DAI BAMBINI DEL GIARDINO D'INFANZIA DI MARMARITA IN OCCASIONE DELLE FESTE NATALIZIE:
SEMINANDO LA SPERANZA!
Cari
amici,
Ciao a tutti coloro che aiutano i nostri bambini, per la maggior parte sfollati interni al Paese o di famiglie prive di risorse materiali.
In
particolare voglio ringraziare per la tanta carità che abbiamo ricevuto da voi per
il S. Natale *.
Il
numero dei bambini che frequentano l'asilo è 270, con 10 euro a
bambino abbiamo potuto offrire il dono di Natale comprendente
berretto, guanti, caramelle, biscotti, palloncini;
poi
abbiamo dato a ogni educatrice l'equivalente di 10 euro in sterlina
siriana.
Sono
state pagate le donne che hanno lavorato a mano la lana per le
sciarpe e i berrettini, e anche questo è stato un aiuto per alcune
mamme disoccupate.
Il
giorno della festa era il 22 dicembre. Sono arrivati tanti Babbo
Natale, un gruppo di Clown; alcune persone travestite hanno animato
il pomeriggio.
L'atmosfera
ha avuto molto successo, i bambini si sono divertiti un sacco, hanno
riso e giocato. Anche quei bimbi solitamente taciturni e feriti da tanto male cui hanno assistito, hanno riso lieti. TUTTI vi mandano il loro grazie.
Mi
unisco a loro e vi chiedo ancora di non dimenticarci , soprattutto domandando la pace per il nostro Paese! e anche perchè quest'anno a
Marmarita fa già molto freddo e il prezzo del gasolio per riscaldare
le aule è alle stelle.
Che Dio vi doni giorni sereni e benedizioni abbondanti!
Suor Lydia Assaf Asilo Infantile 'Al Amal' Marmarita, Valle dei Cristiani - Siria
"In questi giorni “abbiamo cercato di vivere l’atmosfera e i valori del Natale incuranti del conflitto, che continua senza tregua intorno a noi. Siamo andati in chiesa, ascoltato la Messa e le recite, abbiamo visto una band di giovani cantare e suonare coi loro strumenti inni sacri, mentre a due chilometri da noi, dalla chiesa, imperversava la guerra e l’area è preda di terroristi”.
È quanto racconta ad AsiaNews Riad Sargi, greco-cattolico melchita
AsiaNews di Elie Younan
- “Ho deciso di restare in Siria per molte ragioni, ma soprattutto perché sento che le mie radici affondano in questa terra”, che è anche “culla del cristianesimo. La nostra zona, a Damasco, è piena di chiese e al suo interno si respira un clima di santità. Con la mia famiglia domandiamo ogni giorno che torni la pace”. È quanto racconta ad AsiaNews Riad Sargi, greco-cattolico melchita, che assieme alla famiglia ha partecipato all’Incontro mondiale delle famiglie a Philadelphia. Dalle mani di papa Francesco egli ha ricevuto una copia del Vangelo e del pontefice dice che è l’idea incarnata “di pace e convivenza” in un’epoca segnata dai conflitti. Riad è un ingegnere meccanico originario di Damasco, in Siria. Lavorava nel settore dell’industria farmaceutica, curando l’importazione di prodotti dall’Europa. Egli collabora anche in qualità di volontario della sezione locale della Società di San Vincenzo de Paoli. Egli è sposato con la dottoressa Rouba Farah, che si occupa di ricerca medica; la coppia ha tre figli, una ragazza di nome Leila Sargi (nata nel marzo 2001, frequenta la classe nona) e due gemelli (Elias e Michael) nati nel settembre 2010 e iscritti alla scuola materna. A Roma si è da poco concluso il Sinodo sulla famiglia. Signor Sargi, cosa significa essere “famiglia” oggi in Siria, nella guerra?
Per tutti noi, significa vivere uniti in un clima di paura continuo. Abbiamo paura delle bombe e dei razzi che sono lanciati a caso su scuole, ospedali, case e strade. Vi è un timore forte e concreto per il futuro, dopo aver sperimentato questi ultimi cinque anni [di conflitto], le persone vittime di sequestro, alcune delle quali tornate a casa dopo aver pagato un’ingente somma di denaro e altri ancora che sono scomparsi, per sempre. I più sfortunati hanno subito il taglio della testa e la decapitazione, solo perché professavano un’altra fede religiosa.
Perché, in questo clima di guerra e violenze, avete deciso di restare nel vostro Paese?
Ho deciso di restare in Siria per molte ragioni, ma soprattutto perché sento che le mie radici affondano in questa terra. La Siria è la culla del cristianesimo. La nostra zona, a Damasco, è piena di chiese e al suo interno si respira un clima di santità. Il mio lavoro è in Siria, i miei genitori vivono in Siria, anche mio fratello e mia sorella, con le loro famiglie, ancora oggi vivono in Siria. Inoltre, non possiamo abbandonare i poveri, i nuclei familiari nel bisogno, le persone anziane che hanno bisogno di noi, del nostro aiuto. Da ultimo, non me la sento di lasciare la mia patria nelle circostanze attuali e vivere felici e sicuri da qualche altra parte.
Dove avete trovato la forza per rimanere nel Paese e, soprattutto, rimanere uniti come famiglia?
La forza, in realtà, è un dono che proviene da Dio. Forse, nella nostra scelta di rimanere qui nel nostro Paese, a dispetto delle paure e delle enormi difficoltà, dei pericoli, vi è anche quella spinta alla missione [insita nella fede cristiana] verso i poveri e i bisognosi, che chiedono di restare vicino a loro nelle sofferenze.
Può raccontarci una giornata tipo, in questo contesto di guerra e terrore…
Purtroppo, la quotidianità in questo clima di violenze è orribile. Corriamo sempre il pericolo di essere feriti, colpiti e persino uccisi in ogni momento, per il solo fatto di trovarci nel posto sbagliato al momento sbagliato, venendo centrati da un mortaio o da un razzo. Per questo cerchiamo il più possibile di dimenticare i pericoli, di non pensarci, nel tentativo di condurre le nostre vite nel modo più normale possibile facendo affidamento a Dio, al nostro Salvatore Gesù Cristo e a sua madre, la Vergine Maria.
Papa Francesco è una delle poche voci di pace, in un contesto internazionale che soffia sul conflitto. Quanto è importante la sua vicinanza, soprattutto per lei che ha avuto modo di incontrarlo?
Questa che si combatte in Siria è una guerra sporca, a tutto vantaggio delle superpotenze mondiali coinvolte, e a beneficio dei produttori di armi e dei trafficanti. Un conflitto sanguinoso fra due modelli, fra l’idea di pace e convivenza incarnata da papa Francesco e la meschinità rappresentata dal denaro e dai vari leader e autorità mondiali. Il popolo siriano avverte sulla propria pelle il fatto di essere stato trasformato nel carburante che alimenta questa guerra sporca. Come ci esorta lo stesso Gesù Cristo: Non credere a due divinità, il vero Dio e il denaro.
Quattro anni di guerra quanto hanno cambiato i rapporti fra cristiani e musulmani?
In passato, prima della guerra, cristiani e musulmani erano abituati a vivere insieme senza fare distinzione alcuna. Oggi riusciamo ancora a convivere a fianco dei musulmani moderati, ma è alto il pericolo rappresentato da singoli e gruppi estremisti, che ritengono doveroso convertire i cristiani all’islam, far pagare loro il tributo dovuto [Jizya] oppure ucciderli. Questo è il modo con cui questi individui pensano di rendere un servizio al loro Dio.
Signor Sargi, un’ultima domanda: cosa si augura, in futuro, per la sua famiglia e per il suo Paese?
Quello che desidero con tutto il cuore è che tornino la pace e la sicurezza nel mio amato Paese, che la vita possa tornare quella che era prima della guerra. E spero tanto che la mia famiglia possa vivere in modo pacifico e che i miei figli possano costruirsi un buon futuro. Per questo, chiedo ogni giorno a Dio [nella preghiera] di proteggerci dai pericoli.
ULTIMA ORA: Comunicato della Custodia di Terra Santa
Rapito ( di nuovo) il francescano padre Dhiya Azziz
Dal mattino del 23 dicembre scorso, abbiamo nuovamente perso ogni contatto con padre Dhiya Azziz, ofm, parroco di Yacoubieh (Siria). Padre Dhiya era in viaggio con un taxi. C’erano altre persone a bordo. Era partito da Lattakia di buonora e diretto verso Yacoubieh, passando probabilmente per Hama, per essere in parrocchia per le festività natalizie. Era di ritorno dalla Turchia, dove era andato a visitare la sua famiglia che li si è rifugiata dopo l’ingresso di Daesh (ISIS) a Karakosh (Iraq), suo paese natale. L’ultimo contatto telefonico si è avuto il 23 dicembre scorso alle ore 9. Da allora nessuno sa più dove sia. Avrebbe dovuto arrivare a Yacoubieh nel primo pomeriggio del 23 dicembre. Non si hanno notizie di nessun genere di nessuno dei passeggeri. Stiamo cercando di contattare le diverse fazioni in campo per capire se qualcuno è in grado di darci informazioni. Finora senza risultato.
È lecito pensare che sia stato preso da qualche gruppo. Stiamo facendo il possibile per comprendere chi. La situazione altamente caotica del Paese non ci permette di fare molto, purtroppo.
Se avremo altre notizie, lo comunicheremo.
Invitiamo tutti alla preghiera e alla solidarietà con padre Dhiya, con i suoi parrocchiani, i confratelli in Siria, i pastori e tutti coloro che si spendono in quel Paese per fare ancora del bene.
La Custodia di Terra Santa
P. Dhya Azziz ofm è nato a Mosul, l’antica Ninive, in Iraq, il 10 Gennaio 1974. Dopo alcuni studi presso l’Istituto medico della sua città, aveva abbracciato la vita religiosa e dopo il noviziato ad Ain Karem, aveva emesso la prima professione dei voti religiosi il 1° Aprile 2002. Nel 2003 si è trasferito in Egitto, dove è rimasto per diversi anni. Nel 2010 rientra in Custodia e viene inviato ad Amman. È successivamente trasferito in Siria, a Lattakia. Si era reso poi volontariamente disponibile ad assistere la comunità di Yacoubieh, nella regione dell’Oronte (provincia di Idlib, distretto di Jisr al-Chougour), divenuta particolarmente pericolosa in quanto sotto il controllo di Jaish al-Fatah. Fu rapito e detenuto da un gruppo jihadista dalla quale riuscì a fuggire nel luglio del 2015.
Da Aleppo, la città che non si arrende e non dispera malgrado la grande sofferenza e l'enorme minaccia quotidiana di morte, vi auguriamo amici buon Natale e felice anno prospero e sereno 2016.
Questi miei amici son scampati da una morte imminente la Pasqua scorsa. La loro casa di riposo è stata completamente distrutta. Solo San Francesco d'Assisi ha aperto il cuore e le braccia per accoglierli. Ora sono il loro custode. Loro pregano per voi ogni giorno!
In questi giorni la Madonna di Fatima è in visita ad Aleppo. La statua che vedete contiene la pallottola che poteva uccidere San Giovanni Paolo II, la potente intercessione della Vergine è stata più forte della morte. Ci affidiamo alla intercessione e protezione della nostra madre celeste in questi giorni di Natale affinché salvi i suoi figli ai pericoli che ci circondano: nel giorno di Natale ci hanno bombardato con 8 bambole di gas, ma grazie a Dio le celebrazioni sono andate a buon fine.
Insieme a questi miei amici e ai miei fratelli francescani che vivono e testimoniano la misericordia di Dio per ogni persona umana, vi saluto e vi auguro ogni bene e pace nel Signore!
fra Firas Lufti, Aleppo-Siria, 27 Dicembre 2015.
Il parroco di Aleppo: "E' Natale ma qui cadono le bombe"
Fra Ibrahim Sabbagh, siriano nativo di Damasco, è da un anno e mezzo parroco ad Aleppo. La sua chiesa, San Francesco, è nel cuore della città vecchia, nel quartiere di Azizieh. La sua gente, i cattolici latini, sono una minoranza percossa e offesa nella guerra civile che da cinque anni scuote senza tregua il Paese.
È Natale ma per Aleppo, per la città martire della Siria non c’è pietà.
«In questi giorni ci sono stati tanti bombardamenti», dice fra Ibrahim, «anzi: siamo forse arrivati al punto più alto dello sforzo dei jihadisti, che ormai sono pressati da Sudest e Sudovest, per ricuperare terreno in città.
So che da voi si incolpa di tutto il Governo ma in pochi giorni sul solo quartiere di Khalidiya gli islamisti hanno sparato più di 500 razzi. Ci sono stati morti, feriti, case distrutte. Da trentacinque giorni siamo senz’acqua, l’elettricità va e viene, manca il riscaldamento. E quest’anno il freddo è arrivato anche prima del solito. Ero qui anche a Natale dell’anno scorso e devo ammettere che vedo crescere nei cuori l’amarezza, e la sofferenza farsi più profonda».
Fra Ibrahim, insieme con gli altri quattro frati della Custodia di Terra Santa che lavorano ad Aleppo, e come tutti gli esponenti delle Chiese cristiane, si batte per dare un sollievo a chi vive nel dramma. Ma i bisogni sono enormi, visto che l’80 per cento delle famiglie ora vive in assoluta povertà, quando non è alla fame. «Ci sforziamo di creare qualche oasi in questo deserto. Sentiamo che il Signore è in mezzo a noi e proviamo a rendere ancora più chiara e palpabile questa presenza agli occhi della gente».
In concreto questo cosa vuol dire? «Cerchiamo di operare in due campi allo stesso tempo. Il primo è quello dei bisogni concreti, urgenti. Posso fare tanti esempi. Abbiamo distribuito ai bambini scarpe, biancheria e abiti caldi per l’inverno. Abbiamo garantito alle famiglie una dotazione di 200 litri di gasolio, sufficienti per scaldare l’acqua per le docce due volte a settimana per tre mesi o a tenere accesa la stufa per un mese. Ogni mese provvediamo ai pannolini per le famiglie con neonati. Nelle scorse settimane abbiamo installato nelle case 100 serbatoi d’acqua da 500 litri, perché le famiglie, e soprattutto gli anziani, possano farne provvista nei momenti in cui arriva. Non è cosa da poco, visto che un serbatoio oggi costa quanto il salario mensile di un operaio. Potrei continuare con gli esempi, e farne magari di più drammatici: ci sono le vedove, le madri con i figli sotto le armi, le coppie con bambini Down o sordomuti o traumatizzati dalle esplosioni e dalle violenze. I bisogni del corpo, qui, sono infiniti. Ma non meno numerosi e urgenti sono quelli dello spirito».
Che cosa fate dal punto di vista spirituale, quale soccorso provate a portare ai fedeli? «La parrocchia lotta per diventare una piccola luce nel buio, capace però di alleggerire la croce che la gente deve portare. I cristiani di Aleppo sono degli eroi, per come riescono ancora a vivere la loro fede. Il 25 ottobre, proprio durante la celebrazione delle prime comunioni, una bomba ha colpito la cupola della chiesa, che era piena di fedeli: per fortuna ci sono stati solo pochi feriti leggeri. Non è un caso, mirano a noi, ad Aleppo più di 100 chiese di tutte le confessioni sono state distrutte da quando è cominciata la guerra. E ormai, chi vive da anni in questa situazione non crede più alle parole ma solo ai fatti. In parrocchia abbiamo aperto la Porta Santa per il Giubileo della misericordia e per l’Avvento abbiamo organizzato una serie di brevi ritiri spirituali per gruppi e associazioni. Con i Legionari di Maria, inoltre, abbiamo programmato una serie di visite ai nostri 200 anziani, per stare con loro, condividere la loro condizione, pregare e distribuire qualche dolce».
E per Natale ? «La notte di Natale ci sarà una piccola festa, e qualche giorno fa, in parrocchia, abbiamo anche messo in scena un recital. La gente non può e non vuole stare chiusa in casa ad aspettare la prossima esplosione. Abbiamo la fede, e la convinzione che la nostra resistenza di cristiani possa ancora cambiare la storia di questo Paese».
Mons.
Zenari: la sofferenza dei bambini mette alla prova la nostra fede
Il Sussidiario, venerdì
25 dicembre 2015
intervista
di Pietro Vernizzi
“Aprendo
l’Anno Santo, il Papa ci ha invitato a praticare le opere di
misericordia corporale. Qui in Siria non ne manca nessuna”. Sono le
parole dell’arcivescovo Mario Zenari, nunzio apostolico a Damasco,
che le ricorda una a una.
Dare da mangiare agli affamati: in Siria ci
sono 13 milioni di persone senza più niente. Dare da bere agli
assetati: il 72% della popolazione non ha accesso all’acqua
potabile. Assistere gli ammalati: i bambini con arti amputati non si
contano più. Seppellire i morti: in Siria si sono contate 300mila
vittime, e spesso per celebrare i funerali i familiari rischiano a
loro volta la vita.
Il
Natale è la nascita di Gesù. Come ci raggiunge il Mistero di Dio
nella Damasco in guerra di oggi? Da questo punto di vista
ritengo emblematica la canzone “Tu scendi dalle stelle”, la cui
strofa recita “Tu vieni in una grotta al freddo e al gelo”.
Ancora oggi viviamo il Mistero della nascita di Cristo in queste
condizioni. Nonostante la grave povertà in cui si trovano, le
famiglie cristiane a Damasco non hanno perso la fede e la speranza.
Pensiamo a centinaia o migliaia di bambini nati lontani dalle loro
case, nei campi profughi, a temperature proibitive. E’ questo il
Mistero del Natale che viviamo qui a Damasco: Cristo si è unito alla
natura umana di tutti i secoli e di tutte le latitudini.
Il
Papa ha da poco aperto l’Anno Santo. Che cos’è per lei la
misericordia? Il Papa ci invita a praticare le opere di
misericordia corporali e spirituali, e l’esercizio delle opere di
misericordia qui a Damasco è a 360 gradi.
Vediamole
una a una. Dare da mangiare agli affamati … In Siria
sono più di 13 milioni le persone che hanno bisogno di assistenza
umanitaria. In quest’opera di misericordia sono uniti cristiani,
musulmani e non credenti.
Dare
da bere agli assetati … Secondo le statistiche il 72% della
popolazione siriana non ha accesso all’acqua potabile, perché sono
state danneggiate le infrastrutture.
Assistere
gli ammalati … Qui ci sono un milione di feriti, e i bambini
con gli arti amputati non si contano.
Seppellire
i morti … In Siria si sono contate 300mila vittime. Ancora
all’inizio del conflitto ho assistito al funerale di un papà
ucciso mentre stava accompagnando la figlia all’università, ma
hanno dovuto aspettare una settimana perché non riuscivano a trovare
i brandelli di carne. Per non parlare di quanti hanno rischiato la
vita per raccogliere i cadaveri dei loro familiari lasciati per
strada, mentre i cecchini sparavano all’impazzata. In Italia quando
c’è un funerale si va all’agenzia delle onoranze funebri, mentre
in Siria ogni volta si rischia la vita.
Lei
per che cosa prega in questo Natale, monsignor Zenari? Pregherò
perché sia l’ultimo vissuto in queste condizioni, e perché il
prossimo sia celebrato in mezzo agli ulivi. Nelle ultime settimane
c’è già qualche segno di germoglio di primavera: spero che
germoglino gli ulivi.
Papa
Francesco ha detto: “A Dio importa dell’umanità, Dio non
l’abbandona”. Come può essere vero di fronte alle sofferenze del
popolo siriano? Qui la fede è veramente messa alla prova:
pensiamo soprattutto alla sofferenza dei bambini. Ci è messo tutti i
giorni di fronte il mistero di Gesù Cristo in croce, e occorre un
bel salto di fede per starci di fronte. Questo è soprattutto vero
per la terribile tragedia della sofferenza delle persone innocenti.
Lei
che risposte si dà di fronte a tutto questo? Il 28 dicembre
celebreremo la festa dei Santi Innocenti, dedicata a qualche decina
di bambini uccisi dal Re Erode. In Siria invece la strage degli
innocenti ha fatto 100mila vittime tra bambini e ragazzi. Accettare
questa sofferenza è una sfida per l’intelligenza e per la nostra
fede. Arrestare questa strage di innocenti è il primo dovere per
tutti.
Urbi et Orbi. Papa Francesco: dove nasce Dio, nascono pace e misericordia
Fermare guerre e atrocità, essere vicini ai cristiani perseguitati
Al Signore, Francesco chiede che “l’intesa raggiunta” all’Onu “riesca quanto prima a far tacere il fragore delle armi in Siria e a rimediare alla gravissima situazione umanitaria della popolazione stremata”. È altrettanto “urgente”, prosegue, che “l’accordo sulla Libia trovi il sostegno di tutti, affinché si superino le gravi divisioni e violenze che affliggono il Paese”. Ancora, il Papa chiede alla comunità internazionale di “far cessare le atrocità che, sia in quei Paesi come pure in Iraq, Yemen e nell’Africa sub-sahariana, tuttora mietono numerose vittime, causano immani sofferenze e non risparmiano neppure il patrimonio storico e culturale di interi popoli” ... “Il mio pensiero va pure a quanti sono stati colpiti da efferate azioni terroristiche, particolarmente nelle recenti stragi avvenute sui cieli d’Egitto, a Beirut, Parigi, Bamako e Tunisi. Ai nostri fratelli, perseguitati in tante parti del mondo a causa della fede, il Bambino Gesù doni consolazione e forza. Sono i nostri martiri di oggi”. ... http://it.radiovaticana.va/news/2015/12/25/urbi_et_orbi_francesco_dove_nasce_dio,_nasce_la_pace/1196835
“Il
popolo che camminava nelle tenebre ha visto una grande luce; su
coloro che abitavano in terra tenebrosa una luce rifulse” (Is.
9,1).
Stiamo
vivendo un tempo arduo, il cui susseguirsi di tragedie e di violenze
ci ha colmato di paure. La descrizione della fine dei tempi, che la
Liturgia ci ha proposto prima dell’Avvento (Mc 13, 24-32), è
sembrata l’eco di una cronaca attuale, che ci ha reso difficile
attendere il Natale con sentimenti di gioia, di festa, di vita. La
paura sembra dettare il nostro agire, anche nelle piccole azioni
quotidiane. Ma soprattutto abbiamo paura dell’altro, come se
avessimo perso il coraggio di credere nell’altro. Non ci fidiamo
più e siamo tentati di rinchiuderci nel nostro piccolo cerchio.
Abbiamo paura del musulmano, dell’ebreo, dell’orientale o
dell’occidentale, secondo dove ci troviamo. Il nemico è diventato
“gli altri”; pensiamo che “gli altri” siano contro di noi,
che ci minaccino e ci rubino la speranza di un mondo sicuro, di un
futuro migliore.
In
Siria, in Iraq, in Terra Santa, in Oriente così come in Occidente,
sembra che la forza della violenza sia l’unica voce possibile per
contrastare la violenza che ci sovrasta.
Aspettare
il Natale in queste circostanze interroga la nostra fede e fa
nascere il bisogno di una speranza più grande. Sono questi i
sentimenti che ci hanno accompagnato nella partecipazione alle varie
cerimonie per l’accensione dell’albero di Natale e la benedizione
del Presepe. Spesso, durante la celebrazione della festa, attorno a
noi si sentivano le sirene d’allarme, segno certo di scontri e
disordini. E, sempre, abbiamo riconosciuto un senso d’inadeguatezza
rispetto alla situazione. Ci sembrava di essere fuori dal tempo e
dalla storia.
Ma
non è così. Il Vangelo ci dice che la pienezza del tempo si è
compiuta in un tempo difficile, quando Giovanni nel deserto invitava
a preparare la Via del Signore predicando un battesimo di
conversione. La festa, le luci, i colori, pur necessari, desiderati e
celebrati nelle circostanze che viviamo, ci guidano a pensare con più
verità al senso originario del Natale: Dio che entra nel nostro
tempo e nella nostra storia. Il nostro tempo e la nostra storia di
oggi.
Natale
ci dice che Dio ama la vita, che Lui stesso è vita. È questa verità
il motivo definitivo e buono per stare su questa terra. Perché è
tempo di cercare motivazioni autentiche, ragioni ultime per
continuare a vivere e a sperare. Ragioni e motivazioni che rimangano,
che tengano, che non subiscano le altalenanti fasi delle nostre
angosce o delle nostre esaltazioni, che abbiano il sapore di una
misura giusta, di un orizzonte reale. È tempo di cercare domande e
risposte, orientamenti, di ritrovare l’Oriente.
E
questo Oriente è il Cristo, Uomo e Dio. Il Natale ci richiami,
dunque, a questo Oriente.
Natale,
ci dice che la nostra vita è Avvento, che camminiamo verso un
futuro, forse drammatico, faticoso, ma nel quale – è certo -
incontreremo Lui. Natale ci dice che questo futuro, per cui siamo
tanto preoccupati, questo futuro che inizia ora, è già iniziato: è
Gesù nato, morto e risorto.
Non
camminiamo verso il nulla, verso l’ignoto, verso il buio, ma verso
qualcosa che è già accaduto e che rimane, che si compie sempre e
comunque, che non potremmo distruggere nemmeno se lo volessimo.
Camminiamo
verso un incontro.
Allora,
questo tempo difficile sarà comunque un tempo buono, se ci
restituirà la consapevolezza che è il tempo dell’incontro; se ci
renderà - finalmente - bisognosi di qualcosa che sia altro da noi
stessi; se ci renderà più attenti a chi abbiamo vicino, perché
il futuro verso cui camminiamo potrà essere soltanto il compimento
di ogni relazione di cui avremo avuto cura, qui, ora. Anche in queste
circostanze drammatiche.
L’augurio
di quest’anno è di percorrere con fiducia questa strada, aperta
nel deserto di tante nostre vite, verso questo futuro buono,che ha un
unico Volto: quello della misericordia del Padre, che ci attende
sempre, con fedeltà, anche oggi.
Un
Paese a “pericolosità variabile”: un giorno tranquillo e un
giorno sotto le bombe. I giovani dei Focolari si preparano al Natale
andando di casa in casa nel segno della condivisione e della
speranza. A colloquio con Pascal Bedros, del Movimento dei Focolari
in Siria.
21 dicembre 2015
«La
vita di ogni giorno varia, perché il pericolo è variabile. In
alcuni giorni non succede niente e puoi dimenticarti che c’è la
guerra. In altri giorni può succedere che quando vai al lavoro, tu
venga colpito da pallottole vaganti, o che ci siano scontri in atto o
addirittura bombe sulla gente e su quartieri civili». A parlare è
Pascal, libanese, del Focolare di Aleppo, che vive in Siria da alcuni
anni. Nonostante la guerra.
«Come
ci stiamo preparando al Natale? Sia ad Aleppo, che a Kfarbo, che a
Damasco,
le nostre comunità hanno pensato soprattutto ai bambini, perché le
famiglie, nonostante sia una festa importante e molto sentita
in Siria, non riescono più a vivere la gioia del Natale. Così i
giovani hanno fatto tante attività per raccogliere fondi che, uniti
agli aiuti ricevuti dall’estero, hanno consentito di ampliare il
loro progetto di ridare il senso del Natale ai bambini e alle loro
famiglie. Ad
Aleppo ad
esempio si farà una festa per una 70ina di famiglie,a
Kfarbo si
faranno visite alle case in piccoli gruppi, portando doni e cibo.
A Damasco,
dove ci sono più potenzialità, hanno organizzato un concerto di
Natale e nel frattempo faranno visite alle famiglie portando cibo e
regali insieme a canti e giochi…».
E
in questi ultimi mesi, con l’escalation di violenza, voi focolarini
non avete mai ripensato alla scelta di rimanere in Siria? «No,
mai. È così importante la presenza del Focolare! Solo la presenza,
anche senza fare niente. È un segno che tutto il Movimento nel mondo
è con loro, con il popolo siriano. Non so come spiegarlo…. Noi non
siamo obbligati a rimanere, potremmo anche andarcene. Ma in questi
anni abbiamo condiviso così tante peripezie che loro sentono che
facciamo parte di loro e noi li sentiamo parte di noi. Le ragioni non
sono razionali, ma affettive, del cuore, perché per trovare la forza
di stare in posti come Aleppo, non c’è niente di razionale. Anche
le famiglie siriane che rimangono lo fanno per il legame alla loro
terra, alla loro gente, perché tutto potrebbe dire: vai! Lì giorno
per giorno le cose si riducono sempre più, viene meno il futuro,
soprattutto quello dei tuoi bambini. Ho visto qualcuno rimane per una
scelta d’amore, per dare testimonianza. Ad esempio per portare
avanti una scuola per i bambini sordomuti, per tutto il bene che
questa scuola fa. Vivere per gli altri, ti dà il senso
dell’esistenza, dà senso al tuo essere».
"Cari fratelli e sorelle,anche quest’oggi mi è caro rivolgere un pensiero all’amata Siria, esprimendo vivo apprezzamento per l’intesa appena raggiunta dalla Comunità internazionale.
Incoraggio tutti a proseguire con generoso slancio il cammino verso la cessazione delle violenze ed una soluzione negoziata che porti alla pace.
Parimenti penso alla vicina Libia, dove il recente impegno assunto tra le Parti per un Governo di unità nazionale invita alla speranza per il futuro...."
Mons. Vincenzo Paglia: "Portare la vicinanza fisica del Papa a Damasco, misericordia per le famiglie"
Famiglia Cristiana , 17 dicembre 15
Mons Paglia con una famiglia di cristiani di Damasco.
Dagli inferni del mondo al calore della fede. Una strada impervia, che ha per posta la speranza, e cheMonsignor Vincenzo Paglia, presidente del Pontificio consiglio per la famiglia, ha percorso in prima persona in vista del Giubileo della misericordia che verrà proposto, da Roma, il 27 dicembre, alle famiglie di tutto il mondo. Nelle scorse settimane, infatti, monsignor Paglia è andato a Damasco, capitale della Siria, per quella che i Blues Brothers (e non solo loro) definirebbero “una missione per conto del Papa”.
«Un viaggio», dice lui, «nato dall’Incontro mondiale delle famiglie di Philadelphia. Allora papa Francesco volle consegnare il Vangelo, cioè la buona notizia della misericordia di Gesù, alle famiglie di cinque megalopoli, una per continente: Hanoi, Kinshasa, L’Avana, Sidney e Marsiglia.
Damasco era la sesta città della lista, perché la Siria è il capitolo più drammatico di quella “Terza guerra mondiale a pezzetti” con tanta efficacia evocata proprio dal Papa. Il quale, per le famiglie di Damasco, ha voluto aggiungere un primo aiuto economico. Io sono andato a consegnare i Vangeli scritti in arabo e questo aiuto: il primo per scaldare i cuori, il secondo per acquistare un po’ di combustibile per scaldare le case, nell’inverno che a Damasco sa essere terribile».
Che situazione ha trovato?
«È stato come scendere negli inferni del mondo. La periferia di Damasco, pur non essendo al centro del conflitto, è devastata da cinque anni di guerra, blocco economico, bombe che piovono in maniera improvvisa e indiscriminata. Portare in qualche modo la vicinanza “fisica” del Papa è stata una goccia di conforto, che però i cristiani di quella terra hanno gustato fino in fondo. Perché ciò che mi sono sentito ripetere è proprio questo: i cristiani della Siria, come di tutto il Medio Oriente, chiedono la vicinanza, l’affetto delle famiglie del resto del mondo. E noi tutti abbiamo un debito d’amore verso queste persone e questa terra, da cui abbiamo ricevuto la fede».
Restare e soffrire o andarsene e soffrire altrove. Spesso questa è tutta la scelta che hanno...
«I sentimenti dei cristiani sono complessi. Ho trovato famiglie che di fronte a un futuro sbarrato per i loro figli chiedevano di potersene andare. Giovani che, avendo come sola prospettiva la guerra, non possono pensare di restare. Ma una sera, alla distribuzione dei Vangeli, ho incontrato una cinquantina di famiglie che imploravano: aiutateci a restare! Perché loro sanno che una Siria senza i cristiani sarà comunque molto, molto più povera. Come tutto il Medio Oriente».
Città Vecchia di Homs : un albero è stato decorato con le immagini di soldati cristiani della zona martiri di quest'anno. (Foto Eva Bartlett)
Per fare guerra a Daesh servono anche sviluppo, cultura, giustizia
S.I.R. 10 dicembre 2015
“Torniamo
a Gerusalemme. La Città Santa è la chiave per la pace in Medio
Oriente. Lo è per le sue implicazioni umane, politiche e religiose”.
In un tempo in cui tutti, leader politici e spirituali, mondo
economico e finanziario, seguono con preoccupazione e altrettanto
‘interesse’, le vicende in Siria e in Iraq, la lotta globale
contro Daesh e il terrorismo islamico, è il patriarca latino di
Gerusalemme, Fouad Twal, a rimettere al centro di ogni disputa la
partita di Gerusalemme che, come è noto, si gioca sul terreno minato
di un altro conflitto, oggi forse un po’ accantonato, quello
israelo-palestinese.
Il
nodo di Gerusalemme. “I
negoziati tra israeliani e palestinesi – dice – hanno sempre
rimandato la questione della Città Santa”. Un dialogo che non ha
prodotto nulla, al punto da far dire a Twal che “abbiamo
dialogato troppo. Sono oltre 30 anni che si dialoga senza nessun
esito. Il
popolo non vuole sapere di cosa si è discusso ma vedere i risultati,
ovvero libertà di movimento, lavoro, sicurezza, dignità, pace”.
–
aggiunge
il patriarca latino – solo così possiamo aiutare i due popoli a
costruire una cultura di pace. Gli atti di disperazione –
sottolinea riferendosi direttamente alle tensioni di questi giorni
tra israeliani e palestinesi – non porteranno mai alla fine
dell’occupazione. Possono essere casomai il pretesto per Israele
per usare ancor più forza. Israele è il più forte, lo sappiamo, ma
alla gente disperata non si possono chiedere cose logiche e normali”.
“Siamo
umiliati”. A
guardare ciò che accade dentro e fuori la Terra Santa sembra che il
tanto impegno profuso dalla Chiesa locale per costruire ponti non
serva a nulla. Il pensiero di Twal corre alle 100 scuole cristiane
sparse per il Patriarcato, ai suoi 75mila studenti, agli ospedali,
alle cliniche, alle case di accoglienza per anziani, disabili e
rifugiati, dove la pratica della convivenza e della riconciliazione è
uno stile di vita. “Siamo umiliati – racconta il patriarca – i
nostri fedeli ci chiedono i risultati di tanto impegno. Ci domandano
‘cosa avete fatto?’. Nulla, viene da rispondere. Siamo frustrati
in questo. Ciò che ci consola è che il nostro è un lavoro lungo i
cui frutti sono destinati a crescere. Noi
abbiamo speranza. Crediamo nell’educazione: quando bambini
israeliani e palestinesi, siano essi musulmani, ebrei o cristiani
giocano, studiano, mangiano insieme, preparano la convivenza”. Per
Twal anche la politica è chiamata a fare la propria parte con scelte
forti “per evitare di restare nel campo delle buone intenzioni. Ma
con questi politici – dice senza mezzi termini – c’è poco da
sperare”.
“Domandate
pace per Gerusalemme”.Pace,
lavoro, dignità, giustizia, stabilità, sicurezza: le chiedono anche
i rifugiati siriani e iracheni in Giordania, Libano, Turchia. “Sono
famiglie che hanno perso tutto: 260mila morti, milioni di sfollati e
rifugiati” i cui destini sono legati a quelli dei palestinesi e
degli israeliani. “Domandate pace per Gerusalemme”: le parole del
Salmo oggi risuonano ancora di più come un grido contro il
terrorismo nel mondo.
“La
comunità internazionale deve farsi un esame di coscienza e ammettere
i propri errori”
spiega
il patriarca allargando lo sguardo al vicino conflitto siriano e a
Daesh, il sedicente Stato islamico. “Per il presidente Obama e il
ministro degli Esteri francese, Laurent Fabius in Siria si devono
aiutare i ribelli moderati. Ma non esistono ribelli moderati. Inutile
girarci intorno. Non ci sono carri armati moderati, non ci sono bombe
moderate e distruzioni moderate”. Né in Siria, né in Iraq. “Ci
sono, invece, tanti innocenti che pagano con la vita”.
“Obama
– dichiara Twal – è intervenuto solo perché in ballo vi erano
interessi strategici americani. Forse vedere perire le minoranze in
Siria e Iraq non era nel suo interesse? Vedere la distruzione di siti
storici e archeologici o milioni di rifugiati non era nel suo
interesse? Non basta bombardare. Occorre colpire la politica degli
interessi, come ricorda il Papa che denuncia la vendita di armi”.
Dal
luogo dell’agonia.
Il 13 dicembre, a Gerusalemme, presso la basilica del
Getsemani, verrà aperta la Porta santa del Giubileo della
Misericordia. “La nostra Chiesa del Calvario non poteva che
cominciare il suo cammino giubilare dal luogo dell’agonia di Gesù. Alla sofferenza di Cristo si somma quella di questa Terra, di questa
Regione – conclude il patriarca –la
misericordia abbatte i muri, l’odio, l’ignoranza, l’indifferenza,
l’insensibilità e il disprezzo. Torniamo
a Dio e al rispetto tra noi. Ci sono uomini, donne, bambini,
innocenti che non hanno nulla a che vedere con queste guerre”.
Piccole Note, 10 dicembre La
guerra in Siria diventa
sempre più intricata. L’aeronautica russa, intenta a bombardare
l’Isis, deve fare i conti con quella britannica (e
francese) che agisce senza cercare coordinamento con Mosca.
Cosa che già avviene tre le forze russe e quelle statunitensi,
che in questi giorni, secondo fonti siriane e russe smentite da
Washington, avrebbero bombardato l’esercito siriano a Deir
Ezzor (quattro morti, dodici feriti, alcuni blindati distrutti),
favorendo un contrattacco dell’Isis in zona.
Complicazioni
alle quali si somma la crescente assertività della Turchia che ha
inviato truppe in Iraq, provocando reazioni sdegnate nelle autorità
irachene, e ripreso i bombardamenti contro il Pkk (forza che si
oppone sul campo all’Isis).
Sono
tutte azioni alquanto bizzarre per una campagna militare che a parole
è diretta contro l’Isis.
In realtà il loro risultato è, oggettivamente, quello
di complicare, e non poco, la campagna militare anti-Isis
condotta finora da siriani, russi, hezbollah e iracheni. Proprio
nel momento in cui l’Isis sembrava essere stato messo alle corde.
Complicazioni,
tra l’altro, alquanto pericolose per la pace mondiale, dal momento che senza coordinamento si rischiano incidenti ben più
gravi di quello che ha visto un caccia turco abbattere un bombardiere
di Mosca.
Ma
quel che più interessa sottolineare in questa sede è altro: la
decisione di entrare in guerra da parte britannica segue un copione
già scritto dai suoi alleati Nato in loco, che prevede il disprezzo
del diritto
internazionale.
Per
bombardare un obiettivo all’interno di un Paese sovrano senza
mandato Onu, sia esso l’Iraq o
la Siria,
si deve ottenere l’autorizzazione delle autorità locali,
quanto ottenuto dalla Russia.
Una
norma ignorata. E una palese contraddizione con quanto sostenuto
dalle cancellerie occidentali in occasione dell’abbattimento
del bombardiere russo da parte di Ankara, alla quale invece è stato
riconosciuto il diritto di tutelare i propri cieli da intrusioni
altrui.
Questa erosione del
diritto internazionale non è cosa nuova: è prassi normale, anzi
dottrina teorizzata in Occidente nel post11
settembre.
Una
prassi che vorrebbe trovare la sua giustificazione nella
nefanda efferatezza del nemico contro il quale sono dirette
tali azioni: allora al Qaeda e oggi l’Isis. Più il
nemico da combattere compie illegalità estreme e perverse, più
illegali, estreme e perverse sembra possano, anzi debbano, essere le
risposte.
In
realtà in questi anni abbiamo visto come risposte illegali,
estreme e perverse quali ad esempio la guerra in Iraq e in Libia,
oltre alle follie insite nella guerra afghana (dove i droni Usa hanno
fatto strage di innocenti), non hanno sanato affatto il mondo dal
terrorismo. Hanno prodotto solo più illegalità,
estremismo e perversione.
Non
è solo una questione di un metodo errato che produce l’esatto
contrario di quanto si propone di ottenere, ma anche di
principio. Demolire il diritto internazionale non può
che produrre caos.
In
questo modo Londra, Washington e i loro più o meno estemporanei
alleati si trovano dalla stessa parte di quanti in teoria
affermano di voler contrastare, dal momento che il
terrorismo vive per creare caos e destabilizzazione.
In
questo scontro globale, che non è tra terrorismo e anti-terrorismo
come da narrativa corrente, ma tra le forze del caos e quelle del
diritto e dell’equilibrio internazionale, tra i due supposti
antagonisti sembra si siano così stabilite, anche qui nella
prassi, delle convergenze parallele che rischiano di disgregare il
mondo intero.
Una
destabilizzazione mondiale che in Occidente è prodotta, meglio
propagandata, in nome della sicurezza globale. «La guerra è pace»
era uno slogan del Grande Fratello di orwelliana memoria.
NOSTRA SELEZIONE DI COMMENTI (UNANIMI) ALLA ALLEANZA MILITARE ISLAMICA CONTRO IL TERRORISMO GUIDATA DA ARABIA SAUDITA:
Sceicchi in guerra contro l'Isis. Ma la posta è la Siria
di Gianandrea GaianiLa Nuova Bussola quotidiana, 16-12-2015
La
notizia che l’Arabia Saudita si è posta alla testa di una
Coalizione araba tesa a distruggere lo Stato Islamico fa sorridere
quasi quanto le dichiarazioni di Barack Obama sulla “durezza”
delle operazioni aeree condotte contro il Califfato....
Una coalizione islamica anti-terrorismo per “salvare la faccia” a Riyadh Asia News 16 dicembre , di Paul Dakiki
Vi
partecipano 35 nazioni a maggioranza musulmana. Sono esclusi Siria,
Iraq, Iran e Afghanistan. Dubbi che la lotta al terrorismo sia usata
per soffocare i diritti umani delle popolazioni di questi Paesi.
L’approvazione di Al-Azhar, che chiede da tempo un impegno a
correggere le interpretazioni letteraliste del Corano. Le critiche di
Hezbollah.....
Un’alleanza
islamica per combattere il terrorismo. Evviva, si potrebbe dire.
Quale miglior risposta a chi semina il terrore abusando del nome
della religione islamica che una coalizione di Stati islamici?
Peccato che dietro la patina della retorica di questa nuova "Santa
Alleanza" sunnita la realtà sia ben diversa.....
Summit in Arabia Saudita. La “pace” in Siria fa così:
«Via Assad, ma niente democrazia»
Tempi,
11 dicembre, di Leone Grotti
Le
fazioni più forti che compongono la nuova coalizione di opposizione,
tutta sunnita, vogliono uno Stato islamico governato dalla
sharia. Estremamente
divisa al suo interno, comprende anche gruppi terroristici
vicini ad Al-Qaeda, come l’Esercito di conquista e
l’Esercito dell’islam, finanziati e armati da Turchia e Arabia
Saudita, che hanno come scopo esplicito quello di instaurare uno
Stato islamico governato dalla sharia. Inoltre, i delegati
islamisti, in maggioranza alla conferenza, si sono rifiutati di
inserire nel documento finale il termine “democrazia”. I
rappresentanti “laici” non si sono opposti ma hanno almeno fatto
inserire nel testo il rispetto di non meglio precisati “meccanismi
democratici”.