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mercoledì 3 maggio 2017

Rifugiati siriani che sprofondano nell'orrore dei trafficanti di organi

Alla vigilia dei nuovi colloqui di Astana: si prenderà in considerazione la condizione dei rifugiati siriani?

Qualcuno la considera addirittura beneficenza, mentre in realtà si tratta di una delle cose peggiori che si possono fare ad una persona: sto parlando della "scelta" di tanti profughi rifugiati in Turchia o in Libano di vendere uno dei propri organi (perlopiù un rene o una cornea) per racimolare soldi per sopravvivere, per sé o per la propria famiglia.
Sono fatti orribili testimoniati da trafficanti e dalle stesse "volontarie" vittime.
I numeri per quanto imprecisi sono elevati e in aumento, e testimoniano il grado di sofferenza e povertà in cui versa la quasi totalità dei profughi "ospitati" nei campi di raccolta.

Lo aveva documentato Chiara Cruciati lo scorso anno:
Difficile dare numeri certi. Hussein Nofal, capo del dipartimento di medicina forense all’Università di Damasco, ci prova: 18-20mila siriani hanno venduto un organo negli ultimi quattro anni. La maggior parte di loro vive nei campi profughi in Libano e Turchia, nelle zone siriane di confine e nelle province di Aleppo e Idlib, dove il territorio è controllato dai gruppi islamisti. I prezzi, aggiunge Nofal, variano: se il rene viene venduto in Turchia, si riescono ad ottenere anche 10mila dollari; in Iraq non più di mille.”

Una allucinante intervista della BBC assai recente lo conferma :
'Incontrando un trafficante di organi che va a caccia di rifugiati siriani'


E non si quantifica la pratica del lavoro minorile ...
'Profughi minori siriani utilizzati in modo illegale nelle industrie del tessile. Due milioni di bambini vengono sfruttati nel mercato del lavoro minorile in Turchia'

L'altra faccia della medaglia è costituita dai rapimenti di bambini, di donne e di uomini siriani, spesso con la tecnica dell'ambulanza usata per "soccorrere" feriti da bombardamenti o attentati, che vengono trasportati in cliniche in Turchia dove vengono loro espiantati gli organi.
Il sito Asianews lo aveva denunciato mesi fa  :
'Dopo i reperti archeologici e il petrolio, la nuova frontiera di arricchimento per i movimenti estremisti in Siria è il traffico di organi. Segnalati diversi casi di sparizioni di minori nei villaggi della provincia. I bambini trafficati oltreconfine in Turchia. Un fenomeno che gli stessi media di Ankara avevano denunciato in passato, prima della censura imposta da Erdogan. '

Nella stessa Aleppo dopo la liberazione sono emerse le prove del traffico:
 'Dopo la liberazione di Aleppo sono venuti alla luce i crimini dei terroristi. Ancora una volta è stata confermata l'esistenza di un mercato nero di organi umani attraverso il confine turco. Gli abitanti dei quartieri in mano ai ribelli islamici avevano paura di finire nella cosiddetta "ambulanza", alla ricerca di potenziali donatori.'

Sono migliaia i bambini scomparsi: il caso più recente è quello dei ragazzini caricati sui pick-up dopo l'attentato di Rashidin dove hanno perduto la vita 126 persone, di cui almeno 70 bambini: alcuni di loro feriti o orfani dei genitori mancano all'appello e non se ne è saputo più nulla.

Pensate che gli Elmetti Bianchi con questo traffico non abbiano nulla a che fare? Basterebbe chiedersi di chi sono le ambulanze o i mezzi di fortuna usati per raccogliere questi feriti e perché anche in quell'occasione fu impedito ad altre ambulanze di intervenire...
    Gb. P.

lunedì 1 maggio 2017

Suor Yola e la speranza invincibile

Sono circa sei milioni i bambini che in Siria hanno subito il trauma della guerra, una iniziativa dei cristiani di Damasco per aiutarli a riprendere fiducia. L'intervista a suor YOLA GIRGIS

"Per favore, riporti tutto come le ho detto, non come fanno sempre i giornali quando parlano della Siria, ribaltando tutto e inventandosi le cose" dice suor Yola Girgis, superiora della Comunità di Damasco delle Suore Francescane Missionarie del Cuore Immacolato di Maria, a Roma per la presentazione del progetto di collaborazione con la Fondazione Giovanni Paolo II e l'Ospedale Bambin Gesù rivolto ai piccoli siriani colpiti da disturbi post-traumatici da stress. Ha ragione da vendere suor Yola, che accusa i media occidentali di perseguire gli obiettivi delle loro leadership politiche: indicare in Assad il diavolo da abbattere e sostenere gli jihadisti. "Le bombe americane? Senta: Damasco esiste da 7mila anni, ha una storia e una civiltà che hanno resistito a tutte le guerre, pensa ci faccia paura un paese che non ha neanche 500 anni di storia?" dice ancora, mostrando il coraggio da vendere che ha permesso a questo popolo di resistere a sei anni di carneficina. Il progetto, che accoglie bambini cristiani e musulmani ("Perché noi abbiamo vissuto sempre di amore dei concordia e lo facciamo ancora adesso nonostante le bombe") si rivolge a quei 6 milioni di bambini siriani che vivono sotto i bombardamenti. Di questi, circa 3 milioni sono cresciuti vedendo solo la guerra (fonte UNHCR). Una generazione di bambini colpiti dalla guerra e dalle sue conseguenze come gravissimi disturbi post-traumatici da stress.
Suor Yola, ci spiega di cosa si tratta questo progetto che siete venuti a presentare all'Ospedale Bambin Gesù di Roma?
E' un progetto già iniziato che grazie alla Fondazione San Giovanni Paolo II ha adesso le risorse per continuare. Noi accogliamo bambini dai 6 agli 8 anni dando loro un sostegno psico-sociale attraverso metodi come il disegno, la recitazione, la condivisione. Abbiamo preparato dei giovani istruttori che aiutano i bambini a esprimere i loro sentimenti riguardo al trauma subìto per via della guerra. Purtroppo la guerra e la violenza lasciano nei bambini segni devastanti. Con il nostro lavoro li aiutiamo a esprimere le loro paure, le loro gioie, li aiutiamo a riavere fiducia in se stessi.
Molti di loro saranno anche orfani.
Alcuni sono orfani, altri hanno il padre che è al fronte a combattere. Vedendo tanti soldati morti la notizia che aspettano ogni giorno, invece di sapere se il padre sta tornando a casa, è se il loro papà è morto. E' questo che si aspettano, la morte del loro papà.
Sono bambini sia cristiani che musulmani?
Certamente, non facciamo alcuna differenza. Anzi, visti i risultati straordinari sui bambini musulmani l'anno prossimo aumenteremo ancora la loro quota, facendo 50 più 50 per cento. Per loro cose come l'oratorio, il campeggio, la condivisione guidata non esistono, i musulmani non hanno queste cose, stanno in strada da soli. Abbiamo visto come il nostro modello educativo li abbia colpiti e affascinati.
Ed è la possibilità di ricostruire un dialogo?
Questa realtà condivisa in Siria è sempre esistita. Io sono nata qui, i musulmani per noi cristiani sono siriani e niente altro. Abbiamo giocato insieme, abbiamo fatto le stesse scuole. Adesso cerchiamo di ricucire questa ferita che la guerra ha cercato di produrre per dividerci, ma senza riuscirci.
Come è la situazione adesso a Damasco? 
La gente continua a fare le sue cose, a vivere la sua vita, ma c'è sempre l'attesa che accada qualcosa di brutto. Tranquilli non lo siamo mai. Spesso di notte mi affaccio alla finestra del convento e prego perché ho paura che un terrorista entri nel convento, loro vogliono prendere Damasco. Però la vita va avanti, le scuole sono sempre rimaste aperte e le attività delle chiese vanno avanti anche sotto i missili. 
Quando l'America vi ha bombardati vi siete sentiti traditi?
Tutto il mondo ci ha abbandonati. Anche l'embargo di medicine è una cosa orribile, la gente muore di cancro perché non ci sono medicine. Ringraziamo l'Italia che con iniziative come questa ci sta vicino, ci dà speranza, ci dice che Dio è vicino.
E il papa?
Il papa è la voce di Dio. A volte io dico: Dio perché stai in silenzio, perché non fermi questa guerra? Ma ogni volta che sento il papa sento la voce di Dio, che dice: non preoccupatevi io sono sempre con voi. Possono distruggere le nostre case ma la nostra cultura non la distruggerà neanche Trump.
(Paolo Vites) 

venerdì 28 aprile 2017

Papa di pace in Egitto di pace

C'è grande attesa, e tanta preghiera, per la visita del Papa in Egitto.

Sono molte le aspettative legate a questa visita: nel segno dell'abbraccio ecumenico, i Cristiani Copti, come la sparuta minoranza Cattolica, sperano fortemente che attraverso le parole di Francesco passi un messaggio capace di cambiare il clima di violenza di cui sono l'obbiettivo e smuovere il cuore di tanti musulmani che hanno abbracciato una visione fondamentalista intrisa di odio, pretendendo di attingerla dalla religione di Maometto.

Muovere il cuore, i sentimenti genuinamente umani che ognuno ha in sé come semi piantati originariamente, che le erbacce dell'ideologia fondamentalista ha soffocato. La speranza è quella che anzitutto l'abbraccio empatico e poi le parole del Papa possano almeno in parte rimuovere la zizzania e consentire di guardare ai Cristiani e al loro messaggio con occhi diversi e più benevoli. 
In ogni caso i Cristiani Egiziani vivono già un senso di gratitudine per questo viaggio. Attraverso di esso percepiscono la vicinanza e l'amore del Pastore e la consolazione di un Padre che condivide la sofferenza dei figli feriti e se ne lascia a sua volta confortare.

C'è anche l'attesa di Al Sisi che vede in questa visita la possibilità di un attutimento delle tensioni che pervadono l'Egitto.
Un'attesa condivisa anche da quei Musulmani che anelano a vivere la propria religione con spirito di tolleranza e di collaborazione con i Cristiani e con qualsiasi altra religione.
Ma molte sono le forze e anche gli interessi geopolitici che osteggiano una vera pacificazione.

Rimandiamo alla lettura di tre articoli apparsi in questi giorni, contenenti tra le altre considerazioni alcune argomentate correzioni alla generalizzazione di 'islam-religione-di-pace':

- Padre Samir Khalil Samir attraverso un'intervista rilasciata al sito www.rossoporpora.org offre molti spunti di riflessione sulla visita papale e sulla situazione dei Cristiani Copti, il ruolo di Al-Azhar e il mondo Islamico Egiziano.

- Un'intervista dell'Osservatore Romano al gesuita Henri Boulad sui problemi interni all'islam dîn wa dawla e la sfida che l'islam pone anche alla moralità nostra.

- Il contributo ad AsiaNews di un giovane amico musulmano in merito al rapporto tra islam e Daesh e la necessità urgente di riforma interna all'islam.

  Gb. P.

mercoledì 26 aprile 2017

Gli sceneggiatori sono stanchi


7 giugno 2011: «Arrestata in Siria la blogger di “A gay girl in Damascus”». «Era la voce della libertà in un Paese in cui ogni diritto è calpestato. Era una donna, era lesbica. Amina Abdallah Arraf cercava di gridare al mondo il disagio e i soprusi che le persone ogni giorno vivono in Siria. Lunedì un'auto dei servizi segreti l'ha prelevata e di lei si è persa ogni traccia». Pochi giorni dopo si scopre che Amina, che da mesi teneva banco col suo blog, era Tom McMaster, un americano che scriveva da Edimburgo.
Quando si parla di “fake news” teniamo in mente questa vicenda: un isolato come Tom McMaster ha imbrogliato l’intero sistema mediatico. E quindi chi davvero gestisce l’informazione non ha difficoltà a creare notizie false.
I vaccini contro le fake news sono tre: un ampio archivio di notizie certe, una memoria viva e allenata, un uso continuo della logica. E poi ci sono alcune linee guida:
  1. Un video o una foto non sono mai una notizia; chi li usa vuole spesso trasmetterci una notizia falsa.
  2. Dipendere solo da rilanci d’agenzia equivale a non avere informazioni o ad avere informazioni false.
  3. Quando un’informazione scatena una reazione immediata, le probabilità che sia falsa sono alte. Perché? Perché una persona con un minimo di cervello verifica prima di agire. E per verificare occorrono giorni o mesi. Se reagisce subito, significa che vuole cavalcare l’onda emotiva, per cui è probabile che la notizia sia stata costruita ad arte.
  4. Sono preziose le informazioni fornite in tempi non sospetti e riguardanti altri scenari. Ad esempio all’attacco chimico di Halabja del 1988 Wikipedia attribuisce l’uccisione di 5000 curdi.
Seguendo queste linee è possibile costruire una “macro notizia” attendibile sulla Siria.

C’era una volta la Siria, paese che godeva di una relativa pace, di un relativo benessere, di una ragionevole convivenza tra minoranze. Mangiare, curarsi, muoversi, lavorare, studiare, viaggiare, era la norma. Il paese era senza debiti e senza emigrazione. Il tutto grazie anche a Bashar al-Assad, che aveva imposto il pugno di ferro sull’islamismo radicale.
Oggi la Siria è un paese distrutto e affamato, con 400.000 morti e milioni di sfollati.
In mezzo cosa c’è stato? Una guerra di ribellione dell’islamismo radicale contro l’ordine e il benessere. Nel remoto inizio ci furono manifestazioni di piazza per avere “più democrazia” (come se uno Stato a maggioranza islamica potesse davvero avere democrazia), ma la regìa occidentale (quel mix dove USA Francia e Gran Bretagna lavorano insieme a paesi dittatoriali della Penisola Arabica) aveva già predisposto l’apparizione dei “ribelli moderati” in armi. Moderati per i media, islamisti radicali nella realtà.

In Siria gli stanchi sceneggiatori ci ripropongono lo stesso copione libico: il dittatore contro il suo popolo, i bombardamenti di ospedali, gli orrori generici attribuiti ad Assad. E quando la popolazione festeggia la liberazione di Aleppo, non sanno più cosa dire. Ci propinano allora la bambina senza famiglia che corre tra le macerie, hashtag #Save_Aleppo: poco importa che l’immagine sia tratta da un videoclip del 2014 di una cantante libanese.

Arriva poi l’attacco“chimico” da 70 morti, ridicolo sia rispetto ai morti totali della guerra di Siria sia rispetto alla realtà di un vero attacco chimico. Ma la responsabilità di Assad è “certa” e Trump tira i missili.
Solerte si accoda il nostro ministro Alfano, dicendo che la reazione è “proporzionata”. Naturalmente anche Alfano dipende solo da rilanci d’agenzia, avendo rinunciato a usare la logica. L’unica cosa assodata è che “Assad se ne deve andare”. Perché mai? Forse la Siria creata da Assad era peggiore della Siria creata da questo orrendo conglomerato di occidentalismo e islamismo?
Nel 2011 un ministro libico commentava: «Una commissione ONU che fosse venuta a verificare cosa stava davvero accadendo il Libia vi sarebbe costata meno del lancio di un solo missile». In Siria non sarebbe stato diverso. Ma perché muoversi e indagare? E’ tanto comodo dipendere da rilanci d’agenzia e ripetere le cose che gli stanchi sceneggiatori hollywoodiani ci dicono di credere.

«Un paese che non si indebita fa rabbia agli usurai». La finanza internazionale vuole sempre degli “Stati mendicanti”, bisognosi dei loro soldi. Uno Stato che riesce a farcela da solo prima o poi finisce male. Non so se è una regola generale, di certo vale per la Libia e la Siria.
    Giovanni Maria Lazzaretti  
    Taglio Laser, Vita Nuova, 21 aprile 2017