Nell’ambito
delle celebrazioni del Centenario del Pontificio Istituto Orientale
(P.I.O.), il convegno internazionale “Damasco, prisma di speranze”
ha voluto offrire un'opportunità di confronto e dialogo rivolto ai
Pastori del Medio Oriente, finalizzato alla ricostruzione di un
tessuto di relazioni e di mutuo aiuto ai Cristiani in quelle aree di
conflitto e di eroica testimonianza.
Il
progetto da realizzare sorge da due domande che arrivano dalla
Provincia dei Gesuiti del Vicino Oriente, che si interroga sui
concetti di identità e appartenenza e su come educare al futuro dopo
5 anni di un conflitto dove sembra impossibile parlare di speranza. E
Damasco è il luogo simbolo di quel conflitto e della realtà dei
cristiani in quella parte di mondo. Il Pontificio Istituto Orientale
ha voluto porsi come “luogo simbolo” di conversazione, per
tematiche come dignità dell’uomo o di un intero popolo/comunità,
con un’attenzione particolare ad una visione geopolitica ad ampio
raggio, attraverso i contesti educativo-religiosi. Questo è
l'orizzonte al quale il convegno è orientato (e che vedrà nel
prossimo anno 2017 la seconda sessione) per un futuro di coesistenza
e di collaborazione tra le varie anime dei popoli medio-orientali.
Gregorio
III° Laham, patriarca della Chiesa cattolica greco-melchita con sede
a Damasco, in questi giorni a Roma per il convegno al P.I.O. e è
noto per il suo entusiasmo e la sua franchezza. Sua Beatitudine non
usa mezzi termini quando si affronta la questione della coesistenza
tra cristiani e musulmani, quello della responsabilità
internazionale nel conflitto siriano, ma insiste soprattutto su un
punto: la presenza cristiana in Oriente non deve essere voluta per se stessa, ma per i compiti richiesti alla comunità cristiana in questa
regione di guerra e di occupazioni.
Riportiamo
qui alcuni pezzi di interviste, dalle quali emerge con chiarezza il
suo pensiero. Non è tipo da farsi intimorire e quando si tratta
della sua gente - e per SUA gente non fa distinzione fra musulmani,
cristiani o altre confessioni - parla senza peli sulla lingua:
"In
Occidente mi si accusa di sostenere il presidente Assad. Ma coloro
che danno di queste lezioni vengano sul posto per rendersi conto del
terrore che gli islamisti ci incutono". "Non si può far
dipendere l’avvenire di un Paese e dell’intero Medio Oriente da
una persona sola. Pensarlo è del tutto illogico, anche un bambino
piccolo è in grado di capirlo. Mi domando quindi come si possa
affermare che tutti i problemi dipendano da Assad, quando è evidente
che non è così. Questa è una falsa presentazione del problema."
In
un'altra intervista del febbraio di quest'anno pubblicata sul sito
“L’Oeuvre d’Orient” nella quale si sofferma sulla crisi
siriana, il quasi ottantatreenne patriarca, siriano di nascita, parla
del “martirio del suo Paese” e accusa le grandi potenze che si
rifiutano, dice, “di combattere Daesh con i mezzi necessari”
contrastando invece il governo. “Non temo solo per i cristiani ma
per tutto il popolo siriano. Le bombe stanno cadendo ovunque. Gli
americani, i russi, gli inglesi, i francesi, i turchi, e anche
Israele ci bombarda, come è avvenuto lo scorso dicembre per
eliminare un membro di Hezbollah, presente a Damasco. Tutto questo,
dicono, per sbarazzarsi di Daesh e portarci la pace. Ma in attesa di
questa pace che non viene, ad essere uccisi sono civili siriani.
Uomini, donne, bambini che muoiono ogni giorno a decine”.
“Le
grandi potenze ci accusano di sostenere una dittatura, ma il nemico
non è Assad né i suoi alleati, è Daesh con le sue legioni
straniere, Ceceni, Giordani, Tunisini, Sauditi, e anche Europei che
vengono ed occupano le nostre terre. È da loro che dobbiamo
liberarci. Il popolo siriano soffre il martirio. Cinque anni di
guerra, e il pedaggio è pesante: tra 250.000 e 300.000 morti,
migliaia di feriti, mutilati, sfollati, orfani, e l’Occidente sta
ancora parlando e sempre dell’uscita di Assad, ma mai di quella dei
terroristi. Sono quelli che scacciano i cristiani dalle loro case e
che sgozzano i siriani che osano affrontarli. Per quanto tempo ancora
dovremo vivere sotto il giogo di questi assetati di sangue?”.
“Devo
aiutare tutti i Siriani – conclude – poco importa a quale
religione appartengano. Bisogna preparare il dopo guerra e ritrovare
la voglia di ricostruire insieme la Siria”.
Attraverso
quest'altra intervista, rilasciata l'11 novembre a Radio Vaticana,
Gregorio III° Laham dice la sua senza perifrasi su quello che più
gli sta a cuore. La sua voce denota stanchezza, per gli anni, ma
ancor più per il tanto dolore per una situazione che ancora non vede
vicina una soluzione alla tragedia siriana.
Il
Patriarca: – La Siria è la colonna vertebrale del mondo arabo.
Distruggere la Siria vuol dire distruggere il mondo arabo intero.
Nella Siria, tutti i cittadini si sentono appartenenti al mondo arabo
e alla Siria senza nessuna distinzione di religione: non c’è
musulmano, non c’è cristiano, non c’è druso; sono tutti arabi.
E in Siria sono tutti Siriani. E dunque la situazione della Siria è
critica, difficile, e innanzitutto la situazione dei cristiani è
molto grave. Dobbiamo lavorare affinché la pace del Signore regni
nel mondo intero, ma innanzitutto nel Medio Oriente, perché la pace
è un tesoro, un capitale, un’energia. Con la pace tutto è
possibile, tutto realizzabile; senza la pace non si può fare niente
di bene e niente di buono. E siccome Dio è la pace, rivolgiamo i
nostri desideri al buon Dio perché – ripeto – è l’unico a
poter fare qualcosa, perché salvare la Siria vuol dire salvare il
mondo arabo intero.
D. –
Che notizie ha della comunità cristiana che è dovuta fuggire dalla
Siria?
R. –
Purtroppo, sono i cristiani che pagano il prezzo di questa situazione
catastrofica. Tantissimi sono già fuori, e quelli che sono rimasti
vivono una tragedia, una situazione orribile e stanno pensando di
seguire l’esempio di quelli che hanno già lasciato la Siria e sono
andati via. E dunque, l’unico modo di poter fare la pace nel mondo
arabo è fortificare la Siria affinché il mondo arabo possa di nuovo
cambiare.
D. –
Sente vicino Papa Francesco?
R. –
Oh… abbiamo una benedizione, una grazia del buon Dio, avendo questo
Papa: un uomo di preghiera e un uomo pragmatico. E dunque ringraziamo
il Signore per averlo come capo della Chiesa, ma anche come esempio
per il mondo intero di pace, di giustizia e di fratellanza. Di pace.
Al
convegno il patriarca ha ricordato come a Maalula il 60 per cento dei
cristiani sia ritornato ed ha spiegato che il progetto 'una camera
per una famiglia' ha permesso il rientro di molti. Il Patriarca ha
poi lanciato un appello ai governi di tutto il mondo a far tornare
gli ambasciatori: "venite e vedete e non usate notizie di terza
mano".
"La
Chiesa non ha lasciato il suo popolo" ha ricordato, e ha
chiesto che l’Occidente dialoghi con l’ Islam, anche con i
migranti, tramite una maggiore forza della fede e della identità
cristiana.
Essenziale
ricordare che i cristiani sono autoctoni in Medio Oriente e la strada
della convivenza passa necessariamente per la condanna delle
islamizzazioni violente che nulla hanno a che fare con il vero Islam.
Nessun commento:
Posta un commento
Invia alla redazione il tuo commento. Lo vaglieremo per la sua pubblicazione. Grazie
Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.