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venerdì 18 luglio 2025

La Siria è spacciata

I raid aerei con cui Tel Aviv ha imposto alle truppe di Damasco il ritiro dalla città drusa di Sweida e bombardato il ministero della Difesa fanno da cupo presagio al futuro della Siria (Scaglione)


 Avvenire  17 luglio 2025 - di Fulvio Scaglione

I raid aerei con cui l’aviazione di Israele prima ha imposto alle truppe siriane il ritiro dalla città a maggioranza drusa di Sweida e poi ha bombardato il ministero siriano della Difesa nel cuore della capitale Damasco, dimostrando di poter colpire liberamente in qualunque punto del Paese, non parlano tanto di Israele ma fanno da cupo presagio al futuro della Siria. Per almeno due ragioni.

La prima ha a che fare con la sua storia contemporanea. Nei lunghi e drammatici anni della guerra civile, si era diffusa l’illusione che la rimozione del dittatore Bashar al-Assad avrebbe portato, quasi di per sé, a una specie di riconciliazione nazionale in nome della riconquistata libertà. Assad è scappato a Mosca ma è successo il contrario: sparatorie tra milizie curde e sunnite, bombe islamiste nelle chiese cristiane, stragi di alawiti da parte dei sunniti, una vera guerra tra i reparti sunniti fedeli al presidente al-Jolani/al-Sharaa e i gruppi di autodifesa della comunità drusa, a loro volta aiutati dagli alawiti. Tutte le vecchie faglie etnico-religiose si sono spalancate e rischiano di inghiottire il Paese, eccitate anche da un progetto di nuova Costituzione che, a credere alle voci che arrivano da Damasco, mostra più di un tratto islamista. Che corrisponde alla natura e all’origine dei nuovi governanti, ex dirigenti o capi militari del gruppo qaedista Hayat Tahrir al-Sham (Hts), ma ovviamente inquieta le numerose, corpose e influenti minoranze siriane.

E poi c’è la situazione internazionale. Nel 2011 Recep Tayyip Erdogan diceva di voler cacciare Assad per andare a pregare nella moschea degli Omayyadi di Aleppo. Nel dicembre scorso, lanciando all’offensiva gli uomini di HTS che aveva a lungo finanziato e armato, il presidente ha mostrato di non aver rinunciato al vecchio sogno. Anche lui, però, ha sbagliato molti conti. Fino a quel punto, infatti, aveva più o meno retto un equilibrio perverso ma utile per cui la Russia teneva a bada Assad, permetteva a Israele di attaccare le basi iraniane in Siria, trattava con la Turchia e faceva, più o meno, da elemento d’equilibrio. Non è un caso se a parlare con i capi delle comunità druse ora ribelli fossero, negli anni scorsi, più i militari russi che i funzionari assadiani.

Erdogan ha creduto che al-Jolani e i suoi potessero prendere in fretta il controllo del Paese, sottovalutando le difficoltà interne di cui sopra. In più, ha male interpretato le mosse di Israele, che del ribaltone siriano ha approfittato per allargare il cerchio delle proprie operazioni e rendere ancora più ambiziosa la propria strategia. Ora Erdogan è paralizzato: non vuole e non può fare la guerra a Israele ma non sa come difendere il “suo” al-Jolani, di bomba in bomba sempre più avviato al ruolo di sindaco di Damasco più che di presidente della Siria. Con il Nord controllato dal padre-padrone Turchia, il Golan a Sud dominato da Israele attraverso i drusi, l’Est ricco di petrolio sotto la tutela degli americani e dei loro protetti curdi.

Ed è proprio questo che giustifica i pronostici pessimistici sul futuro del Paese. Oggi tutti i Paesi occidentali corrono a stringere la mano ad al-Jolani e si affrettano a eliminare le sanzioni con cui è stato affamato per anni il popolo siriano, senza però muovere un dito per difendere la stabilità e l’integrità territoriale della Siria. È un paradosso solo in apparenza. Alle potenze regionali va benissimo poter rosicchiare parte del territorio siriano per soddisfare le loro più o meno credibili esigenze di sicurezza. Alle altre, quelle più lontane, non va male che in Medio Oriente venga realizzata l’ennesima ristrutturazione delle aree di influenza, se non anche dei confini, che in questo caso prevede la cacciata della Russia, la mortificazione delle ambizioni dell’Iran e la riduzione della stessa Siria a un piccolo Paese disarmato e fragile, avviato al ruolo di semplice piattaforma di interessi altrui. Una specie di secondo Libano, insomma, costretto a sperare nella benevolenza dei più forti. Con una certa libertà di azione, però, per Al Jolani o chi per esso. A difendere i Drusi è intervenuto Israele in base a precisi interessi strategici. A difendere gli Alawiti non è arrivato nessuno, e anche i venti cristiani uccisi in chiesa hanno destato un’attenzione insufficiente.

«Il mondo non distolga lo sguardo dalla Siria», ha detto papa Leone XIV pochi giorni fa. Ma la sensazione è che dei siriani e del loro destino importi poco. E che lo sguardo della comunità internazionale sia distolto, ma non per caso.

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FIDES, 14 luglio 2025

Arcivescovo Jacques Mourad: "Gesù vuole che la Sua Chiesa rimanga in Siria. E questa idea di svuotare la Siria dei cristiani, non è certo la volontà di Dio».

È tornato da pochi giorni l’Arcivescovo Jacques Mourad, dopo aver partecipato a Roma al Sinodo dei Vescovi della Chiesa siro cattolica. E subito è stato preso dalle tante cose che a Homs lo stavano aspettando. «In questi giorni celebro le prime comunioni dei bambini e delle bambine nelle parrocchie dei villaggi. È una gioia che tocca il cuore. Ringraziamo il Signore per tutti questi segni di speranza che Lui offre a noi, nella nostra povertà».

Calibra ogni parola, Jacques Mourad, quando parla del tempo che sta vivendo la sua Patria e il suo popolo.
Il monaco della comunità di Deir Mar Musa, divenuto Arcivescovo siro cattolico di Homs Hama e Nabek, ha anche lui nel cuore il tumulto per la strage dei cristiani massacrati a Damasco il 22 giugno, mentre erano riuniti con i fratelli e le sorelle per partecipare alla messa domenicale nella chiesa di Sant’Elia.

Le parole del Vescovo Jacques, nato a Aleppo e unitosi alla comunità monastica fondata dal gesuita romano Paolo Dall’Oglio, sono a tratti taglienti, mentre racconta il presente siriano.
Ripete che «Oggi la Siria è finita come Paese». Ma vede anche che, in tale naufragio, la Chiesa in Siria continua il suo cammino e la sua opera, per il bene di tutti. E ciò accade solo «perché questa è la volontà di Gesù. Gesù vuole che la Sua Chiesa rimanga in Siria. E questa idea di svuotare la Siria dei cristiani, non è certo la volontà di Dio».

La strage dei cristiani
  Il nuovo potere che domina a Damasco cerca parole rassicuranti. Anche dopo la strage nella chiesa di Sant’Elia, rappresentanti governativi ripetono che i cristiani sono una componente ineliminabile del popolo siriano. «E io voglio dire» scandisce l’Arcivescovo Mourad «che il governo porta direttamente la responsabilità di tutto quello che è successo. Perché ogni governo è responsabile della sicurezza del popolo. E non parlo solo dei cristiani. Anche tanti sunniti, tanti alawiti sono stati uccisi, tanti sono spariti. Se una squadra mandata da qualche organismo internazionale venisse a ispezionare le carceri, adesso ci troverebbe tanta gente che non ha nulla a che fare con i crimini del regime passato. Credo si possa dire che questo governo sta perseguitando il popolo. Tutto il popolo».

L’Arcivescovo siro cattolico di Homs percepisce ostilità anche nelle formule rassicuranti utilizzate dal nuovo regime siriano verso i battezzati: «Ogni volta che sento parlare della “protezione” dei cristiani, sento che siamo messi sotto accusa. E sotto minaccia. Sono formule usate non per manifestare benevolenza, ma per incriminare. Quello che devo dire è che questo governo fa le stesse cose fatte dal regime di Assad contro il popolo. Ambedue i regimi, quello di Assad e quello di adesso, non hanno alcun rispetto per il popolo siriano e la sua storia».
 
Siria finita 

La Siria - riconosce l’Arcivescovo Jacques - ha una grande eredità, e ha il presente del suo popolo giovane. «Ma gli ultimi governi «sembrano voler annichilire, distruggere, questa civilizzazione, la civiltà di questo popolo. È un crimine mondiale, non riguarda solo noi».
 «L’Unesco proclama patrimonio dell'umanità tanti luoghi della Siria. Poi nessuno li protegge. E ora abbiamo bisogno di proteggere il nostro patrimonio vivente, non solo i monumenti».
 
Prima i megafoni, poi il terrore
   Le sigle del terrore cambiano spesso la loro “griffe”. Fonti governative siriane, per l'attentato alla chiesa di Damasco, hanno chiamato in causa non meglio specificati militanti di Daesh, lo "Stato Islamico". Ma a rivendicare la strage dei cristiani è stata una sigla jihadista appena inaugurata, Saraya Ansar al-Sunna, creata forse da fuoriusciti da Tahrir al-Sham. Strategie di mercato, gestione "professionale" della comunicazione e della propaganda.
 
I cristiani ortodossi della chiesa di Sant'Elia a Damasco - questo ripetono più fonti e testimoni sul campo -  sono stati massacrati "per punizione", dopo che alcuni di loro avevano avuto un alterco coi militanti islamisti che andavano di continuo davanti alla chiesa con gli altoparlanti montati sulle automobili per sparare a alto volume nelle orecchie dei battezzati i versetti del Corano e i richiami a convertirsi e a aderire all'Islam. La stessa cosa - conferma l'Arcivescovo Jacques - succede anche a Homs e in tutta la Siria: «Passano con le macchine di sicurezza del governo, e dagli altoparlanti chiedono ai cristiani la conversione. Se poi noi chiediamo ragione di questi comportamenti a quelli della sicurezza, ci rispondono che si tratta di iniziative individuali. Ma intanto continuano a usare le auto della sicurezza…il popolo non crede più a questo governo».

Sponsor d'Occidente
  Intanto chi comanda oggi in Siria continua a cercare accreditamenti da parte di circoli e poteri esterni. Rappresentanti del governo si sono detti pronti a rifare l'armistizio con Israele del 1974.
 «Io» riconosce l’Arcivescovo Mourad «non sono un politico. E vedo che quasi tutto il popolo siriano desidera la pace. Desidera anche arrivare a un accordo di pace con Israele, per tutti i Paesi del Medio Oriente. Dopo tutti questi anni sono tutti veramente stanchi di questa guerra, e di considerare gli ebrei come nemici. Ma se arrivassimo adesso a un accordo con Israele, ciò avverrebbe solo perché adesso la Siria è debole. E un simile accordo, in un momento come questo, sarebbe solo un altro atto di umiliazione del popolo.  Quindi, prima che il Presidente arrivi a siglare tale accordo, bisognerebbe almeno parlare chiaro al popolo, spiegare cosa significa questo accordo, e cosa c'è dentro. Quali sono le condizioni per Israele e per i siriani».
 
L’esercito israeliano - prosegue l’Arcivescovo siro cattolico di Homs «ha occupato tanti territori siriani dopo la fine del regime di Assad. Questo vuol dire che forse dobbiamo dimenticarci per sempre delle alture del Golan. E questo vuol dire che il popolo siriano, soprattutto a Damasco, potrà sempre essere sotto minaccia con lo strumento della sete, perché l'acqua a Damasco arriva dal Golan. E se rimaniamo sotto il potere di Israele per l'acqua, immaginiamoci per le altre cose…».
 
Oggi - aggiunge padre Jacques, entrando dentro i drammi del presente siriano «la Siria è finita come Paese. Continuiamo a ripetere che è il primo Paese del mondo, che Damasco e Aleppo sono le città più antiche del mondo, ma questo nel presente non vuol dire più niente. È finita, gran parte del popolo vive sotto il livello di povertà, siamo massacrati, umiliati, stanchi. Non abbiamo la forza di riprenderci da soli la nostra dignità. Se non c'è un sostegno politico sincero a favore del popolo, e non del governo, siamo finiti.  Nessuno può condannare il popolo siriano perché emigra, e cerca salvezza fuori dalla Siria. Nessuno ha il diritto di giudicare».  In una situazione dove tutta l'economia, e il sistema educativo, e anche quello sanitario sono al collasso.

Da dove ricominciare 
  È possibile trovare delle strade per andare avanti, quando l’orizzonte è così buio e sembra mancare il respiro?
L'Arcivescovo sceglie parole forti e impegnative per tratteggiare oggi la condizione e la missione delle Chiese e dei cristiani siriani.
«Secondo me la Chiesa è l'unico riferimento di speranza per tutto il popolo siriano. Per tutto, non solo per i cristiani. Perché noi facciamo tutto per sostenere il nostro popolo, nel modo che possiamo».
 
«Dopo la caduta di Assad, tanti nelle nostre comunità e parrocchie sono entrati in una crisi di paura. Una disperazione terribile. Anche io ho fatto visite a tutte le parrocchie, in ogni villaggio, per incoraggiare i cristiani, parlare del futuro. Grazie a Dio, ogni volta io mi sento accompagnato dal Signore, nelle parole, nel discorso che faccio per il popolo. E così, in questa situazione, siamo presi a organizzare regolarmente gli incontri per i giovani, per i bambini, per i gruppi impegnati nella Chiesa in diversi modi».
 
Anche in una situazione per molti versi tragica, la vita ordinaria delle comunità ecclesiali prosegue il cammino.
E proprio le comunità ecclesiali provano a promuovere il dialogo per la convivenza tra tutti i gruppi e le componenti, in un contesto lacerato, impregnato di dolore e risentimenti.
 «A Aleppo e anche a Damasco sono veramente bravi. I Vescovi hanno dato spazio anche ai laici per riflettere e prendere l'iniziativa.
A Homs proviamo di fare incontri con tutte le altre comunità. Alawiti, ismailiti, sunniti, cristiani. Le persone che incontriamo sono tutte preoccupate per la politica del governo, anche i musulmani. Siamo uniti, perché siamo tutti sulla stessa barca, come ripeteva Papa Francesco».
 
L’incontro con Papa Leone 
  È stato Papa Leone a chiedere ai Vescovi siro cattolici di venire a Roma per tenere nella città eterna il loro Sinodo ordinario, svoltosi dal 3 al 6 luglio. «È stata un'occasione bellissima poterlo incontrare, conoscerlo e avere la sua benedizione.  Ho seguito con attenzione i discorsi che lui ha fatto parlando delle Chiese orientali e dell’Oriente cristiano. Ho approfittato di questo incontro per ringraziarlo e chiedere di incoraggiare tutta la Chiesa cattolica a prendere l'iniziativa soprattutto per sostenere il popolo siriano nelle sue urgenze primarie».

La speranza traspare nelle opere concrete 
  «Per me» sottolinea Jacques Mourad «è importante che la Chiesa si coinvolga intensamente nella ricostruzione delle scuole e di tutto il tessuto educativo in Siria. E anche che nella costruzione di ospedali decenti per il nostro popolo. Già abbiamo in funzione delle scuole, a Aleppo, a Damasco, ma non bastano. A Homs non c’è niente. Dobbiamo lavorare su questo, perché questo può aiutare anche a arginare l’emigrazione dei cristiani. Tutti i genitori pensano al futuro dei loro figli. E se non possono garantire loro scuole dove studiare e ospedali che funzionino, rimane solo la scelta di andar via. Abbiamo bisogno di tutto. Abbiamo bisogno anche di far rinascere centri pastorali e culturali che possano accompagnare la crescita anche umana e culturale dei nostri giovani. E anche di case per i giovani che vogliono sposarsi. Così si possono incoraggiare tutti i giovani a rimanere nel Paese, a non andar via».

Così il presente e il futuro dell'Arcivescovo Jacques si riempie di cose buone da fare. Mancano le risorse, ma l'orizzonte è chiaro:  «Così possiamo andare avanti, nel cammino della nostra Chiesa in Siria. Perché questa è certo la volontà di Gesù. Gesù vuole che la Sua Chiesa rimanga in Siria. Questa idea di svuotare la Siria dei cristiani, non è certo la volontà di Dio».
«E noi per primi, i discepoli di Cristo, e chi esercita delle responsabilità a nome suo, abbiamo il dovere di proteggere i nostri fedeli e fare tutto il possibile garantire il futuro della Chiesa in Siria». 

martedì 15 luglio 2025

Dichiarazione dei Capi delle Chiese di Gerusalemme durante la Visita di Solidarietà a Taybeh

Patriarcato Latino di Gerusalemme, 14 luglio 2025

Noi, il Consiglio dei Patriarchi e Capi delle Chiese di Gerusalemme, siamo oggi a Taybeh in solidarietà con la comunità locale a seguito di una tendenza crescente di attacchi sistematici e mirati contro di loro e la loro presenza. Chiediamo le preghiere, l’attenzione e l’azione del mondo, in particolare quella dei cristiani a livello globale.

Lunedì 7 luglio 2025, radicali israeliani provenienti dagli insediamenti vicini hanno appiccato intenzionalmente il fuoco vicino al cimitero della città e alla Chiesa di San Giorgio, risalente al V secolo. Taybeh è l’ultima città completamente cristiana rimasta in Cisgiordania. Queste azioni sono una minaccia diretta e intenzionale, innanzitutto per la nostra comunità locale, ma anche per l’eredità storica e religiosa dei nostri antenati e dei luoghi santi. Di fronte a tali minacce, il più grande atto di coraggio è continuare a chiamare questo posto la propria casa. Siamo al vostro fianco, sosteniamo la vostra resilienza e vi assicuriamo le nostre preghiere.

Ringraziamo i residenti locali e i vigili del fuoco per aver spento l’incendio prima che i nostri luoghi santi venissero distrutti, ma uniamo le nostre voci a quelle dei sacerdoti locali – greco-ortodossi, latini e melchiti greco-cattolici – per lanciare un chiaro appello di sostegno di fronte ai ripetuti attacchi sistematici di questi radicali, che stanno diventando sempre più frequenti.

Negli ultimi mesi, i radicali hanno portato il loro bestiame a pascolare nelle fattorie dei cristiani sul lato est di Taybeh – l’area agricola – rendendole come minimo inaccessibili, ma nel peggiore dei casi danneggiando gli uliveti da cui le famiglie dipendono. Lo scorso mese, diverse case sono state attaccate da questi radicali, che hanno appiccato incendi ed eretto un cartello con la scritta, tradotta in inglese: “non c’è futuro per voi qui”.

La Chiesa è presente fedelmente in questa regione da quasi 2.000 anni. Rifiutiamo con fermezza questo messaggio di esclusione e ribadiamo il nostro impegno per una Terra Santa che sia un mosaico di fedi diverse, che vivono insieme pacificamente con dignità e sicurezza.

Il Consiglio dei Patriarchi e Capi delle Chiese chiede che questi radicali siano chiamati a rispondere delle loro azioni dalle autorità israeliane, che ne facilitano e consentono la presenza attorno a Taybeh. Anche in tempo di guerra, i luoghi sacri devono essere protetti. Chiediamo un’indagine immediata e trasparente sul motivo per cui la polizia israeliana non ha risposto alle chiamate di emergenza della comunità locale e perché queste azioni abominevoli continuino a rimanere impunite.

Gli attacchi perpetrati dai coloni contro la nostra comunità, che vive in pace, devono cessare, sia qui a Taybeh che altrove in Cisgiordania. Questo è chiaramente parte degli attacchi sistematici contro i cristiani che vediamo dispiegarsi in tutta la regione.

Inoltre, chiediamo a diplomatici, politici e funzionari ecclesiastici di tutto il mondo di alzare una voce coraggiosa e pregante per la nostra comunità ecumenica a Taybeh, affinché la loro presenza sia sicura e possano vivere in pace, pregare liberamente, coltivare senza pericolo e vivere in una pace che sembra essere fin troppo scarsa.

Ci uniamo ai nostri confratelli del clero a Taybeh nel reiterare questa speranza di fronte a una minaccia persistente: “la verità e la giustizia prevarranno alla fine”. E ricordiamo le parole del Profeta Amos, che diventano la nostra preghiera in questo periodo difficile: “scorra invece il diritto come acqua e la giustizia come un torrente perenne”.

+ I Patriarchi e Capi delle Chiese di Gerusalemme.

venerdì 11 luglio 2025

"La pace sia con voi!": lettera di luglio da Fons Pacis in Siria

Una Presenza da ascoltare

Girando per il cantiere alla mattina, si vive il dono di tutta la bellezza della Presenza che ti parla.


Carissimi,
eccoci con qualche riga per voi.
In tanti ci chiedono come stiamo… Noi bene, di per sé. Ma sospese, come tutti qui. Ora soprattutto, dopo l’attentato nella chiesa Greco Ortodossa di Damasco, all’incertezza che era già la nota dominante, si aggiunge la paura. Paura di un nuovo Iraq, cioè di attentati senza fine e di una lotta civile fra diversi gruppi religiosi. Tutti sono come paralizzati, incapaci di immaginare il futuro anche solo una settimana più in là. 
Anche noi risentiamo di tutto questo, pur continuando a vivere giorno per giorno la grazia che ci è data. Perché Signore non fa mancare mai la sua presenza, con piccoli miracoli, come quello di avere avuto con noi per qualche giorno un sacerdote e aver celebrato solennemente la Pentecoste, con la Messa Vespertina e la Messa del giorno... Sembra scontato, ma per noi è un regalo grande. Mentre vi scrivo una luce dorata sta illuminando l’alba di questo giorno, i nostri vicini raccolgono a mucchi i ceci ormai secchi. Nuove persone, nuovi amici, hanno visitato e conosciuto il monastero (mentre gli ospiti abituali quest’anno sono veramente pochi: nessuno si allontana volentieri da casa). I nostri operai fino ad ora sono stati protetti, la terra dà i suoi frutti e li condividiamo con loro...


Ma questo attentato è stato un colpo molto duro: non solo per le vittime e il dolore causato, ma perché altre minacce sono state formulate per altre chiese, con tanto di manifesto sui social, e nomi delle comunità minacciate. Mai una comunità era stata colpita nel cuore di una funzione religiosa... Perché i soldati del governo che facevano guardia all’esterno della chiesa hanno lasciato entrare gli attentatori?.. Questo, aldilà di ogni altra considerazione, rende vane le parole di rassicurazione delle autorità. Se ci saranno altri episodi di questo tipo, l’esodo dei cristiani sarà inarrestabile.

Dappertutto ci sono state veglie di preghiera, fiaccolate dei Cristiani a cui si sono uniti - si deve dire - anche tanti musulmani... A Damasco cantavano: “con lo Spirito e con il sangue rispondiamo alla tua chiamata, o Cristo”. 


Anche nel nostro villaggio gli scout hanno organizzato una fiaccolata, alla quale abbiamo partecipato anche noi. La sorella di Hilhem, una delle donne del villaggio che lavora con noi, era a Messa a Damasco, nella chiesa dell’attentato. È sopravvissuta, ma è stata operata d’urgenza all’addome ed è ferita a un piede. Tanti altri della valle dei Cristiani, qui vicino a noi, hanno avuto qualche parente morto o ferito, in particolare giovani, perché i ragazzi cristiani che studiano a Damasco vivono perlopiù in quel quartiere...

Se i Cristiani sono preoccupati - ed ora anche arrabbiati - ancor più difficile è per gli Alauiti, che stanno subendo una vera e propria pulizia etnica: tanti nostri vicini raramente dormono la notte, spaventati dalle incursioni dei “barbuti”, che a volte solo girano per spaventare, ma altre volte entrano nelle case, rubano ed anche uccidono.

Noi, come dicevo, siamo rispettate, ma la notte quando cominciano a sentirsi spari e raffiche nei villaggi vicini, tanto tranquille non siamo.


Siamo rispettate anche dai soldati del nuovo governo, voglio dire. Di più: salvo qualche eccezione, sono tutti gentili, persino sorridenti con noi, ci chiedono se abbiamo bisogno di aiuto. Ma come possiamo non pensare che accanto a noi altri invece vengono vessati ed anche uccisi?

La gente è inquieta, nessuno si sente sicuro; bastano poche persone fuori controllo, armate - e impunite - per fare una strage. E se dovessimo dire che molti dei Sunniti che conosciamo sono sereni, diremmo una menzogna; più sicuri, certo, perché ora la forza è dalla loro parte. Ma contenti con questa situazione, no di certo. Non era questa la nuova Siria che si aspettavano.

C’è come una cappa di incertezza e oppressione che non si era mai sentita, neppure durante gli anni più pesanti della guerra. Perché non si vede un orizzonte, con un Occidente che ora sembra indifferente o, quasi peggio, disposto ad un sostegno acritico a questa realtà. Oltretutto, economicamente è tutto fermo e tanta gente è alla fame.

Facciamo fatica a trovare il modo di parlare di questa situazione. Perché anche all’interno delle Chiese sentiamo discorsi che talvolta ci lasciano perplesse. ”Bisogna avere pazienza, è normale che ci sia un periodo di incertezza, le cose vanno comunque meglio...”.  Così ci chiediamo se non stiamo sbagliando, se non dobbiamo anche noi coltivare uno sguardo più positivo sulla situazione... Forse dipende anche dalla zona dove si vive e dalle componenti etniche che la abitano.. Ma le perplessità sono tante.

Se poi affrontiamo il discorso della situazione internazionale.. che cosa si vuol fare del Medio Oriente? Questa è la vera domanda. Tutto è deciso “da fuori”. Ancora una volta si è voluta indebolire la componente Siriana in vista di politiche favorevoli a interessi estranei a quelli della popolazione locale... Come evolveranno nel futuro prossimo questi equilibri ?

“E dunque voi cosa fate in questa situazione? I lavori vanno avanti? Possono andare avanti?”. Continuiamo a lavorare, come si può, e questo è importante per la gente della nostra zona.

La vita va avanti, sì. Tutto quello che possiamo fare, lo facciamo. La preghiera diventa più intensa: meno verbosa e più accorata. I lavori continuano, là dove è possibile. I cementi armati sono ormai tutti finiti, tranne la parete sopra l’abside (che si sta facendo direttamente in pietra). Stiamo facendo i cordoli esterni per appoggiare i rivestimenti di pietra e realizzando qualche pilastro che ancora manca per i cancelli. I muratori stanno facendo gli ultimi riempimenti delle pareti con i blocchetti. Lavoriamo sui vari muretti esterni della proprietà, ultimando la sistemazione dei terreni, delle coltivazioni. Abbiano risistemato i container arrivati con i pannelli solari grazie al Banco delle Cose e all’aiuto di Stefano e di altri amici, portandoli vicino ai depositi, e organizzando così degli spazi di magazzino per il lavoro più ordinati.

Riusciremo ora ad affrontare i lavori di finitura, impianti idraulici, elettrici, pavimenti e così via?  Non lo sappiamo. Stiamo raccogliendo i fondi necessari, almeno per terminare una parte che ci permetta di trasferirci e vivere nel nuovo complesso. E ovviamente questa è la prima urgenza. Ma poi ci sarà la capacità e la possibilità per le squadre di lavoro di venire in zona e assumere gli appalti? Fino ad ora abbiamo potuto fare tutto con operai dei villaggi vicini (che sono stati bravissimi), ma ora dobbiamo ricorrere a manodopera di altre zone e la sicurezza è un grosso punto interrogativo. Anche investire soldi nel materiale - che in larga parte si deve pagare anticipatamente - è un rischio. Se succede qualcosa o qualcosa va perduto, non c’è nessuna assicurazione... Occorre fare tutto con molta attenzione.

Vi mandiamo questa lettera oggi, avendo celebrato da poco il Sacro Cuore di Gesù. A Lui affidiamo la nostra comunità, la nostra gente, la Siria, ma anche voi, l’Italia e tutta l’umanità, perchè davvero si riveli come Cristo è il vero cuore del mondo, il solo in cui vi sia speranza per l’uomo e pienezza di vita. Il Cuore di Cristo è la pienezza della sua umanità, e allo stesso tempo è la porta perché anche noi possiamo entrare pienamente nella vita Divina. Per Cristo al Padre, con la forza dello Spirito. Con la forza della preghiera stessa di Gesù: “perchè conoscano Te...”

Tutto il resto passa, è solo parte del cammino...

M. Marta Fagnani,  Luglio 2025

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mercoledì 2 luglio 2025

Un nuovo tempo di incognite e martirio: testimonianza dell'Arcivescovo Tobji da Aleppo

Agenzia Fides 1/7/2025

di Gianni Valente

Sono passati 9 giorni dalla strage di almeno 25 cristiani ammazzati mentre erano a messa nella chiesa greco-ortodossa di Sant’Elias, a Damasco. E quel massacro segna per sempre con lo stigma del martirio il tempo dei cristiani siriani nella Siria del dopo-Assad.

«Dopo la strage» conferma all’Agenzia Fides Joseph Tobji, l’Arcivescovo maronita di Aleppo «hanno scritto su muro di una chiesa nella circoscrizione di Hama le parole “verrà anche il vostro turno”. Qualcuno vuol far credere che è solo l’inizio. Mi mandano foto di volantini attaccati a case cristiane in cui è scritto “la terra di Siria deve essere purificata”, col disegno di bombe e Kalašnikov. Intimidazioni che ricordano le scritte apparse sulle case dei cristiani di Mosul. Sono queste le cose che girano tra i cristiani. Magari non sono neanche foto reali, qualcuno le genera con l’intelligenza artificiale e le manda in giro nella rete. Ma la paura che scatenano non è un “fake”». 

L’Arcivescovo Tobji descrive una situazione sospesa, carica di incognite per i cristiani siriani. Da una parte, «Quelli che ora comandano ci ripetono sempre che i cristiani non si toccano, che sono una componente essenziale del Paese e della società siriana. A Natale e Pasqua hanno mandato le loro scorte di sicurezza per proteggere le messe nelle chiese e le processioni. I Servizi di sicurezza hanno già preso misure e sistemi protezione. Quando li chiamiamo vengono. Ma la gente non ci crede. Prevalgono paura e sconforto». Perché appare evidente che «non tutte le fazioni e i gruppi armati rispondono a quelli che adesso hanno in mano il governo». 

L’attuale Presidente, Ahmed al-Sharaa, quando si faceva chiamare col “nome di battaglia” Abu Mohammad al-Jolani, ha guidato negli anni della guerra siriana Hayat Tahrir al Sham (HTS), la sigla islamista più rinomata tra quelle coinvolte nell’offensiva culminata con l’abbattimento del regime di Bashar al Assad.

Adesso, nella Siria attuale - riconosce l’Arcivescovo Tobji - anche buona parte dei musulmani siriani non appoggia la possibile instaurazione di un regime islamista. Ma la mentalità islamista emerge nei dettagli. Ha effetti nella vita quotidiana. Con gli ascensori riservati agli uomini e quelli riservati alle donne, negli uffici statali sportelli per le donne altri per gli uomini, e così via.

«Qualche giorno fa un ragazzo e una ragazza passeggiavano per strada la sera, li ferma un uomo e chiede loro come mai stanno insieme. Rispondono che sono fidanzati, e lui comincia a interrogarli, vuole che qualcuno lo confermi, fa chiamare al telefono la madre di uno di loro e comincia a interrogare anche lei, che ha confermato che il ragazzo e la ragazza sono fidanzati... Con episodi così, tanti cominciano a dire: questo non è più il nostro Paese. Tanti giovani sono alla continua ricerca del visto per espatriare, per scappare da una situazione che considerano irrecuperabile».

I Vescovi cattolici - racconta Joseph Tobji - hanno riflettuto insieme su come affrontare questo tempo. «Condividiamo il pensiero che se il Signore ci tiene qui, nella Siria del 2025, c’è qualcosa che vuole da noi in questa situazione, che non dobbiamo nasconderci o rimanere a guardare: C'è una chiamata del Signore che vuole da noi qualche azione».
Per questo i Vescovi cattolici di Aleppo hanno costituito un Comitato come strumento per incentivare il dialogo con tutte le componenti del Paese. Qualche settimana fa, il Comitato ha organizzato un convegno di tre giorni per confrontarsi sul presente e il futuro della Siria, nel segno della riconciliazione nazionale. «Abbiamo invitato anche alcuni di quelli che hanno scritto la Dichiarazione costituzionale. Abbiamo parlato liberamente, c’era chi criticava l’attuale governo, e chi lo appoggiava. Ma quello è stato solo l’inizio di un processo. Ora stiamo studiando come trovare strade per favorire la pace e la riconciliazione».

Appare evidente che l’attuale gruppo di potere non ha il controllo di tutte le fazioni armate e su tutte le aree. Ampie parti del Paese sono controllate da curdi e drusi. «Manca la polizia per le strade, la situazione è sottosopra e i nuovi arrivati al potere sono ancora inesperti di politica e amministrazione. A volte - racconta l’Arcivescovo maronita di Aleppo «prendono decisioni fuori dalla realtà. Hanno licenziato migliaia e migliaia di impiegati pubblici, etichettandoli in massa come corrotti o dicendo che sono ridondanti. E ora anche le famiglie di quegli ex dipendenti degli apparati non sanno come andare avanti. Il pane continua a costare dieci volte più di prima, e la nostra gente senza pane non va avanti. Tutti si lamentano ancora della scarsità di corrente elettrica, di acqua, e però questo dura già da molti anni. Le cose peggiori sono i prezzi cari di medicinali, interventi chirurgici, affitti».

L’Arcivescovo Tobji ha incontrato 4 volte il Presidente al Sharaa. «Lui quando parla con noi mostra di avere visioni avanzate. Ma non so se riuscirà a fare qualcosa di quello che dice di voler fare. Lo spero».

Intanto le sanzioni disposte contro la Siria al tempo di Assad sono state tolte, ma per il Paese - rimarca Tobji - «non abbiamo sentito ancora alcun effetto positivo. Si parla dell’arrivo di businessmen che verranno a fare investimenti. Se l’economia cominciasse a migliorare, cambierebbe tutto. Ma finora non si vedono segnali rassicuranti».

Lo scenario singolare di un assetto di potere guidato da gruppi di matrice jihadista, che trova sponde e accreditamento politico nei Paesi dell’Occidente nord-atlantico. «La Siria - nota l’Arcivescovo Tobiji - ha fatto una conversione a U. Prima il regime era appoggiato da Russia e Iran, adesso il gruppo di al Sharaa è appoggiato da USA e Europa. Ma credo che in questi scenari e in questi spostamenti di fronte non esistono amici eterni, amicizie eterne. A muovere le cose sono gli interessi».

 http://www.fides.org/it/news/76526-ASIA_SIRIA_Un_nuovo_tempo_di_incognite_e_martirio_L_Arcivescovo_Tobji_racconta_il_presente_dei_cristiani_siriani


UN APPROFONDIMENTO SU UNA SCONVOLGENTE INCHIESTA DI REUTERS : https://www.vietatoparlare.it/sconvolgente-inchiesta-di-reuters-siria-la-strage-degli-alawiti-e-il-silenzio-delloccidente/

sabato 28 giugno 2025

Papa Leone alle Chiese Orientali: siete testimoni della luce dell’Oriente

 Ai Partecipanti alla Plenaria della "Riunione delle Opere per l'Aiuto alle Chiese Orientali" (ROACO) (26 giugno 2025)  LEONE XIV

Nel nome del Padre, del Figlio, dello Spirito Santo.

La pace sia con voi!

Eminenza ed Eccellenze Reverendissime,
cari sacerdoti, fratelli e sorelle,

la pace sia con voi! Vi do il benvenuto, lieto di incontrarvi al termine della vostra Assemblea plenaria. Saluto Sua Eminenza il Cardinale Gugerotti, gli altri Superiori del Dicastero, gli Officiali e voi tutti, membri delle Agenzie della ROACO.

«Dio ama chi dona con gioia» (2 Cor 9,7). So che per voi sostenere le Chiese Orientali non è anzitutto un lavoro, ma una missione esercitata in nome del Vangelo che, come indica la parola stessa, è annuncio di gioia, che rallegra anzitutto il cuore di Dio, il quale non si lascia mai vincere in generosità. Grazie perché, insieme ai vostri benefattori, seminate speranza nelle terre dell’Oriente cristiano, mai come ora sconvolte dalle guerre, prosciugate dagli interessi, avvolte da una cappa di odio che rende l’aria irrespirabile e tossica. Voi siete la bombola di ossigeno delle Chiese Orientali, sfinite dai conflitti. Per tante popolazioni, povere di mezzi ma ricche di fede, siete una luce che brilla nelle tenebre dell’odio. Vi prego, col cuore in mano, di fare sempre tutto il possibile per aiutare queste Chiese, così preziose e provate.

La storia delle Chiese cattoliche orientali è stata spesso segnata dalla violenza subita; purtroppo non sono mancate sopraffazioni e incomprensioni pure all’interno della stessa compagine cattolica, incapace di riconoscere e apprezzare il valore di tradizioni diverse da quella occidentale. Ma oggi la violenza bellica sembra abbattersi sui territori dell’Oriente cristiano con una veemenza diabolica mai vista prima. Ne ha risentito pure la vostra sessione annuale, con l’assenza fisica di quanti sarebbero dovuti venire dalla Terra Santa, ma non hanno potuto intraprendere il viaggio. Il cuore sanguina pensando all’Ucraina, alla situazione tragica e disumana di Gaza, e al Medio Oriente, devastato dal dilagare della guerra. Siamo chiamati noi tutti, umanità, a valutare le cause di questi conflitti, a verificare quelle vere e a cercare di superarle, e a rigettare quelle spurie, frutto di simulazioni emotive e di retorica, smascherandole con decisione. La gente non può morire a causa di fake news.

 È veramente triste assistere oggi in tanti contesti all’imporsi della legge del più forte, in base alla quale si legittimano i propri interessi. È desolante vedere che la forza del diritto internazionale e del diritto umanitario non sembra più obbligare, sostituita dal presunto diritto di obbligare gli altri con la forza. Questo è indegno dell’uomo, è vergognoso per l’umanità e per i responsabili delle nazioni. Come si può credere, dopo secoli di storia, che le azioni belliche portino la pace e non si ritorcano contro chi le ha condotte? Come si può pensare di porre le basi del domani senza coesione, senza una visione d’insieme animata dal bene comune? Come si può continuare a tradire i desideri di pace dei popoli con le false propagande del riarmo, nella vana illusione che la supremazia risolva i problemi anziché alimentare odio e vendetta? La gente è sempre meno ignara della quantità di soldi che vanno nelle tasche dei mercanti di morte e con le quali si potrebbero costruire ospedali e scuole; e invece si distruggono quelli già costruiti! 

E mi chiedo: da cristiani, oltre a sdegnarci, ad alzare la voce e a rimboccarci le maniche per essere costruttori di pace e favorire il dialogo, che cosa possiamo fare? Credo che anzitutto occorra veramente pregare. Sta a noi fare di ogni tragica notizia e immagine che ci colpisce un grido di intercessione a Dio. E poi aiutare, come fate voi e come molti fanno, e possono fare, attraverso di voi. 

Ma c’è di più, e lo dico pensando specialmente all’Oriente cristiano: c’è la testimonianza. È la chiamata a rimanere fedeli a Gesù, senza impigliarsi nei tentacoli del potere. È imitare Cristo, che ha vinto il male amando dalla croce, mostrando un modo di regnare diverso da quello di Erode e Pilato: uno, per paura di essere spodestato, aveva ammazzato i bambini, che oggi non cessano di essere dilaniati con le bombe; l’altro si è lavato le mani, come rischiamo di fare quotidianamente fino alle soglie dell’irreparabile. Guardiamo Gesù, che ci chiama a risanare le ferite della storia con la sola mitezza della sua croce gloriosa, da cui si sprigionano la forza del perdono, la speranza di ricominciare, il dovere di rimanere onesti e trasparenti nel mare della corruzione. Seguiamo Cristo, che ha liberato i cuori dall’odio, e diamo l’esempio perché si esca dalle logiche della divisione e della ritorsione. Vorrei ringraziare e idealmente abbracciare tutti i cristiani orientali che rispondono al male con il bene: grazie, fratelli e sorelle, per la testimonianza che date soprattutto quando restate nelle vostre terre come discepoli e come testimoni di Cristo. 

Cari amici della ROACO, nel vostro lavoro voi vedete, oltre a molte miserie causate dalla guerra e dal terrorismo – penso al recente terribile attentato nella chiesa di sant’Elia a Damasco – anche fiorire germogli di Vangelo nel deserto. Scoprite il popolo di Dio che persevera volgendo lo sguardo al Cielo, pregando Dio e amando il prossimo. Toccate con mano la grazia e la bellezza delle tradizioni orientali, di liturgie che lasciano abitare a Dio il tempo e lo spazio, di canti secolari intrisi di lode, gloria e mistero, che innalzano un’incessante richiesta di perdono per l’umanità. Incontrate figure che, spesso nel nascondimento, vanno ad aggiungersi alle grandi schiere dei martiri e dei santi dell’Oriente cristiano. Nella notte dei conflitti siete testimoni della luce dell’Oriente. 


Vorrei che questa luce di sapienza e di salvezza sia più conosciuta nella Chiesa cattolica, nella quale sussiste ancora molta ignoranza al riguardo e dove, in alcuni luoghi, la fede rischia di diventare asfittica anche perché non si è realizzato il felice auspicio espresso più volte da san Giovanni Paolo II, che 40 anni fa disse: «La Chiesa deve imparare di nuovo a respirare con i suoi due polmoni, quello orientale e quello occidentale» (Discorso al Sacro Collegio dei Cardinali, 28 giugno 1985). Tuttavia, l’Oriente cristiano si può custodire solo se si ama; e si ama solo se si conosce. Occorre, in questo senso, attuare i chiari inviti del Magistero a conoscerne i tesori, ad esempio cominciando a organizzare corsi di base sulle Chiese Orientali nei Seminari, nelle Facoltà teologiche e nei centri universitari cattolici (cfr S. Giovanni Paolo II, Lett. ap. Orientale lumen, 24; Congregazione per l’Educazione Cattolica, Lett. circ. Eu égard au développement, 9-14). E c’è bisogno pure di incontro e di condivisione dell’azione pastorale, perché i cattolici orientali oggi non sono più cugini lontani che celebrano riti ignoti, ma fratelli e sorelle che, a motivo delle migrazioni forzate, ci vivono accanto. Il loro senso del sacro, la loro fede cristallina, resa granitica dalle prove, e la loro spiritualità che profuma del mistero divino possono giovare alla sete di Dio latente ma presente in Occidente.

Affidiamo questa crescita comune nella fede all’intercessione della Tutta Santa Madre di Dio e degli Apostoli Pietro e Paolo, che hanno unito Oriente e Occidente. Io vi benedico e vi incoraggio a perseverare nella carità, animati dalla speranza di Cristo. Grazie!

mercoledì 25 giugno 2025

Il mortale attentato alla chiesa in Siria scatena l'indignazione dei cristiani, il Patriarca Giovanni X si rivolge a Al Sharaa


John X Yazigi, Patriarca di Antiochia e di tutto l'Oriente della Chiesa greco-ortodossa, si è rivolto ai leader siriani durante il funerale delle vittime dell'attentato suicida nella chiesa di Sant'Elia a Damasco, martedì.
Il Patriarca ha criticato apertamente il governo per non aver adempiuto alle proprie responsabilità di proteggere i cittadini, sostenendo che l'attacco non ha precedenti dal massacro di Tusha al-Sham del 1860.
 

lunedì 23 giugno 2025

Martiri di Damasco, ieri e oggi

 di Abouna Dr. Rifat Badr

 Il 20 ottobre 2024 si è svolta l'ultima cerimonia di canonizzazione di nuovi santi da parte di Papa Francesco. Tra loro c'erano sette santi, soprannominati i "Martiri di Damasco". Erano otto monaci francescani e tre maroniti non consacrati, uccisi "in odio alla fede" nella notte tra il 9 e il 10 luglio 1860, nel monastero francescano nel quartiere di Bab Touma a Damasco. 

Il loro sangue si mescolò con la terra santa di Damasco, su cui camminò San Paolo Apostolo. Non dimentichiamo che fu ad Antiochia, in Siria, che i seguaci di Gesù Cristo, come descritto nel Libro degli Atti degli Apostoli, furono chiamati per la prima volta "cristiani".

Gli 11 martiri di Damasco sono stati beatificati da Papa Francesco, che ha affermato che "erano servi fedeli, uomini e donne che hanno servito nel martirio e nella gioia... Erano sacerdoti e persone consacrate zelanti nella missione... Hanno vissuto di fede e nel messaggio che offrivano non erano nutriti da desideri mondani o brama di potere.  Al contrario, si sono fatti servi dei loro fratelli e sorelle, creativi nel fare il bene, saldi nelle difficoltà e generosi fino alla fine.

 Vale la pena notare che quando abbiamo dedicato la chiesa del Battesimo di Cristo presso il Luogo del Battesimo nel Sacro Giordano all'inizio di quest'anno 2025, reliquie di santi sono state deposte nel santuario principale, comprese le reliquie dei santi e dei martiri di Damasco.

Questo accadeva a metà del XIX secolo, ma ieri sera siamo rimasti scioccati dalle notizie provenienti da Damasco, che ci mostrano che c'è una costellazione di nuovi martiri, mentre la Siria cerca di scrivere una nuova pagina nonostante tutte le rassicurazioni ricevute dai cristiani. 
Ogni tanto, un evento si verificava qua e là, e veniva detto loro, come ieri ai sacerdoti in televisione: "Ci è stato detto che si trattava di incidenti individuali".
Oggi  chiediamo a Dio che questi eventi siano davvero individuali, lupi solitari, e che non ci sia alcuna organizzazione per altre tragedie, né dentro né fuori le chiese. Siamo tutti concordi nel volere un futuro prospero per la Siria, e che sia davvero, come la conosciamo, influente, efficace, attiva e positiva nel mondo arabo, e in questa regione che, Dio non voglia, non appena esce da una sanguinosa crisi politica, entra in un nuovo ciclo di violenza!

La vista della chiesa ieri è stata lacerante, triste e vergognosa, perché i cristiani in Siria, e coloro che rimangono in questo Paese arabo fratello, sono sempre stati attivi e impegnati nel servire la loro patria e nella rinascita culturale, spirituale e sociale del loro Paese. 
Quasi la metà dei cristiani è emigrata negli ultimi dieci anni, così come molti dei loro compatrioti musulmani. 
Ma quello che è successo ieri sera ha instillato paura nell'animo di molti.  Diversi amici mi hanno detto di non essere riusciti a dormire la notte scorsa, commossi e addolorati per la perdita di coloro che se ne sono andati in modo così brutale, e per paura per i loro figli, i loro connazionali, i loro membri della chiesa e per la loro comunità, che questi atti terroristici si intensifichino.

Naturalmente, condanniamo questo barbaro atto di terrorismo, che è simile a tutti gli atti terroristici che si sono verificati nelle chiese d'Oriente. Auguriamo ogni bene alla Siria e incoraggiamo tutte le persone di buona volontà e tutti coloro che hanno influenza in Siria a parlare e condannare quanto accaduto. Il nostro Oriente non ha bisogno di organizzazioni terroristiche. Piuttosto, ha bisogno di menti illuminate che servano i loro paesi, trattino il loro popolo con rispetto e dignità e lavorino insieme (sottolineiamo la parola insieme) affinché la Siria possa risorgere e rimanere un simbolo di fratellanza e coesistenza e un simbolo di civiltà che rispetta il pluralismo nonostante le sue crisi.

 Che Dio abbia pietà dei martiri, di questo nuovo gruppo di santi e di martiri di Damasco, guarisca i feriti e conforti coloro che temono per il futuro della Siria. Concludo con quanto scritto dal Ministro siriano degli Affari Sociali, Hind Qabwat, che ieri abbiamo visto in TV correre freneticamente intorno alla chiesa, confortare i sacerdoti e piangere di dolore, con sofferenza e rammarico per quanto accaduto.  È l'unica cristiana nel governo siriano, come ha scritto sul suo profilo, affermando ciò che diciamo con lei in questa tragedia: "Misericordia ai martiri della chiesa di Sant'Elia a Dweileh. Nonostante il dolore, l'amarezza e il dolore che condivido con il mio popolo a Dweileh e con tutti gli uomini e le donne siriani in lutto, la mia certezza rimane salda: che la giustizia è più forte dell'ingiustizia, che la costruzione trionferà sulla distruzione, che la vera fede trionferà sulla eresia  e che la luce, non importa quanto durerà l'oscurità, deve risplendere".

abouna.org  Catholic Center for Studies and Media - Jordan

sabato 21 giugno 2025

Aleppo ha fame: una richiesta di sostegno generoso

            entra con Jean-François Thiry nella mensa di Aleppo



 Pro Terra Sancta è un network che promuove e realizza progetti di conservazione e valorizzazione del patrimonio culturale e naturale, di sostegno alle comunità locali e di aiuto nelle emergenze umanitarie in Terra Santa.

Come racconta personalmente il coordinatore dei progetti di aiuto Jean-François Thiry,  la situazione ad Aleppo è drammatica. Ogni giorno sono sempre di più le persone che sono costrette a rivolgersi alla mensa e al forno per mettere qualcosa da mangiare sulla tavola: in Siria fame e povertà sembrano non avere fine.

Ecco perché oggi ci chiedono di ascoltare il grido di aiuto che arriva dalle famiglie siriane: dona il pane quotidiano e pasti caldi ai più poveri e ai più fragili di Aleppo. Nel video di Jean-François puoi vedere quanto sia importante il nostro impegno insieme. 

CON LA TUA GENEROSITÀ PUOI SOSTENERE SUBITO LA MENSA E IL FORNO AD ALEPPO, AIUTANDOCI A PREPARARE 1.200 PASTI E 600 KG DI PANE OGNI GIORNO.


LINK alla pagina per le donazioni: 

https://www.proterrasancta.org/it/campaign/la-siria-ha-fame?utm_source=dem&utm_medium=email&utm_campaign=aleppo