2 aprile 2016
Non
esiste una «soluzione militare» alla questione dell’estremismo
islamico, del quale l’Isis è la rappresentazione più mostruosa: è
quanto si legge in un articolato editoriale di Angelo Panebianco
sul Corriere della Sera del
2 aprile. Che spiega come un’eventuale vittoria sul piano
militare contro l’Isis
non
basterà a chiudere la partita: «Alla
sconfitta militare dello Stato islamico dovrà accompagnarsi una
conferenza di pace, presenti tutte le potenze interessate, che dia
vita, sulle ceneri del vecchio Iraq e della vecchia Siria, a nuove
organizzazioni statali (rispettivamente dei sunniti, degli sciiti e
dei curdi) e a nuovi confini.
E
sapendo comunque nella futura carta geopolitica del Medio Oriente, se
si formeranno, come è probabile, Stati mono-religiosi o mono-etnici,
non ci sarà spazio, purtroppo, per altre minoranze, cristiani in
testa. L’Europa dovrà allora accoglierli con la necessaria
generosità».
Nota
a margine. Panebianco ha il dono di parlare chiaro. Quello della
ripartizione di Iraq e Siria secondo confini etnici o religiosi è
una vecchia idea dei neocon (ne abbiamo accennato
più volte). Un progetto che avrebbe dovuto compiersi per
via militare, tale il motivo del sostegno delle «potenze
interessate» ai vari movimenti jihadisti che
hanno portato l’orrore in Iraq e Siria (e in Europa). Si parla di
Arabia Saudita, Turchia, ma anche di influenti ambiti interni a Gran
Bretagna, Francia, Stati Uniti e altri.
L’imprevisto
intervento militare russo ha fatto fallire l’opzione militare.
Ora sembra si voglia provare attraverso la via
diplomatica: le stesse «potenze interessate» spingeranno in
tal senso al tavolo dei negoziati, almeno questa è la tesi di
Panebianco.
Invero
non si capisce a cosa siano davvero «interessate» tali potenze: se
al petrolio sul quale galleggiano i due Stati o all’influenza che
potranno avere sui micro-stati che nasceranno da tale
frammentazione.
Ma
al di là, si nota lo strano rovesciamento della dottrina neocon, un
tempo basata sull’idea di esportare
la democrazia a
suon di bombe: nel caso specifico i principi fondanti della
democrazia, ovvero il rispetto della sovranità e della volontà
popolare, non sono neanche presi in considerazione.
Val
la pena, infine, ricordare come nel dicembre del 2015, l’Onu ha
votato una risoluzione
nella quale ribadiva «il suo forte impegno per la sovranità,
l’indipendenza, l’unità e l’integrità territoriale della
Repubblica araba siriana». C’è un modo di arginare la follia
del caos ed è quello di rispettare la legalità internazionale,
della quale le Nazioni Unite dovrebbero rappresentare un punto di
riferimento.
Diversa
e altrettanto bizzarra la soluzione prospettata per le
minoranze cristiane: si prevede una loro deportazione (soft) di
massa, a prescindere dalla loro volontà e da quella delle
popolazioni dei futuri (ed eventuali) micro-stati nati da
tale frammentazione.
Tra
le aspirazioni dei vari movimenti jihadisti, sostenuti,
finanziati e armati dalle «potenze interessate», c’era
anche questa: un Medio Oriente svuotato dalla presenza
cristiana.
Tra
l’altro restano fuori le altre minoranze – ad esempio agli yazidi
massacrati dall’Isis – escluse dal “generoso” abbraccio
europeo: le mandiamo al Polo?
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