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sabato 17 novembre 2018

Monachesimo nel cuore dell'Islam

 

Dal 2005 una piccola comunità di trappiste provenienti da Valserena, il monastero nell’entroterra di Cecina che ha appena festeggiato i 50 anni, si è insediata in Siria, prima ad Aleppo e poi ad Azeir, presso il confine con il Libano. Una scelta operata con l’intento di raccogliere l’eredità lasciata dai monaci di Thibirine, rapiti poi uccisi nel 1996 da terroristi islamici: la possibilità di una vita fra genti di fedi diverse, tutte però coscienti di una comune dipendenza da Dio. La guerra scoppiata poco dopo l’insediamento nel luogo prescelto per la fondazione del monastero di Nostra Signora fonte della Pace non ha fatto recedere le monache da questo proposito e la loro presenza continua a essere un faro di spiritualità per i siriani cristiani ma anche per la maggioranza islamica. 
Ce ne parla in questa intervista la superiora suor Marta.
Intervista di Toscana Oggi.

venerdì 19 ottobre 2018

Gioventù in Siria


Tratto dal contributo all’incontro di religiosi formatori italiani, Subiaco 2018.

Questa relazione si basa su alcuni colloqui avuti con religiosi che lavorano con i giovani siriani. 


di Suor Marita Mantovani , OCSO*  

Per un discorso oggi sulla gioventù in Siria (come per ogni altro ambito sociale) si deve sempre tenere conto della grande discriminante: la guerra in atto da ormai più di sette anni. 
In qualsiasi visuale, in qualsiasi questione, automaticamente si parla di un «prima» e un «adesso».


La società
  Prima: con Hafez Assad (il padre dell’attuale presidente), al governo dal ’40 al ’90, la parola d’ordine era: Prima di tutto sei siriano, cittadino di uno Stato di diritto, e poi venivano le appartenenze etniche e religiose. Questo creava una mentalità di convivenza e rispetto. C’era molta povertà, ma dignitosa. Scuole e ospedali erano gratis. Il grande peso economico era costituito dai debiti di guerra. Tutto il meglio partiva per la Russia, ai siriani rimanevano le briciole. Per cui chi poteva farsi una casetta, trovare una discreta collocazione lavorativa, si riteneva fortunato. E si affezionava alle sue cose perché, perdute quelle, non avrebbe avuto altro. Per cui si capisce come i più anziani, ora, non vogliano abbandonare la loro terra, a costo di morirci dentro. E non solo gli anziani, anche giovani adulti esprimono questo sentimento.
 Questo stesso sentimento di attaccamento differenzia radicalmente i siriani dai libanesi, che hanno potuto godere di un tenore di vita più alto di quello dei siriani. Di fatto, fra gli emigrati molti dei siriani, forse anche la maggioranza, desiderano ritornare. I libanesi no. È l’educazione siriana che è diversa da quella libanese.
  Dopo: i debiti di guerra sarebbero stati completamente estinti nel 2017, e quindi la Siria avrebbe potuto veramente decollare. Noi stesse abbiamo visto i cambiamenti radicali nel tenore di vita dal 2005 fino all’inizio della guerra. La Siria, che non aveva debito internazionale, e che quindi non era ricattabile politicamente per mezzo del sistema bancario, e che sarebbe diventata autosufficiente, stava diventando troppo forte, per cui «hanno voluto metterla in ginocchio». E sono arrivate la guerra e le sanzioni internazionali.

La Chiesa
 C’è differenza fra ortodossi e cattolici, specie se sono latini. Per i cattolici, la grande epoca di formazione è stata quella degli anni ’80. Nei riguardi della Chiesa, e non solo nei giovanissimi, la mentalità era di questo tipo.
   Prima: tutto era dovuto alla Chiesa, con due visuali diverse fra loro: 1) «Chiesa sul piedistallo», intoccabile, insindacabile, perché sempre considerata migliore di qualunque cosa, ma lontana da un dialogo effettivo con i fedeli. 2) «Chiesa accessibile»: è possibile invece entrare in dialogo con essa, promuovere un vero incontro tra fedeli e Chiesa. Evidentemente si sente in entrambe le posizioni la realtà forte della Chiesa intesa come gerarchia, come parte clericale posta di fronte alla Chiesa dei fedeli. Nasce la domanda: i fedeli sanno, hanno coscienza di essere loro stessi Chiesa?
  Adesso: tutto si deve chiedere alla Chiesa, perché è nella Chiesa che c’è tutto: la Chiesa ha i mezzi, ha i contatti, ha gli aiuti. Quindi, c’è chi considera male i religiosi, perché li vede come accaparratori di beni, di aiuti; ma c’è anche chi soffre per la Chiesa, chi viene alla Chiesa per darsi nel servizio. La parola «servizio» torna frequentemente nei laici impegnati, in Siria.
 Ciò che si vive ora è l’insicurezza. I genitori non hanno più niente, con l’inflazione anche quelli che erano agiati si ritrovano a non avere più molto. Con l’enorme distruzione di immobili molti si ritrovano a non avere più casa o hanno perduto i guadagni degli affitti, con i quali vivevano. Tutti devono lavorare per vivere, e il lavoro o non c’è, o è molto poco.
 Le Chiese sono occupate negli aiuti umanitari, ovviamente necessari, ma questo va a detrimento dell’assistenza spirituale ai fedeli. Ora, per fortuna, molti religiosi si rendono conto che occorre trovare un equilibrio fra aiuti materiali e servizio spirituale, ma ormai l’immagine della Chiesa assistenziale si è radicata, e la gente va dove trova più aiuto umanitario, al punto di partecipare alla messa per avere diritto all’assistenza. E così è cominciata, in alcune parti, la discriminazione fra cristiani e musulmani, cosa che prima non esisteva.

I giovani
 Per natura sono accoglienti, aperti, capaci di dare tutto. L’educazione e la ricerca, la sete di risorse intellettuali e spirituali, li portano ad assorbire tutto quanto è loro offerto per una migliore capacità di servizio, alla società e alla Chiesa. Mancano, in generale, di una formazione personale, intesa nel senso della loro personale vocazione di incontro e relazione col Cristo. La società prima, che temeva le forti personalità, e poi le Chiese, concentrate più sul senso di appartenenza al rito, alla piccola comunità locale, che sull’appartenenza universale alla fede cristiana, e quindi sulla responsabilità del credere, hanno trascurato la formazione della persona in quanto tale, la coscienza di sé, delle proprie radici, del proprio futuro.
 Prima: sempre affamati di «altro», quello che veniva dall’Occidente, considerato migliore. Si valutava quello che si era in base a quanto si era ricevuto: se non si era ricevuto niente, non si era niente. Da qui la ricerca continua di nuovi studi, conoscenze, nuovi diplomi. La società favoriva in modo speciale i giovani, permettendo incontri e soggiorni all’estero. Molti hanno potuto studiare in Europa e in America, nel passato. Per quanto riguarda la fede, tutti hanno sempre cercato un’educazione religiosa e delle risorse spirituali per vivere. Tutti si sono sempre basati molto su Dio, ciascuno secondo la sua tradizione religiosa, cristiani e musulmani.
 Adesso: i giovani sono smarriti. Devono lavorare per mantenersi agli studi e spesso anche per mantenere la famiglia. Non hanno più tempo da dedicare a Dio, sono cresciuti in fretta, per le pressioni della vita. Non hanno una prospettiva chiara del futuro, anche solo dal punto di vista del lavoro, della famiglia.
 La violenza della guerra ha modificato la loro coscienza: per vivere occorre entrare nella mentalità del dover sopravvivere, ad ogni costo. Solo chi prevale può vivere. La violenza vista e subita è diventata persino un gusto, uno spettacolo cercato e contemplato con cinismo. La distruzione dell’altro è divenuta cosa normale, lecita. La perdita di valori e principi positivi, la sfiducia rispetto alla convivenza, come ad esempio, il «tradimento» da parte di vicini di casa di altra fede che si consideravano amici, ha generato il vuoto. In una recente inchiesta  in un solo paesino di periferia sono risultati 84 minorenni tossicomani, numero esorbitante per le dimensioni del paese e la realtà sociale della Siria prima.
  Ma evidentemente ci sono ancora molti giovani sani, anche se feriti profondamente dalle perdite della famiglia e della società, giovani che ancora sono disponibili al servizio gratuito, nella Chiesa e nel contesto della città (anche lavorando insieme fra cristiani e musulmani), e a imparare dimensioni nuove nel servizio. C’è molta sete di «senso», di una parola vera, diversa, che apra uno squarcio di speranza vera sulla semplice sopravvivenza.
 Molti giovani, più ancora che le ragazze, sono impegnati nella Chiesa, sia nella vita parrocchiale che nei gruppi formati e sostenuti dalle congregazioni religiose presenti (gesuiti, salesiani, maristi, francescani, ecc.). La sfida, ora, sta nel ricondurre i giovani al rispetto mutuo, a una scala di valori che metta al centro la dignità dell’uomo, di ciascun uomo, e la sua responsabilità di fronte alla fede e alla vita. Così come alla testimonianza cristiana di una speranza vera, reale, che dà senso al restare qui, oggi, in Siria, in un modo positivo e creativo, nonostante le reali difficoltà di fronte al futuro.
 Per tutti, infatti, o almeno per la stragrande maggioranza dei giovani, il pensiero fisso rimane «partire». I ragazzi per evitare il servizio militare, che oltre a essere un’immersione crudamente reale nella violenza e nella morte (compresa la propria), anche nelle condizioni migliori è un impegno senza termine (ci sono giovani, tanti, che ormai sono di leva da sette anni).  Le ragazze sognano la partenza per potersi sposare con il loro ragazzo che ormai sta all’estero e non può più ritornare in Siria, o per poter trovare condizioni di studio, lavoro e matrimonio più solide e piene. In generale, si cerca non solo di sottrarsi alla guerra, ma anche di trovare una vita migliore in un Occidente idealizzato, che di fatto sarà incapace di soddisfare il bisogno di vita più umana e più piena dei ragazzi siriani. 
 Di fatto, quelli che restano, lo fanno o per motivazioni morali realmente forti, resistendo continuamente alle sollecitazioni che vengono da tutti i loro amici che già stanno cercando di crearsi una nuova vita lontano dalla Siria, oppure perché sono così poveri da non avere denaro sufficiente per partire, per trovarsi qualche contatto, ma se avessero chi li aiuta… 

 Si può forse aggiungere che l’esperienza che facciamo nei nostri, ancora molto limitati, contatti con i giovani, è che il nostro tipo di umanesimo, cioè il modo benedettino di vivere la fede e anche i rapporti umani (stile di accoglienza, di preghiera, e vita di comunità sono le cose che colpiscono i giovani), attira, suscita domande, interesse.
  Voi siete diverse è una delle cose che ci dicono più spesso. Questa espressione ci interroga molto, perché ci fa capire la sete soggiacente, sete di un modo di vivere la fede che risponda all’esperienza indistintamente globalizzata e globalizzante che i giovani vivono, prima di raggiungere una vera coscienza di se stessi. 
 C’è bisogno di una vera cultura cristiana, intesa come capacità di valutare tutta l’esperienza in base a dei criteri di fede che abbiano solide radici in un’identità matura, come singoli e come Chiesa.

* Suor Marita Mantovani è maestra del noviziato del monastero trappista Nostra Signora Fons pacis, ad Azeir, Siria.

Testo estratto dal n° 15 della Rivista VITA NOSTRA, strumento per custodire e far conoscere la ricchezza della tradizione e della vita benedettino-cistercense. 
 La rivista Vita Nostra viene prodotta in formato cartaceo e in formato digitale  e viene normalmente inviata ai soci di Nuova Citeaux e a chi effettua una donazione a sostegno della rivista o delle attività dell’Associazione medesima, e a chiunque ne faccia richiesta.

mercoledì 22 agosto 2018

Siria, storie di ricostruzione. Ad Azeir, il solare solidale delle Monache Trappiste per il futuro di tutti

Storie siriane 2018 (4)
raccolte da Marinella Correggia
 
Dalle torce nelle mani dei bambini sfollati a Jibreen ai semafori nelle strade di Aleppo; dalle luci installate nel giardino del museo archeologico di Damasco ai pannelli spuntati sui tetti dei palazzi rimasti in piedi a Kafarbatna nella Ghouta orientale: il futuro della Siria si presenta solare. Almeno nel senso dell'energia fotovoltaica e termica.
E le monache trappiste di Azeir, un villaggio a metà strada fra Homs e Tartous, hanno avviato un progetto pilota di notevoli dimensioni (1700 pannelli, pari a 40 kw per il pozzo e 40 Kw per lavoro e vita quotidiana di potenza installata), all'insegna, come vedremo, dell'autonomia energetica solidale.

Ecco in questo video 

 su un pianoro in collina, file e file di pannelli solari recentemente installati nei pressi del monastero da tecnici siriani.
La superiora, suor Marta, racconta dal monastero siriano  questa storia che incrocia tecnologia e volontà, doni di materiali dall'estero e lavoro di tecnici e operai siriani. Ma prima, una premessa di contesto.

Le verità di parte, la volontà di vita, la ricostruzione dell'umano
«Di questa guerra in Siria si sono fatte conoscere approfonditamente tutte le atrocità, le violenze, le distruzioni, come è giusto che sia. Anche se purtroppo, come abbiamo detto in altre occasioni, la “verità” viene presentata sempre con una faccia sola- cosa che non è MAI vera- e guarda caso la faccia presentata è quella che più conviene agli interessi esterni al paese, interessi che muovono ogni pedina, come su una tragica scacchiera…. Ciò di cui invece si parla pochissimo è tutta la forza di resistenza, la volontà di vita dei siriani, il quotidiano che faticosamente continua, e non solo per fatalismo…E tutto il lavoro di ricostruzione, nel campo materiale ma anche ricostruzione “dell’umano”.
Il nostro progetto sull’energia rinnovabile - suggerito, per essere onesti, dalla disponibilità di questo grosso dono- viene soprattutto dal desiderio di costruire per il futuro, più ancora che dalla necessità di far fronte alle difficoltà dell’immediato.
Prima di tutto, da ormai tre anni a questa parte, cioè da quando il conflitto ha cominciato poco a poco a prendere una svolta più decisa verso la messa in sicurezza di ampi territori, il numero degli ospiti che accogliamo al monastero, pur con le nostra strutture limitate, aumenta ogni mese. Persone che vengono da città e villaggi più vicini, come Homs e Tartous, ma anche da Damasco, da Aleppo…Ospiti del monastero che cercano un luogo di silenzio, di preghiera, di pace, per ritrovare se stessi davanti a Dio. Quindi abbiamo bisogno di luce, acqua, di poter coltivare la terra…sempre più. E poi ci sembra importante fare progetti per il futuro: tutti hanno bisogno di lavoro, gli uomini, i giovani, ma anche tante donne rimaste sole a portare il peso dei figli e sovente anche dei familiari più anziani. Ma come creare un lavoro che abbia un rendimento, se il costo dell’elettricità azzera ogni guadagno? Forse le imprese più grandi riescono ad essere competitive, anche con la guerra, ma per le piccole imprese è molto difficile. Noi abbiamo bisogno come monastero di crearci un lavoro per vivere, e così tante donne dei nostri villaggi. Non potremo fare moltissimo, ma almeno dare lavoro a qualche famiglia sì…e se si incomincia, altri saranno incoraggiati a fare lo stesso, a cercare soluzioni possibili e creative…Questa è stata l’idea che ci ha mosso

Un progetto pilota di fronte alla penuria di guerra
Continua la superiora: «Un'azienda internazionale offriva gratuitamente pannelli nuovi in grande quantità, di ottima qualità ma non di nuova generazione. Era stato indetto una specie di “bando di concorso”. Un nostro amico in Italia presentò un progetto per l'autosufficienza del monastero e per l’aiuto a qualche realtà locale. All'epoca la nostra zona era già stata messa in sicurezza, ma ciò non significa che non si soffrissero le condizioni della guerra: in particolare l’elettricità, se eravamo fortunate, veniva per una/due ore al giorno…a volte meno…Quindi i disagi erano tanti, e oltretutto il costo elevato dell'elettricità ci impediva di avviare in modo deciso le nostre attività (ad esempio con le candele e i biscotti) e ancor più di coinvolgere la gente del villaggio, soprattutto le donne del villaggio che chiedono lavoro. L'elettricità dal sole ci avrebbe permesso anche di pagare meno i costi per l'irrigazione - relativi alla pompa del pozzo -, e di pensare all'avvenire in generale».
Il progetto viene accettato. Inizia l'impegno per risolvere i problemi burocratici relativi all'importazione, soprattutto a causa delle sanzioni occidentali alla Siria. Alla fine, con l’aiuto delle autorità civili e portuali, arrivano tre container di pannelli. Alcuni benefattori dall’Italia aiutano il monastero per le spese di trasporto.

Giovani ingegneri siriani molto preparati
A quel punto, prosegue suor Marta, «ci siamo rivolte per l'installazione a diversi professionisti, scegliendo alla fine una ditta di Damasco. Va detto che il settore delle rinnovabili prende sempre più piede qui in Siria». Il lavoro ha visto la preparazione del terreno da parte di operai locali e il controllo e la direzione degli ingegneri di Damasco: «Ci siamo trovate benissimo, hanno lavorato in modo eccellente, con attenzione e precisione. Sono tutti giovani ingegneri molto preparati, e questo per loro è diventato un po' un progetto esemplare, una pubblicità per un settore che si sta sviluppando. E' difficile che qualcuno abbia la possibilità di investire in un'attività di queste dimensioni».
Appunto. La decisione di accettare il dono dei pannelli non è stata presa con disinvoltura: «I pannelli di ultima generazione producono tre volte più energia, a parità di superficie, rispetto a quelli che ci venivano offerti. Quindi il costo dell'installazione poteva essere un deterrente. Ma al tempo stesso, gli ingegneri che abbiamo consultato, in Italia e qui - e soprattutto quelli di qui, che conoscono la situazione-, ci hanno spiegato che si trattava di un'occasione unica, poiché, a causa delle sanzioni , in Siria si possono trovare solo pannelli in silicone, o comunque di bassa qualità- che dopo poco tempo si opacizzano e perdono in efficienza. Quelli che ci hanno offerto sono invece in vetro, di ottima qualità, di lunga durata e di resa perfetta: per studiare il progetto, gli ingegneri hanno realizzato un'installazione di prova, con otto pannelli, misurandone la produzione di energia nelle varie situazioni. Hanno potuto così constatare che la resa dichiarata corrisponde perfettamente a quella effettiva. Questo ha permesso uno studio davvero attento di consumi e alternanze fra parti dell’impianto supportate da batterie e parti a sola energia diurna. Dunque, il progetto era reso vantaggioso dall'efficienza e dalla durata prevista dei pannelli, oltre naturalmente alla loro gratuità».

Fiat lux! per il monastero....
Gli effetti sono chiari come il sole: «Da un mesetto abbiamo elettricità continua, il pozzo (che rappresentava uno dei consumi più alti in termini di energia) si è reso indipendente già da prima. In casa abbiamo energia sufficiente giorno e notte grazie alle batterie. Questa situazione ci permette finalmente di pensare anche ad attività lavorative per noi e il villaggio».
...e presto per il pozzo del villaggio e per l'ospedale di Talkalakh
Lo stock di pannelli solari era decisamente superiore alle necessità del monastero: «Così abbiamo intenzione di fornire elettricità al pozzo del villaggio cristiano, il nostro villaggio; e di donare una parte significatica di pannelli all'ospedale di Talkalakh, il capoluogo della nostra regione nella provincia di Homs. E' una zona mista, con sunniti, alauiti e cristiani, e l'ospedale è quello dei poveri, serve proprio tutti (anche noi) in modo gratuito. Ma ha risentito delle restrizioni della guerra. Il fotovoltaico darebbe energia a una sala operatoria, al pronto soccorso e alle incubatrici, insomma una certa autonomia».
Chi è rimasto lavora per il futuro...sanzioni permettendo
Le trappiste sottolineano la bravura, il coraggio, la volontà di chi è rimasto in Siria e magari si è laureato durante gli orribili anni di guerra: «La nuova generazione di ingegneri rivela una grande precisione nel lavoro. Chi è rimasto ha professionalità e voglia di fare, con materiali nuovi e tecniche nuove. Naturalmente fra i problemi ci sono le sanzioni. Ad esempio i nostri ingegneri che hanno contatti con l'Italia, per aggiornarsi, hanno avuto problemi di visto; ed è complicato portare il materiale. Comunque il settore è in piena espansione. A Damasco si susseguono le fiere di settore, dove si presentano i materiali e progetti più innovativi
Decisamente la ripresa va avanti.

Che cosa possiamo fare noi
D'accordo, pannelli e batterie sono stati regalati. Ma il monastero delle trappiste ha affrontato spese ingenti per il trasporto e l'installazione, da parte di tecnici e maestranze interamente siriani.
Per rifornire il pozzo del villaggio, il progetto è pronto e «con l'aiuto del vescovo latino padre George Abou Khazen e di alcune organizzazioni abbiamo trovato quasi metà della cifra necessaria». Metà…
Anche per l'ospedale, dice Marta, «il progetto è pronto e stiamo prendendo contatti: regaliamo tutta l'attrezzatura ma non possiamo coprire le spese di installazione. Pensiamo di coinvolgere il Ministero Siriano della Salute, proponendo la nostra offerta di pannelli, ma se ci arrivassero fondi...»
...sarebbero di grande aiuto. Al monastero, al villaggio. Alla Siria.

Per contribuire al finanziamento di questo grande progetto di 'solare solidale' si possono effettuare versamenti qui: https://www.nostrasignoradellapace.it/donations/donazione-per-i-progetti-in-siria/

mercoledì 27 giugno 2018

Le Monache Trappiste e il compito della 'nuova Siria'


Incontriamo suor Marta, superiora delle Monache Trappiste di Azeir, durante la breve visita che sta svolgendo in Italia alla Comunità 'madre' di Valserena nel giugno 2018

OraProSiria: Suor Marta, ci racconti come sta andando avanti la vostra presenza, quello che avete costruito, quali sono i vostri progetti, desideri, e lo sguardo che ha su di voi la gente che incontrate ogni giorno..
E poi ciò che voi intravvedete come necessità di questo popolo, in questo che appare sempre più come uno scenario che va verso la fine della guerra, quello che a voi sembra importante in questa fase di fine conflitto sia dal punto di vista della Chiesa che dal punto di vista della società. Quindi quale può essere ora il vostro compito sia come religiosi che come Chiesa locale?

Suor Marta: quello che noi viviamo giorno dopo giorno è proprio la presenza, cioè l'essere lì. Siamo molto contente perché gli ospiti arrivano sempre più numerosi, si passano la voce gli uni con gli altri e quindi poco a poco, pur secondo le nostre limitate possibilità di accoglienza che non sono enormi, vediamo che le persone che vengono al monastero trovano un luogo di riposo, di incontro e anche di riflessione. E in questo momento per la Siria è in atto un cambiamento, non voglio parlare delle ingerenze esterne e delle pressioni ai confini che permangono a motivo delle varie situazioni internazionali, però all'interno la Siria si sta stabilizzando, lo Stato siriano sta ritrovando la sua unità: anche il fatto che si possa andare in macchina da Damasco ad Aleppo dice molto di questa normalizzazione.
È chiaro che dobbiamo fare i conti con tutta la distruzione che si è creata, le sanzioni internazionali che ci soffocano, la mancanza di materie prime e di scambi, e quindi si vive una grande privazione, molto bisogno materiale, ma noi sentiamo che dentro questo pesante bisogno la gente ha un bisogno spirituale, spirituale in senso lato cioè come tempo dello spirito e di preghiera, di ritrovare una motivazione profonda alla dimensione umana ferita che questa guerra atroce ha creato, come umiliazione e poco rispetto della persona. Tutto questo chiede delle risposte, chiede una riflessione su cosa vuol dire essere uomini, essere credenti, di qualunque fede si sia. Mi sembra che oggi in Siria questo sia uno dei compiti più importanti: che senso ha costruire LA' un uomo!
Ma non solo: costruire INSIEME questa umanità che vogliamo vivere: questo non si riduce solo alla possibilità pur importante di studiare, lavorare, di un progresso economico e sociale, ma anche di un umanesimo che può attingere a un patrimonio immenso di cultura e di tradizione, che, anche se è stato distrutto nell'immagine e nel patrimonio storico-artistico, riguarda per lo più la distruzione delle pietre; però l'anima e la cultura che sono alla radice della Siria, continuano ad essere delle fonti preziose per questo umanesimo.
Da parte nostra la cosa importante per ora è l'accoglienza, che come dicevo si sta ampliando, anche se abbiamo ancora da costruire il nostro monastero, e questo è importante perché la nostra spiritualità non è una spiritualità solo di idee ma è incarnata: restare in un posto vuol dire anche investire sugli spazi, sui tempi, sul lavoro. Solo questo investire su una progettualità rende possibile pensare al futuro, alla ricostruzione. Così adesso è la Siria: alcune persone che tornano, piccole iniziative di lavoro, realtà di collaborazione che si stanno creando pur passando attraverso faticosi cammini di riconciliazione. Per questo occorre investire molto su una progettualità di pensiero. In questo le Chiese e i cristiani hanno un grosso compito, che è il loro proprio compito, di stimolare un pensiero e una coscienza di senso.

OPS: Perché è importante che i Cristiani non se ne vadano, come continuano a chiedere i Vescovi Siriani? Cosa convince un Cristiano a giocare la sua permanenza in un paese come la Siria o come altri paesi del Medio Oriente che stanno vedendo invece un esodo massiccio?

Suor Marta: Sì, potrebbe sembrare disumano chiedere alle famiglie cristiane di restare, perché di prospettive di lavoro, di carriere appaganti, di successo, non se ne vedono. Occorre essere chiari: non si può rimproverare nessuno per le scelte che fa; è comprensibilissima la preoccupazione di un genitore per i propri figli. Di solito è il pensiero del loro avvenire la molla che spinge ad andarsene, più che un egoismo personale, è proprio il cercare un futuro per i propri figli che è una cosa rispettabilissima. Allo stesso tempo i Cristiani sono di fatto l'anello che permette in molte situazioni la riconciliazione, sì, i Cristiani sono l'anello di congiunzione nella grossa divisione che si è creata a livello confessionale nella società siriana. Quindi questo è il primo fattore importante di cui i Cristiani sono portatori. Ma soprattutto, non è disumano chiedere di restare: tutto dipende dal tipo di umanità che vogliamo realizzare; se noi pensiamo che non solo in Siria ma in tutto il mondo oggi c'è una grossa battaglia che si gioca rispetto a una umanità nuova, che sia radicata su ciò che rende veramente uomini. È quello che chiediamo ai nostri giovani: “cosa vi impedisce di essere veramente uomini e donne qui in Siria?”. Anzi, forse la povertà di mezzi ci stimola a riscoprire i valori veri di un'umanità non come un fatto emotivo, una voglia, uno slancio al 'vogliamoci bene', ma la capacità di generare un tipo umano con un pensiero, una consapevolezza di ciò di cui consiste veramente l'uomo. Noi in Occidente abbiamo ridotto il lavoro al guadagno, alla sicurezza e alla molteplicità delle esperienze; mentre il lavoro è la prima espressione dell'uomo che si mette alla prova, si conosce e si sperimenta nei propri limiti e nelle proprie possibilità, s'inventa e crea. Possiamo restare, se crediamo che è possibile fare un'esperienza dell'umano come ciò che veramente realizza, perché la domanda vera è: che cosa realizza realmente la persona?

OPS: Oggi si ha molta paura del fondamentalismo che sembra sempre più pervadere il mondo islamico. Il popolo siriano ha la possibilità di resistere al virus del fanatismo?

Suor Marta: Credo proprio di sì, nella misura in cui ascolta l'esperienza che ha fatto, Oggi in tanti siriani c'è una sorta di stupore nel constatare una diffusione del fondamentalismo che non si credeva così forte nella sua propagazione, perché al di là del fondamentalismo organizzato dal paesi stranieri c'è qualcosa che ha attecchito anche nel pensiero di alcune persone e questa è la cosa che spaventa di più. Però quest'esperienza ha posto anche molti interrogativi: noi conosciamo molte persone che di fronte alla loro stessa fede nell'Islam si sono poste molte domande e quindi cercano ora un modo vero di vivere la loro fede, un modo più tollerante, un modo che è comunque aperto ad altre esperienze; certo non bisogna darlo per scontato, bisogna lavorare, bisogna dialogare, bisogna non avere paura di creare spazi di riflessione. Non è automatico ma io vedo che c'è una volontà, un desiderio di andare al fondo del vivere insieme quella diversità che ha caratterizzato questo paese, non bisogna però darlo per scontato, bisogna trovare il modo di lavorarci e farlo crescere.

OPS: Per quanto sperimentate voi, il governo siriano ha mantenuto quella sua tipica laicità che lo ha reso per decenni un'esperienza di convivenza particolare, quella per cui ancor più oggi si auspica che anche nella nuova Costituzione sia sempre più chiara la distinzione tra religione e forma di governo?

Suor Marta: Noi fin da quando siamo arrivate abbiamo sperimentato questa caratteristica della Siria: prima di tutto si è Siriani, la religione è un'altra cosa. E questa è una linea che permane, che noi sentiamo e che viene portata avanti: certo ora occorre fare i conti con le fratture che si sono create, perché purtroppo questa guerra ha minato questa coscienza dell'essere insieme, però questa coscienza dell'essere anzitutto Siriani non è stata distrutta, e il governo sta lavorando in questo senso, così come tutte le persone di tutte le religioni impegnate in un'ottica di ricostruzione sociale sono impegnate in questa direzione.

martedì 6 marzo 2018

Lettre ouverte par les moniales Trappistines Syriennes: Appeler les choses par leur nom, voici le commencement de la paix



Quand les armes se tairont-elles? Quand se taira tant de journalisme partiel? Nous, qui vivons en Syrie, nous sommes dégoûtés par l’indignation générale qui se lève pour condamner ceux qui défendent leur propre vie et leur propre terre.
 A plusieurs reprises ces mois-ci, nous nous sommes rendus à Damas. Nous y sommes allés après que les bombes des rebelles aient fait un massacre dans une école. Nous y étions également voici quelques jours seulement, le jour après que 90 missiles tirés à partir du faubourg de la Goutha soient tombés sur la partie de la ville sous le controle du gouvernment. Nous avons écouté les récits des enfants, la peur de sortir de chez eux et d’aller à l’école, la terreur de devoir voir encore leurs camarades de classe, ou eux-memes, sauter dans les airs. Ces enfants ne parviennent pas à dormir la nuit à cause de la peur qu’un missile arrive sur leur toit. La peur, les larmes, le sang et la mort. Ces enfants ne sont-ils pas aussi dignes de notre attention?
 Pourquoi l’opinion publique n’a-t-elle pas cillé, pourquoi personne ne s’est-il indigné, pourquoi n’y a-t-il pas eu d’appels humanitaires ou autre en faveur de ces innocents? Pourquoi n’est-ce que lorsque le gouvernement syrien intervient, en suscitant la gratitude de la part des citoyens Syriens qui se sentent ainsi protégés contre tant d’horreur (on l’a constaté, et ils nous l’ont raconté), pourquoi seulement à ce moment-là on s’indigne de la férocité de la guerre? Certes, quand l’armée Syrienne bombarde, des femmes, des enfants, des civils, meurent ou sont blessés. Nous prions aussi pour eux. Non seulement pour les civils, nous prions également pour les djihadistes parce que chaque homme qui choisit le mal est un fils perdu, c’est un mystère caché dans le cœur de Dieu. C’est à Lui qu’il faut laisser le jugement, Lui qui ne veut pas la mort du pécheur mais qu’il se convertisse et vive.

Mais cela ne veut pas dire qu’on ne puisse pas appeler les choses par leur nom. Et on ne peut pas confondre celui qui attaque avec celui qui se défend.
A Damas, c’est à partir de la zone de la Goutha qu’ont commencé les attaques en direction des civils qui habitent dans la partie de la ville contrôlée par le gouvernement et non pas l’inverse. Le quartier de la Goutha lui-même a vu les civils n’appuyant pas les djihadistes être placés dans des cages de fer – hommes et femmes – exposées en plein air et utilisées comme boucliers humains. Goutha est un quartier dans lequel aujourd’hui les civils qui veulent s’enfuir et se réfugier dans la partie gouvernementale en profitant de la trêve accordée sont pris pour cible par des tireurs embusqués rebelles. Pourquoi dès lors cette cécité de l’Occident? Comment est-il possible que ceux qui informent, y compris à l’intérieur de l’Eglise, soient si unilatéraux?

La guerre est laide, très laide! Il n’est pas nécessaire de nous le raconter, à nous les Syriens, car on nous l’a emmenée ici depuis sept ans… Mais il n’est pas possible de se scandaliser à cause de la brutalité de la guerre et se taire à propos de ceux qui ont voulu la guerre et la veulent encore aujourd’hui, à propos des gouvernements qui ont déversé en Syrie au cours de ces années leurs armes toujours plus puissantes, qui ont utilisé leurs services secrets… pour ne pas parler des mercenaires laissés délibérément entrer en Syrie en les faisant passer par les pays limitrophes (parmi eux, beaucoup sont devenus des membres de l’Etat islamique, il faut le rappelr à l’Occident, qui connait du moins cette définition). Il n’est pas possible de se taire concernant l’attitude des gouvernements qui ont obtenu des bénéfices de cette guerre et continuent à en retirer des profits. Il suffit de voir ce que sont devenus les puits de pétrole les plus importants de Syrie. Ma ceci n’est qu’un détail, car il y a bien davantage…

La guerre est laide. Nous ne sommes pas encore arrivé au but, là où le loup et l’agneau demeureront ensemble. Et aux croyants, il faut rappeler que l’Eglise ne condamne pas la légitime défense, et bien qu’elle ne souhaite pas le recours au armes et à la guerre. La foi ne condamne pas ceu qui défendent leur propre patrie, leur propre famille, leur propre vie. Il est possible de choisir la non-violence jusqu’à en mourir. Cependant, il s’agit d’un choix personnel, qui ne peut mettre en jeu que la vie de ceux qui le font et il n’est pas possible de le demander à une nation entière, à un peuple entier.

Aucun homme qui a un minimum de vraie humanité ne peut souhaiter la guerre.  Mais aujourd'hui dire à la Syrie, au gouvernement syrien, ne pas défendre sa nation est contre toute justice: trop souvent c'est seulement un moyen de faciliter la tâche de ceux qui veulent piller le pays, massacrer son peuple, comme cela s'est passé ces longues années pendant  lesquelles les trêves ont surtout servi à réarmer les rebelles, et les couloirs humanitaires à apporter de nouvelles armes et de nouveaux mercenaires ... et comment peut-on oublier quelles atrocités sont survenues ces dernières années dans les zones contrôlées par les djihadistes? violences, exécutions sommaires, viols ... comment oublier ce qu’ont dit ceux qui ont finalement réussi à s'échapper?

Dans ces semaines, on nous a fait lire un article vraiment incroyable: tant de mots pour faire passer une seule thèse, à savoir que toutes les Églises orientales ne sont que des esclaves du pouvoir ... par commodité ... Quelques phrases à épater, genre la révérence des évêques et des chrétiens envers le Satrape Syrien ... un moyen de délégitimer tout appel de l'Église syrienne qui révèle l'envers de la médaille, dont on ne parle pas.

Au-delà de toute défense et polémique inutiles, faisons un raisonnement simple, à partir d’une considération. Et c'est que le Christ - qui connaît bien le coeur de l'homme, c'est-à-dire qui sait que le bien et le mal cohabitent en chacun de nous- veut que les Siens soient le levain dans la pâte, c’est-à-dire cette présence qui, peu à peu, de l’intérieur, fait croître une situation et l’oriente vers la vérité et le bien, qui la soutient là où elle doit être soutenue et la change là où elle doit être modifiée, avec courage, sans duplicité mais de l’intérieur. Jésus n'a pas soutenu les fils du tonnerre, qui invoquaient un feu de punition.
Bien sûr, la corruption est dans la politique Syrienne (comme dans tous les pays du monde) et il y a du péché dans l'Église(comme dans toutes les églises, comme tant de fois le Pape s'en est plaint).
Mais, faisons appel au bon sens de tous, même aux non-croyants: quelle est la véritable alternative que l'Occident invoque pour la Syrie? L'État islamique, la charia? Ceci au nom de la liberté et de la démocratie du peuple syrien? Mais ne nous faites pas rire, ou plutôt, ne nous faites pas pleurer ...

Mais si vous pensez que de toutes façons il n'est jamais légitime de faire des compromis, nous vous rappelons, par souci de cohérence, que vous ne pouvez pas avoir de l'essence  sans compromis avec les pouvoirs fortes, puisque plusieurs entreprises ont acheté du pétrole à bon marché de l’Etat Islamique, par le biais de la Turquie; ainsi, si vous conduisez quelques kilomètres, vous le faites aussi grâce à la mort de quelqu'un à qui ce pétrole a été volé, en consommant le gazoil qui devait chauffer la maison des enfants en Syrie.
Si vous voulez vraiment répandre la démocratie dans le monde, assurez-vous de votre liberté face aux satrapes de l'Occident, et inquiétez-vous de votre cohérence, avant d'intervenir sur celle des autres.

En plus, on devrait avoir quelques soupçons face au fait que si un chrétien ou un musulman dénonce les atrocités des groupes djihadistes, le silence tombe, il ne trouve qu'un écho médiatique rare, par des ruisseaux marginaux, alors que ceux qui critiquent le gouvernement Syrien gagnent les premières pages des grands médias… Est-ce que quelqu'un se souvient de l'interview ou de l'intervention d'un évêque Syrien sur un important journal de l'Ouest? On peut être en désaccord, évidemment, mais une vraie information suppose des points de vue différents.

De plus, ceux qui parlent de révérence intéressée de l'Église syrienne envers le président Assad pour défendre les intérêts à courte vue des chrétiens, prouvent qu'ils ne connaissent pas la Syrie, parce que sur cette terre les chrétiens et les musulmans vivent ensemble. Ce n'est que cette guerre qui a blessé la cohabitation dans de nombreuses régions, mais dans les zones sécurisées par l'armée (contrairement à celles contrôlées par les «autres»), nous vivons toujours ensemble. Avec des blessures profondes à réparer, aujourd'hui malheureusement aussi avec beaucoup de difficulté à pardonner, mais toujours ensemble. On vit encore actuellement ensemble, pour le bien de tous. Les nombreuses œuvres de charité, de secours, de développement gérées par des chrétiens et des musulmans de manière conjointe en sont le témoignage.
Bien sûr, ceci est connu par ceux qui vivent ici, même au milieu de tant de contradictions, pas ceux qui écrivent derrière un bureau, avec de nombreux stéréotypes d'opposition entre chrétiens et musulmans.

"Libère-nous Seigneur de la guerre ... et libère-nous de la mauvaise presse ...". 
Avec tout le respect que l’on doit aux journalistes qui essaient vraiment de comprendre les situations et de nous en informer vraiment. Mais ces derniers, ne prendront pas mal nos mots ....   
   Les moniales trappistines en Syrie


VERSIONE INGLESE DELLA LETTERA APERTA QUI: 
http://www.asianews.it/news-en/Syrian-Trappist-nuns-say-Western-powers-and-factional-media-fuel-war-propaganda-43266.html

domenica 4 marzo 2018

Lettera aperta delle Monache siriane: Chiamare le cose con il loro nome, è questo l'inizio della pace



Quando taceranno le armi ? E quando tacerà tanto giornalismo di parte ?
Noi che in Siria ci viviamo, siamo davvero stanchi, nauseati da questa indignazione generale che si leva a bacchetta per condannare chi difende la propria vita e la propria terra.
Più volte in questi mesi siamo andati a Damasco; siamo andati dopo che le bombe dei ribelli avevano fatto strage in una scuola, eravamo lì anche pochi giorni fa, il giorno dopo che erano caduti, lanciati dal Goutha, 90 missili sulla parte governativa della città. Abbiamo ascoltato i racconti dei bambini , la paura di uscire di casa e andare a scuola, il terrore di dover vedere ancora i loro compagni di classe saltare per aria, o saltare loro stessi, bambini che non riescono a dormire la notte, per la paura che un missile arrivi sul loro tetto. Paura, lacrime, sangue, morte. Non sono anche questi bambini degni della nostra attenzione?
Perché l’opinione pubblica non ha battuto ciglio, perché nessuno si è indignato, perché non sono stati lanciati appelli umanitari o altro per questi innocenti? E perché solo e soltanto quando il Governo siriano interviene, suscitando gratitudine nei cittadini siriani che si sentono difesi da tanto orrore (come abbiamo constatato e ci raccontano), ci si indigna per la ferocia della guerra?
Certo, anche quando l’esercito siriano bombarda ci sono donne, bambini, civili, feriti o morti. E anche per loro preghiamo. Non solo i civili: preghiamo anche per i jihadisti, perché ogni uomo che sceglie il male è un figlio perduto, è un mistero nascosto nel cuore di Dio. Ed è a Dio che si deve lasciare il giudizio, Lui che non vuole la morte del peccatore, ma che si converta e viva.

Ma questo non significa che non si debbano chiamare le cose con il loro nome. E non si può confondere chi attacca con chi si difende.
A Damasco, è dalla zona del Goutha che sono cominciati gli attacchi verso i civili che abitano nella parte controllata dal governo, e non viceversa. Lo stesso Goutha dove - occorre ricordarlo ? – i civili che non appoggiavano i jihadisti sono stati messi in gabbie di ferro: uomini, donne, esposti all’aperto e usati come scudi umani. Goutha: il quartiere dove oggi i civili che vogliono scappare, e rifugiarsi nella parte governativa, approfittando dalla tregua concessa, sono presi di mira dai cecchini dei ribelli…
Perché questa cecità dell’Occidente? Come è possibile che chi informa, anche in ambito ecclesiale, sia così unilaterale?

La guerra è brutta, oh sì, sì se è brutta! Non venitelo a raccontare ai siriani, che da sette anni se la sono vista portare in casa… Ma non si può scandalizzarsi per la brutalità della guerra e tacere su chi la guerra l’ha voluta e la vuole ancora oggi, sui Governi che hanno riversato in Siria in questi anni le loro armi sempre più potenti, le loro intelligence... per non parlare dei mercenari lasciati deliberatamente entrare in Siria facendoli passare dai Paesi confinanti (tanti che poi sono diventati Isis, va ricordato all’Occidente, che almeno questa sigla sa cosa significa). Tacere sui Governi che da questa guerra hanno guadagnato e guadagnano. Basta vedere che fine hanno fatto i più importanti pozzi petroliferi siriani. Ma questo è solo un dettaglio, c’è molto più importante in gioco.
La guerra è brutta. Ma non siamo ancora arrivati alla meta, là dove il lupo e l’agnello dimoreranno insieme, e per chi è credente bisogna ricordare che la Chiesa non condanna la legittima difesa; e se anche non si augura certamente il ricorso alle armi e alla guerra, la fede non condanna chi difende la propria patria, la propria famiglia, neppure la propria vita. Si può scegliere la non-violenza, fino a morirne. Ma è una scelta personale, che può mettere in gioco solo la vita di chi lo sceglie, non si può certo chiederlo ad una nazione intera, a un intero popolo.

Nessun uomo che abbia un minimo di umanità vera, può augurarsi la guerra. Ma oggi dire alla Siria, al governo siriano, di non difendere la sua nazione è contro ogni giustizia : troppo spesso è solo un modo per facilitare il compito di quanti vogliono depredare il Paese, fare strage del suo popolo, come accaduto in questi lunghi anni nei quali le tregue sono servite soprattutto per riarmare i ribelli, e i corridoi umanitari per far entrare nuove armi e nuovi mercenari.. e come non ricordare quali atrocità sono accadute in questi anni nelle zone controllate dai jihadisti? violenze, esecuzioni sommarie, stupri… i racconti rilasciati da chi alla fine è riuscito a scappare ?

In queste settimane ci hanno fatto leggere un articolo veramente incredibile: tante parole per far passare in fondo una sola tesi, e cioè che tutte le Chiese di Oriente sono solo serve del potere…per convenienza… Qualche bella frase ad effetto, tipo la riverenza di Vescovi e Cristiani verso il Satrapo Siriano…un modo per delegittimare qualunque appello della Chiesa siriana che faccia intravedere l’altro lato della medaglia, quella di cui non si parla.
Aldilà di ogni inutile difesa e polemica, facciamo un ragionamento semplice, a partire da una considerazione. E cioè che Cristo - che conosce bene il cuore dell’uomo, e cioè sa che il bene e il male coabitano in ciascuno di noi, vuole che i suoi siano lievito nella pasta, cioè quella presenza che a poco a poco, dall’interno, fa crescere una situazione e la orienta verso la verità e il bene. La sostiene dove è da sostenere, la cambia dove è da cambiare. Con coraggio, senza doppiezze, ma dall’interno. Gesù non ha assecondato i figli del tuono, che invocavano un fuoco di punizione .
Certo che la corruzione c’è nella politica siriana (come in tutti i Paesi del mondo) e c’è il peccato nella Chiesa (come in tutte le Chiese, come tante volte il Papa ha lamentato)
Ma, appellandoci al buon senso di tutti, anche non credenti : qual è l’alternativa reale che l’Occidente invoca per la Siria? Lo Stato islamico, la sharia? Questo in nome della libertà e la democrazia del popolo siriano? Ma non fateci ridere, anzi, non fateci piangere…

Ma se pensate che in ogni caso non sia mai lecito scendere a compromessi, allora per coerenza vi ricordiamo, solo per fare un piccolo esempio, che non potreste fare benzina 'senza compromessi coi poteri forti', dato che la maggior parte delle compagnie ha comprato petrolio a basso costo dall’Isis, attraverso il ponte della Turchia: così quando percorrete qualche chilometro in auto, lo fate anche grazie alla morte di qualcuno a cui questo petrolio è stato rubato, consumando il gasolio che doveva scaldare la casa di qualche bambino in Siria..
Se proprio volete portare la democrazia nel mondo, assicuratevi della vostra libertà dalle satrapie dell’Occidente, e preoccupatevi della vostra coerenza, prima di intervenire su quella degli altri..

Non ultimo, non si può non dire che dovrebbe suscitare almeno qualche sospetto il fatto che se un cristiano o un musulmano denuncia le atrocità dei gruppi jihadisti è fatto passare sotto silenzio, non trova che una rara eco mediatica, per rivoli marginali, mentre chi critica il governo siriano guadagna le prime pagine dei grandi media.. Qualcuno ricorda forse l’intervista o un intervento di un Vescovo siriano su qualche giornale importante dell’Occidente? Si può non essere d’accordo, evidentemente, ma una vera informazione suppone differenti punti di vista.

Del resto, chi parla di una interessata riverenza della Chiesa siriana verso il presidente Assad come di una difesa degli interessi miopi dei cristiani, dimostra di non conoscere la Siria, perché in questa terra cristiani e musulmani vivono insieme. E’ stata solo questa guerra a ferire in molte parti la convivenza, ma nelle zone messe in sicurezza dall’esercito ( a differenza di quelle controllate dagli 'altri') si vive ancora insieme. Con profonde ferite da ricucire, oggi purtroppo anche con molta fatica a perdonare, ma comunque insieme. E il bene è il bene per tutti: ne sono testimonianza le tante opere di carità, soccorso, sviluppo gestite da cristiani e musulmani insieme.
Certo, questo lo sa chi qui ci vive, pur in mezzo a tante contraddizioni, non chi scrive da dietro una scrivania, con tanti stereotipi di opposizione tra cristiani e musulmani.

Liberaci Signore dalla guerra…e liberaci dalla mala stampa…”.
Con tutto il rispetto per i giornalisti che cercano davvero di comprendere le situazioni, ed informarci veramente. Ma non saranno certo loro ad aversene a male per quanto scriviamo…

Le sorelle Trappiste in Siria

martedì 21 marzo 2017

Incontri nella Siria dei 6 anni di guerra: 'sperando contro ogni disperazione' (1) Le Trappiste di Azeir

   Mi sono recata in Siria nelle scorse settimane per incontrare le Sorelle Trappiste, che in Siria sono presenti con una fondazione del monastero italiano di Valserena, ed altre esperienze cristiane con cui da alcuni anni OraproSiria è in amichevole rapporto.
Colpisce anzitutto la bellezza e la cura del sito sul quale amorevolmente le Suore stanno costruendo il loro monastero, permeato di pace, di serenità, della letizia dei loro volti.
  La situazione di guerra incide profondamente sulla vita anche di questo angolo relativamente tranquillo del Paese, adiacente alla 'Valle dei Cristiani': pesantissimo è l'aumento vertiginoso dei prezzi, il razionamento dell'energia elettrica (il Governo fornisce un'ora di luce ogni cinque), la mancanza di combustibile per il funzionamento dei generatori.
L'embargo imposto dall'Occidente ha ulteriormente frustrato il reperimento delle materie prime, annientando le attività produttive, il commercio, gli scambi, quindi il lavoro.
  La preoccupazione di non intravedere una soluzione e un futuro dignitoso crea uno scoramento tangibile in tutta la popolazione; di conseguenza la mancanza di prospettive genera una sempre maggior spinta all'emigrazione.
  Nel tessuto sociale così ferito, colpisce il coraggio di questo popolo che affronta la vita quotidiana con dignità, con la voglia di vivere, con un attaccamento leale alla propria nazione e che si indigna della informazione distorta circolante sulla guerra che è stata imposta dall'esterno al proprio Paese,
  Vi racconterò in diverse “puntate” le testimonianze che ho raccolto, grata di tanta fede e cammino di purificazione che mi sono stati consegnati ed ho ricevuto come un dono prezioso.

  Fiorenza


Intervista a suor Marta superiora del monastero delle Trappiste di 'Azeir
14 marzo 2017

D: Da cosa è nata la vostra presenza qui?
Il 14 marzo è il giorno del nostro primo arrivo in Siria, ormai 12 anni fa, nel 2005. Anno dopo anno, stiamo riscoprendo veramente la grazia di questo cammino provvidenziale di scoperta di tante cose che noi stiamo sperimentando ogni giorno, perché noi siamo state sorrette in ogni nostro progetto e desiderio.
All'inizio è stato il desiderio di seguire i nostri fratelli dell'Atlas (Tibhirine), non tanto coltivando la memoria della loro morte, quanto nello scoprire in che modo essi vivevano. Nel nostro stesso Ordine ci si è chiesti come questa comunità sempre un po' precaria e fragile, in una situazione di minoranza, senza troppe prospettive per il futuro, proprio anche per le persone che ne facevano parte (perché la comunità raccoglieva personale da monasteri diversi e non c'era una comunità cristiana locale da cui sperare vocazioni), che senso avesse. Col tempo, nell'Ordine si è riscoperto il senso di questa presenza fondamentalmente gratuita. Loro si definivano 'oranti in mezzo ad altri oranti', quindi il primo approccio è stato quello di partire avendo un'eredità da custodire, perché i nostri fratelli erano morti, ma in Algeria non era possibile dare continuità alla loro presenza e quindi si è posto il problema di come vivere e dove continuare questa eredità.

Abbiamo sentito questo come una grazia anzitutto per noi. In terra d'islam essendo minoranza abbiamo riscoperto la Grazia di appartenere a Cristo vivendo la nostra fede in modo radicale: dove tu hai intorno un contesto religioso differente devi rimotivare anzitutto a te stesso le ragioni della tua fede approfondendo il tuo rapporto con Cristo. Devi testimoniarlo in modo vero sapendo di appartenerGli.
Da una parte quindi il dialogo con l'Islam, dialogo inteso come apertura ad altri credenti, ma testimoniando nei fatti la nostra Fede, con decisione, senza annacquarla e senza contrapporla alla loro. Anche i nostri fratelli in Algeria non hanno mai vissuto una situazione di sincretismo, sono sempre stati dei monaci fedeli a Cristo che cercavano il Signore e, proprio per questo, senza paura. Più si approfondiva la loro appartenenza a Cristo più erano capaci di vivere in apertura semplice e quotidiana con gli altri. Questa è stata la chiave e la ricchezza dalla quale abbiamo potuto attingere.

E' quindi avvenuta la scoperta della Siria, quando 12 anni fa nessuno parlava della Siria. Non si sapeva nemmeno dove fosse, né si conosceva la ricchezza della sua storia e della sua cultura, della tradizione antichissima del suo monachesimo: si conosce la tradizione dei monaci in Egitto ma pochi sanno che essa è nata proprio in Siria. Ne è un esempio Isacco di Ninive che ha influenzato tutta la spiritualità dell'Occidente e la vita monastica arrivando fino a San Benedetto e da lì anche alle nostre radici cistercensi.
E poi è stato l'incontro con il presente, con la numerosa presenza di etnie diverse: curdi, drusi, sciiti, sunniti, cristiani armeni e tutta la ricchezza delle tradizioni religiose cristiane e non cristiane, perché in Siria sono presenti tutti e tutti vivevamo insieme con questa mescolanza molto naturale, nella vita quotidiana.
Dunque, alla prima motivazione con questo sguardo rivolto all'Islam, come la religione altra di maggioranza, in questo nostro cammino si è unita la scoperta delle altre tradizioni cristiane e la volontà di inserirci dentro questo patrimonio.
All'inizio pensammo di entrare a far parte di uno dei riti di quella tradizione orientale qui presenti, ma gli stessi vescovi ci hanno invitato a restare aperte ma restando latine; l'invito è stato: “Rimanete aperte a tutti, sarete considerate forse un po' straniere ma cercate di cogliere un po' da tutti”. Questo ci ha permesso di attingere con libertà a tutte le varie realtà e anche dalla vita reale che c'è in Siria, perché la prima cosa che abbiamo notato nei cinque anni trascorsi ad Aleppo è che i cristiani passavano da una chiesa all'altra con semplicità ovunque ci fosse preghiera, perfino tra ortodossi e cattolici si potevano incontrare persone alla stessa messa; trovavamo maroniti alla messa siro cattolica con moltissima libertà. E anche le famiglie erano composte nello stesso modo.

E così abbiamo scoperto che ci sono i cristiani arabi, perché noi pensiamo che arabi significhi appartenenti all'Islam, invece è una cultura, un modo di percepire la fede legato alla lingua, cioè alla forma di pensiero e questa è una ricchezza dalle mille sfumature. In Siria non si deve mai generalizzare ma avere rispetto per tutti i cammini e i mille percorsi delle varie comunità perché qui la realtà è molto composita e molto ricca: questo ci insegna ad avere sempre una grossa apertura con tutti, con un profondo rispetto, proprio perché come persone siamo state accolte con una grande generosità e con molta benevolenza. Ci siamo così sentite, noi, ospiti benvolute e questa sta diventando sempre più la nostra terra: ci sentiamo con un cuore siriano grazie alla loro accoglienza e noi vogliamo ascoltare la loro esperienza e ciò va fatto con tanta attenzione e senza preconcetti .
Nel rispetto, si scopre che dietro ad ogni storia c'è il mistero di una persona e questo ci ha dato, come criterio per dipanare la vicenda delle persone e del Paese stesso, quello del BENE. La ricerca del bene apre alla possibilità anche di trovare soluzioni a quello che oggi si vive.

Purtroppo la Siria adesso è conosciutissima, ma a un prezzo molto caro, non diciamo a prezzo di una morte, perché la Siria è viva, ma di una grande distruzione e sofferenza che è stata imposta al 98% da forze straniere. Il cammino è quello di un amore vero a questa terra e a questa gente, così com'è oggi, senza sognare su cose che non sono, ma con la disponibilità a ricostruire con le persone che ci sono: non quindi per distruggere qualcosa ma disponibili a fare un cammino insieme a partire dall'essere diversi, con una verità e con un bene che è possibile cercare insieme.

D: Come coniugate la risposta al bisogno che incontrate e la vostra vocazione contemplativa?
La prima risposta ce l'hanno data proprio loro, perché durante la guerra ci hanno detto che il saperci qui, per loro era un aiuto, una forza, si sono sentiti aiutati dalla nostra presenza e dalla nostra preghiera. La preghiera è una cosa molto attiva, è un'arma diversa ma potente, perché non siamo più noi che agiamo ma consegniamo tutto nelle mani del Padre, che non è una remissività, una passività, un fatalismo, ma è un chiedere il bene, chiedere la conversione del cuore, chiedere la pace e anche sentire nella preghiera, soprattutto con la preghiera dei salmi, che possiamo portare tutta la gioia, tutta la sofferenza, tutta la rabbia, l'invocazione e la disperazione. Tutto questo passa nella preghiera, perché la preghiera e mettersi davanti a Dio così come si è e noi cerchiamo di farlo semplicemente stando qui.
Abbiamo sentito come un grande dono per noi essere qui: se fossimo in Italia parleremmo tanto della Siria, qui non parliamo tanto, ma "siamo con" e per questo siamo contente di essere qua con questa gente che sta soffrendo perché qualcosa sta succedendo 'sopra' di loro, e noi, semplicemente, con tutta la nostra inadeguatezza alla situazione, siamo con loro, siamo qui.

Quello che è importante è incarnare un'esperienza concreta a fianco della sofferenza, però con una speranza; vuol dire anche darsi ragione, perché non basta essere solidali, occorre chiedersi ogni giorno: “abbiamo una risposta? Crediamo che il Signore ha vinto la morte o no?” Non tanto per quello che faccio o non faccio, ma se io vivo questa speranza la mia speranza passa per me e passa per gli altri. È veramente un impegno mettersi davanti alle domande fondamentali del nostro stare al mondo e questo ci ha fatto maturare una riflessione anche a livello ecclesiale: è chiaro che c'è bisogno di rispondere a tutte le necessità materiali, che sono tremende, perché non si tratta solo di un po' più di lavoro o un po' più di stabilità: stiamo parlando di gente che muore per le strade, di bambini straziati e senza famiglia, di situazioni atroci, e grazie a Dio ci sono tanti che stanno operando in un modo veramente bello! Nello stesso tempo l'uomo non è definito solo dai suoi bisogni materiali, c'è una sete più profonda, una sete di senso e c'è anche il bisogno di trovare il motivo per cui resistere. Alla fine, perché resistere a questa distruzione? Si è fatto tutto il possibile e allora perché non lasciarsi andare? Ma se la vita è altro, se l'uomo è altro, allora uno trova anche le risorse, trova anche il senso dentro la sofferenza e la distruzione.
Tante volte parlando con i giovani che volevano partire e sono partiti dal paese, senza giudicare e capendo molto bene le motivazioni non solo per sè ma anche per la famiglia, con la preoccupazione quindi di far crescere i figli con delle possibilità, la domanda però alla fine è: “che cosa cerchiamo veramente? Si può essere pienamente uomini e donne, qui, o no?” Se si risponde a questa domanda, si trova il senso del restare o no, e questo dipende da quale umanità io voglio vivere. C'è qualcosa che m'impedisce veramente di essere pienamente uomo, creatura di Dio con la mia dignità, qui, o no? In base alla risposta che mi do poi faccio delle scelte, Per noi è stato anche un modo di credere anzitutto noi in questo e di cercare di camminare con loro; piano piano, perché per la lingua abbiamo ancora difficoltà ma ormai da un anno e mezzo abbiamo sempre più ospiti che arrivano e il nostro desiderio è di offrire uno spazio per queste domande e per questa riflessione.

La gente che viene al monastero sente forte la presenza di una vita comune, di una comunità e ci dicono che si percepisce una gioia, una serenità; trovano un'accoglienza serena, un sorriso e ci dicono che sentono la forza della nostra preghiera. A volte noi siamo molto preoccupate per la lingua perché molto del nostro ufficio liturgico non è in arabo, ma loro sentono lo stesso uno spessore, sentono che c'è una dimensione di preghiera che li aiuta, uno spazio dove possono stare con tutta la loro dimensione che a volte viene un po' soffocata dalle necessità quotidiane, ma che invece li dilata quando riescono a riempirsene i polmoni.
Abbiamo quindi piccoli gruppi che vengono qui, se avessimo più disponibilità di posto, con le richieste che abbiamo, potremmo fare molto di più in termini di accoglienza. Però preferiamo che le persone abbiano uno spazio di silenzio per porsi le domande vere, piuttosto che ricevere i grandi gruppi.

D: Quale servizio offre il monastero alle comunità religiose locali?
C'è un grande bisogno di formazione e il nostro sogno è che il nostro monastero possa diventare un luogo dove persone, anche di tradizioni diverse si incontrino, anche solo per scambiare una riflessione e una speranza; che diventi anche un luogo in cui nascano progetti a partire dalla chiarezza della nostra missione qui in Siria: è la strada dell'amicizia, senza pretese, per poter mettere in comune il desiderio di costruire, perché si creda che c'è una speranza e che possiamo condividerla. Ci piacerebbe che tra consacrati ci si ritrovasse per una giornata di fraternità anche tra riti diversi.. e anche che tra i giovani si creasse un luogo di scambio. Insomma ci portiamo nel cuore questo desiderio di essere un segno, e questa è la progettualità cristiana.

Ma poi c'è anche proprio l'essere insieme a tutti: tra i nostri operai ci sono sia cristiani che sunniti che alauiti, e qui si vede come nello stare insieme si costruisce giorno per giorno, con un sorriso, con l'ascolto delle persone, con la nostra stessa presenza, un segno di fraternità.
Ci sono tutti molto grati per il fatto che pur potendo andarcene abbiamo scelto di restare qui. Ci capita spesso ai posti di blocco che ci chiedano di fermarci a prendere un caffè con loro o ci offrano un cioccolatino e quando andiamo nel villaggio dicono: "queste sono le nostre suore".
Adesso la nostra zona è più tranquilla ma anche quando i combattimenti erano molto vicini, siamo andate avanti a costruire e a coltivare, e questo è stato un grande segno, proprio perché coglievano che non si viveva così ,alla giornata, aspettando quel che succede, ma con una progettualità, mantenendo un impegno nella realtà carico della nostra speranza, e poco a poco ci sono dei piccoli segni di riconoscimento reciproco che ci fanno sentire di appartenere alla stessa vita, che ci siamo e che viviamo insieme.

D: Quale assistenza date ai bisogni materiali della gente?
La nostra resta una vita contemplativa; non abbiamo opere esterne; il nostro aiuto consiste soprattutto nell'offrire lavoro: in sei anni non si è mai interrotto il cantiere e ci sono persone che non hanno altro lavoro che quello svolto presso di noi, noi abbiamo cercato di aiutare soprattutto creando un lavoro semplice, come quello agricolo o spostare i sassi e la piccola manodopera.
Per 6-7 anni abbiamo potuto dare lavoro con continuità a 10 -15 persone e frequentemente ad altri specializzati come il mobiliere, l'idraulico... Cerchiamo anche di sopperire ai tanti bisogni concreti: si rivolgono a noi sempre più spesso per la necessità di un intervento chirurgico, per finanziare le cure mediche o sostenere gli studi di ragazzi che non riescono a pagarsi neppure il costo del pulmino per andare tutti i giorni in università.

Quello che però va fatto, ma è un po' più difficile, è creare la possibilità di intrapresa, ma qui la vera arma micidiale è l'embargo, che è davvero un'arma di morte, che nessuno vuole affrontare.
Le sanzioni penalizzano pesantemente tutta la vita di questa gente: anzitutto con le materie prime che non ci sono e quindi come si fa a lavorare? E quando ci sono hanno prezzi insostenibili.
Poi la mancanza di gasolio, le medicine e gli alimenti... Insomma è la mancanza concreta di tutto! Ma l'altra faccia terribile delle sanzioni è che alimentano le mafie, perché la gente ha bisogno di procurarsi il necessario e ciò avviene sovente attraverso vie illegali con il mercato nero.
Se non ci fossero le sanzioni non avremmo questa terribile svalutazione della lira siriana rispetto al dollaro (il cambio attuale è 500 lire per un dollaro). Non ci sarebbe nemmeno l'accaparramento di beni che poi vengono messi sul mercato quando si vuole e al prezzo che si vuole. La gente prima, anche con salari minimi aveva una vita dignitosa; prima con il suo salario poco a poco si costruiva la casa, adesso gli impiegati e la classe media non hanno neppure i soldi per curarsi un malanno. Non si possono pagare neppure le spese per il riscaldamento. Ovviamente tutto ciò ha fatto aumentare la corruzione, anche a piccoli livelli, perché chi può procurarti qualcosa, ti chiede di pagare per procacciarti quel bene di cui hai bisogno, chi può si inventa un pretesto per alzare il prezzo... Ci sono persone che guadagnano 20.000 Lire siriane al mese (40 dollari), ma come fa a procurarsi quel sacchetto di lenticchie che prima costava 35 o 40 lire e adesso ne costa cinquecento o seicento? Quindi tutti cercano di arrangiarsi in qualche modo. Una volta abbiamo comprato un sacco di zucchero per fare le marmellate che poi vendiamo e ci siamo accorte dopo che era un aiuto umanitario che ci era stato rivenduto.
Questo dramma delle sanzioni sta veramente soffocando la popolazione, ma non ha affatto colpito quelli a cui si diceva che erano dirette. Dannose, inutili e controproducenti tanto che si è creato un meccanismo di solidarietà con la propria nazione, perché la gente dice: “bene, stiamo soffrendo ma resistiamo!” Ma è un resistere sulla pelle dei bambini e degli anziani! Le sanzioni come strumento di coercizione politica sono una vera aberrazione. Noi che siamo qui vediamo la contraddizione nell'affamare la gente e contemporaneamente lo sperpero di soldi nei cosiddetti aiuti umanitari, quando basterebbe semplicemente aiutare la gente a lavorare, lasciare che la gente possa produrre, vendere i suoi prodotti. Tuttavia, purtroppo il ricorso alle sanzioni non trova il modo di essere annullato per cui noi pensiamo che dietro ci debbano essere altri interessi. Chi vuol fare qualcosa per la Siria deve affrontare questo problema delle sanzioni, altrimenti sono tutte parole a vuoto. Quindi, chi ha il potere di trovare soluzioni politiche lo faccia nelle sue sedi, ma che almeno si metta la gente in condizione di vivere. Qui non si tratta di libertà, né religiosa né politica né umana: in una nazione che aveva livelli di vita accettabili e che stava crescendo, tutto si è fermato, e non si può farlo passare in alcun modo come un bene , non è giustificabile a nessun livello!

D: Qual è adesso il vero bisogno della Siria?
Quello che noi vediamo dalla nostra angolatura di vita religiosa, che non esaurisce tutto, è il discorso formativo, di crescita, di dare uno spazio alle motivazioni, a una crescita umana e di responsabilità a tutti i livelli, personali, civili ed ecclesiali, perché le persone possano trovare uno spazio per esprimere una responsabilità verso il proprio destino.
C'è un discorso individuale, perché ognuno sia impegnato nel proprio cammino personale; c'è un discorso ecclesiale, perché come Chiesa non si risponda soltanto ai bisogni materiali ma anche al bisogno profondo della persona.
E infine, è fondamentale che la comunità internazionale ci dia dia la possibilità di avere accesso alle risorse materiali e culturali: in fin dei conti consentire il ritorno a una vita, perchè è fuori di dubbio che i siriani nonostante tutto quello che hanno passato vogliono vivere. La voglia di vivere va aiutata e favorita e non spenta!

Il compito dei cristiani allora è quello di guardare la radice vera di ogni evento e poi le soluzioni pratiche si trovano, ma il modo di affrontare i problemi della vita dipende dal cammino che si vuole fare... Che tipo di umanità si vuole? Senza voler entrare nella polemica sulla emigrazione o non emigrazione, bisogna chiedersi: perchè si va via? Perché si resta? Noi non siamo degli uomini vaganti che cercano una terra in cui soffermarsi; la terra in cui vogliamo davvero mettere le radici non è un problema di visti... Io penso che i cristiani debbano riflettere, pregare e poi agire di conseguenza: se non c'è un pensiero non c'è neanche un'azione che vale. Pensare vuol dire mettersi davanti a Dio e alla nostra realtà di creature chiamate a un destino di gloria. Cosa significa questo... e in mezzo a una realtà di contraddizione, di guerra, di male? Non è una realtà vittoriosa, ma noi crediamo che c'è già una vittoria di Cristo sulla morte. Questo implica che si sta davanti alle situazioni senza ignorarle, ponendosi delle domande a cui magari non si ha risposta, a costo anche di arrabbiarsi e indignarsi con Dio ma ponendosi il problema e questo ci rende capaci di operare, ognuno nella sua situazione, noi nella nostra vocazione monastica, altri nel loro servizio, in questa ricerca di Dio che dà senso alla nostra vita.