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giovedì 30 novembre 2017

"Una gigantesca prigione" : come influiscono le sanzioni sui cittadini siriani?

Proprio oggi il Segretario di Stato USA Tillerson ribadisce l'intento di rafforzare le sanzioni contro il Governo siriano: ma guardiamo l'efficacia di queste sanzioni sulla vita quotidiana in Siria.... 


 FONTE: alahednewstraduzione per OraproSiria di Gb.P. 

Le sanzioni internazionali privano gli ospedali siriani di macchinari essenziali, dei pezzi di ricambio e anche dei medicinali, e questo ha un impatto significativo sulla popolazione siriana, ma pochissimo effetto sul loro obiettivo dichiarato, ossia spingere Bashar al-Assad a un cambiamento politico, hanno detto medici, uomini d'affari e donne siriane a 'Middle East Eye'.
"Non possiamo importare il protossido di azoto, che è necessario per l'anestesia, perché dicono che può essere usato per fabbricare bombe. Abbiamo bisogno dell'elio per raffreddare i nostri scanners IRM, ma non abbiamo il diritto di importarlo. Molti centri di risonanza magnetica in tutta la Siria sono fuori uso ", ha detto al MEE il dott. Joseph Fares, direttore dell'ospedale italiano di Damasco.
Questo ospedale fu costruito più di cento anni fa per aiutare i missionari cattolici di rito romano in Siria; oggi serve migliaia di Siriani senza distinzioni religiose ogni anno.
Precedentemente in parte finanziato con donazioni dall'Italia, l'ospedale "non può più ricevere denaro dall'Italia, perché non possiamo trasferire fondi alle banche siriane", continua il Dr. Fares. "Le sanzioni erano dirette contro il governo siriano, non capisco perché tutti i siriani debbano soffrirne".
Sanzioni unilaterali
Le sanzioni imposte alla Siria sono unilaterali. Derivano da decisioni prese dalla Gran Bretagna e dal resto dell'Unione Europea, oltre agli Stati Uniti.
Non solo queste sanzioni non sono mai state legalmente autorizzate da alcuna risoluzione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, ma sono anche state esplicitamente condannate da una risoluzione dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite il 20 dicembre 2013, che afferma che "l'applicazione di misure economiche coercitive unilaterali ha un impatto negativo sulle economie e sugli sforzi di sviluppo dei paesi in via di sviluppo in particolare". "Tali misure costituiscono una flagrante violazione dei principi del diritto internazionale e dei principi fondamentali del sistema commerciale multilaterale", continua la risoluzione.
La Gran Bretagna e l'UE hanno imposto le prime sanzioni nel 2011, all'inizio della guerra in Siria, e le hanno rinforzate più volte. Queste includono un embargo sull'importazione di petrolio siriano, il congelamento di beni, restrizioni sui servizi finanziari e divieti all'esportazione su determinate forniture "a duplice uso". Le sanzioni statunitensi vanno oltre: impongono un embargo globale su tutte le esportazioni verso la Siria.
Sebbene la legislazione sulle sanzioni preveda eccezioni per il lavoro umanitario, l'effetto pratico delle restrizioni è di bloccarlo in gran parte, nella misura in cui le agenzie di aiuto umanitario devono coprire i costi e i tempi legali per il lavoro necessario a districarsi nel complesso processo di ottenimento dei permessi di esportazione. Essi sono anche scoraggiati dal timore di essere accusati di violare la legislazione europea o americana se gli articoli esportati non sono riconosciuti come legittimi dalle autorità governative (del Paese esportante). "in pratica, non possiamo comprare nuove macchine," ha lamentato il Dr. Fares.
Il Dr. Mazen Hadad, direttore dell'ospedale dei bambini di Damasco, mi ha raccontato di una situazione simile. “Centinaia di madri sono state in coda per ore davanti all'edificio fino a quando sono arrivato pochi minuti prima che le porte si aprissero per le ore di ambulatorio. All'interno, il personale mi ha mostrato quello che potrebbe essere un museo di vetuste macchine mediche che non poteva essere migliorato o che non aveva pezzi di ricambio, specialmente il software che le controlla. I bambini giacevano in vecchie incubatrici. Le macchine per la TAC erano obsolete.”
Poiché le sanzioni non sono state approvate dalle Nazioni Unite e sono state imposte solo dai paesi occidentali, ora l'ospedale importa circa il 30% delle sue medicine da altri paesi, tra cui l'Iran, l'India e la Cina. L' istituzione si coordina anche con l'Organizzazione Mondiale della Sanità, che è autorizzata a portare medicinali in Siria in determinate circostanze.
Un «effetto dissuasivo»
L'effetto nefasto delle sanzioni sulla Siria è stato evidenziato in un rapporto commissionato l'anno scorso dall'Agenzia svizzera per lo sviluppo e la cooperazione per la Commissione economica e sociale delle Nazioni Unite per l'Asia occidentale (ESCWA), con sede a Beirut. Originariamente destinato alla pubblicazione, è stato divulgato dal sito web The Intercept e da allora è stato ritenuto documento interno dell'ONU, sebbene le copie cartacee siano ampiamente disponibili nella regione e una di esse è stata data al Middle East Eye (MEE)..
Il rapporto descrive le sanzioni statunitensi ed europee come il "più complicato ed esteso regime di sanzioni mai imposto". A causa delle sanzioni imposte alle maggiori banche siriane, inclusa la Banca centrale, solo poche banche possono operare. Il rapporto afferma tuttavia che le sanzioni hanno un "effetto dissuasivo" sulle aziende del settore privato che potrebbero voler lavorare anche con queste banche più piccole, ma sono preoccupate per le possibili involontarie violazioni tecniche delle normative.
L'esportazione del software per le attrezzature mediche richiede licenze, ma le complicazioni incontrate per ordinarlo sono "particolarmente paralizzanti" e "le esenzioni per motivi umanitari sono troppo limitate", afferma il rapporto. Il rapporto include tredici studi, su casi che descrivono i problemi affrontati da associazioni di beneficenza e organizzazioni umanitarie non identificate. Una grande organizzazione europea di aiuti umanitari si è lamentata del fatto che i costi legali per ottenere una licenza statunitense per l'invio di un computer in Siria erano tre volte superiori al costo del computer stesso.
"Le sanzioni si faranno sentire più intensamente quando lavoreremo alla riabilitazione di centrali elettriche, servizi sanitari, pompaggio di acqua e il resto", ha dichiarato Khaled Erksoussi, coordinatore logistico per la Federazione internazionale della Croce Rossa e della Mezzaluna Rossa a Damasco.  "Se vogliamo impedire alle persone di essere sfollati o rifugiati e se vogliamo incoraggiarli a tornare a casa, dobbiamo capire che i cessate il fuoco non sono sufficienti. Le persone non solo sono fuggite a causa dei combattimenti, ma anche per la mancanza di servizi, benefici per la salute, mezzi di sussistenza e posti di lavoro. Non siamo ancora nel pieno della ripresa, ma anche nelle fasi iniziali, le persone hanno bisogno del sostegno, della pianificazione e dell'impegno di donatori e governi stranieri. 
Un'altra organizzazione europea di aiuto umanitario, che ha un volume annuale di oltre 100 milioni di dollari, ha cercato di trasferire fondi ai suoi partner in Siria mandandoli a una banca di un Paese vicino, in modo che i suoi funzionari possano riscuoterli da questo Paese; ma quando l'organizzazione ha rivelato, per motivi di trasparenza, qual era la destinazione finale dei fondi, la banca estera ha rifiutato di eseguire il trasferimento.
Una grande organizzazione non governativa internazionale che è diventata subappaltatrice di un programma delle Nazioni Unite è stata un incredibile esempio degli effetti delle sanzioni. Questa organizzazione doveva comprare e distribuire carburante in Siria, ma per farlo era necessaria una licenza europea. La licenza doveva essere ottenuta attraverso il governo nazionale delle ONG, dove diversi ministeri erano preposti all'approvazione dopo aver negoziato tra loro. Secondo il rapporto dell'ESCWA, "questo dipendeva dall'identificazione della provenienza del carburante. Le circostanze prevalenti in Siria, l'inaffidabilità delle fonti private di carburante e la durata dei negoziati, hanno comportato il continuo aggiornamento della richiesta, che ha richiesto esami più approfonditi all'interno di ciascun ministero. Infine, l'opportunità del programma si è perduta prima che fosse raggiunto un accordo di licenza." Anche se il rapporto non ha specificato la destinazione d'uso del carburante, molti progetti comportano l'uso di generatori quando le centrali elettriche e le linee elettriche convenzionali sono state distrutte o danneggiate.
Le sanzioni colpiscono anche gli enti di beneficenza,
 è difficile inviare denaro alle organizzazioni
benefiche partner. Le sanzioni, che hanno avuto
un effetto catastrofico negli ultimi sei anni di guerra,
avranno probabilmente un effetto ancora maggiore
ora che la guerra sta giungendo al termine
e che le organizzazioni umanitarie e il governo siriano
si stanno orientando verso la ricostruzione
di infrastrutture gravemente danneggiate nel paese

L'impatto sul quotidiano
Oltre alle organizzazioni di aiuto umanitario, le sanzioni hanno un grave impatto sulle imprese private e sui cittadini siriani. Nessuna carta di credito americana o europea è accettata in Siria. È impossibile ottenere una lettera di credito da una banca straniera. Le compagnie di assicurazione occidentali si rifiutano di assicurare le merci destinate alla Siria.
Elia Samman gestisce un'attività di import-export a Damasco. Egli ha creato una società separata in Libano che importa merci, alcune delle quali vengono poi esportate in Siria. "È difficile avere i documenti approvati dai produttori se sanno che i prodotti vanno in Siria. Ciò carica di circa il 35% il costo totale delle merci, che naturalmente, è a carico dell'utente finale ", dichiara Samman al MEE.
Le sanzioni furono rafforzate con l'intensificazione della guerra in Siria. Sotto la pressione degli Stati Uniti, le banche libanesi non consentono più ai siriani di aprire conti in dollari. Chi aveva già un conto può trovarlo bloccato. Anche andare in Libano è difficile.
La Dott. Noha Chuck è Presidente e CEO del Syrian Enterprise and Business Center. Ha una doppia nazionalità siro-canadese e può facilmente viaggiare in Libano con il suo passaporto canadese. "Se hai un passaporto siriano, devi mostrare al confine libanese che hai una prenotazione in un hotel e spesso chiamano l'hotel per controllare. Devi anche avere con te almeno 1000 dollari in contanti. Perché dovresti avere bisogno di così tanti soldi se vi resti solo per una o due notti?" ha spiegato. "Se sei siriano e lavori per un'organizzazione internazionale in Libano e vieni pagato con un assegno in dollari, non puoi incassarlo. Tutto quello che puoi fare è farlo intestare a un amico libanese o di un altro Paese, che può incassarlo e mandarti i soldi.
Inevitabilmente, l'embargo è diventato fonte di criminalità. "È emersa una nuova generazione di evasori di sanzioni", ha affermato la dott Chuck. Ad esempio, le merci scaricate a Latakia (porto siriano sul Mediterraneo) vengono dichiarate come scaricate in Libano nella documentazione ".
Rateb Shallah, banchiere e presidente del Syrian Enterprise and Business Center, ha approfondito la questione: "Le sanzioni non sono il modo giusto per indurre le persone a comportarsi diversamente. L'obiettivo era quello di colpire il governo siriano, ma semmai ciò avrebbe potuto essere stato valido una volta, oggi non è più così. Le sanzioni colpiscono le persone comuni. La sofferenza che causano è globale. Hanno un impatto su tutte le transazioni in Siria. I Siriani sono condannati a vivere in una gigantesca prigione”.

mercoledì 29 novembre 2017

Aiuto alla Chiesa che Soffre: tre progetti per Natale per la città di Aleppo

Tre progetti per far rinascere la città di Aleppo. Tre doni che i benefattori italiani potranno lasciare “sotto l’albero” dei cristiani aleppini.
Quest’anno la campagna di Natale di Aiuto alla Chiesa che Soffre è infatti interamente dedicata alla comunità cristiana di Aleppo. 

 Il primo dono permetterà di rinnovare il sostegno al progetto Goccia di latte, che garantisce latte in polvere a 2850 bambini al di sotto dei 10 anni. Un regalo che, spiega il vicario apostolico di Aleppo e referente del progetto monsignor Georges Abou Khazen, non soltanto permette ai bambini - "le prime vittime del conflitto" - di crescere sani e forti, ma dona anche ai genitori la serenità di offrire nuovamente ai propri figli del latte, un alimento che, a causa della forte svalutazione della lira siriana, ha oggi un costo proibitivo per la maggior parte delle famiglie.
Il secondo intervento da sostenere è in favore dell’Ospedale Saint Louis, affidato alle suore di San Giuseppe dell’Apparizione. La Fondazione pontificia contribuirà all’acquisto di materiale sanitario e di generatori elettrici che consentiranno alle apparecchiature di funzionare nelle ore di blackout che ancora si verificano ad Aleppo.
Infine il terzo regalo di Natale permetterà di ricostruire l’asilo delle suore di Nostra Signora del Perpetuo Soccorso, danneggiato dalla guerra. Una volta tornato in funzione, almeno 50 bambini potranno di nuovo giocare e avere un luogo dove crescere, finalmente, nella pace.
"Le bombe e i combattimenti che in questi anni hanno distrutto Aleppo – afferma il direttore di ACS-Italia, Alessandro Monteduro – sono finalmente cessati, ma tanto resta ancora da fare nella martoriata città, un tempo roccaforte della cristianità in Siria. Quest’anno abbiamo voluto rivolgere il nostro pensiero alla comunità cristiana aleppina, affinché questo possa essere un Natale di rinascita. I progetti sono realmente essenziali. Garantiranno alimentazione, salute ed educazione e vedranno coordinatori, tra le più belle figure della grande famiglia cristiana. Il nostro augurio, e il nostro impegno concreto, è che le migliaia di fedeli partiti in questi anni possano tornare a casa, assieme agli altri, per vivere finalmente in pace e perpetuare la presenza cristiana in uno dei suoi luoghi simbolo. L’invito dunque è a sostenere numerosi i nostri fratelli nella fede in difficoltà".
QUI il LINK per donare: http://acs-italia.org/campagna-natale-aleppo-tw/

domenica 26 novembre 2017

In Libano sale la tensione tra rifugiati siriani e libanesi

                      foto JC Antakli
 Nell'articolo di S.I.R. che sotto riportiamo, padre Paul Karam, presidente di Caritas Libano, esprime gravi preoccupazioni per la situazione nel Paese, in particolare a causa della presenza di due milioni di rifugiati siriani, il 35% della popolazione. Preoccupazioni che ci sono state ampiamente riferite anche da vari interlocutori durante il nostro recente viaggio in Libano. 
E con doloroso sconcerto abbiamo anche sentito nei discorsi dei Libanesi un diffuso sentimento di esasperazione verso i Siriani ...
 E' evidente come l'arrivo massiccio dei rifugiati abbia avuto un impatto destabilizzante per il Paese dei Cedri, già fragile dal punto di vista politico e socioeconomico.  Ma pensiamo che del dramma, foriero di tensioni, dei profughi siriani in Libano occorra cogliere anche altri aspetti. Infatti, i rifugiati non sono solo un onere finanziario che pesa sulle casse dello Stato libanese: rappresentano anche un'entrata economica, da parte di innumerevoli organizzazioni internazionali e a favore di enti assistenziali nazionali, che hanno inoltre l'opportunità di assumere personale libanese per i loro progetti.  Quanto al deterioramento del mercato del lavoro, i responsabili non sono i Siriani sottopagati ma piuttosto gli imprenditori libanesi che assumono i rifugiati senza contratto e con condizioni orarie e di lavoro irregolari.  E gli endemici problemi di traffico, blackout di energia, smaltimento dei rifiuti, risalgono a ben prima dell'arrivo dei rifugiati. I delitti sessisti contro le donne non sono appannaggio dei soli criminali siriani....
 E, soprattutto, davanti alle miserrime condizioni di vita della maggioranza dei Siriani nei cosiddetti 'campi profughi', abbiamo l'obbligo morale di ricordare chi ha causato questa situazione. Sono i Paesi e le entità che negli anni hanno sostenuto il terrorismo, alimentando in tal modo una devastante guerra. Una tragedia che ha distrutto un Paese, la Siria, dal quale ben pochi fino al 2011 avrebbero pensato di andar via...
      La redazione di OraproSiria


S.I.R., 24 novembre 2017

Libano, “un Paese accogliente e generoso che sta pagando a caro prezzo la sua generosità. Ne risentiamo in termini di infrastrutture, lavoro, servizi e welfare. Oggi il 36% della popolazione libanese vive sotto la soglia di povertà, con meno di due dollari al giorno. Il 60% di questo 36% è composto da giovani di età compresa tra i 16 e 27 anni. Crescono i disoccupati tra i libanesi a vantaggio dei rifugiati siriani che lavorano in nero, senza tutele e senza aggravio di tasse”.
È una disamina che va dritta al cuore del problema quella che padre Paul Karam, presidente della Caritas Libano, traccia della situazione nel Paese del Cedri, dove dal 2011, anno di inizio della guerra siriana, sono affluiti 1,2 milioni di rifugiati (dato Unhcr) “ma sono almeno 1,8 milioni, perché vanno calcolati quelli che non vogliono essere registrati, soprattutto tra i cristiani”. Ciò equivale a dire che “il 35% della popolazione libanese è composto da siriani, senza dimenticare circa 500mila palestinesi e 70mila iracheni e altre centinaia di migliaia di lavoratori stranieri”.

Bomba demografica. Complice una “frontiera porosa e scarsi controlli, almeno nella fase iniziale della guerra, i rifugiati sono entrati dalla Siria e oggi non c’è una località nel Paese dove non siano presenti con tutto il loro carico di bisogni” che rispondono al nome di istruzione, lavoro, sanità, casa, infrastrutture.
Non è facile per un Paese di 4 milioni di abitanti far fronte a queste emergenze, in particolare il lavoro che scarseggia per la crisi economica, i servizi sociali ridotti all’essenziale, le infrastrutture divenute insufficienti (scuole e ospedali). Per esempio, per permettere ai bambini siriani di andare a scuola è stata stabilita l’apertura pomeridiana delle aule con un ulteriore aggravio di spese di gestione e manutenzione scolastica”.
Crescono nel contempo anche le tensioni sociali tra libanesi e siriani, questi ultimi già accusati di “rubare il lavoro ai siriani” e al centro, sempre più spesso, di gesti di criminalità e di reati gravi come furti e rapimenti.

Ma la vera bomba a orologeria per il Libano è rappresentata dalla demografia che rischia di far saltare il confessionalismo, sistema che premia le 18 confessioni presenti nel Paese e riconosciute dalla Costituzione che affida a ciascuna ruoli e incarichi istituzionali, Presidenza della Repubblica ai cristiani, Capo del Governo ai sunniti, presidente Parlamento agli sciiti e via dicendo. “Solo negli ultimi tre anni – secondo dati di Caritas Libano – sono nati circa 150mila bambini che non sono stati registrati né in Libano né in Siria. Ufficialmente non esistono, non hanno carta di identità, ma provengono da famiglie in larghissima maggioranza sunnite.
Questi nuovi nati sono destinati ad alterare i rapporti di forza delle confessioni.
Sunniti, infatti, sono anche i palestinesi che già vivono nel Paese dei cedri”.
                                                 foto JC Antakli

Quale soluzione?
È tempo di programmare il ritorno dei siriani in patria, almeno nelle zone pacificate”, sostiene padre Karam, per il quale il rientro dei rifugiati è una  delle risposte principali da dare per alleggerire il carico dell’accoglienza sulle spalle dei libanesi. “Si tratta – afferma – di un lavoro da pianificare nei prossimi anni, concertato tra organismi internazionali e nazionali con l’ausilio di Ong, agenzie umanitarie impegnate sul terreno come la stessa Caritas”.

Questo non significa, sottolinea il presidente di Caritas Libano, “un passo indietro nella scelta dell’assistenza e dell’accoglienza ai rifugiati. Tutt’altro. Bisogna però dare anche spazio a quei libanesi, e sono tanti, che hanno bisogno di aiuto materiale”.
A tale scopo la Caritas ha proposto che “il 30% di ogni progetto o programma di solidarietà destinato ai siriani vada ai libanesi quindi alla comunità ospitante”. Un’istanza che dovrà essere presentata ai donors. Nel caso venisse accettata “finanziare progetti di sviluppo per la comunità locale diventerebbe più facile e la popolazione, specie dei villaggi, sarà spinta a restare”, dice padre Karam. “Cosa che non accade oggi. Ai nostri centri di ascolto, infatti, sono sempre di più i libanesi che vengono a chiedere aiuto di ogni tipo, pagamenti bollette, cibo, vestiario, e anche visite mediche. Le richieste sono praticamente raddoppiate in ogni Centro. In collaborazione con Caritas straniere abbiamo attivato delle cliniche mobili che servono separatamente libanesi e siriani. Sono sempre più frequenti, infatti, le tensioni tra i due gruppi con i primi che accusano i secondi di non pagare nessun ticket sanitario. Oggi i libanesi vogliono essere considerati alla stregua dei rifugiati”.
Una guerra tra poveri che, per padre Karam, “va assolutamente evitata, anche perché a rimetterci per primi sono soprattutto i giovani che scelgono così di emigrare privando il Libano delle sue leve più forti e istruite”.

Un miracolo. “Come il Libano abbia potuto fino ad oggi sostenere tutto il peso dell’accoglienza dei rifugiati si può spiegare solo con un miracolo. E devo dire – aggiunge il presidente della Caritas – che molto aiuto è arrivato dai libanesi della diaspora che hanno inviato aiuti e denaro ai loro connazionali qui. Grazie alle loro rimesse anche lo Stato è rimasto in piedi. Ma tutto questo sarà vano se non si trovano vie diplomatiche per dare soluzione giuste e sostenibili ai conflitti che si avvitano uno con l’altro in questa area mediorientale. Senza pace e giustizia il rischio di implosione di questa Regione è dietro l’angolo. Con effetti tragici per tutto il mondo”.

mercoledì 22 novembre 2017

Parla il parroco della città martire Maloula, padre Eid Tawfik: «Noi cristiani dobbiamo perdonare ma se i musulmani non riconoscono gli errori commessi non ci potrà essere riconciliazione»

di Leone Grotti

«Noi cristiani di Maloula dobbiamo perdonare, perché il perdono è il cuore della nostra fede. Ma per la riconciliazione questo non basta». Non c’è traccia di odio nelle parole di padre Tawfik Eid e non è scontato. Il parroco di Maloula, città martire siriana, si trova in Francia per un ciclo di conferenze e ha rilasciato una lunga intervista video a Tv Libertés. Padre Eid ricorda i giorni del settembre 2013, quando i jihadisti di Al-Nusra entrarono nella città, vicina a Damasco, e la conquistarono uccidendo tre cristiani (dichiarati martiri), sequestrandone altri sei (cinque sono stati ritrovati morti), distruggendo case, chiese e rubando preziose icone di santi. In quei giorni i musulmani si unirono ai jihadisti, rivoltandosi contro i vicini di casa cristiani e partecipando alle sevizie.

«VENUTI PER UCCIDERVI». La vicenda è drammatica. All’inizio delle proteste antigovernative, due terzi dei musulmani di Maloula hanno preso le parti del Free Syrian Army e si sono presentati come protettori dei residenti cristiani di fronte ai jihadisti di Al Nusra a condizione che i cristiani non si organizzassero in una milizia di difesa locale e facessero pressioni sui militari per rimuovere il posto di blocco che era stato istituito nei pressi del monastero dei Santi Sergio e Bacco. Cosa che poi è avvenuta, col risultato di consegnare alture e monastero a Jabhat al Nusra sin dal marzo 2013. In seguito i musulmani antigovernativi di Maloula hanno appoggiato le operazioni militari dei jihadisti o addirittura si sono uniti a loro. Su una parete del salone polifunzionale della parrocchia di San Giorgio, accuratamente razziato, si legge una grande scritta verniciata su di una parete: «Cristiani, alawiti, sciiti, drusi: siamo venuti per uccidervi».

LA RICONCILIAZIONE. Dopo che Maloula è stata riconquistata dall’esercito nel 2014, la vita in città sta lentamente tornando alla normalità. Tutto è da ricostruire, soprattutto i rapporti e la fiducia reciproca. «Per tornare a vivere come prima i musulmani devono prima riconoscere i loro errori. I cristiani non possono coltivare l’odio nel loro cuore, altrimenti saremmo uguali ai terroristi. Però non può esserci riconciliazione senza il pentimento da parte loro». Dalle parole e dai silenzi di padre Eid si capisce che il processo è in corso ma è ancora lontano dalla conclusione.

«COME GESÙ SULLA CROCE». Tra i cristiani rapiti e ritrovati sgozzati c’era anche il sagrestano di padre Eid, che però ha perdonato. Ma il sacerdote è il primo a imparare la fede dai suoi parrocchiani, che come tutta la popolazione del villaggio parla ancora un dialetto aramaico molto simile a quello di Gesù: «Come Gesù sulla croce, anche noi abbiamo gradito: “Dio, perché ci hai abbandonato?”. Ma poi abbiamo scoperto che non ci aveva affatto lasciati soli e la dimostrazione sono le poche perdite che abbiamo subito. La città, pur avendo passato dei mesi terribili, non è stata distrutta e oggi siamo tornati. La nostra fede oggi non solo non è stata minata, ma è più forte e sono i miei parrocchiani a dirmelo per primi».

«CRISTIANI, IMPEGNATEVI IN POLITICA». Il sacerdote, invitato in Europa dall’associazione francese SOS Chrétien d’Orient, che sta aiutando a ricostruire Maloula, ha rivolto al termine dell’intervista un appello alla Francia e all’Occidente: «Prima di tutto devo ringraziare di cuore chi ci sta aiutando a tornare a vivere. Ma voglio anche dire una cosa a tutti i cristiani, a tutti i cattolici e agli uomini di buona volontà: voi dovete affrontare una sfida più dura della nostra. Noi abbiamo subìto l’offensiva dei terroristi, voi dovete combattere contro ateismo e laicismo. Per farlo non potete limitarvi a lamentarvi delle cattive leggi che vengono approvate in Europa, dovete impegnarvi di più in prima persona nella vita pubblica e innervarla con la vostra esperienza di fede. Non basta dire che gli altri sono cattivi. Se non lo fate, se non vi impegnate in politica, nessuno lo farà al posto vostro».