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mercoledì 8 marzo 2017

Un 'Inno alla gioia': grazie a Sandra e a tutte le coraggiose indomite donne siriane!

Sandra Awad, responsabile comunicazione Caritas Siria, racchiude in un cortometraggio il dramma quotidiano della guerra. 
La gioia “più grande” nell’aiutare gli altri. Occidente, aiutaci a ritrovare “la nostra dignità”. 
AsiaNews

“Dopo sei anni di guerra, siamo arrivati al punto in cui ogni giorno dobbiamo lottare per usufruire delle più elementari risorse” come l’acqua, l’energia elettrica, il riscaldamento. Da qui l’idea di ricostruire all’interno di un cortometraggio “la vita quotidiana” di un cittadino siriano, un progetto “nato tre anni fa” e che oggi ha preso forma. È quanto racconta ad AsiaNews Sandra Awad, responsabile della Comunicazione di Caritas Siria, 38 anni sposata e madre di due figli, autrice di “Inno alla gioia”. Un filmato di cinque minuti circa, prosegue l’attivista cristiana, in cui sono “concentrate le difficoltà, i problemi, le insicurezze” che la popolazione civile “sperimenta ogni giorno in Siria” e che “vi chiedo di condividere” come gesto di solidarietà. 

L’idea del film è emersa per la prima volta tre anni fa, durante una seduta con la psicoterapeuta, nel contesto di un percorso intrapreso per affrontare le difficoltà, anche psicologiche, derivanti dal conflitto. “Mi ha chiesto quali fossero gli effetti della guerra” racconta Sandra Awad, non solo sul piano concreto come lutti, distruzione di case, privazioni. “Ero riuscita a creare una sorta di muro - aggiunge - che mi separasse dalle violenze, per proteggermi dalla depressione e dalla tristezza”. 
In realtà, la psicanalista voleva conoscere “le pressioni quotidiane” cui le persone in guerra devono far fronte ogni giorno, come la mancanza di acqua, di elettricità, l’emigrazione di parenti e amici, i problemi economici: “Quando ha concluso il discorso - prosegue - ho sentito qualcosa dentro di me che si era spezzato. Forse era proprio il muro che avevo costruito. E ho iniziato a piangere…”. 
Da questo confronto è nata l’idea di raccontare in un cortometraggio queste difficoltà quotidiane, che quanti vivono “in Occidente”, in pace, “non possono comprendere a fondo”. “Leggete le statistiche sulla povertà - racconta la responsabile comunicazione Caritas - magari vi arrivano le notizie dei morti e degli spargimenti di sangue, ma non è possibile comprendere lo stress di chi vive ogni giorno sulla propria pelle il conflitto. L’impossibilità di avere ogni giorno anche piccole cose, come l’acqua, il gas, il pane, l’olio per cucinare. Si può restare in fila anche 10 ore per far benzina alla propria macchina, o viaggiare per ore per raggiungere il posto di lavoro per i checkpoint”. 
I giovani hanno “smesso di pensare al futuro” e questa situazione “sta finendo per ucciderci ogni giorno di più” afferma l’attivista cristiana. Da qui il progetto, che ha preso forma per la prima volta tre anni fa, quando ho deciso di realizzare “un cortometraggio”; tuttavia, nel 2013 l’amministrazione “ha fermato il progetto” pensando fosse “una esagerazione: ricordo le parole del mio capo, che diceva ‘Non è realistico!’”. Al tempo, aggiunge, “forse era così”, ma oggi la situazione è ben più grave: “Dopo sei anni di guerra, abbiamo raggiunto il punto di dover combattere ogni giorno per usufruire delle più elementari risorse”. Da qui, il cambio di rotta dei vertici Caritas e l’idea di sostenere il progetto. 
“Il film - spiega Sandra Awad - mostra la vita di un operatore Caritas, che si sveglia al suono di una bomba. E che inizia la giornata fra difficoltà quotidiane, senza elettricità, acqua, gas… Nonostante gli eventi siano tristi, il giovane si muove sempre fischiettando le note dell’Inno alla gioia. Forse questa sinfonia è simile al muro che avevo costruito dentro di me per proteggermi. Ed è il suo modo usato per restare calmo e ottimista” anche quando una granata sta per investirlo e ucciderlo. Egli, nonostante tutto, si rialza e prosegue. “Volevo dare anche l’idea - aggiunge la responsabile comunicazione Caritas - che la gioia più grande nella vita è proprio quella di aiutare gli altri. Ed è quello che facciamo ogni giorno alla Caritas, anche se il nostro lavoro non è affatto semplice”. 
Il dramma della guerra ha toccato da vicino anche i dipendenti di Caritas Siria, come la centralinista del distretto di Kashkoul che ha perso il marito colpito da un proiettile all’inizio del conflitto. “Oggi - sottolinea Sandra Awad - si prende cura, da sola, dei tre figli e il peso della vita si fa ogni giorno più difficile da sostenere”. Al tempo stesso, gli operatori Caritas devono “mettere da parte” i loro problemi, le sofferenze e “ascoltare le persone, le loro tragedie quotidiane, con comprensione e compassione”. Se chiedi loro dive trovano la forza, aggiunge, la maggior parte risponde “dalla gioia che vediamo negli occhi delle persone che aiutiamo. Questo, nel concreto, è il vero ‘Inno alla gioia’ di Caritas Siria”. 
“Dopo sei anni di guerra la popolazione è esausta - conclude l’attivista cristiana - e il Paese è ripiombato all’età della pietra. Voi, in Occidente, aiutateci a ritrovare la nostra gioia e la nostra dignità sostenendoci, a livello finanziario o morale. E fate pressione sui vostri governi, perché mettano fine a sanzioni che rendono i ricchi ancora più ricchi e i poveri ancor più poveri. Chiedete ai vostri leader di smettere di vendere armi e consentire l’ingresso dei jihadisti in Siria. Aiutateci a ricostruire il nostro Paese, perché possiamo far risuonare ancora il nostro ‘Inno alla gioia’”
http://www.asianews.it/notizie-it/%E2%80%9CInno-alla-gioia%E2%80%9D:-un-filmato-su-come-resistere-alla-tragedia-quotidiana-della-guerra-40114.html

lunedì 6 marzo 2017

Padre Daniel: intraprendere un cammino di verità


Lettera di padre Daniel Maes 
Qara, 3 marzo 2017

Dalla vita della Comunità
Durante la prima metà della settimana scorsa abbiamo ancora sofferto per la grande ondata di freddo con il brutto risultato che i tubi dell’ acqua si sono congelati nel nuovo edificio. Per voi notizie consuete, ma per noi ogni volta una brutta sorpresa. Un ospite dal Libano che soggiornava per due giorni con noi, prima di trasferirsi a Aleppo per portare aiuto, abbiamo dovuto farlo dormire nel refettorio vicino alla stufa a legna, per evitare che partisse congelato. La seconda metà della settimana il tempo si è fatto più clemente con mattinate soleggiate. Abbiamo avuto un altro ospite, un giovane francese che è venuto una settimana per prepararsi al battesimo. Abbiamo fatto con lui i primi passi nella fede. Per noi, che abbiamo ricevuto la fede cristiana dalla nascita era una situazione sconosciuta: un semplice uomo dell’occidente, senza nessuna resistenza contro la fede cristiana ma anche senza alcuna conoscenza, né dai suoi genitori, né dalla sua educazione, né dal suo ambiente. Lui stesso risponde in modo laconico: "c'est la France". Ma la Francia non era "la figlia maggiore della Chiesa" ? Infine, l’ultima sera prima della sua partenza l’ abbiamo festeggiato con affetto. Volevamo fare “les crèpes” con i frati su un fuoco di legna. Già la preparazione era un grande divertimento come anche la cena stessa: les crèpes erano abbastanza bruciate ma ...commestibili.
Durante la seconda parte della settimana, il tempo era molto piacevole e cosi abbiamo lavorato nelle mattinate sul nostro terreno. Il sole ci scaldava gratuitamente. Il tardo pomeriggio, la sera, la notte e la mattina è davvero freddo. Per quello abbiamo il nostra stufa a legna, ma la legna è da cercare sul nostro terreno e da segare. Nel frattempo ci stiamo preparando per la grande Quaresima.
La grande vergogna della stampa Americana e dell’Occidente
Secondo Stephen Kinzer la copertura dei giornalisti sulla guerra in Siria passerà alla storia come "uno degli episodi più vergognosi nella storia della stampa Americana, cito l’articolo “The media are misleading the public on Syria” nel giornale Boston Globe, del 18 febbraio 2017. No, questo uomo non fa parte di un movimento anti-americano e neanche è un rappresentante di una stampa alternativa, ma si tratta di un giornalista molto conosciuto del The New York Times. Stephen Kinzer insegna giornalismo e politica estera alla Northwestern University di Chicago. Egli è un esempio di un giornalista normale e buono, cioè un giornalista critico. Il modo selettivo in cui la stampa americano e occidentale scrive è molto inquietante, secondo Stephen Kinzer. "I media ingannano il pubblico sulla situazione in Siria". Egli è molto critico circa le notizie su Aleppo. "I ribelli moderati" che hanno “liberato” Aleppo sono in realtà degli assassini, che terrorizzavano la popolazione, in modo arrogante e senza scrupoli, con il risultato che la popolazione ha accolto l'esercito Siriano come i veri liberatori. La maggior parte della stampa americana (e occidentale) dà news esattamente opposte a ciò che sta realmente accadendo. Secondo essa, le persone dovrebbero sperare nella vittoria di una coalizione sincera di americani, sauditi, turchi, curdi e “dell'opposizione moderata”. Stephen Kinzer trova tutto questo assurdo. Egli comunque è mite verso il popolo americano, che non ha conoscenza. La colpa di queste bugie è la stampa. Gli articoli sono scritti negli edifici editoriali di Washington dove i giornalisti vanno a cercare l’informazione nel Pentagono, nei dipartimento degli affari esteri, nella Casa Bianca e dagli "esperti" del think-tanks. Es: di al-Nosra dicono che sono ribelli e "moderati" ma non dicono che loro appartengono ad al-Qaida. Arabia Saudita avrebbe sostenuto "combattenti per la libertà", quando in realtà è lo sponsor principale del IS. Nel frattempo si scrive solo in modo negativo sulla Russia, sull'Iran o sulla Siria. E di fatto sono esattamente queste notizie ufficiali mendaci che peggiorano la situazione in Medio Oriente. L'ignoranza del popolo americano non è superiore a quella di altre nazioni, ma è più pericolosa, perché ha conseguenze per un intervento militare. Quando un uomo con un tale autorità scrive in questo modo, possiamo supporre e sperare che il gap tra la verità e i reports dei giornalisti sulla Siria nella stampa mainstream sia diventato così grande che alla fine sarà insostenibile. Il riconoscimento della verità aiuterà la Siria nel suo cammino verso la pace.
Fuorviante sensibilità
Nel pensiero”corretto” occidentale sul livello sociale e politico emerge una grande sensibilità. Una riguarda il presidente Siriano e l'esercito siriano. Si dovrebbe soprattutto evitare ogni parola positiva nella loro direzione. Anche i giornalisti che ora a malincuore riconoscono lentamente gli orrori dei terroristi, sentono ancora il dovere di aggiungere che "il regime siriano" è una dittatura terribile. Se non aggiungono questo, tutto il loro articolo diventa incredibile, perché "tutti lo sanno" (tranne la popolazione siriana stessa!). I media sono riusciti ad dipingere il presidente siriano come il vero capro espiatorio, senza esaminare in modo critico la verità. Un capro espiatorio è qualcuno che è odiato e isolato da tutti.
Per mantenere viva questo idea politica corretta riguardante il presidente Siriano, otteniamo in momenti cruciali falsi rapporti come recentemente quello di Amnesty International sulla prigione che si trova qui vicino a noi. Diventa una delizia per un giornalista fare una caricatura di qualcuno che ammira in modo sincero il presidente siriano. Quell'uomo è poi bruciato per sempre. Qui non ci vuole nessun commento ulteriore....
Durante la visita della delegazione belga con parlamentari e giornalisti in Siria, si è svolta anche una visita al nostro monastero. Per caso era una mattina piena di sole. Il nostro giornalista VRT voleva un'intervista. E quale fu la prima domanda? Ascolta: tu sei un fan di Assad? Io ho risposto così, per esemplificare quello che volevo dire: “Se io dico apertamente che sono contrario al fatto che il nostro primo ministro (premier) del Belgio Michel sarà assassinato dai terroristi, allora voi mi chiamate un fan di Michel o un agente segreto del "regime belga"?. Io sono un cristiano e i cristiani sono sempre stati i cittadini più leali nella società, anche nell'Impero Romano, ma non sono mai stati ricompensati per quello. Al contrario erano sempre incolpati di tutto ciò che andava storto nella società, solo perché i cristiani non volevano adorare gli dei dei pagani. Il governo siriano infatti è un governo eletto in modo legittimo e il presidente è ampiamente sostenuto da tutti gli strati della popolazione. Che problema c’è, se uno riconosce e difende l'autorità legale, anche se l’autorità ha difetti e imperfezioni? La seconda domanda era sulla guerra civile siriana, in cui ho cercato di rispiegare che c’è mai stata una guerra civile interna e che non arriverà mai. Dall'esterno invece si tenta di provocare una cosiddetta guerra civile. In breve, per la televisione fiamminga (VRT) sarà probabilmente un'intervista "inutilizzabile". Non mi sembra che la abbiano mai trasmessa.
Perchè i cristiani non rispondono
L'Occidente trova la sua origine nella civiltà giudaico-cristiana e greco-romana. La Chiesa ha visto nascere tutti i paesi e probabilmente li vedrà anche scomparire. Tutte le principali università e ospedali derivano da istituzioni ecclesiastiche. Questa fede cristiana è in gran parte scomparsa. Gruppi musulmani hanno invaso i nostri paesi, si sono infiltrati in tutti gli strati e istituzioni, solitamente senza adattarsi e ora sono già pronti in tante città europee a far dominare la dittatura della sharia. Una strategia in tre fasi: migrazione, infiltrazione e installazione. E dove questo non è ancora in atto, loro stanno facendo i preparativi necessari in modo prudente. L'islam è modesto e sottomesso fino a quando si manifesta l’occasione di prendere il potere. Il problema qui non sono i musulmani ma l'islam come organizzazione globale di guerra e di conquista. Gli Stati del Golfo e grandi organizzazioni islamiche spendono miliardi per la propaganda dell'islam in tutto il mondo. Secondo loro tutta la popolazione mondiale deve essere sotto un califfato islamico. Le popolazioni che vivono già sotto l'islam, sono chiamate "il mondo della pace", gli altri invece vivono ancora nel "mondo della guerra". L'islam non si adatta, al contrario la vita di tutte le popolazioni deve essere adattata all'islam. I musulmani conoscono la pace, l’islam invece non conosce la pace. L’islam conosce solo la guerra e la sottomissione. E questa forte islamizzazione è promossa dalle nostre leggi "democratiche", dal nostro sistema di multiculturalismo, dalla nostra grande tolleranza e dalla paura gonfia di islamofobia e anti-razzismo. Anime “Illuminate” ci stimolano a scoprire in Europa radici arabo-islamiche non-esistenti e gli apostoli dell' islam ci propongono una civiltà islamica moderata, adattata all’occidente. Nel frattempo, spariscono sempre più simboli cristiani, feste ed usanze cristiane dalla vita pubblica, per far posto ad una cultura islamica forzata con i loro eventi, la loro alimentazione halal, le loro pratiche di ramadan ecc. Campanili sono abbattuti e scompaiono, mentre cresce il numero di minareti. Chiunque creda che non c’è da preoccuparsi, potrà trovare la realtà schiacciante nel libro che abbiamo accennato in passato di Philippe de Villiers, Les cloches sonneront-elles encore demain? Albin Michel, 2016. Il nostro vuoto spirituale vacuo è ora riempito in modo accelerato dalla strategia di conquista dell'islam. Se si iniziasse già ad applicare le regole più elementari di uguaglianza e di anti-razzismo, risolverebbe già grande cose; musulmani provenienti da paesi dove i cristiani non sono autorizzati a vivere la loro fede, non possono neanche farlo qui e paesi musulmani che non consentono la costruzione delle chiese non possono neanche costruire moschee qui. Questi principi purtroppo non sono nemmeno stati applicati. Sono proprio le nostre leggi "democratiche" che ci portano alla colonizzazione dell'islam nel nostro proprio paese. Il vero problema è che noi neghiamo le nostre radici e civiltà cristiane.  O dobbiamo aspettare finchè le nostre Cappelle di Maria e del Calvario saranno rimosse per legge dalla strada perché infastidiscono (noi stessi? lo riteniamo) musulmani che vogliono sedersi sul loro tappeto su piazze pubbliche? Noi cristiani dovremmo essere incoraggiati ad esplorare la profonda ricchezza della fede e dell'esperienza cristiana. I musulmani dovrebbero essere aiutati a essere liberati dagli elementi umani indegni dell'Islam.
  Il digiuno infatti è una buona occasione per iniziare un movimento contrario.

(traduzione di A. Wilking)

venerdì 3 marzo 2017

Da Aleppo in Italia per parlare dei cristiani in Siria e come costruire la pace

La diocesi di Grosseto torna ad accogliere la voce della comunità cristiana di Aleppo, con la quale si è sedimentato un rapporto di amicizia e di solidarietà in questi durissimi anni di guerra e di terrore.


Da venerdì 3 a domenica 5 marzo sarà, infatti, a Grosseto fr. Firas Lutfi, frate francescano siriano della Custodia di Terra Santa, che con i suoi confratelli ha vissuto la tragedia di Aleppo e della sua terra. In Europa per una serie di incontri e testimonianze, fr. Firas racconterà la situazione attuale della città-martire, assurta a simbolo della tragedia siriana.  In particolare, venerdì 3 marzo alle 21.15, nella sala Friuli (piazza san Francesco) a Grosseto, il religioso parteciperà all’incontro pubblico: “Aleppo e Siria: cristiani tra speranza di stabilità e ricostruzione della pace”. (vedi pagina appuntamenti)
“Invito tutti a sentire la presenza tra noi di p. Firas come un’occasione e un richiamo personale – commenta il vescovo Rodolfo – In questi anni abbiamo vissuto, attraverso il racconto suo e di p. Ibrahim Alsabagh, la testimonianza pacifica che i cristiani hanno offerto ad Aleppo in una situazione drammatica, dove la violenza sembrava non avere fine. Ora che la situazione sembra apparentemente meno difficile, in realtà si vive una fase carica di incertezze, dove occorre gettare il seme della riconciliazione e della speranza tra gente esasperata, che ha provato il dolore, ha visto in faccia la morte. Per questo è importante continuare a stare vicini all’opera della Chiesa e di tanti uomini e donne di buona volontà. Non lasciamoli soli”.
http://www.ilgiunco.net/evento/da-aleppo-a-grosseto-per-parlare-dei-cristiani-in-siria-e-come-costruire-la-pace/

2 marzo 2017: Con il supporto dei russi e di Hezbollah, l'esercito siriano ha liberato Palmyra, che ora dovrà essere di nuovo bonificata dalle mine disseminate da ISIS nella ritirata

Padre Janji racconta la Siria che soffre per «mancanza di tutto»

«I bombardamenti sono finiti, ma c’è un altro tipo di crisi, che adesso stiamo vivendo: la mancanza di tutto». Lo racconta padre Elias Janji, prete armeno cattolico di Aleppo, intervenuto il 28 febbraio, alla preghiera dei vespri dei monaci Camaldolesi nella chiesa di San Gregorio al Celio, dove ogni ultimo martedì del mese si prega per la pace in Siria.  «Continuate a pregare per noi – ha detto -. Così si può realizzare la pace. Andrò via felice, perché credo nelle vostre preghiere». Dopo la preghiera, promossa insieme ai monaci e alle monache Camaldoelsi dall’associazione “Aiutiamo la Siria!”, ha salutato chiunque gli si sia avvicinato con un sorriso. «Io sono qui dal 10 gennaio – racconta -; prima della mia partenza la situazione era migliorata ma manca l’acqua da due mesi, l’elettricità da due anni, il gasolio non esiste, neanche la benzina. Tutte queste cose non esistono». Aleppo oggi sembra libera ma Isis è a 10 chilometri di distanza. Da 50 giorni inoltre il sedicente Stato islamico si è impadronito della stazione di pompaggio di Al Khafsa e ha lasciato Aleppo senz’acqua: «Siamo più calmi, ma è terribile quando vedi una persona di 70 anni costretta a prendere l’acqua con un bidone per portarla a casa».
Padre Janji è critico verso i mezzi di informazione occidentali. «I media europei ci hanno tradito – afferma -, non dicono sempre la verità. Ad Aleppo c’è la parte Est e la parte Ovest ma si parla sempre della parte Est dove colpiscono le forze governative. Ma noi stiamo nella parte Ovest e viviamo nella paura dell’Isis. È un problema molto grande e grave, che viene dal conflitto Russia e America per controllare la Siria». Il 40% della città è distrutta, ma per il sacerdote «prima ancora di ricostruire dobbiamo pensare a come vivere». La povertà è molto grande, le persone non lavorano da 5 anni. Chi aveva soldi li ha finiti: «Grazie alla Chiesa, alla Caritas siamo riusciti a sopravvivere. È molto importante però non basta. Anche a livello psicologico, quello che manca è il lavoro, uscire di casa».
Janji era il parroco della cattedrale distrutta due anni fa; adesso presta servizio nella chiesa di Santa Croce ad Aleppo, ma il suo raggio d’azione è più ampio: «I vescovi mi hanno nominato responsabile delle comunicazioni delle Chiese cattoliche di Aleppo. C’è una canale libanese che si chiama Tele Lumiere, come Tv2000, che trasmette ogni sabato un programma che si intitola “La luce di Aleppo”. È molto importante per fare sapere che noi ci siamo». Dall’anno scorso il sacerdote conduce il talk show, registrato ad Aleppo e trasmesso dal Libano. Racconta storie quotidiane e ospita la gente che ancora vive in città, cerca di «dare speranza».
Per dare speranza, oltre alla tv, il parroco usa Mozart, Beethoven e Vivaldi. Già da diverso tempo, Janji dirige il coro “Neregatsi”: trenta cristiani di Aleppo che dopo il lavoro provano per due ore quattro volte alla settimana. «Come ha detto il grande maestro Riccardo Muti una volta, la musica ci salva. Io credo che la musica può darci la pace». A novembre il coro sarà in tournée in Francia, a Parigi, Lione, Marsiglia e Tolosa: «Faremo il requiem di Mozart con un’orchestra francese. Abbiamo voluto che l’orchestra fosse locale per creare un’unione tra il popolo francese e quello siriano». Tra le tappe che vorrebbe toccare c’è anche Roma: «Spero di poterlo fare anche qui a Roma, se ci sarà l’aiuto di qualche sponsor». Intanto padre Elias continua a darsi da fare: «La pace è possibile».