Traduci

mercoledì 3 aprile 2019

Pellegrinaggio di OraproSiria in Libano

Nei prossimi giorni, ci recheremo per un breve pellegrinaggio in Libano per implorare a Nostra Signora di Harissa, di cui è in corso l'Anno Giubilare, e a San Charbel, il santo monaco maronita guaritore, le grazie di guarigione, di consolazione e di sostegno che in tanti ci hanno raccomandato, oltre alla grande grazia che non ci stanchiamo di domandare della pace in Siria.
Per prepararci, riportiamo una bella riflessione di fra Ielpo che illumina il significato del Pellegrinaggio, certi che sarà un aiuto a noi e a tutti coloro che si recano a pregare presso un Luogo Santo.
A tutti i nostri amici assicuriamo la nostra preghiera sotto il manto di Maria e di san Charbel.

«Fu visto e vide»

di fra Francesco Ielpo ofm |  marzo-aprile 2019

La conversione non nasce dalla paura di un castigo o da uno sforzo morale. Avviene quando ci scopriamo amati gratuitamente dallo sguardo misericordioso di Gesù su di noi.


L'incontro di Zaccheo con Gesù a Gerico in un'icona moderna.
Il pellegrinaggio in genere – e quello in Terra Santa in particolare – ha sempre avuto una forte connotazione penitenziale.
Ci si metteva in cammino per espiare le proprie colpe e in alcuni casi poteva essere persino sostitutivo della pena carceraria per chi aveva commesso dei reati. L’idea di penitenza, intesa come sofferenza, privazioni e disagi, era implicita nelle motivazioni di molti pellegrini medievali. Le difficoltà del viaggio, le tribolazioni sopportate, nonché i pericoli, costituivano un mezzo per espiare i propri peccati.

Ricordo che quando fui nominato Commissario di Terra Santa mi recai a Roma per un corso di formazione specifico. Un giorno, prendendo l’ascensore del grande collegio internazionale francescano dell’Antonianum, mi trovai in cabina con un frate a me sconosciuto che guardandomi dall’alto della sua statura mi domandò: «E tu chi sei?». Dopo aver risposto con il mio nome, il motivo per cui mi trovavo a Roma e l’incarico che mi era appena stato affidato, il frate con aria molto seria aggiunse: «Questa è l’ultima occasione che Dio ti dà per convertirti». Sinceramente spero che non sia l’ultima occasione, ma rimane pur vero che la Terra Santa costituisce una grande opportunità di conversione.

Oggi, forse, questo aspetto del pellegrinaggio rischia di passare in secondo piano. Si parte per la Terra Santa con il desiderio di vedere i luoghi e di ripercorrere la geografia sacra senza affrontare, in tutta onestà, grandi sacrifici o penitenze. Ma è possibile, tra le tante comodità che le moderne forme di viaggio consentono, recuperare la dimensione fondamentale del pellegrinaggio come «cammino di conversione»? A partire dalla mia personale esperienza intravedo una positiva risposta nella figura di Zaccheo.

Nel venire a sapere che Gesù passava da Gerico, quest’uomo basso di statura e peccatore pubblico, desiderando vedere Gesù si ingegna per superare le difficoltà oggettive e sale su una pianta di sicomoro.

Voleva vedere Gesù, ma, come ricorda sant’Agostino, «fu visto e vide; ma se non fosse stato veduto, non avrebbe visto».

Nell’esperienza giudaica tre volte all’anno tutti gli ebrei maschi dovevano compiere la «salita a Gerusalemme» (’aliyah) «non solo per vedere Dio, ma anche per essere visti dal Signore» (F. Manns, Terra Santa sacramento della fede, Edizioni Terra Santa 2015). In Terra Santa, ancora oggi, si può fare l’esperienza «graziosa» di uno sguardo amorevole che si posa sulla nostra vita.

Qualche anno fa, a causa dell’annullamento di un precedente viaggio in un Paese esotico, un uomo si era iscritto all’ultimo momento a un pellegrinaggio organizzato dal Commissariato, perché desideroso di visitare luoghi mediorientali. Erano quarant’anni che non metteva piede in una chiesa, dal giorno delle nozze, e aveva vissuto, pur comportandosi bene e in maniera onesta, come se Dio non esistesse.

Dopo qualche giorno di cammino si avvicinò chiedendomi un colloquio personale. Non sapeva perché, ma luogo dopo luogo, santuario dopo santuario, cresceva in lui un desiderio grande di comunicarsi e mi confidava che non poteva farlo perché convinto di non potersi confessare né ricevere l’assoluzione.

Nello scoprire che poteva ricevere il perdono di Dio non riuscì a trattenere la commozione e le lacrime. Lo stesso avvenne il giorno seguente durante la santa Messa al memoriale di san Pietro a Cafarnao, dove ricevette la comunione. Nel luogo dove Gesù aveva promesso il pane vero, quello disceso dal Cielo che dà la vita eterna, quell’uomo si è sentito dire, al pari di Zaccheo, «oggi devo fermarmi a casa tua» (Luca 19, 5) e lo ha accolto pieno di gioia nell’Eucaristia. La conversione non nasce dalla paura di un castigo né da uno sforzo morale. Il cambiamento del nostro cuore avviene sempre quando ci scopriamo amati gratuitamente, quando lo sguardo misericordioso di Gesù si posa sulla nostra vita... Allora, e solo allora, la conversione, cioè il cambiamento di vita («Ecco Signore, io do la metà dei miei beni ai poveri e, se ho rubato a qualcuno, restituisco quattro volte tanto»), ne scaturisce come conseguenza.

Ancora oggi possiamo recuperare nel pellegrinaggio il «cammino di conversione» di cui tutti abbiamo bisogno, senza necessariamente indossare l’abito del penitente e affrontare particolari disagi. Partiamo, dunque, con il desiderio di vedere, ma anche di essere visti dal Signore. Docili allo Spirito scopriremo che Gesù ci guarda, ci parla e ci ama attraverso i Luoghi Santi, nella Parola, nella preghiera, negli incontri con le «pietre vive» e attraverso il volto di coloro che camminano con noi.

http://www.terrasanta.net/tsx/lang/it/p11479/Fu-visto-e-vide

Nessun commento:

Posta un commento

Invia alla redazione il tuo commento. Lo vaglieremo per la sua pubblicazione. Grazie

Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.