ANALISI
- Il Paese, democrazia in costruzione dopo la ′′rivoluzione del
gelsomino′′ del gennaio 2011, è oggi il primo Paese esportatore
di giovani partiti per la jihad: Libia, Siria e Sahel... Una realtà
dura da accettare dalla società locale.
Articolo
di Yves Thréard, LE FIGARO, 26 aprile 2021
′′Come
ogni volta, in Tunisia, si è presi da spavento all'annuncio di un
attentato terroristico in Europa: si prega Dio che il presunto
terrorista non sia tunisino e ci si nasconde la faccia fino ai
risultati delle indagini della polizia. E, quasi sistematicamente, si
ha diritto allo stesso verdetto: il colpevole è un terrorista
tunisino... " Inizia così, sabato, l'articolo di Moncef Dhambri
sul sito di informazioni online Kapitalis. Dopo 72 ore
dall'assassinio della funzionaria della polizia del commissariato di
Rambouillet, i commenti sono tantissimi sui media tunisini. Tra
rabbia e disperazione, una domanda viene ripetuta, lancinante,
dolorosa, terrificante: perché noi?
Jamel
Gorchene, l'assassino di 36 anni, era effettivamente originario di
Msaken, comune della regione di Sousse. Come Mohamed Lahouaiej
Bouhlel, l'islamista di 31 anni che ha ucciso 86 persone, il 14
luglio 2016, al volante del suo camion sulla Passeggiata degli
inglesi a Nizza. Anche lui era, si diceva, era depresso. L'inchiesta
rivela tuttavia che il suo attentato, rivendicato da Daech (ISIS),
era stato preparato con attenzione.
Pochi
mesi dopo, il 19 dicembre 2016, è Anis Amri, nato a Tataouine, nel
sud della Tunisia, che si dirige con un veicolo rubato sul mercato di
Natale a Berlino: 12 passanti vengono uccisi.
Il
1° ottobre 2017 Ahmed Hanachi, delinquente tunisino appena rimesso
in libertà il giorno prima dei suoi crimini, assassina, alla
stazione di Saint Charles di Marsiglia, due giovani donne. Tre anni
dopo, il 20 ottobre 2020 Brahim Aouissaoui, appena arrivato in
Francia da Sfax, via Lampedusa, sgozza il sacrestano e una fedele
della Basilica di Nizza e poi, non lontano dall'edificio, una donna
di 44 anni.
La
Tunisia, dodici milioni di abitanti, democrazia in costruzione dopo
la ′rivoluzione del gelsomino′′ del gennaio 2011, è un
focolaio del terrorismo islamico. Oggi è il primo paese esportatore
di giovani partiti per la jihad: in Libia, in Siria e nel Sahel...
Una realtà dura da accettare dalla società sul posto. Secondo uno
studio del Washington Institute for Near East Policy, pubblicato nel
dicembre 2018, negli ultimi anni 3000 cittadini tunisini sono partiti
per zone di combattimento. E altri 9000, secondo alcune fonti,
sarebbero stati impediti di andarvi. Perché così tanti?
Già
alla svolta degli anni 2000, la guerra in nome di Allah perseguitava
gli spiriti e attirava i candidati. Nel 2000 due tunisini sono
presenti nel gruppo che sta progettando di attaccare la Cattedrale di
Strasburgo. Il 9 settembre 2001, due giorni prima del crollo delle
Twin Towers a New York, due uomini, originari di Gabès e Sousse,
arruolati da Al-Qaeda, assassinano il comandante Massoud. Osama Bin
Laden e la filiera afghana reclutarono molti tunisini. Proprio come i
gruppi che combatterono nella seconda guerra in Iraq, a partire dal
2003.
Il
territorio tunisino stesso non è risparmiato. Nel 2002 un kamikaze
prende di mira a famosa sinagoga della Ghriba, a Djerba: 19 vittime.
Dal 2011 circa 120 poliziotti o membri delle forze di sicurezza sono
stati colpiti da terroristi. Spettacolari attentati sono stati
commessi: il 18 marzo 2015, 24 persone trovano la morte nel museo del
Bardo a Tunisi; il 26 giugno dello stesso anno, 27 turisti vengono
uccisi nell'hotel Imperial Marhaba a Sousse... La lista è lunga; la
minaccia, permanente; la tensione, estrema.
Se
la povertà, reale nelle regioni lontane dal litorale, viene spesso
invocata per giustificare questa radicalizzazione, non basta a
spiegare il fenomeno. Il quale, come si vede, è molto
precedente alla primavera araba. Quando Habib Bourguiba, il padre
della nazione, e il suo successore, Zine el-Abidine Ben Ali,
guidavano il paese con una mano di ferro, il verme islamista era già
presente in tutto il paese. Meno lampante forse, ma già virulento.
Nel suo testamento, scoperto dagli americani in un nascondiglio di
al-Qaeda in Pakistan, l'autore franco-tunisino dell'attacco della
Ghriba, Nizar Naour, afferma la sua "adorazione per Khomeini,
Bin Laden e Ghannouchi".
Rached
Ghannouchi. Il nome dell'attuale presidente dell'Assemblea nazionale
tunisina ritorma spesso nei dibattiti sulla radicalizzazione dei
giovani. 80 anni di età, questo vicino di fuoco dell'ayatollah
Khomeini, dei Fratelli Musulmani e della Turchia di Erdogan, è il
capo di Ennahdha, partito che è al cuore del panorama politico
tunisino, anche se ha perso voti. Esiliato a Londra prima di tornare
nel suo paese nel 2011, è accusato di svolgere un ruolo ambiguo,
nonostante la sua da poco proclamata fedeltà alla democrazia. E'
stato uno dei suoi attivisti, Tarek Maaroufi, a reclutare a Bruxelles
i due assassini di Massoud.
Condannato
in Belgio, Maaroufi quando uscirà di prigione sarà accolto come
eroe a Tunisi. Lui, Ghannouchi ed altri eserciteranno un ruolo
importante, dopo la ′′rivoluzione del gelsomino′′ del 2011,
per spingere i giovani verso la jihad. Il loro proselitismo è
rilevato da servizi e osservatori stranieri. Jacob Wallas,
ambasciatore statunitense in Tunisia dal 2012 al 2015, non esiterà
ad affermare, in una conferenza organizzata nel 2018:
′′ Vorrei
sottolineare la tolleranza iniziale delle attività jihadiste da
parte del governo dell'epoca. Il partito Ennahdha ha difeso il
dialogo con i jihadisti." Infatti l'ondata di liberazione
post-rivoluzionaria ha fatto emergere molti individui fanatici.
Parecchi si uniscono alle fila di Ansar al-Sharia, gruppo salafista
di cui la regione di Sousse è il feudo. Altri si nascondono nel sud
tunisino, verso Kasserine e il djebel Châambi, dove ritrovano
compari provenienti dall'Algeria e dalla Libia.
′′Se
è vero che il coinvolgimento dei tunisini nel terrorismo
internazionale non risale alla caduta del regime, nel gennaio 2011, è
evidente comunque che il loro numero è esploso a partire da quella
data”, dichiara Mezri Haddad, filosofo ed ex diplomatico tunisino.
“Ciò si spiega con la destabilizzazione dei servizi segreti e di
sicurezza nel gennaio 2011, con la liberazione di decine di
terroristi detenuti in prigione durante l'epoca di Ben Ali, con
l'ondata migratoria di centinaia di clandestini a partire dal gennaio
2011 che hanno invaso l'Italia e la Francia, con il trasferimento di
migliaia di candidati al jihadismo in Siria, con la complicità delle
autorità politiche." Due deputati tunisini hanno sospettato che
una compagnia aerea, Syphax Airlines, svolgesse questa missione. Il
suo proprietario, simpatizzante di Ennahdha, siede oggi in Aula.
Nel
2017 è stata istituita una commissione parlamentare tunisina per
trovare rimedi alla radicalizzazione di una parte della popolazione.
Senza seguito. Dopo l'assassinio di Samuel Paty, lo scorso ottobre
nelle Yvelines, il deputato islamo-populista Rached Khiari ha scritto
sulla sua pagina Facebook: "Ogni attacco al profeta Maometto è
il più grande crimine. Tutti coloro che lo commettono devono
assumersi le sue ricadute e ripercussioni.". Parole che hanno
provocato una vivace polemica e che gli hanno procurato guai con la
giustizia del suo Paese.
Su
Facebook, l'assassino di Rambouillet seguiva assiduamente le notizie
di Rached Khiari, di cui era tifoso, ma anche le dichiarazioni
indignate di Jean-Luc Mélenchon sull'Islam in Francia. La giovane
democrazia tunisina, così singolare in un mondo arabo-musulmano
capovolto, potrà ancora resistere a lungo alla piovra islamica che
la mina dall'interno e si diffonde ovunque in Francia e in Europa?
https://www.lefigaro.fr/vox/monde/la-tunisie-en-proie-au-demon-du-terrorisme-20210426