(Traduzione dal francese di Gb.P. per OraproSiria)
Sono il Souk di Aleppo. Sono il vecchio souk. Racconto la storia di un Paese. Sono il mercato di Aleppo, sono il vecchio mercato. Racconto la storia di un Paese, di una città, dei suoi abitanti, la storia di un tempo e un'era. Le mie mura custodiscono i sussurri dei commercianti e si odono nei miei vicoli gli andirivieni delle famiglie e dei visitatori. Sono di Aleppo e ad Aleppo sono rimasto. All'interno delle mie mura, la gente viveva, lavorava sodo e le serate si prolungavano. I miei hammam avevano un buon odore, si provava felicità e piacere. Le mie moschee e le mie chiese lodavano il loro Creatore. Intorno all'albero di cedro nei cortili delle mie case si ritrovavano quelli che si amavano.
Un
giorno, qui è piombato lo spettro della guerra. La sua faccia nera,
la sua violenza e ferocia.
I
miei sono fuggiti, lasciando le loro bancarelle, lasciando i loro
cuori e tesori. Le mie strade si sono svuotate, le mie case si sono
chiuse. Io il Souk, sono rimasto solo e spaventato. Ho visto la morte
in faccia. Hanno distrutto le mie pietre, hanno rubato i miei
caravanserragli. Un silenzio mortale ha invaso questo luogo. Non
permetterò loro di annientarmi. Non diventerò un pezzo da museo.
Non voglio che voi parliate di me al passato. La vita resta più
forte. Un giorno, l'odore di sapone e spezie profumerà i miei muri.
Non pensate che l'odio possa prevalere. La luce scaturirà dalle
profondità dell'oscurità. La vita rinasce, la vita riprende i suoi
diritti. Ad ogni alba, scriveremo una nuova pagina della mia storia
anche su pezzi di tessuto salvati da sotto le macerie.
Voglio
vivere. Voglio amare. Voglio cantare. Voglio che voi torniate da me.
I Souk di Aleppo (continua)
Dove sono? Oggi non è un giorno come gli altri Oggi ho sentito qualcosa di strano Appena ho sentito delle voci tra le mie pareti, ho pensato:
Sono tornati, i miei genitori, i miei amici, quelli che amo Poi, ho sentito delle mani accarezzare le mie pareti, come una madre accarezza il suo bambino Ho sentito tornare la vita e tutto rifioriva ai miei occhi Ho visto la piscina di "Khan al Goumrok" e la sua piccola fontana che schizzava ... Ho visto "Souk al Zerb" pieno di voci della gente di campagna che veniva a far compere Ho visto un gruppo di donne uscire da "Hamam Al Nahassin" accompagnando una giovane ragazza che si sposerà domani Ho visto "Souk al Atterine", "Souk al Abi", "Souk Al Nisswan" e "Souk al Dahab"
Da lontano, ho ascoltato la musica della troupe di "Darawichs" che veniva da "Bimarestan Al Arghouni" Ho sentito l'odore del sapone, di olio, pistacchi e carne Ho annusato l'odore di "Ejjé" e ho assaggiato la "Halawe Tahiniyé" Ho visto questo mondo vivere ... I turisti parlano inglese, tedesco, francese, giapponese... e i commercianti, con umorismo, che rispondono: oui, yes, bienvenido e altre parole ancora ... Le regine, i presidenti e i grandi di questo mondo erano abbagliati dalla mia architettura, dalle mie porte e dalla decorazione delle mie pareti
Dei rumori, la vita ... I vecchi tempi sono tornati a cantare e ballare Mio Dio, che spettacolo: la vista del commerciante che si aggrappa a una piccola fune per rientrare nel suo bazar pieno di merce E la voce di questo cieco, in piedi all'angolo della strada, che grida: "Abou Fass per mal di testa e mal di denti" E le macchine fotografiche che fotografano ogni angolo della mia strada E quando il Muezzin ha chiamato alla preghiera, ho rivisto i commercianti chiudere i loro negozi con un velo leggero Hanno ragione: tra le mie mura, la sicurezza e l'amore sono i maestri. Ma tutto ciò era ai bei vecchi tempi prima che accadesse ciò che è accaduto
La voce che ho sentito è la tua voce, tu, l'eletta del mio cuore, tu figlia di Aleppo che hai osato venire, hai rischiato, hai camminato, sei caduta, sei salita nelle soffitte dei negozi, hai cercato tra le macerie e tirato fuori i tesori sepolti, ti sei sporcata, i tuoi vestiti hanno preso l'odore del tempo ... La tua voce, figlia mia, il tuo tocco magico, il tuo sguardo di tenerezza, i tuoi delicati passi mi hanno risvegliato il cuore, aperto gli occhi e liberato la mia voce E quando hai raccolto i pezzi di tessuto, l'hai trasformato in un'opera d'arte, un capolavoro
Oh oh Dov'è la gente? dove sono gli altri? perché non tornano? Cosa stanno aspettando? Tu lo sai, sono 6 anni che aspetto; la cosa più dura della vita è attendere E mi dicevo: Domani torneranno sicuramente Domani, la mia vita tornerà Domani la mia anima vivrà di nuovo Figlia mia, tu che hai l'età delle mie pietre, con te, vorrei chiamarli Metterei i miei migliori vestiti fatti con i resti di tessuti sepolti sotto le macerie, voglio urlare, voglio dire loro: Tornate! Tornate indietro! Ritornate! Ridatemi la mia anima
Leyla Antaki
Aleppo: alcune donne si mobilitano attorno a un laboratorio di cucito, Heartmade, per far rivivere l'anima del souk
Ad Aleppo è giunta l'ora della
ricostruzione, quella della città ma soprattutto quella dei suoi
abitanti traumatizzati da 8 anni di guerra e distruzioni che hanno
generato migliaia di vittime e sfollati. Consentire alle donne di
riprendersi, di vivere degnamente dal proprio lavoro e di occupare un
ruolo centrale nella città, è un elemento fondamentale per il
futuro della società siriana.
Heartmade
è un gruppo di undici donne guidate dalla fondatrice Leyla Antaki,
membro dei Maristi Blu , partner dei Baroudeurs de l'Espoir e da
Jessica Samman, stilista e designer. Lavorano in un laboratorio ad
Aleppo e trasformano abiti o tessuti riciclati in pezzi unici.
I
loro obiettivi sono nobili:
-
Sviluppare la creatività delle donne che hanno subito il massimo
della guerra e far emergere la loro visione della bellezza -
Offrire opportunità di lavoro - Aumentare la consapevolezza del
rispetto per l'ambiente combattendo contro i rifiuti tessili -
Produrre pezzi unici fatti a mano - Risuscitare l'anima dei souk
di Aleppo, distrutti da anni di combattimenti.
Questo
progetto è iniziato a settembre 2017. Riunisce donne che realizzano
abiti con scorte di tessuto riciclato ma anche pezzi trovati nelle
rovine del souk, anima della città, ora completamente distrutto.
Attualmente, 11 donne lavorano 5 giorni alla settimana, in un
ambiente accogliente e per un salario dignitoso. Abiti, borse,
pantaloni ... tutto è reinventato, in linea con la moda locale e
internazionale, e impreziosito da ricami interamente fatti a mano.
La produzione viene venduta a prezzi moderati in modo che la
popolazione locale possa accedervi. Questo progetto dunque consente
sia di sviluppare le capacità delle donne che lottano per trovare
lavoro, sia di creare pezzi unici, interamente fatti a mano ed
eco-responsabili. Ogni pezzo è creato con il cuore, la creatività e
la volontà di dare libero sfogo all'espressione della bellezza.
"Ogni
pezzo di tessuto che trovo nel souk mi parla, ognuno di loro ha un
proprietario che lo amava e io volevo attraverso questo lavoro
rendere omaggio sia al souk che a quelli che vivevano lì":
Leyla Antaki, fondatrice del progetto Heartmade.
Vengono anche realizzati anche pezzi più singolari e simbolici, come un patchwork di tessuti del souk che fa vedere una poesia scritta dalla fondatrice del progetto Leyla Antaki.
"Volevamo
impegnarci nel rafforzare il legame sociale e valorizzare il lavoro
delle donne che sono stati i pilastri durante questa guerra,
dimostrando un coraggio esemplare per sostenere le loro famiglie."
Diane Antakli, Presidente della ONG Baroudeurs de l'Espoir.
Leyla Antaki, fondatrice di Heartmade, circondata da Diane Antakli e Maria de la Bastida, fondatrici dei Baroudeurs de l'Espoir
Questo
laboratorio, istituito dai Maristi, è supportato oggi dai Baroudeurs
de l'Espoir. Per quasi 5 anni la ONG ha assistito i Maristi nei
programmi di emergenza medica, nella rieducazione dei bambini e nella
distribuzione di cesti alimentari e sanitari. Solo nel 2018, grazie a
questa collaborazione, 170 bambini sono tornati a scuola ad Aleppo, è
stata messa in circolazione una biblioteca mobile e 675 sfollati
hanno ricevuto e ancora ricevono due volte a settimana, cesti
alimentari e per la salute.
Sostieni
il progetto
A
causa della guerra, molte fabbriche di abbigliamento sono state
distrutte. Oggi, il progetto Heartmade ha bisogno di fondi per il
proseguimento delle sue attività e la sostenibilità del
laboratorio. Senza il sostegno finanziario, sarà impossibile pagare
le sarte e continuare la produzione. È stato lanciato un appello a
donazioni e sono state sollecitate alcune fondazioni, affinchè le
ultime 4 frasi del testo di Leyla che fa parlare il souk di Aleppo
possano ricevere una risposta: Io voglio vivere. Voglio amare. Voglio
cantare. Voglio che torniate da me.
Informazioni
sul Souk di Aleppo.
Il
souk di Aleppo, o souk al-Madina, è un souk coperto situato nella
Città Vecchia di Aleppo, classificato patrimonio mondiale
dell'UNESCO dal 1986. È il più grande mercato coperto del mondo,
con una lunghezza totale di circa 13 chilometri. La maggior parte del
souk risale al 14° secolo. Durante la guerra civile siriana e la
battaglia di Aleppo, gran parte del souk viene distrutto. Ora è
vuoto e abbandonato. Quasi settecento botteghe non sono altro che
ceneri, specialmente nel souk delle donne, nel souk dell'oro e delle
spezie.
Siria,
non lontano da Idleb: dopo sette lunghi anni di assedio, i jihadisti
si sono ritirati dalla periferia della città cristiana di Mhardeh.
Le bombe non cadono più sui civili.
Ma la gente di Mhardeh come è
sopravvissuta?
Intervista con Alexandre Goodarzy, capomissione in
Siria della ONG 'SOS Chrétiens d'Orient'
SPUTNIK , traduzione italiana di Gb.P. per OraproSiria
Alexander
Goodarzy, voi siete presenti con 'SOS Cristiani d'Oriente' da tre
anni nella città di Mhardeh. L'assedio dei jihadisti è stato
recentemente spezzato. Sollevato?
Alexandre
Goodarzy: "È qualcosa che aspettavamo da quasi otto anni. Sono
quattro anni che conosco Mhardeh e Squelbie, una città vicina. La
sacca di Idleb è nella Siria nordoccidentale, queste due città sono
a sud-ovest di questa sacca. La prima linea era a 500 metri di
distanza, ora è arretrata di 20 km fino a Khan Cheikhoun. Le persone
possono ora vivere in pace. Erano minacciate dall'organizzazione
jihadista Hayat Tahrir al-Cham*, altro nome di al-Nusra*, che
avevano promesso fedeltà ad al-Qaeda, prima di fondersi con altri
gruppi. Il nome è cambiato e non dice nulla agli Occidentali, ma
hanno gli stessi metodi: decapitazioni, propaganda e intimidazione
dei civili. Quando parliamo di "opposizione" o di "ribelli
moderati", parliamo di questi tipi ... Per qualche tempo,
Mhardeh ha avuto sei mesi di tregua, poi i bombardamenti sono
ripresi. È stato duro. La riconquista della zona a sud di Idleb
respinge adesso i terroristi a 20 km di distanza. Sono stato vicino a
loro per quasi quattro anni. È una grande vittoria, una grande gioia
per gli abitanti, ma ci sono stati troppi morti ".
160
civili hanno perso la vita a Mhardeh. In che modo la città è
diventata un simbolo di resistenza?
A.G.:
"Questa piccola città di 23.000 abitanti (oggi 16.000) si
trovata in prima linea. Tra la sua gente, il signor Simon Al Wakil ha
deciso di difendere la sua casa, poi il suo quartiere, poi la sua
città, e nei fatti, resistere ai terroristi che stavano conducendo
razzie e rapine. Ha messo tutti suoi beni al servizio della sua
comunità: "il terrorismo si arresterà qui, non ci lasceremo
intimidire, resisteremo", ha detto. Sono passati esattamente
otto anni dall'inizio di questa resistenza ai tentativi dei
terroristi che provengono da Idlib, senza avere esperienza militare.
Il signor Simon era un imprenditore, i suoi soldati sono operai,
fornai, studenti - che vanno a scuola a Hama la mattina e indossano
l'armatura nel pomeriggio ".
Lei
dice che gli abitanti del villaggio si sono mobilitati ... da soli?
A.G.:
"Si sono sollevati spontaneamente, hanno formato una milizia:
l'esercito siriano non poteva essere ovunque. Si sono difesi da soli.
Simon Al-Wakil ha messo a disposizione la sua fortuna per la difesa
della sua città. L'esercito ha fornito alcune armi. So anche che gli
iraniani prendono alcuni uomini e li addestrano in Iran a maneggiare
armi, fabbricare missili e così via. È anche un peccato vedere che
è la Repubblica Islamica dell'Iran, sciita, a difendere le minoranze
cristiane nel Levante. Dovrebbe essere il lavoro della Francia, che
preferisce finanziare i "moderati".
Che
cosa ha fatto la vostra ONG, SOS Chrétiens d'Orient, a Mhardeh?
A.G.:
"In effetti, gli uomini possono partecipare di meno alla vita
economica. Abbiamo deciso di aiutarli: portiamo loro del cibo,
specialmente alle famiglie i cui mariti vanno a combattere. Abbiamo
aiutato l'ospedale cittadino, ridipingendo le sue pareti, portando
forniture mediche. Abbiamo sostenuto finanziariamente le associazioni
di disabili in modo che potessero arrivare in centro. Abbiamo
iniziato ad aiutare la ricostruzione, abbiamo appena finanziato la
prima casa. Abbiamo raccolto 50.000 euro [per Mhardeh, ndr], abbiamo
speso circa 10.000 euro per ora: è lungo e difficile, la città era
ancora sotto tiro fino a ieri ".
Come
descriverebbe la situazione umanitaria nell'area?
A.G.:
"Siamo stati i primi a portare aiuto a Mhardeh e Squelbie. So
che nella zona l'esercito russo compie azioni umanitarie, protegge
gli abitanti della regione, come degli iraniani e alcune milizie
sciite afghane sotto l'autorità dell'esercito iraniano. Dunque, su
Idleb, si sono dette molte bugie, secondo me. Oggi queste menzogne su
Idleb sono raccontate di nuovo. Non sono qui per dire che Bashar
al-Assad è un angelo, ma alla liberazione di Aleppo-Est, sono andato
negli ospedali [a dicembre 2016, ndr]: lì ho incontrato quelli che
avevano vissuto sotto l'occupazione terroristica. Ogni volta, mi
hanno detto che i Caschi Bianchi o la Siria Charity erano solo
terroristi travestiti da umanitari ".
*
Organizzazioni terroristiche vietate in Russia
Testimonianza di Charles de Meyer, presidente di SOS Chrétiens
d'Orient: "Mhardeh, luce di speranza per i cristiani d'Oriente"
Un
albero. Molto logoro. I ritratti appesi ispirano sentimenti
confusi. Prima emozione, poiché 160 persone hanno dato la vita per
mantenere la presenza cristiana a Mhardeh, una piccola città ai
margini del fronte con la sacca di Idlib, l'ultima provincia ribelle
della Siria nord-occidentale. Anche confusione davanti a questi
volti, infantili di alcuni, marziali di altri. Mhardeh è una piccola
Vandea nell'inesauribile conflitto siriano, ma una Vandea
sopravvissuta alle colonne infernali.
Non
era il silenzio delle processioni funebri ad agghiacciare gli
abitanti, ma quello dell'indifferenza internazionale. Il lettore
francese potrebbe avere difficoltà a immaginare il diluvio di fuoco
che è costantemente caduto sui suoi 20.000 abitanti per sette anni.
Ogni settimana o giù di lì, il frastuono delle sirene e il tonfo
delle esplosioni hanno ricordato alle famiglie il prezzo del
sacrificio che hanno accettato rimanendo sulla terra dei loro padri:
il sacrificio della loro sicurezza e, a volte, della loro vita. Non
è stato il silenzio dei funerali a schiacciarle, comunque. Era
l'indifferenza internazionale. A chi importava davvero dei cristiani
di Mhardeh? Erano gli "uomini di troppo" di un conflitto
che molti volevano riassumere in uno scontro tra Bashar Al-Assad e i
gentili costruttori di una nuova esperienza democratica. Ad ogni buon
conto, gli abitanti di Mhardeh conoscevano i loro vicini infettati da
tutte le sfumature dell'islamismo. Alcuni si attenevano alle versioni
levantine di Al-Qaeda, altri aderivano al califfo dell'organizzazione
dello Stato islamico. E il mondo ha chiuso gli occhi, troppo
preoccupato a ripetere una lettura mediatica semplicistica sul
conflitto siriano.
Questa
domenica l'intera città ha reso grazie. Si è tenuta una messa e una
grande processione per cantare la riconoscenza di una città liberata
dal giogo jihadista. Noi abbiamo provato una vera familiarità. Il
vescovo Baalbaki, vescovo greco-ortodosso di Hama, ha notato la
presenza di SOS Chrétiens d’Orient. Anche in Francia, il Te Deum
ha seguito la liberazione. C'erano alcuni figli della "figlia
maggiore della Chiesa" (la Francia NDT) a partecipare a questo
momento storico. Ma abbiamo anche sentito un sentimento di vergogna
di fronte ai fedeli che non hanno potuto permettere che la gioia li
travolgesse perché erano ancora prigionieri del lutto. Nessuno
restituirà loro quei figli macellati nella notte mentre stavano di
guardia, o quelle ragazze sventrate dai mortai che cadevano a caso.
La guerra reca con sé sempre molto orrore, a cui la nostra lunga
esperienza di conflitti orientali non ci abituerà mai.
Noi
come SOS Chrétiens d’Orient abbiamo rifiutato questa politica di
intenzionale ignoranza.
A
Sqelbiye, anch'essa liberata dal giogo jihadista, abbiamo versato
molte lacrime quando alcuni bambini sono andati a salutare la
fotografia dei loro amici scomparsi nei bombardamenti islamisti. Lo
sanno che le armi continuano ad arrivare attraverso il corridoio
turco alle fazioni islamiste ammassate in Idlib? Lo sanno che stiamo
iniziando a leggere qua e là che Hayat Tharir Al-cham «ammorbidisce»
le sue posizioni, mentre questo gruppo terrorista, che ha assorbito
la maggior parte dei jihadisti del Fronte al-Nosra e di altri gruppi
jihadisti, ha ucciso molti dei loro piccoli compagni?! Forse non
ancora... Oggi venerano Simon Al Wakil e Nabel Abdallah che hanno
guidato la resistenza agli islamisti.
SOS
Chrétiens d’Orient ha rifiutato questa politica dell' ignoranza
intenzionale. Determinati, i nostri volontari e i nostri capi
missione hanno moltiplicato le azioni di supporto morale e materiale
ai cristiani assediati. Abbigliamento e attrezzature per i siti di
ricostruzione, attrezzature di pronto soccorso e prodotti alimentari,
i volontari della nostra associazione hanno sfidato il silenzio
internazionale per mostrare a questa città martoriata che alcune
persone in Europa non la stavano abbandonando. E' stato tanto, è
stato troppo poco. E il nostro investimento continuerà. Perché di
fronte alle forze soverchianti, i figli di Mhardeh hanno preso le
armi per salvare il loro destino. Perché di fronte alla morte le
madri di Mhardeh hanno sostenuto i loro mariti che rifiutavano
l'esilio. Perché questa piccola città della Siria che ha resistito
contro una distruzione fatale da parte degli islamisti è un faro per
tutti i cristiani d’Oriente: la loro scomparsa silenziosa non è
una fatalità.
Dalla fine della nostra novena di preghiera per la pace in Siria, l'esercito siriano ha ottenuto una grande vittoria a Idlib attraverso la conquista di Khan Shaykhun. Un grazie a tutti coloro che si sono uniti alla nostra preghiera! Finalmente le città cristiane martoriate per anni dai colpi dei jihadisti, celebrano la liberazione.
Damasco (AsiaNews)
Con la presa di Khan Sheikhoun due giorni fa, è passata in mano all’esercito siriano il controllo della strada che collega Idlib a Hama. Nella provincia di Hama, ormai totalmente in mano a Damasco, non resta alcuna presenza dei combattenti di Al Nusra. Secondo molte fonti locali, la riconquista di Khan Sheikhoun segna l’inizio di un attacco che porterà alla liberazione di Idlib, divenuta insieme all’Afghanistan uno dei luoghi con maggior concentrazione di terroristi al mondo. Ciò porterà anche alla liberazione di tutte le terre occupate al nord e al sud del Paese. La zona di Khan Sheikhoun è quella dove negli ultimi anni gli “elmetti bianchi” avevano diffuso le notizie sui famigerati attacchi al gas sarin contro i civili, e che secondo altre fonti erano notizie fabbricate.
La ripresa di Khan Sheikhun segna una svolta storica nei rapporti fra Damasco, Mosca, Ankara e Teheran. Fonti parlamentari siriane spiegano che fino ad ora, Mosca aveva invitato alla calma la Siria, e ciò ha permesso ad Ankara di tergiversare per un anno, evitando di attuare quanto concordato ad Astana. Ora sembra che la pazienza di Damasco sia esaurita. L’esercito siriano ha superato le linee rosse poste da Mosca per non turbare equilibri regionali ed internazionali. Queste linee non hanno più valore per il governo siriano. Sulle colonne del quotidiano Teshreen si legge: “Mosca è un alleato e deve sostenerci e non più obiettare su ciò che va contro agli interessi siriani”.
Per spingere l’esercito siriano a retrocedere e non compiere alcun attacco, 15 giorni fa la Turchia ha inviato truppe di rinforzo. L’esercito siriano non si è fermato e ieri è riuscito perfino ad accerchiare la base avanzata turca di osservazione militare a Mork, a sud di Idlib. Tutto appare più come una guerra fra Siria e Turchia, e non fra Damasco e i mercenari di Idlib, sostenuti da Ankara e Doha.
Ieri, la Radio siriana ha commentato: “La questione non è se Mork sarà evacuata, ma in quale modo avverrà”. La stessa fonte afferma che sono in corso fitte discussioni segrete fra russi e turchi per garantire una ritirata meno umiliante per Ankara. Altre fonti parlano di fuga di gran parte degli occupanti stranieri e turchi da Mork. In realtà, secondo video apparsi ieri sui social, a Mork vi sono ancora persone e combattenti.
Come accadde con i furti alla liberazione di Aleppo: i miliziani fuggono
verso la Turchia smantellando gli impianti per la fornitura elettrica del governo siriano
Secondo diversi analisti, la scelta di accerchiare Mork appare come una diretta risposta della Siria alla decisione turco-americana di creare una zona di sicurezza nel nord della Siria. La risposta di Damasco sembra essere: “E’ terra siriana e verrà liberata anch’essa”, invitando Washington e i curdi a non confidare troppo sulla resistenza turca in Siria.
Intanto l’aviazione russa bombarda ogni giorno postazioni e depositi di armi sofisticate giunte di recente ad Idlib. La Siria ha aperto un corridoio umanitario per permettere agli abitanti civili di fuggire dalle zone di combattimento garantendo loro protezione, aiuti logistici e sanitari ed immunità per i non responsabili di crimini d guerra.
Molti civili sono già passati in Siria. Ma una gran parte di essi - soprattutto coloro che sono responsabili di azioni bellicose contro il governo ed i loro familiari - hanno optato di ritirarsi al centro di Idlib, la cui difesa appare ormai sempre più fragile.
S.
Ecc. Mons. George
Abou Khazen,
Vicario Apostolico di Aleppo;
Binan
Kayyali,
Direttrice Franciscan Care Center di Aleppo;
Firas
Lutfi,
Responsabile Terra Sancta College e Franciscan Care Center di
Aleppo;
Mahmoud
Akkam,
Gran Muftì di Aleppo (intervento in video-collegamento).
Introduce Andrea
Avveduto,
Giornalista, Associazione pro Terra Sancta.
da: S.I.R.
Donne anziane in strada che vendono pezzi di pane per sopravvivere, bambini e ragazzi che giocano tra cumuli di macerie non ancora rimosse. Auto e motorini che si muovono a suon di clacson fra la gente ferma davanti a improvvisate bancarelle e piccoli negozi dove si vende di tutto. La periferia orientale di Aleppo si presenta così dopo cinque anni di guerra (2012- 2017). In questa area si erano arroccati i jihadisti filo Al Qaeda di Al Nusra per contendere la città, capitale economica della Siria, all’esercito regolare del presidente Assad e ai suoi alleati russi e iraniani. Oggi la linea di fronte si è spostata di circa 20 chilometri, in piena campagna, dove si muovono ancora alcune milizie armate ribelli. “Fino a meno di sei mesi fa qui in queste strade non c’era vita. Le conseguenze ancora si vedono, manca acqua e anche l’energia elettrica. Si va avanti con i generatori” dice un negoziante. Ma ora qualcosa sembra muoversi, le famiglie provano a tornare. La gente pare più tranquilla, salvo ripiombare nel terrore, soprattutto di notte, quando razzi e bombe tornano a far sentire il loro frastuono.
L’incontro con Binan e Elia è qui, in mezzo a queste strade polveroseche portano ancora i segni della guerra.
L’Unicef stima che in tutta la Siria ci siano circa 29 mila bambini figli di foreign fighters, molti sotto i 12 anni. “Si tratta di bambini e ragazzi guardati con diffidenza, tacciati di essere figli dell’Isis o figli del peccato, e per questo abbandonati dalle proprie famiglie. Così anche le loro madri. Discriminati ed emarginati hanno bisogno di tutto, acqua, medicine, istruzione, supporto psicologico e soprattutto di un nome e di un futuro”. Già, un nome e un futuro, come recita lo slogan del progetto.
“Avere un nome significa esistere se non lo hai non esisti, sei invisibile, esposto a violenze e abusi quotidiani. Se non esisti non hai un futuro” spiega Binan mentre indica una vecchia palazzina cadente crivellata di colpi. Su un balconcino campeggia un piccolo striscione con la scritta “Care center” sormontata da un logo con la sigla “Fcc” (Fcc, Franciscan care center). Due rampe di scale, invase da liquami, umidità ovunque, una porta che apre su un piccolo appartamento completamente rinnovato, imbiancato, luci al neon che amplificano gli spazi angusti. Un bianco che stride con l’esterno. E tanti sorrisi, quello degli operatori che qui prestano la loro opera, dei bambini che vengono assistiti e delle loro madri che li attendono fuori le aule. In una stanza un nutrito gruppo di donne, giovani e meno giovani, segue corsi di prima alfabetizzazione e di lingua inglese. “Moltissime donne di Aleppo Est sono analfabete – spiega Elia – con questo progetto insegniamo loro a leggere e scrivere. Alla fine del corso riceveranno un attestato di frequenza”.
Sono due i Care center dei francescani che fanno capo al progetto “Un nome e un futuro”. I numeri sono di tutto rispetto: circa 500 persone seguite, 200 disabili e 300 ragazze madri. Un lavoro continuo, sette giorni su sette, per oltre otto ore al giorno, condotto da 15 operatori specializzati. Numeri che crescono man mano che nei due centri affluiscono “tanti orfani ‘invisibili’ trovati a vagabondare per i palazzi distrutti di Aleppo. I cosiddetti figli dell’Isis – dicono Binan e Elia – non sono nemmeno iscritti all’anagrafe. Praticamente ‘non esistono’. In gran parte si tratta di bambini e ragazzi molto aggressivi, poco propensi a relazionarsi con gli altri. Per questo motivo puntiamo alla socializzazione e all’inserimento scolastico grazie alla collaborazione con il ministero dell’Istruzione siriano. Stare in una classe vuol dire avere un nome, studiare rende possibile un futuro. Ad oggi almeno venti di questi bambini sono stati iscritti nelle scuole pubbliche”.
Nei due centri giungono anche numerosi ragazzi che non hanno potuto frequentare la scuola durante gli anni della guerra. “Cerchiamo di far recuperare le lezioni perse con un doposcuola in vista del loro reinserimento scolastico” dice Binan. Oggi è giorno di logoterapia e fisioterapia. Su un materassino Mahmoud, poco più di tre anni, fa fisioterapia. “È nato con difficoltà motorie sotto l’occupazione di Al Nusra e nel frastuono dei bombardamenti dell’esercito – dice Binan – del padre nessuna notizia. La madre non poteva uscire se non con il permesso di uno degli uomini della famiglia. La disabilità qui è uno stigma sociale. Suo figlio, costretto in casa, non ha potuto ricevere le cure adeguate”. In una saletta vicina le logoterapiste sono impegnate con due bambini. “Non parlano, sono traumatizzati dalla guerra – aggiunge la psicologa – uno dei due non riesce nemmeno a guardare la sua insegnante. La ascolta con il viso rivolto al muro. Sono bambini con un basso grado di concentrazione. Ogni minimo rumore li impaurisce. Sono gli esiti dei traumi vissuti sotto le bombe”. Ma ci sono due cose che, in prospettiva, spaventano la psicologa: “la propensione al suicidio di giovani e bambini rimasti amputati durante i bombardamenti e la tendenza dei ragazzi a giocare in strada usando armi vere che vengono facilmente reperite nei quartieri della città. Hanno una familiarità con le armi al punto da riconoscerle dallo sparo che producono. La guerra sta provocando casi clinici e patologie che non si trovano sui libri scientifici. Non c’è bambino ad Aleppo che non abbia bisogno di aiuto e sostegno psicologico”.
Il lavoro di Binan e di Elia non si esaurisce nei due centri ma prosegue nel Terra Santa College di Aleppo, guidato da padre Firas. Qui è attivo il centro “Arte e Psicologia” (Art and Psychology) dove tantissimi bambini e ragazzi vengono per frequentare corsi di teatro, di musica, di disegno, e praticare attività manuali e sportive. Lo sforzo di Elia e Binan, insieme a padre Firas, è arrivare anche alle famiglie di questi ragazzi. Il College è dotato di tante strutture, campi di calcio, di basket, piscina, palestre, laboratori, frutto della generosità della Chiesa italiana, di organismi come Misereor e di Ats, l’ong della Custodia di Terra Santa, in prima fila nel reperire fondi per alimentare la missione dei francescani.
Uno dei prossimi obiettivi, afferma Elia, “sarà aprire 10 centri in diverse zone povere della città. Assistere i bambini e le loro famiglie è il modo migliore per recuperare aree e zone della città altrimenti destinate a morire”.
“Aleppo oggi è un grande terreno reso arido dalla guerra – dice Binan – ma va irrigato e reso fertile piantando dei semi molto resistenti. Sono i semi della solidarietà, della vicinanza, della riscoperta dei rapporti interpersonali, del rispetto dei diritti e della dignità di ogni persona. Sono semi che crediamo possano ricostruire la società siriana e per questo portare alla pace e alla riconciliazione”.
“Riedificare case si può e si deve, ma vanno prima ricostruite le vite dei loro abitanti”.
Presentazione e proiezione del film documentario di Maria Luisa Forenza. Partecipa l'Autrice. Data: 24 Agosto 2019, ore 14:00 Arena Percorsi, padiglione A2
... Le immagini di Mother Fortress — accompagnate da un variegato tessuto sonoro che intreccia francese, inglese, arabo, canti liturgici nella cappella del monastero, echi di mortaio in lontananza, melodie pop alla radio, il colpo secco di un camion carico di viveri che si chiude quando viene preso d’assalto dalla folla affamata — non vogliono raccontare solo gli orrori della guerra, ma anche il mistero del tempo e la tenacia della vita che germoglia instancabile anche nel deserto del male più estremo. Quella dimensione verticale della vita umana, che nessuna angoscia, nessuna morte riesce a spegnere. «È un viaggio materiale e spirituale — si legge nelle note di regia — nella ricerca personale sul tempo come idea-guida delle riprese. Tempo mitico, tempo cronologico, tempo liturgico o kairòs, colto nell’oscillazione fra realtà quantitativa e dilatazione del presente».
La telecamera non cerca mai l’effetto facile; gli orrori di Daesh, i rapimenti, le minacce, le torture, le decapitazioni, vengono raccontati alle suore dalle profughe ospitate in monastero in cucina, mentre tagliano le verdure per preparare il pranzo o scaricano i sacchi di riso. «Il ceceno ha sposato la moglie. Poi l’ha uccisa davanti a suo marito. Poi ha ucciso anche il marito».
Accanto ai fornelli c’è anche una giovane mamma musulmana, che non rinuncia a un filo di kajal, da ritoccare subito quando viene lavato via dalle lacrime. «Mio marito è morto in guerra due anni fa. Ho due bambini, sono sola, se non mi avessero accolto qui non avrei saputo dove andare». Gli scheletri dei palazzi di Deir ez Zor, completamente distrutti da un assedio durato tre anni, vengono inquadrati mentre le camionette dell’Isis sono ancora a duecento metri di distanza, dietro le colline. Gli abitanti del quartiere si fanno largo in mezzo alle macerie con orgoglio, per mostrare alla troupe che la ricostruzione è già iniziata.
Alla suora sudamericana, arrivata a Qara pochi mesi prima che scoppiasse il conflitto, sfugge un sorriso; sta parlando della pace profonda che sente nel cuore da quando è in convento, e si è appena sentita l’eco di un colpo di mortaio. «Sono a est, e sono anche a ovest. Noi siamo in mezzo» continua un frate — capelli rossi e accento yankee, viene dal Colorado — spiegando quanto sia strategica la vallata in cui sorge il convento. Soli a presidiare la fortezza, parafrasando il titolo di uno splendido libro della scrittrice americana Flannery O’ Connor, durante una guerra che, quando la troupe ha iniziato a girare rischiando, letteralmente, la vita ogni giorno durante le riprese, ha raggiunto vertici di ferocia difficili da immaginare.
Il titolo del documentario, Mother Fortress, spiega Maria Luisa Forenza, è un diretto richiamo alla fortezza romana di Qara, trasformata in monastero dalle prime comunità cristiane, splendente sotto il sole con le sue pietre bianche murate di fresco. Il convento venne completamente distrutto dagli ottomani nel 1720; durante l’attacco furono uccisi gli oltre cento monaci che vivevano nell’edificio. Nel 1993 il vescovo di Homs ha dato mandato a madre Agnes di ridare vita a queste rovine, è così è stato. Insieme alle consorelle, ha avviato la rinascita materiale e spirituale di questo luogo, in collaborazione attiva con i villaggi limitrofi, che ha visto il fiorire di cooperative agricole e forme di mutua assistenza sociale. Prima della guerra, ovviamente; solo otto anni fa, ma sembrano passati secoli. Adesso la priorità è assistere orfani, profughi e vedove, cristiane o sunnite, nel modo più concreto possibile, scaricando casse di attrezzi chirurgici, organizzando ospedali da campo, sistemando rotoli di bende sugli scaffali, spostando sacchi di cibo in magazzino.
«La parola fortezza — spiega la regista — è anche un richiamo alla forza dei monaci che hanno resistito alla guerra. E un riferimento alle quattro virtù cardinali, perché siano monito per tutti».
Durante i viaggi in macchina, in mezzo alla desolazione della guerra in corso, nel mirino di armi sofisticate che possono uccidere anche a quattro, cinque chilometri di distanza, le suore pregavano incessantemente Maria recitando il rosario per chiedere aiuto e protezione. «Il mio amico tassista adesso ha una luce negli occhi che umanamente è inspiegabile — racconta un giovanissimo frate siriano — perché è stato plasmato dalla sofferenza. A causa del suo lavoro è passato ogni giorno, per settimane, accanto a corpi che non potevano essere sepolti se non a rischio della vita». Anche madre Agnes ha visto centinaia di cadaveri abbandonati ai lati della strada, come racconta mentre riempie di pigmento bianco l’aureola di un’icona.
«Ho trovato una grande forza — spiega la regista — una grande vitalità e un amore per la vita che non immaginavo possibile in tempi di guerra». Un amore che giunge a vertici incomprensibili nel terribile, struggente racconto finale. Che sarebbe riduttivo descrivere qui: meglio ascoltarlo dalla voce di madre Agnes, quando il documentario sarà proiettato (a ingresso libero)....
Cari
amici, l'interminabile guerra in Siria ci riferisce ogni giorno
notizie di vite umane perdute in battaglie o in atti terroristici, e di grande sofferenza
per tutto il popolo impoverito e privato delle risorse di base. All'ingiustizia si unisce l'inadeguatezza di una informazione che rimandi
alla verità senza ipocrisie e doppiezze.
La
risorsa certa che ci rimane è la preghiera: vi proponiamo quindi
di aderire alla NOVENA PER LA PACE IN SIRIA che fu proposta tempo fa
da 'Aid to the Church in Need Syria Project'.
La
introduciamo con il monito tratto da una comunicazione delle Monache
Trappiste di Azeir :
"Dopo
tanto silenzio, si ricomincia a parlare della Siria... Ricomincia la
solita narrazione: parziale, di parte, falsata.. Una narrazione che
sceglie fra vittima e vittima, esaltandone una e dimenticandone
completamente un'altra... Questo è un po' inquietante: perchè,
ancora una volta, dopo tanto silenzio, dopo tante prove che dicono
che se non altro occorre essere più prudenti nel distribuire il bene
e il male, riparte tutto come prima? Solita narrazione, asservita
alle solite logiche di potere.. Viene un po' di brivido: è come un
serpente a cui cento volte si taglia la testa e sempre rinasce.
Riaffiora lo spettro di una Siria divisa, spartita.. Allora
affidiamoci alla preghiera. Chi vuole, sorrida pure... Potente è
l'arma che abbiamo tra le mani nude..."
BUONA SOLENNITA'
DELL'ASSUNZIONE DI MARIA SS.
A TUTTI GLI AMICI!
Preghiera
e intercessione per la pace in Siria.
Dio
di Compassione, Ascolta il pianto del popolo siriano. Conforta
coloro che subiscono violenza. Consola coloro che piangono i
morti. Dona coraggio ai Paesi vicini della Siria di poter
accogliere i rifugiati. Converti il cuore di coloro che hanno
imbracciato le armi. E proteggi coloro che si impegnano per la
pace.
Dio
della speranza, ispira i governanti a scegliere la pace piuttosto
che la violenza e a cercare la riconciliazione con i
nemici. Infiamma la Chiesa Universale di compassione per il popolo
siriano. E dacci speranza per un futuro costruito sulla giustizia
per tutti. Lo chiediamo attraverso Gesù Cristo, principe della
pace e luce del mondo.
Amen.
Litanie
per la Siria
Cuore
Immacolato di Maria, prega per la Siria, prega per noi. Cuore
Immacolato di Maria, prega per la Siria, prega per noi. Cuore
Immacolato di Maria, prega per la Siria, prega per noi.
San
Giuseppe, patrono e protettore della Chiesa Universale, prega per la
Siria, prega per noi.
Martiri
della Siria e del Medio Oriente, pregate per la Siria, pregate per
noi.
Santi
della Siria e del Medio Oriente, pregate per la Siria, pregate per
noi.
San
Charbel, prega per la Siria, prega per noi.
San
Paolo, benedici il cristianesimo in Siria, aiuta i cristiani di
questo paese. Non dimenticare questo luogo, la culla del
cristianesimo.
Maria,
Regina della Pace, prega per la Siria, prega per noi.
Grazie
per le vostre preghiere e la vostra solidarietà con il popolo
siriano.
La
stabilizzazione del governatorato di Idlib è improbabile, un tale
processo politico non può essere attuato fintanto che gli Stati
Uniti e i suoi alleati cercano di preservare il caos nella regione,
ha detto in un'intervista all'agenzia russa RIA Novosti la
giornalista indipendente canadese Eva Bartlett.
La
situazione a Idlib rimane una delle questioni più importanti
nella risoluzione del conflitto in Siria. Il 1° agosto, il
governo siriano ha annunciato un
cessate il fuoco nella regione, a condizione che il memorandum
della zona di de-escalation del 2018
sia rispettato. Dopo solo quattro giorni, la Siria ha
dichiarato che sta riprendendo un'operazione militare contro alcuni
gruppi di terroristi a causa del mancato rispetto da
parte di questi della tregua, e degli impegni turco-russi da parte di Ankara.
"Una
possibile soluzione sarebbe quella di proporre un accordo ai gruppi
terroristici in modo che possano lasciare Idlib e che la Repubblica
araba siriana viva in pace, altrimenti rimane solo la soluzione
militare", ha risposto la giornalista e attivista canadese Eva
Bartlett a una domanda sulla situazione nella regione. Una
soluzione politica con un ritiro dei terroristi sarebbe l'ideale ma
"gli Stati Uniti e i loro alleati non lo vogliono, preferiscono
che regni il caos ".
Come
esempio, si riferisce a problemi di presenza terroristica in altre
aree in cui ai ribelli di nazionalità siriana era stato permesso di
deporre le armi e riprendere una vita normale. Se non avessero
concordato, avrebbero potuto trasferirsi in altre aree o andare su
Idlib. Tuttavia, nella situazione attuale, il ruolo dei media è
cruciale, ha aggiunto.
"È
importante capire che quando i media occidentali parlano della
situazione a Idlib, non si rendono conto che si tratta di una base
di Al Qaeda. Brett
McGurk, ex inviato speciale degli Stati Uniti, ha persino affermato
che si trattava di un fulcro per questo gruppo terroristico. I
media devono svolgere il loro ruolo, è loro obbligo parlarne, ma
invece tacciono il fatto che questi terroristi esistono, lasciando
immaginare che Russia e Siria attaccano i civili, in modo errato e
che non non si attiene alla realtà ", dichiara Eva Bartlett.
"Una
donna mi ha detto che i terroristi l'hanno seguita ovunque andasse in
Idlib", racconta la giornalista. Secondo Eva Bartlett, gli
abitanti locali devono pagare un riscatto per lasciare il territorio
detenuto dai ribelli. "Questo è ciò che il grande
pubblico deve sapere per capire il contesto con la giusta
prospettiva", ha aggiunto.
Tuttavia,
la giornalista rimane scettica sulla consapevolezza dei media: "In
generale, i media occidentali continueranno a coprire la situazione
siriana secondo il principio di una cassa di risonanza, armeggiando
con i fatti in molti casi".
"Porto e difesa, baluardo e riparo
sii per chi in te si rifugia, Signora:
sii protezione e sorgente di gioia.
O Vergine Madre di Dio, salvaci!"
da Radio Vaticana Nella suggestiva basilica romana di Santa Maria in Via Lata è in corso la tradizionale Quindicina dell’Assunta, una pratica di devozione in preparazione alla Solennità dell’Assunzione di Maria del prossimo 15 agosto: nei quindici giorni, i fedeli digiunano e cantano l’ufficio orientale chiamato Paraclisis, composto da inni di supplica per ottenere conforto e coraggio. La celebrazione, che nelle Chiese cattoliche ed orientali di rito bizantino prende il nome di ‘Piccola Quaresima della Madre di Dio’ ed è stata in parte adattata alla nostra tradizione liturgica occidentale ormai più di quarant’anni fa, si concluderà il 14 agosto alle ore 20.00 nella Basilica Papale di Santa Maria Maggiore con la solenne veglia dell’Assunta presieduta dal cardinale Stanisław Ryłko, arciprete della basilica.
Una pratica dal grande valore ecumenico
Il mariologo Antonino Grasso, docente all’Istituto di Scienze Religiose ‘San Luca’ di Catania, spiega che “la Quindicina dell’Assunta assume un grande valore ecumenico visto che unisce i cristiani di Oriente ed Occidente nell'unanime venerazione di Maria. Con questa pia pratica i fedeli chiedono alla Madre di Dio anche di intercedere per la pace sulla terra, l’unità delle Chiese, la benedizione divina sulle famiglie e su ogni creatura umana”. Anche per noi occidentali, aggiunge il prof. Grasso, lo scopo della Quindicina dell’Assunta è quello di alzare lo sguardo verso la Vergine glorificata “per sentirla sempre vicina e per rivolgerle fiduciosi la struggente invocazione di aiutarci a risolvere i grandi problemi personali, familiari, nazionali ed internazionali”.
Maria ci invita a combattere contro il male per la salvezza
Ma cosa ci insegna il guardare incessantemente all’Assunta? “Ci insegna - risponde il mariologo Grasso - che nulla di noi andrà perduto; che tutto di noi sarà salvato per sempre solo se sapremo vincere la nostra battaglia contro il male e se sapremo superare la paura della morte, animati dalla speranza certa e concreta della resurrezione”. In sostanza, Maria ci sollecita ad essere forti e decisi contro il demonio che “con le sue subdole ed affascinanti insidie ci circonda invisibile ma potente, con l’intento di strapparci a quella realizzazione gloriosa e splendente in Dio di cui l’Assunta è l’icona, distruggendo così la nostra esistenza”.
dai
Maristi di Aleppo trad. Maria Antonietta Carta
Questa è l'ultima 'Lettera da Aleppo' che gli autori, Nabil Antaki e Georges Sabeh, membri di un'associazione che soccorre sfollati e indigenti nella città di Aleppo dal 2012 fino a oggi, hanno inviato ad amici, conoscenti e sostenitori nel mondo intero, riunite poi a formare un diario che è stato pubblicato in Francia col titolo ''Les Lettres d'Alep'': una cronaca scritta dentro una città martoriata, dove molti hanno scelto di continuare a vivere e affrontare la guerra con le armi della solidarietà e della fratellanza. È una storia d' amore, di compassione e di coraggio, e anche una testimonianza sulla resilienza di una minoranza, tra le tante della Siria e una delle più antiche, quella cristiana minacciata, come le altre, nella sua sopravvivenza da chi per i suoi turpi interessi si è inventato uno falso scontro di civiltà. È un’opera sulla follia della guerra e sulla saggezza della coesistenza. Io ho tradotto il libro in italiano e spero che presto possa essere pubblicato perché lo considero un documento prezioso sulla guerra in Siria. Maria Antonietta Carta
A
luglio, di solito fa molto caldo ad Aleppo. Prima della guerra, era
il mese in cui molti giovani trascorrevano le vacanze fuori città:
partenze giornaliere di gruppi di campeggiatori verso i luoghi di
villeggiatura in montagna, Kassab, Marmarita o Mashta el Helou nella
Valle dei cristiani. Chi conosce quelle zone sa che molti bambini e
giovani facevano escursioni o campeggiavano nei villaggi e nelle
campagne circostanti. Da due anni, le loro strade, rimaste deserte
per almeno cinque anni a causa del conflitto, hanno visto tornare
molti giovani. Invece, altri luoghi sono ancora inaccessibili:
i villaggi popolati in maggioranza da cristiani della provincia di
Idleb, Knayeh, Yacubieh e Ghassanieh, dove non resta che una
piccolissima comunità di cristiani.
Sebbene
una buona parte del Paese sia stata liberata e i media parlino ormai
poco della Siria, nella provincia di Idlib e nelle zone del nord-est
sussistono ancora focolai di grande tensione L'esercito siriano sta
combattendo per liberare il distretto di Idlib in mano al Fronte di
al-Nusra. Possiamo sperare che tutte queste regioni siano liberate
presto? Noi desideriamo il ritorno della sovranità nazionale di
tutti i territori occupati, ma intanto continuiamo a subire le
conseguenze di un embargo e delle sanzioni occidentali che
impediscono la ricostruzione del Paese e la ripresa economica. Il
potere d'acquisto continua a diminuire e i Siriani diventano sempre
più poveri.
Penso
all’ultrasettantenne ex studente dei Maristi, che si ritrova senza
risorse economiche: "I pochi risparmi che avevo sono esauriti.
Non mi è rimasto niente. Non ero povero. Mi sono guadagnato da
vivere. Ho cresciuto la mia famiglia in maniera dignitosa. Oggi sono
povero! ". Povero ... Povertà ... Miseria ... Non mangiare a
sufficienza. Non trovare lavoro. Le persone che hanno subìto le
atrocità della guerra, continuano a pagare un prezzo troppo alto
accettando di restare e resistere. Ascolto molti che rimpiangono di
non essere andati via, soprattutto quando parenti o amici emigrati
raccontano di essersi inseriti nei Paesi d’accoglienza.
E
resta l’angoscia incessante per una possibile guerra che potrebbe
incendiare l'intero Medio Oriente.
Alcune
zone di Aleppo continuano a essere oggetto di bombardamenti che
spesso causano vittime tra i civili, ma nonostante ciò Aleppo vuole
rinascere dalle ceneri. I suoi abitanti fanno tutto il possibile per
uscire dalla miseria, per "scegliere la vita". Non è
facile. Incontriamo spesso madri vedove, divorziate o senza notizie
dei mariti scomparsi. Hanno tre o quattro bambini. La guerra è
passata nelle loro case, le ha costrette non soltanto a fuggire tante
volte e a vivere in quartieri sconosciuti, ma anche alla più grande
miseria. Non voglio redigere una lista nera dei drammi, che sono una
realtà terribile.
Si
può tornare a camminare in alcune strade di Aleppo, vedere gente che
fuma un narghilè in un caffè e osservare le parvenze di una vita
normale. Anche una strada dei suk di Aleppo è stata completamente
restaurata, mantenendo il vecchio stile, ma resta ancora molto da
fare; soprattutto ricostruire l’uomo, la comunità, il senso di
appartenenza e di cittadinanza; rieducarsi ai valori condivisi:
aprirsi all'altro, rispettarsi nelle differenze, risolvere
pacificamente le controversie e andare incontro ai più indigenti.
Due
mesi fa, il programma "Pueblo de Dios" della televisione
spagnola ha presentato in due puntate l'azione e la missione dei
Maristi Blu. La troupe televisiva aveva trascorso una settimana con
noi. Il primo servizio era intitolato "The Heroes of Silence".
Siamo davvero "Eroi"? Che silenzio è? A quasi tre anni
dalla fine dei combattimenti nella città di Aleppo, la nostra
missione è sempre più effettiva. Al servizio della popolazione e in
particolare delle persone più vulnerabili. Continuiamo ad aiutare
gli sfollati. Paghiamo gli affitti per centinaia di famiglie che non
sono state in grado di tornare a casa e secondo le nostre possibilità
aiutiamo a curarsi gratuitamente i più poveri nei migliori ospedali
della città.
Il
nostro centro di educazione per adulti, il MIT, continua a offrire
formazione, apprendimento e supporto psicologico. Al fine di creare
opportunità di lavoro e incoraggiare i giovani a rimanere nel Paese,
il programma "Come avviare il proprio microprogetto"
continua a formare decine di giovani e sostenere finanziariamente
quelli selezionati dalla nostra giuria.
L'anno
scolastico dei progetti educativi per bambini dai 3 ai 7 anni
(Imparare a crescere e Io Voglio Imparare) è finito, e sono state
organizzate le attività estive dei mesi di giugno e luglio. Le
registrazioni per il prossimo anno annunciano una domanda crescente
che non possiamo ancora soddisfare dato lo spazio limitato.
Continuiamo
ad animare il campo di sfollati "SHAHBA", a 25 chilometri
da Aleppo. Ci andiamo più volte alla settimana per occuparci
dell'educazione e dell'istruzione di bambini e adolescenti, per l'accompagnamento delle madri e per la distribuzione di alimenti e
prodotti per l'igiene. Di recente, abbiamo avviato un programma
medico con visita regolare di un ginecologo e un internista e la
fornitura gratuita dei farmaci necessari.
I
giovani sfollati del campo hanno partecipato a sessioni di formazione
professionale di cinque mesi (corsi di trucco e cucito per ragazze,
tinteggiatura di edifici e acconciatura per ragazzi). I partecipanti
hanno poi ricevuto un attestato di frequenza e uno strumento di
lavoro corrispondente alla professione appresa. Speriamo di
continuare a formare i giovani nelle professioni del futuro.
La
nostra biblioteca mobile per il campo si arricchisce continuamente.
Incoraggiamo tutti i bambini, anche se non sanno leggere, a prendere
in prestito libri. Il libro diventa un amico, una fonte di
ispirazione e immaginazione; un'opportunità per imparare più
velocemente. I coordinatori sfruttano lo schermo installato nella
biblioteca per svolgere attività educative, proiettando film o
offrendo giochi di cultura generale.
Nel
campo, in occasione della fine del Ramadan, abbiamo organizzato una
grande festa per famiglie sfollate, una fiera per bambini e la
distribuzione di vestiti nuovi per tutti.
Heartmade, per il riciclo di tessuti e abiti, avrà un nuovo look e un nuovo
negozio che abbiamo affittato. È situato in una via più
commerciale. Le decorazioni saranno finite presto e speriamo di
aprire intorno al 15 agosto.
Il
team Seeds prepara un nuovo piano d'azione per il prossimo anno.
Amplieremo lo spazio della nostra tenda per accogliere altri bambini
e giovani, con un supporto psicologico sempre più avanzato.
Diversi
amici sono venuti per trascorrere dei bei momenti con noi. Hanno
preso parte a molte attività educative: Sumaya Hallak per la musica,
Diane Antakli dei Baroudeurs de l’Espoir
e Veronica Hurtubia per una seconda sessione di Resilience Training.
Gli
incontri di formazione e sviluppo dedicati alle donne hanno molto
successo. Le donne del progetto "Taglio e cucito" hanno
terminato la settima sessione di apprendimento e sono molto
soddisfatte.
"Goccia
di Latte" continua a servire 3.000 bambini che ricevono
regolarmente la loro razione di latte mensile.
Quest'estate,
e per la prima volta, stiamo organizzando un soggiorno di una
settimana in Libano per l'intero team di volontari Maristi Blu.
I
Fratelli Maristi hanno una casa estiva a Faraya (Libano) e saremo
presenti dal 5 al 12 agosto per un momento di convivialità e riposo
... Un tempo di spiritualità, scoperta del Libano e, per alcuni, un
tempo per ritrovare parenti che non vedono da anni.
Infine,
condivido con voi questo testo di Jean d'Ormesson, dal suo libro "Un
osanna infinito".
"I
cristiani non hanno il diritto di lamentarsi e non si lamentano. Non
solo non gli può essere proibito di credere in un Dio creatore del
cielo e della terra, ma sono abbastanza fortunati da avere come
modello, sotto i loro occhi, un personaggio la cui esistenza e posto
nella nostra storia non si può contestare: Gesù. Almeno è permesso
ammirarlo e amarlo senza porsi troppe domande sulla sua realtà. Se
c’è qualcuno che ha lasciato una traccia sorprendente nelle menti
degli uomini, è certo Gesù Cristo. "