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venerdì 17 marzo 2017

A colloquio con Benjamin Blanchard, direttore dell’associazione francese ‘SOS Chrétiens d’Orient’

Rossoporpora.org, 3 marzo 2017
di Giuseppe Rusconi

Nel corso del 2013 ci eravamo incontrati in occasione delle grandi Manif pour tous che allora scuotevano la Francia per protestare contro l’imposizione del matrimonio ‘egualitario’, una vera rivoluzione antropologica che noi non abbiamo mai accettato. A ottobre dello stesso anno ci siamo chiesti se non sarebbe stato utile, da giovani cattolici parigini, impegnarsi anche su un terreno di quotidianità concreta. Erano giorni quelli in cui la Francia minacciava di bombardare la Siria di Assad, mentre nel contempo erano centinaia i giovani che dalla Francia si arruolavano tra le file dell’Isis. Abbiamo riflettuto e ci siamo detti che l’immagine della Francia non poteva essere solo quella connotata da bombe e terrorismo. Erano anche i giorni in cui cadeva in mano terrorista il villaggio di Maalula, gioiello aramaico con due monasteri molto cari ai siriani. Allora ci siamo detti: forse siamo un po’ pazzi… ma perché non andare a festeggiare Natale a Damasco con i profughi che hanno perso tutto e sono stati cacciati dalle loro case? Così io, Charles de Meyer (presidente della nostra associazione) e altri 17 giovani  ci siamo ritrovati a Natale  nella capitale siriana. E’ lì che ‘SOS Chrétiens d’Orient’ è nata de facto, con un’esperienza concreta e toccante nel contempo.... 

IN SIRIA …
In Siria SOS Chrétiens d’Orient ha oggi un ufficio centrale a Damasco e una presenza permanente tra l’altro a Aleppo, Homs, Maalula, Sadad, Tartus (secondo porto della Siria). Quattro gli elementi caratterizzanti di ogni presenza: le donazioni alimentari e di igiene (distribuzione di cibo, acqua, prodotti per l’igiene intima, ecc…), l’aiuto sanitario (distribuzione di medicamenti, finanziamenti di presidi sanitari, costruzione o ristrutturazione di ospedali), l’educazione (sostegno scolastico, aiuto all’infanzia, finanziamenti per corsi professionali, attività educative e ludiche, colonie estive, ecc…), la cura del patrimonio e della cultura ( ricostruzione di case e chiese, attività culturali come ad esempio pellegrinaggi). Qui sono concentrati i grandi progetti. In Siria si è sul cantiere della cattedrale greco-cattolica di Homs e di quella di Aleppo. Si partecipa alla ricostruzione di case, in particolare a Homs, Aleppo, Maalula, Sadat. Ad Aleppo l’associazione dona quotidianamente acqua agli abitanti e fornisce casse di medicamenti agli ospedali, a Damasco sta ricostruendo una scuola di formazione professionale. Molto particolare è il sostegno dato alla squadra nazionale siriana dei disabili che partecipa alle olimpiadi invernali in Austria. SOS Chrétiens d’Orient non discrimina tra le diverse chiese cristiane (ottimi tra l’altro i rapporti con il nunzio apostolico, l’odierno cardinale Mario Zenari e il presidente di ‘Caritas Siria’, il vescovo caldeo di Aleppo Antoine Audo) e trova una collaborazione intensa anche da parte musulmana, secondo una buona tradizione consolidata nei secoli.
… E IN LIBANO
In Libano tale collaborazione è un po’ diversa, nel senso che non c’è quella ‘trasversalità’ tipica siriana. Lì l’associazione lavora in primo luogo a beneficio dei libanesi di alcuni villaggi cristiani alla frontiera con Siria e Israele, immersi in un contesto musulmano generalmente diffidente, se non ostile. In secondo luogo per i tanti profughi siriani, iracheni, palestinesi rifugiati nel Paese dei Cedri. SOS Chrétiens d’Orient lavora in particolare con l’associazione Al Nawrai, presieduta dal medico Fouad Abou Nader, nipote di Pierre Gemayel (fondatore della ‘Falange’) e famoso comandante delle ‘Forze libanesi’ nella guerra che il Paese ha sofferto negli Anni Settanta e Ottanta. L’obiettivo da perseguire è da una parte di contribuire alla sicurezza dei villaggi in partenariato con l’esercito libanese, dall’altra di riuscire a stimolare la permanenza dei cristiani in loco promuovendo soprattutto lo sviluppo di agricoltura e artigianato. Ottima la collaborazione pure in Libano con tutte le Chiese cristiane e con i loro patriarchi, tra i quali il cardinale Béchara Raï, a capo della Chiesa più importante, quella maronita, incontrato anche recentemente (il 10 gennaio) da Benjamin Blanchard.
I VOLONTARI
Il nostro interlocutore ci parla poi dei volontari (sono solo due i salariati, i capi-missione che fanno la spola tra Parigi e l’area interessata), che fin qui hanno raggiunto quota ottocento, partiti dalla Francia e dal resto d’Europa per vivere l’esperienza mediorientale di aiuto per un periodo minimo di un mese. La maggioranza di loro è francese, ma hanno aderito ad esempio anche alcuni italiani, belgi, olandesi, svizzeri, polacchi, canadesi, venezuelani. Oggi sul terreno i volontari sono una sessantina, di cui venti in Libano. Ogni giorno incomincia con una preghiera in comune e ogni domenica e festa comandata si partecipa a una messa in una delle diverse chiese in cui si articola il cattolicesimo orientale. Un’occasione per tutti, anche per i ‘tiepidi’, di scoprire la bellezza e la profondità delle liturgie che vengono dalle terre dei primi cristiani.
I RAPPORTI CON I MUSULMANI
Per quanto riguarda i rapporti in genere con i musulmani, il direttore generale di SOS Chrétiens d’Orient evidenzia che l’associazione vuole vivere in mezzo alla popolazione e quindi non intende creare problemi ai cristiani che condividono la loro quotidianità con loro. Anzi, siccome uno egli obiettivi principali è di fare in modo che i cristiani restino là dove risiedono, la collaborazione con i musulmani è benvenuta: Alcuni dei nostri impiegati sono musulmani – rileva Blanchard – come pure qualche volontario”.
DIFFICOLTA’ E SODDISFAZIONI
Tra le maggiori difficoltà incontrate, Benjamin Blanchard cita il problema della sicurezza in Paesi in guerra come Siria e Iraq. Anche l’incertezza delle vie di comunicazione. E la necessità, a volte dolorosa, di scegliere chi aiutare: I bisogni sono tali che non riusciamo a dare a tutti un sostegno. E’ comunque molto difficile scegliere”. 
E le soddisfazioni più grandi? Soprattutto quelle di essere invitati a pranzo da persone aiutate nella ricostruzione della casa e di vedere la popolazione che torna nelle chiese per festeggiare il Natale.

VERGOGNA OCCIDENTALE: LA GRANDE MENZOGNA SU ALEPPO
Chiediamo a Benjamin Blanchard di darci una valutazione di quello che è successo ad Aleppo: Aleppo è una città che è stata martirizzata per quattro anni da gruppi terroristi guidati da Al Qaeda-Al NusraGli aleppini hanno dovuto subire quotidianamente per anni i bombardamenti dei terroristi, che hanno colpito scuole, ospedali, mercati, oltre a tagliare l’acqua, l’elettricità, lo stesso vettovagliamento di Aleppo come per cinque mesi nel 2013-14”. 
Gravi le responsabilità dell’Occidente, Stati Uniti di Obama-Hillary Clinton, Gran Bretagna,  Francia, oltre a quelle di Paesi arabi come l’Arabia Saudita…: “Per tutti questi anni in Occidente non si è quasi mai parlato di quello che accadeva ad Aleppo, salvo per quanto succedeva nei quartieri est, in mano ai terroristi, peraltro definiti con mistificazione colossale dei ‘ribelli’. Un atteggiamento, quello di gran parte dei media occidentali, che gli aleppini non hanno mai né capito né digerito. Ancora oggi mi si fa notare che, secondo gli occidentali, se Al Qaeda compie un attentato in Francia viene giustamente condannata, ma se bombarda i civili ad Aleppo fa un buon lavoro. Non si riesce a capire questo comportamento, specialmente da parte dei cristiani della città. 
Ora Aleppo è stata liberata…: Nell’autunno del 2016 l’esercito siriano, aiutato da truppe russe, ha sferrato un’offensiva finale per liberare Aleppo est dai terroristi. L’attacco ha provocato anche vittime civili - come purtroppo è normale in guerra - e questo dispiace molto. Però la vittoria ha permesso il ritorno della pace ad Aleppo e la felicità della popolazione di essere stata liberata si è manifestata intensamente nelle feste di Natale, quando tutte le sere c’erano centinaia di aleppini attorno al grande albero di Natale che abbiamo innalzato in una delle piazze simbolo, tutti insieme: cristiani e musulmani. Nei media occidentali la liberazione di Aleppo è stata chiamata ‘caduta’ di Aleppo, si è parlato anche di ‘genocidio’: choccante leggere ed ascoltare simili giudizi, che capovolgevano la realtà. In effetti i 30mila simpatizzanti dei terroristi hanno potuto andarsene indisturbati su appositi bus da Aleppo est! Si sono poi ascoltate e lette tante menzogne colossali, ad esempio che il Governo continuava a tagliare l’elettricità nei quartieri est: la verità invece è che fino a questo momento di elettricità non ce n’è ad Aleppo est come ad Aleppo ovest, così come l’acqua, poiché i terroristi hanno ancora (forse per qualche giorno) il controllo della stazione di pompaggio a circa 80 chilometri a est della città. 

SOSTEGNO IN FRANCIA E NON SOLO…
Veniamo al sostegno che SOS Chrétiens d’Orient trova in Francia e in Europa. Blanchard ha tenuto, invitato dalla parrocchia locale che sostiene finanziariamente e con la preghiera l’associazione, una serie di conferenze a Rocky Mount nella Carolina del Nord. E’ andato a Budapest per incontri con le autorità ungheresi, il cui Governo – primo e unico fin qui – ha istituito un Segretariato per l’aiuto ai Cristiani perseguitati nel mondo: si spera in una possibilità di collaborazione. In Francia l’associazione gode di non pochi aiuti, ad esempio di alcuni vescovi come quelli di Vannes, Fréjus-Toulon (diocesi che si è anche gemellata con l’arci-eparchia greco-cattolica di Homs e organizza pellegrinaggi in terra siriana di sacerdoti diocesani, guidati dal vescovo), di Bayonne. E di diversi sindaci e parlamentari: “Il 6 gennaio eravamo ad Aleppo con gli armeni e con una delegazione parlamentare francese”.

UN CD COINVOLGENTE DELLA GRANDE CORALE DI DAMASCO “CHOEUR-JOIE”
Benjamin Blanchard ci mostra poi altri prodotti dell’attività di SOS Chrétien d’Orient. Per esempio un cd (l’abbiamo ascoltato, è veramente bello e coinvolgente!) del coro Coeur-Joie” di Damasco, fondato negli Anni Novanta e diretto da una grande figura della Chiesa siriana, padre Elias Zahlaoui: 130 cantori e musicisti che nel marzo 2016 (dopo 14 mesi di preparativi) sono riusciti a venire in Francia per una tournée di concerti in sette città da Parigi a Lourdes, passando da Lione, Bollène e Orange, Tolone, Béziers, Tolosa. Ottomila gli spettatori che hanno vissuto un’esperienza gioiosa proveniente dalla Siria, posta sotto il titolo ‘Chants d’espérance’. Quando i 130 sono partiti da Damasco qualcuno pensava che non sarebbero tornati. Invece sono tornati tutti e il loro concerto successivo, all’Opera della capitale, è stato un trionfo (Il nostro Paese, per ferito che sia, noi lo ricostruiremo, anche se siamo pochi! Pochi ma non rassegnati a piangere e a lamentarci sulle rovine!”, così dicono le parole della terz’ultima canzone del cd).

L’ATTIVITA’ EDITORIALE 
Interessante anche l’attività editoriale: fin qui l’associazione ha sostenuto quattro pubblicazioni: un’agenda 2016, l’interessantissimo libro-intervista di Charlotte d’Ornellas  a colloquio con il patriarca Gregorio III Laham (ed. Artège) , il suggestivo e commovente volume fotografico (testi di Pierre-Alexandre Bouclay, foto di Katharine Cooper, ed. Rocher di Monaco) “Peuples persécutés d’Orient” (Siria, Iraq, Kossovo), una raccolta di poesie di Anne-Lise Blanchard (madre del nostro interlocutore).

C’E’ QUALCHE GIOVANE CHE VUOLE DIVENTARE VOLONTARIO?
In conclusione Benjamin Blanchard definisce i due grandi obiettivi dell’associazione per il 2017: la ricostruzione e il ritorno a casa, in particolare per gli sfollati della Piana di Ninive e il reinsediamento nei villaggi oggetto dell’attività di SOS Chrétiens d’Orient. Senza mai dimenticare il grande obiettivo di rafforzare i legami tra cristiani d’Oriente e d’Occidente. Un desiderio forte? Che l’intervista possa in qualche modo servire come stimolo per i giovani intenzionati a ‘fare qualcosa’ di utile sul terreno per i nostri fratelli del Medio Oriente In Iraq, Siria, Libano, Giordania ed Egitto (qui per il momento solo d'estate). Contatti? roma@soschretiensdorient.fr , www.soschretiendorient.fr , 0039 / 339 73 50 686 .   

martedì 14 marzo 2017

La narrazione dell'ostaggio e il silenzio stampa

Theo Padnos, il protagonista dell’intervista che segue, è un giornalista statunitense di Atlanta, rapito in Siria nel mese di ottobre del 2012 e durante due anni prigioniero di al-Nusra, fronte siriano di al-Qaïda. Fu liberato nell’agosto 2014 per intercessione del Qatar. Fox news è il canale televisivo ‘’all news’’ più visto in assoluto negli USA, subito prima della CNN. L’autore dell’intervista a Theo Padnos è il rinomato giornalista Tucker Carlson, conduttore del seguitissimo programma di attualità politica ‘’Tucker Carlson Tonight’’, che va in onda dal 14 Novembre 2016.
Questi elementi, uniti all’altalenante, o ambiguo, atteggiamento dell’incipiente amministrazione Trump, soprattutto negli affari internazionali e mediorientali in particolare, dovrebbero aver suscitato l’interesse nei commentatori della nostra stampa mainstream per un’intervista che si può definire strabiliante, proprio per il contesto in cui si svolge. Invece nulla. Silenzio assoluto.  Che il timore di veder rovinare le loro narrazioni mendaci sulla Siria li stia mandando sempre più in confusione?

Maria Antonietta Carta 

Theo Padnos, ostaggio statunitense sopravvissuto all’ordalia terroristica in Siria, consegna un impressionante messaggio alla combriccola USA-UK per il 'cambio di regime' in Siria.

   21st Century Wire, 7 Marzo 2017
Un piccolo miracolo. Un raro momento di verità sui media mainstream. Nascosto sotto i volgari e sensazionalistici titoli in prima pagina ed i finti intrighi russi a Washington della scorsa settimana, il conduttore di FOX News Tucker Carlson ha diffuso una breve ma sorprendente intervista a Theo Padnos, giornalista americano che, per due anni (2012 - 2014), fu prigioniero in Siria dei terroristi di Al-Nusra, alias Al-Qaïda, sostenuti da USA-UK e dalle Monarchie del Golfo.
Nel corso degli ultimi sei anni, durante la presidenza di Barack Obama, funzionari statunitensi inadempienti, come Hillary Clinton e John Kerry, hanno occultato la vera natura dei cosiddetti "ribelli moderati" in Siria – etichettandoli ripetutamente come legittimi ‘combattenti per la libertà’ 'per una democrazia embrionale in Siria’. Padnos cancella l’inganno delle istituzioni governative statunitensi e dei media su questo tema, e ristabilisce la verità sulla violenza perversa dei cosiddetti "ribelli ', molti dei quali nemmeno siriani.
"Assassinano la gente per strada e utilizzano bambini come torturatori. Stanno distruggendo la società di quel Paese."
"Alcuni sono interessati al denaro, altri al potere e altri ancora amano le armi. Per tutti loro, la jihad è una stagione meravigliosa (...). Hanno le chiavi di pick-up nuovi fiammanti e del buon cibo gratis ..."
" Laggiù, stanno edificando un vero e proprio arcipelago carcerario, con una moltitudine di prigionieri e una moltitudine di persone che a loro non piacciono. "
"Un incredibile asse del potere per molti giovani uomini che nella loro esistenza non ne hanno avuto nessuno fino ad ora. Nelle regioni non controllate dal governo siriano, si sta sviluppando una situazione pericolosa."
L’intervistatore chiede poi a Padnos un giudizio sul governo di Assad, e alla CNN o alla NBC una risposta simile non si è mai sentita da alcuno degli 'esperti' che, sin dallo scoppio delle ostilità nel 2011 e per tutti questi anni, hanno sostenuto pienamente il cambio di regime:
"Il regime di Assad? In questo momento, circa 16 milioni di persone vivono in condizioni di sicurezza. Le scuole, le Università, e gli ospedali funzionano, e i vigili regolano il traffico nelle strade. Certo, non è la Svizzera - non è una società perfetta - penso che loro stessi lo ammettano. Chiunque voglia la pace in Siria saprà riconoscere e rispettare la pace che hanno in questo momento, anziché pregiudicarla e danneggiarla in qualunque modo – come ha fatto l'amministrazione Obama inviando missili e ogni genere di armi ai "ribelli '- il che mi è sembrato indecente perché ha distrutto la pace che c’era."
" Sussiste la realtà di ’enclave’ dei ribelli. Queste ’enclave’ non sono tranquille, certo che no. Sono state distrutte. Guarda, è una guerra civile. Nelle ’enclave’ dei ribelli vive solo una minoranza della popolazione. La maggior parte dei Siriani vivono in una relativa calma sotto il regime di Assad. Sì, questo è preferibile ai bombardamenti e alle crocifissioni nelle strade a cui si assiste, all’assassinio di cittadini, alle torture e all'imprigionamento indiscriminato che [i terroristi 'ribelli'] esercitano.
   Trad. Maria Antonietta Carta

sabato 11 marzo 2017

L'Industria dei Diritti Umani al servizio dell'imperialismo


di Margaret Kimberley
15 febbraio, 2017

Quando le Organizzazioni dei cosiddetti Diritti Umani sono finanziate dall’un per cento, esse sicuramente riflettono le priorità e le prevenzioni dei loro influenti sponsor. Pertanto, Amnesty International è una vitale fonte della propaganda di guerra a favore degli interventi imperialisti USA in Medio Oriente e altrove. Il loro "rapporto" di un presunto "macello umano" ad opera dal regime siriano è l'ultimo episodio di una campagna volta a giustificare l’intervento degli Stati Uniti in Medio Oriente.

L'umanità ha un disperato bisogno di individui e organizzazioni che alzino la voce per il suo diritto a vivere libera dal rischio della violenza di Stato. Invece, abbiamo un’Industria dei Diritti Umani, che parla per i potenti e racconta menzogne per giustificare le loro aggressioni. Amnesty International e Human Rights Watch sono al vertice di questa lista infame. Hanno il modello e la prassi per fornire una copertura al cambiamento di regime ordito dagli Stati Uniti, dai partner della NATO e dalle monarchie del Golfo, come l'Arabia Saudita.
Amnesty International ha recentemente pubblicato un rapporto dal titolo ‘’ Mattatoio umano: impiccagioni di massa e sterminio nella prigione di Saydnaya in Siria", in cui si sostiene che il governo siriano abbia ucciso tra le 5000 e le 13.000 persone in un periodo di cinque anni. Il rapporto si basa su fonti anonime fuori dalla Siria, per sentito dire, e sull'uso discutibile di foto satellitari, che evoca la performance di Colin Powell alle Nazioni Unite nel 2003. Si fa un ampio uso di termini iperbolici quali ‘’mattatoio" e "sterminio", ma mancano le prove sulle gravi accuse proferite.

Pochi giorni dopo, Human Rights Watch si è unito al gruppo che denuncia il governo siriano per l’impiego di gas clorino contro civili in fuga da Aleppo. Ancora una volta, le argomentazioni sono state supportate da scarse indicazioni del fatto: soltanto fango, gettato contro un muro con la speranza che un poco di esso resti attaccato. Era stato invece il Fronte al-Nusra ad aggredire i profughi di Aleppo mentre tentavano di raggiungere le linee dell'esercito siriano. Un giorno esce un rapporto su esecuzioni capitali, il giorno dopo sull’impiego di armi chimiche, le barrel bombs il giorno successivo e così via.

Queste organizzazioni fasulle non dicono mai che la catastrofe umanitaria in Siria è stata provocata dall'intervento occidentale e dai loro alleati jihadisti tagliatori di teste.
La guerra non è finita, ma il governo e i suoi alleati stanno vincendo. Saranno loro a determinare il futuro della Siria. La Russia, la Turchia e l'Iran hanno convocato i negoziati di pace tra il governo e l'opposizione, ed è per questo che i tentativi di gettare discredito andranno avanti.

A partire dal 2011, gli Stati Uniti usano un sistema collaudato per imporre l’imperialismo. Si accusa un leader straniero di essere un tiranno che terrorizza la sua nazione. Ed ecco le argomentazioni per zittire le critiche: si compra il consenso dei mass media e dei politici cinici, e infine arriva la morte attraverso i cosiddetti salvatori. Ci sono nove milioni di rifugiati siriani proprio a causa della collusione tra l'Occidente e le alleate monarchie del Golfo. Hanno causato loro la sofferenza della popolazione civile, e soltanto la determinazione dei Siriani e l'aiuto dei loro alleati hanno impedito che si ripetesse la fine della Libia.

Ora che i jihadisti sono in fuga e il loro sostenitore turco sembra forse aver cambiato bandiera, la festa è finita. Ma gli imperialisti non andranno via tranquillamente. Ecco perché Human Rights Watch e Amnesty International riappaiono al momento cruciale. 

Il nuovo presidente Donald Trump è una totale incognita. Durante la campagna elettorale, ha affermato che non avrebbe sostenuto un cambio di regime, ma la sua personalità e la sua politica sono imprevedibili. Non è mai chiaro cosa intenda dire o voglia. Il suo staff è altrettanto dilettantistico, e la direzione della politica estera americana è ancora un mistero. Un giorno vuole migliorare le relazioni con la Russia e il giorno successivo fa l’inutile richiesta di restituire la Crimea ai signori neonazisti. Ma repubblicani e democratici del partito della guerra non lasciano alcun dubbio sui loro piani. Essi non rinunciano alla lotta per l’egemonia ed hanno bisogno di tutta la credibilità possibile. Per fornire la propaganda, Amnesty International e Human Rights Watch intervengono tempestivamente.
Se fossero stati davvero seri nell’obiettivo dichiarato di dare voce ai maltrattati, avrebbero usato le loro ampie risorse per criticare gli Stati Uniti a livello nazionale e mondiale. Quando il presidente George Bush istigò l'invasione dell’Iraq nel 1991, hanno ripetuto la favola dei soldati che uccidevano i neonati nelle incubatrici. Non hanno mai spiegato né si sono scusati per le loro azioni. Hanno continuato la loro orribile collaborazione nel 2011, fornendo all'amministrazione Obama una copertura per l’attacco e la distruzione della Libia.

Nessuna organizzazione denuncerà lo stato carcerario americano, il peggiore del mondo. Essi potrebbero criticare il pattugliamento dei nuovi schiavi, che uccide tre persone ogni giorno. Potrebbero chiedere perché gli Stati Uniti hanno un implicito diritto di decidere che la Libia o la Siria o la Somalia possono essere distrutti e le loro popolazioni costrette a patire. Ma affrontare questi temi andrebbe contro la loro vera missione: creare le condizioni necessarie per consentire agli Stati Uniti di commettere aggressioni senza il timore di una opinione pubblica contraria. Amnesty International e Human Rights Watch non sono amichevoli con tutti i Popoli del mondo. Se la prendono con i deboli e con i bersagli dell’attacco imperialista. Mentono in nome di coloro che violano massicciamente i diritti umani. Nonostante abbiano giocato un ruolo di primo piano nel disastro siriano, gli Stati Uniti sono stati invitati come osservatori ai prossimi colloqui di pace. Amnesty International e Human Rights Watch intervengono per fare in modo che, se l'amministrazione Trump dovesse partecipare, non ci sia alcun cambiamento di cui doversi impensierire. L’industria dei Diritti Umani è sicuramente dalla parte dei malvagi e delle loro sporche azioni.

Margaret Kimberley 

La colonna di Margaret Kimberley, Freedom Rider, appare settimanalmente nel Black Agenda Report, dove lavora come redattore e giornalista.  Ha anche un blog: freedomrider.blogspot.com.

   Trad. Maria Antonietta Carta