignace Youssef Younan III (siro-cattolici); Joseph Absi (greco-melchiti cattolici); Ibrahim Isaac Sidrak (patriarca emerito copto cattolico, presidente del consiglio dei patriarchi e vescovi cattolici d’Egitto); Louis Raphaël I Sako (caldeo); Gregorio Bédros XX (armeno cattolico);  William Shomali (rappresentante di mons. Pierbattista Pizzaballa, amministratore apostolico del patriarcato latino di Gerusalemme).
Fra i capi religiosi presenti alla sessione ecumenica: patriarca Youhanna X (greco-ortodosso); patriarca Ignatius Ephrem II (Siro-ortodosso); Catholicos Aram I ( armeno ortodosso);  Salim Sahyouni (presidente della Comunità evangelica in Siria e Libano).


venerdì 18 agosto 2017

Noi siriani e l'attentato a Barcellona: di Claude Zerez

In occasione della vacanza in Italia dell'amico siriano Claude Zerez con la sua famiglia, gli chiediamo di esprimere a caldo la sua reazione rispetto all'attentato di Barcellona e lo stato d'animo dei siriani.
“Noi abbiamo vissuto quotidianamente il problema del  terrorismo e, colpiti in particolare nella mia famiglia con l'assassinio di mia figlia Pascale da parte delle brigate jihadiste, ci rendiamo conto di come sono dimenticate le centinaia di migliaia di vittime del terrorismo in Siria...
Ci sentiamo solidali e viviamo nella nostra carne la tristezza delle famiglie di Barcellona colpite dal terrorismo, quel terrorismo cominciato in Afghanistan e che si è propagato in tutto il mondo, ma di cui Iraq e Siria sono diventate le basi e le fonti.

Adesso la grande domanda che ci poniamo è se il terrorismo non è diventato il pretesto per prendere le risorse del paesi d'Oriente. Non si può non notare in ciò che succede in Siria che, oltre al terrorismo,  il grande problema che colpisce il popolo innocente è quello delle sanzioni. Faccio un esempio: malgrado Aleppo sia stata liberata nel dicembre 2016,  il popolo è ancora oggi privato di acqua, di elettricità, di medicinali, di carburante. Le sanzioni occidentali ci paralizzano.
Ancora più dolorosa poi in questa situazione è la presenza di alcune milizie corrotte legate al governo che rubano e sottopongono la gente ad angherie innumerevoli.

Di fronte ai fatti di Barcellona, di Nizza e tutti gli altri attentati contro la popolazione innocente noi siamo assolutamente solidali, ma la grande domanda che ci poniamo è come si può risolvere tutto questo: con la forza? No, bisogna ad ogni costo fermare il conflitto e il caos che il conflitto infiamma in Oriente. Cioè bisogna ritornare al dialogo e lasciare che sia il popolo siriano che decide della propria sorte, perché attualmente sono degli stranieri quelli che decidono il destino della Siria. Lasciate il popolo siriano gestire il proprio avvenire.
Per ricostruire avremo bisogno di riconvertire i cuori dei giovani che sono stati radicalizzati e istruiti ad ammazzare, sgozzare, schiacciare 'gli infedeli' in nome di Allah. Ciò evidentemente richiederà il tempo di molte generazioni e tanto lavoro. Ma questo è importante: abbiamo persone di buona volontà, sia musulmani che cristiani, che credono nella convivenza, abbiamo musulmani che vengono a dire ai cristiani: “noi abbiamo bisogno di voi, voi siete lo specchio e senza di voi l'Islam non potrà mostrare il suo volto tollerante e la Siria mantenere il suo volto laico”.

Riprendere il dialogo inter-siriano spingerà i musulmani non fanatici a rigettare le ideologie jihadiste che non rappresentano l'Islam. Noi abbiamo bisogno di musulmani che esprimano l' Islam moderato, tollerante, che rifiuta la violenza, perché il terrorismo trova il suo terreno fertile tra le popolazioni incolte e più povere che credono nel riscatto attraverso lo Stato Islamico."
Claude Zerez 

lunedì 14 agosto 2017

Maria è viva per tutta l'eternità (di san Giovanni Damasceno)

Oggi l`arca santa e vivente del Dio vivo, colei che portò in seno il suo stesso Creatore, riposa nel tempio del Signore, non costruito da mano d`uomo. Davide, suo antenato e progenitore di Dio, trasale di gioia; gli angeli danzano in festa, gli arcangeli applaudono e le potenze del cielo cantano gloria...  Colei che fece scaturire per tutti la vera vita, come avrebbe potuto essere soggetta alla morte? E` vero: anch`essa si piega alla legge promulgata dal proprio figlio e, come figlia del vecchio Adamo, subisce la sentenza emessa contro il padre, poiché neppure suo Figlio, che è la Vita stessa, vi si è sottratto. Ma, come madre del Dio vivente, è giusto che sia portata presso di lui.
  Perché, se Dio ha detto, a proposito del primo uomo creato: Che ora non stenda la sua mano per cogliere il frutto dell`albero della vita e, gustandolo, non viva in eterno (Gen 3,22), colei che ha ricevuto in sé la Vita stessa, infinita e illimitata, la Vita che non conosce né inizio né termine, come non sarebbe viva per tutta l`eternità?
 
  Un tempo, il Signore Dio aveva scacciato dal paradiso dell`Eden e mandato in esilio i progenitori della nostra razza mortale, che erano come inebriati dal vino della disobbedienza, avevano gli occhi del cuore appesantiti dall`ebbrezza della trasgressione, lo sguardo dello spirito oppresso dallo stordimento della colpa, ed erano addormentati nel sonno della morte. Ma ora, il paradiso non riceverà forse colei che ha infranto in sé l`impeto delle passioni e ha portato alla luce il germoglio dell`obbedienza a Dio e al Padre, dando inizio alla vita di tutto il genere umano? Il cielo non le aprirà forse con gioia le sue porte?...   
  Se Cristo, che è la Vita e la Verità, ha detto: Dove sono io, là sarà anche il mio servo (Gv 12,26), a maggior ragione, come non abiterà con lui sua madre?... Poiché il corpo santo e puro che in lei si era unito al Verbo divino, si levò dal sepolcro il terzo giorno, bisognava che anche lei fosse strappata alla tomba e che la madre fosse assunta presso il Figlio.
  Egli era sceso verso di lei: così essa, la creatura amata sopra ogni altra, doveva essere elevata in una dimora più grande e più perfetta, nel cielo stesso (cf. Eb 9,11.24). Era giusto che colei che aveva ospitato nel suo grembo il Verbo divino si stabilisse nella dimora del suo Figlio.  E come il Signore disse che egli doveva essere nella casa del Padre (cf. Lc 2,49), così era necessario che la Madre abitasse nella dimora regale di suo Figlio, nella casa del Signore, negli atri del nostro Dio (Sal 134,2). Perché, se lì è la dimora di tutti quelli che sono nella gioia, dove mai dovrebbe risiedere colei che è la causa stessa della gioia?
   Giovanni Damasceno, Homilia II in dormitionem B.V.M.