di Mauro Bottarelli
IL SUSSIDIARIO,
martedì 9 agosto 2016
Quella in atto in
questi giorni ad Aleppo è la versione moderna della battaglia di
Stalingrado. E, a mio modesto avviso, ha lo stesso valore storico.
Ovviamente, l'Occidente finge di non vedere e si nutre di veline, ma
quanto sta accadendo in queste ore avrà una valenza strategica: dopo
giorni di avanzata delle truppe lealiste spalleggiate da Hezbollah,
infatti, i miliziani dell'Isis sono riusciti a rompere l'assedio e
per farlo hanno messo in campo, usciti dal nulla, oltre 6mila uomini.
È guerra vera, sul campo, combattuta senza copertura aerea da parte
degli uomini del Califfato: Daesh è indebolita, ma non è morta. E
Daesh combatte in Siria per una ragione che ormai travalica anche le
necessità geopolitiche di chi l'ha creata, armata e supportata -
leggi Usa e sauditi - perché nella mente di quei terroristi c'è
l'idea di abbattere Assad per costruire davvero un mondo dove l'unica
legge sia quella di Allah e dove vivere secondo i suoi precetti.
L'America, non a
caso, ha cambiato strategia e attacca l'Isis in Libia: troppo
compromessa la questione siriana, troppo forte il supporto russo ad
Assad e ora che anche Erdogan ha mollato l'osso, riallineandosi con
Mosca, appare una guerra persa, ancorché si possano vincere ancora
delle battaglie. Ora vedremo davvero quali sono gli interessi che
hanno trasformato la Siria in un deserto di morte e sofferenza per
due anni, ora capiremo davvero quale logica sottendeva l'agire occidentale in quel Paese, mentre si continua a morire in Yemen, nel
silenzio più assoluto di media e istituzioni internazionali.
Sembra inoltre,
stando a quanto riferito dall'agenzia iraniana Fars, che stiano
giungendo a sud di Aleppo anche i migliori reparti di Hezbollah, in
particolare quelli che avevano combattuto e conquistato nel maggio
del 2013 la cittadina di Qusayr, località vitale per la sicurezza
del regime, poiché punto di snodo delle comunicazioni tra le città
della costa e Damasco, ma, soprattutto, porta di accesso della valle
della Bekaa, in Libano. Non sorprende come le milizie libanesi siano
ormai la spina dorsale delle forze del fronte di Assad che,
nell'ultimo anno, è stato costretto a ricorrere alla leva
obbligatoria per dipendenti pubblici e ad arruolare i detenuti
beneficiari di amnistia. Una situazione, che sembra far dipendere la
tenuta del regime di Assad da alleati stranieri, Hezbollah, milizie
sciite e iraniani, ma soprattutto dall'appoggio di Mosca. Un appoggio
che verrà testato anche in relazione a quello che avverrà nelle
prossime ore e che potrebbe avere risvolti decisivi sul fronte di
Aleppo.
Sul fronte delle
forze dell'opposizione, inoltre, la battaglia di Aleppo sta facendo
emergere l'importanza di un nuovo raggruppamento (Jaysh al Fateh)
all'interno della galassia dell'opposizione, costituito dalle più
importanti sigle militari, gruppi jihadisti (provenienti da al Nusra)
e milizie sostenute dagli attori regionali e internazionali schierati
contro il fronte di Assad. È difficile capire quanto potrà
protrarsi l'offensiva dei ribelli, che in queste ore si è estesa al
distretto economico e industriale di Aleppo, dopo gli ingenti
quantitativi di armamenti e munizioni sottratti alle strutture
militari strappate al controllo dell'esercito di Assad. Ad Aleppo
non si gioca solo il destino della Siria, ma degli equilibri futuri
dell'intero Medio Oriente.
Ma c'è di più.
Domenica quasi 3 milioni di cittadini turchi sono scesi in piazza a
sostegno del presidente Erdogan e della sovranità nazionale dopo lo
sventato golpe di luglio: una vera e propria parata dell'orgoglio
turco, un punto di svolta nazionalista che i media europei ovviamente
non hanno colto nella sua complessità, riducendo tutto alla disputa
nominalistica sulla reintroduzione della pena di morte: Ankara non
vuole più entrare nell'Ue, almeno l'Ankara scesa in piazza l'altro
giorno e quindi la questione non è più legata ai trattati o agli
status, ma al rapporto politico che l'Unione vorrà intavolare da
oggi in poi con la Turchia. Ma non vedo gente come Juncker o la
Mogherini molto attenti sul pezzo.
Chi invece lo è, da
bravo scacchista, è Vladimir Putin, il quale oggi riceverà a Mosca
proprio Erdogan e gli mostrerà come gira il mondo: ovvero, attorno
all'asse euroasiatico che è nei progetti del Cremlino, altro
nodo che l'Europa prona all'alleanza con Washington non riesce a
capire e interpretare, limitandosi a pratiche autolesionistiche come
le sanzioni contro Mosca per la questione della Crimea: solo nel
2015, ci sono costate qualcosa come 7,5 miliardi di euro. Ma qui non
si tratta di vile denaro, né di scambi commerciali, qui siamo a uno
snodo della storia: la parata turca, infatti, è stata tutto tranne
che islamista, in piazza c'erano le bandiere rosse della nazione e
non quelle verdi dell'islam ed Erdogan sembra aver capito ciò che
oggi Putin certamente gli ribadirà. Il capo di Stato turco ha
imparato la lezione come già a suo tempo la imparò Stalin: ovvero,
è lo spirito della nazione che funge da magnete per il popolo.
Avanti, prima di tutto, la patria e, al seguito, anche la religione,
se serve.
La distensione fra
Mosca e Ankara «non influirà sul ruolo della Turchia nella Nato»,
dicono all'Auswärtiges Amt tedesco, ma la tensione con l'Europa
rischia di compromettere gli storici rapporti fra i due Paesi. Non è
un caso che nei giorni scorsi i militari tedeschi di stanza nella
base turca di Incirlik siano stati messi in allarme, con misure di
sicurezza aumentate. Ufficialmente la minaccia resta sempre quella
degli integralisti dell'Isis, ma il timore è altro: Ankara sa che la
Germania è l'unica voce che conta nell'Unione e la Germania della
Merkel è il burattino degli Usa in seno all'Ue. Di fatto, il duello
Berlino-Ankara è solo un proxy di quello tra Washington e Mosca.
Viviamo in tempi che non riusciamo a interpretare, temo, poiché non
leggibili con gli occhiali di un Occidente senza più valori morali
forti: festeggiamo le nozze gay come fossero l'esempio maggiore di
progresso e civiltà e ci indigniamo quando Hamza Roberto Piccardo
provoca chiedendo la legittimazione anche della poligamia, essendo
anch'essa una libertà civile. Come mai non si gridò all'allarme
culturale quando Carlo Sibilia del MS5 propose nel 2013 di
legalizzare le "unioni di gruppo" e i "matrimoni tra
specie diverse"? Perché i grillini non fanno paura ma gli
islamici sì?
Due punti di
riflessione, allora. Primo, sono proprio proposte come quelle dei
grillini o le forzature come quelle contenute nel ddl Cirinnà a dare
forza alle provocazioni come quelle di Piccardo, il quale inserisce
un concetto di sacro (per l'islam) nel diluvio di nulla laicista
della società attuale, un mondo di diritti e piagnistei sociali.
Secondo, se temiamo una deriva che intacchi la laicità occidentale
del nostro Paese, perché chi demonizza Piccardo è al contempo al
fianco, ancorché solo moralmente, dei No Borders e di chi ha
progettato e reso possibile un'invasione di massa del nostro Paese?
Quale livello di lettura della società è saltato, nel frattempo? È
che non siamo pronti ai tempi che ci toccherà vivere, non abbiamo lo
spirito necessario ad affrontarli con coerenza e lucidità.
Tornano in mente le
parole di Nietszche in Della guerra e dei guerrieri: «La guerra e il
coraggio hanno operato cose più grandi che non l'amore del prossimo.
Non la vostra compassione, bensì il vostro valore ha finora salvato
chi era in pericolo». Bene, l'islam sia esso quello moderato e
istituzionale di Erdogan che quello estremista del Califfato
questo concetto lo hanno assorbito in nuce, essendo cardine del loro
credo. Lo stesso vale per la Russia di Putin, Paese dove non sta
crescendo l'ateismo, né il laicismo, ma dove, anzi, sta crescendo la
spinta vocazionista del credo ortodosso. L'Occidente, invece, è
spoglio, arriva nudo al traguardo di un cambiamento di assetti ed
equilibri storico: l'America non ha credo, né morale, è un mondo
che gira attorno al denaro e all'opportunismo, vive di potere e con
esso si autoperpetua.
L'Europa no,
l'Europa è persa nel limbo di ciò che fu e ciò che vorrebbe
essere, mondi antitetici che in momenti storici come questi vanno in
corto circuito e ci lasciano senza risposte, se non i plausi alle
unioni gay e la certezza del diritto come fondamento dell'impero
amorale. Non stiamo capendo cosa ci accade attorno e temo che quando
lo faremo, sarà tardi e i dadi saranno già stati tratti. Il mondo
che nascerà dalla nuova Stalingrado, ci vedrà come comprimari. Con
tutti i rischi e gli svantaggi che questo comporta.