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giovedì 18 aprile 2019
"L'accordo del secolo" di Trump per il conflitto israelo-palestinese non passerà!
di Elijah J. Magnier
tradotto da: Alice Censi
Da più di un anno l’ “Accordo del Secolo” israeliano, relativo alla Palestina, è stato avallato dall’amministrazione degli Stati Uniti e oggi, la vasta eco destata da questo progetto, sta raggiungendo tutti gli angoli del mondo. Il duo formato dal presidente degli Stati Uniti Donald Trump e da suo genero Jared Kushner, entrambi alle prime armi per quanto riguarda la politica estera nonchè manovrati da Israele, sta cercando di promuoverlo negli stati arabi, in particolare in Arabia Saudita, Giordania e Egitto, i tre paesi che probabilmente concederanno dei territori per agevolare i piani di Israele in Cisgiordania e Gaza. E’ assai improbabile che Stati Uniti e Israele riescano ad imporre questo piano che si è materializzato sotto lo sguardo vigile ma impotente dell’Europa e delle nazioni arabe.
Nonostante ci sia l’intesa tra Stati Uniti, Israele e paesi arabi su questo “accordo”, l’ultima parola spetta ai palestinesi. Nonostante i battibecchi e le forti divisioni esistenti nella leadership palestinese, tutti ( incluso il presidente ad interim Mahmoud Abbas) si sono trovati d’accordo sul rifiuto dell’ “accordo” israelo-americano. Così, si prevede che l’ “Accordo del Secolo” non andrà a buon fine perché i palestinesi non ripeteranno lo stesso errore (del 1948) e resisteranno in difesa dei loro territori. Non accetteranno di rinunciare alla Palestina in cambio di un pezzo di terra in Egitto e Giordania come sta scritto nel piano, un’informazione trapelata dalla stessa amministrazione americana.
Le autorità palestinesi hanno detto che l’ “Accordo del Secolo”è stato lanciato da Israele nel 1956 quando, per nove giorni, Israele ha massacrato i civili palestinesi e i rifugiati nella striscia di Gaza, in particolare a Khan Younis e Rafah, un’azione improntata al genocidio. L’obbiettivo, allora, era quello di spingere all’ esodo i rifugiati palestinesi per permettere a Israele di annettersi Gaza senza i profughi al suo interno. I palestinesi che avevano cercato rifugio a Gaza erano fuggiti nel 1948 da Akka, Haifa, Yafa, Safad, al-Led, al-Ramla, Nablus, al-Quds e Bir el-Sabe. Oggi il primo ministro Benyamin Netanyahu cerca di raggiungere quel traguardo che David Ben-Gurion, il fondatore dello “stato sionista “e suo primo ministro non era riuscito ad avvicinare”.
“ Oggi Netanyahu è euforico grazie alla vittoria dell’estrema destra nelle ultime elezioni e di questi tempi l’estremismo la fa da padrone nella Knesset. Il partito tradizionalmente di destra ha la sua parte di potere ma i centristi come il Labour sono scesi dai precedenti 42 seggi agli attuali 6. E’ chiaro che la maggioranza degli israeliani ha deciso di votare chi fa appello a quell’ estremismo che ormai è predominante nella cultura del paese insieme alle forze armate. E’ tempo che l’ Autorità Palestinese (AP) si renda conto che Israele non ha alcuna intenzione di dare ai palestinesi uno stato, e non accetterà mai il loro diritto al ritorno. Nessuno, oggi, tranne il presidente Abbas, si attiene agli accordi di Oslo ( firmati da Israele e dall’ Organizzazione per la Liberazione della Palestina nel 1993 a Washington). Quindi è ora di respingere tutti gli articoli di quel trattato e di rifiutare qualunque accordo con Israele. Il presidente Abbas (Abu Mazen) crede in una resistenza pacifica e nella “resistenza dialogante” alle Nazioni Unite e in Europa, entrambe impotenti di fronte ai piani di Israele e di Trump. Per questo motivo siamo convinti che la resistenza armata è l’unica via per riavere il nostro stato, dato che rifiutiamo qualunque accordo e qualsiasi scambio di territori” ha detto la fonte.
Anche molti stati arabi stanno aderendo all’ “Accordo del Secolo” proposto da Israele. I paesi ricchi grazie al petrolio come l’Arabia Saudita e gli Emirati, stanno cercando di convincere le leadership palestinese, egiziana e giordana a barattare dei territori e facilitare così l’accordo per soddisfare le esigenze di Israele.
Secondo quanto riferiscono fonti molto ben informate, l’ “Accordo del Secolo” offrirebbe all’Egitto una somma tra i 65 e i 100 miliardi di dollari in cambio di una parte del Sinai (Sheikh Zuweid, Rafah e al-Aresh) da dare ai profughi palestinesi di Gaza. La Giordania invece darebbe al-Baqoura e al-Ghamer ai palestinesi della Cisgiordania in cambio della Zona C ( zona della Cisgiordania sotto controllo israeliano dopo gli accordi di Oslo). Ad Amman verrebbe data una cifra tra i 50 e i 60 miliardi di dollari. Si prevede che l’Arabia Saudita offrirà alla Giordania una parte di Haql e di Magna in cambio delle isole egiziane di Tiran e Sanafir ( i sauditi hanno già pagato per avere queste isole ma un tribunale egiziano ha bloccato il trasferimento della proprietà ). E’ probabile che i palestinesi che rimarranno in Palestina ricevano, secondo l’accordo, decine di miliardi di dollari per “migliorare la loro vita”. Inoltre si pensa che Giordania, Siria e Libano riceveranno una gran quantità di miliardi di dollari affinché diano la cittadinanza ai rifugiati palestinesi a condizione che non tornino mai più in Palestina.
Quanto detto sopra, sui dettagli dell’ “Accordo” conferma che quest’ultimo non andrà a buon fine per molte ragioni: il Libano e la Siria non naturalizzeranno mai i profughi palestinesi. Quando ai ragazzi palestinesi che vivono in Libano o Siria viene chiesto da dove provengono, immediatamente rispondono : “ io sono di Haifa, di Yafa, di Nablous, di Quds, di Safad…..” Non dicono mai, anche se sono nati in Libano o in Siria che appartengono al paese in cui i loro genitori o nonni sono stati obbligati ad emigrare. Non hanno mai rinunciato al loro diritto a tornare e conservano la chiave delle loro case appesa al muro per non dimenticare, mai, da dove vengono.
I leaders giordani e egiziani non si azzarderebbero mai a concedere dei territori per venire incontro ai piani di Israele perché la popolazione si rivolterebbe e i loro regimi in conseguenza potrebbero cadere. Queste e molte altre ragioni conducono a una sola conclusione : l’ “Accordo del Secolo” è già morto prima ancora di nascere.
Al centro degli sforzi degli Stati Uniti per promuovere l’accordo, c’è il tentativo di strangolare economicamente alcuni paesi mediorientali cioè la Siria, il Libano, la Giordania, l’Egitto e Gaza che stanno attraversando una pesante crisi economica. Le truppe americane occupano il nord-est della Siria, una zona ricca di gas e petrolio e con una agricoltura fiorente. Sempre le truppe americane bloccano la frontiera tra Siria e Iraq al valico di al-Tanf per impedire il commercio tra i due paesi rendendo insicura la zona, con lo scopo di mettere in ginocchio il governo siriano.
L’amministrazione americana sta anche facendo pressione sugli stati arabi del golfo ed è riuscita a evitare che riprendessero le relazioni con la Siria, prevenendo così una loro possibile partecipazione alla ricostruzione del paese. Israele e gli Stati Uniti sono sicuri che questo sia il modo migliore per obbligare la Siria a sedersi al tavolo dei negoziati, ma non sarà così.
Il Libano attraversa una grossa crisi economica ma non accetterà mai di naturalizzare i palestinesi per varie ragioni. Numero uno, la causa palestinese non morirà finché Israele rifiuterà uno stato palestinese che vada incontro alle aspirazioni dei palestinesi. Come seconda cosa, la naturalizzazione sovvertirebbe l’equilibrio demografico a scapito dei cristiani che alla fine verrebbero emarginati all’interno del Libano.
Neppure la Giordania scambierebbe mai il territorio anche se ha bisogno dei miliardi di dollari che le verrebbero offerti. Accettando il denaro la monarchia perderebbe il paese.
L’Egitto ha rifiutato il tentativo, tipico di Trump, di usare il ricatto per far accettare l’ “Accordo del Secolo”. Gli Stati Uniti hanno minacciato l’Egitto a causa del suo accordo militare con la Russia; in realtà queste minacce avevano lo scopo di indurre Sisi ad accettare l’ “Accordo”.
Tutti questi paesi del Medio Oriente sanno bene che la geografia è quella che determina la loro storia e cambia i regimi. Questo “accordo” non è affatto una novità. E’ iniziato nel 1956 e nel corso degli anni Israele ha escogitato il modo di creare le condizioni per farlo accettare. E’ esattamente quello che il segretario di stato Condoleezza Rice sosteneva nel 2006 annunciando la creazione di un “Nuovo Medio Oriente”. Per far procedere questo progetto gli Stati Uniti invadevano l’Iraq nel 2003, Israele dichiarava guerra a Hezbollah nel 2006 e metà del mondo si univa, fallendo, per cambiare il regime in Siria attraverso i terroristi. La sua recente vittoria politica incoraggia Netanyahu ad approfittare di un presidente che dalla Casa Bianca obbedisce ai suoi voleri e a spingerlo ad appoggiare il suo “Accordo del Secolo”. Il momento è quello giusto, dal punto di vista israeliano per far accettare l’accordo. Questa insistenza israeliana, però, non fa altro che indirizzare i suoi vicini verso la conclusione opposta: è la prova, per l’ “Asse della Resistenza”, che in Medio Oriente non può esserci soluzione se non attraverso la resistenza.
https://ejmagnier.com/2019/04/16/l-accordo-del-secolo-non-passera-le-divisioni-interne-palestinesi-favoriscono-israele-1-3/
Qui il link alla seconda parte : https://ejmagnier.com/2019/04/17/l-accordo-del-secolo-2-gli-stati-uniti-vorrebbero-negoziare-con-liran-e-allontanarsi-dalla-palestina/
mercoledì 17 aprile 2019
Un documento segreto rivela piani per guerra civile in Libano, false-flag israeliane e invasione
di
Tyler Durden
Durante
la sua visita con il Segretario di Stato americano Mike Pompeo, il
presidente libanese Michael Aoun avrebbe ricevuto un documento
israelo-americano che dettagliava i piani per la creazione di una
guerra civile in Libano con operazioni segrete sotto falsa bandiera
ed eventuale invasione israeliana. Sebbene la fonte del documento
sia Israeliana e creata in collaborazione con Washington, nessuno sa
chi l'ha presentata ad Aoun. La stazione televisiva libanese Al-Jadeed ha inizialmente riportato il documento sulla TV libanese
e un video sul suo sito web. Geopolitics Alert ha tradotto il report
per questo articolo.
Israele
e Stati Uniti fomentano una guerra civile in Libano
Il
documento descrive i piani americani di frammentare le Forze di
Sicurezza Interne libanesi, un'istituzione nazionale separata
dall'Esercito libanese. I piani prevedono che Washington investa 200
milioni di dollari nelle Forze di Sicurezza Interne (ISF) con il
pretesto di mantenere la pace, ma con l'obiettivo segreto di creare
un conflitto settario contro Hezbollah con 2,5 milioni specificamente
dedicati a questo scopo. Il documento afferma che l'obiettivo finale
è destabilizzare il Paese creando una guerra civile in Libano che
"aiuterà Israele sulla scena internazionale". Gli Stati
Uniti e Israele hanno in programma di realizzare ciò sostenendo "le
forze democratiche", con un linguaggio straordinariamente simile
al stessa strategia utilizzata in Siria, Libia, Venezuela e altrove.
Secondo il documento, anche se "il pieno carico della nostra
potenza di fuoco si scatenerà", in qualche modo non prevede
alcuna vittima.
Tuttavia,
si aspettano che la guerra civile "scateni le richieste" di
intervento da parte delle Forze di Difesa Israeliane (IDF) che
Israele dovrà accettare solo dopo estrema riluttanza. Il documento
dice che Israele svolgerà anche un ruolo importante creando
"operazioni segrete false flag" mentre il conflitto
progredisce. Forse queste operazioni potrebbero includere attacchi
chimici simili agli attacchi chimici sui civili in Siria o persino
attacchi diretti a civili libanesi o israeliani per incolpare
Hezbollah e giustificare l'intervento internazionale.
Il
documento ammette che gli Stati Uniti e Israele avranno bisogno di
una quantità senza precedenti di credibilità per farcela e ammette
anche che l'Esercito Libanese potrebbe essere un ostacolo,
probabilmente a causa della diversa composizione dell'Esercito. Come
partito politico legittimo con membri in tutti gli aspetti della
società libanese, Hezbollah ha già membri e alleati in tutte le ISF
e nell'Esercito.
Clicca sulle immagini per ingrandirle. Schermate di Al-Jadeed |
Mike
Pompeo si incontra con i funzionari libanesi
Durante
l'incontro con il presidente libanese Michael Aoun, il Segretario di
Stato americano Mike Pompeo ha presentato un ultimatum: contenere
Hezbollah o aspettarsi conseguenze senza precedenti.
Secondo
Foreign Policy , Pompeo ha detto ad Aoun che se non riuscisse a
completare l'impossibile compito di rimuovere Hezbollah dalle
istituzioni governative ed a reprimere le sue attività militari, il
Libano dovrebbe aspettarsi la fine degli aiuti statunitensi e persino
potenziali sanzioni.
"Dovrete
prendere coraggio perché la nazione del Libano si opponga alla
criminalità, al terrore e alle minacce di Hezbollah", ha
affermato Pompeo.
A
cena, Pompeo ha riferito di aver avvertito i funzionari libanesi che
loro stessi erano potenziali bersagli per sanzioni come membri del
Movimento Patriottico Libero, il partito del presidente Aoun che ha
la maggior parte del suo sostegno proveniente dai Cristiani Libanesi.
Potenziali
sanzioni saranno probabilmente comminate al Ministero della Salute
Libanese, attualmente gestito da un membro eletto del partito
politico di Hezbollah. I civili di tutto il Libano si affidano a un
Ministero della Salute funzionante per le medicine sovvenzionate e le
cure mediche generali, quindi queste sanzioni creerebbero immense
sofferenze a tutta la popolazione Libanese.
Il
piano di guerra civile dettagliato nel documento non avrà
probabilmente successo secondo i piani degli Stati Uniti. Le Forze di
Sicurezza Libanesi non sono un gruppo omogeneo. I membri di Hezbollah
e i loro alleati Cristiani detengono molte posizioni non solo
nell'ISF ma in tutto l'Esercito Libanese e in diversi rami del
governo. La costituzione libanese e il sistema politico richiedono
che tutte le parti abbiano una rappresentanza adeguata nel governo.
Come tale, una potenziale guerra civile prefabbricata si
concentrerebbe probabilmente sulla riscrittura della costituzione
libanese come massima priorità.
Non
è chiaro se lo staff di Pompeo si sia presentato ad Aoun con questo
documento come una minaccia prima del loro incontro. È chiaro,
tuttavia, che gli Stati Uniti e Israele stanno tramando a porte
chiuse per creare un conflitto settario nella società libanese e nel
suo processo politico democratico, simile alle azioni in Siria,
Libia, Yemen, Venezuela, Iran e così via.
trad. GB.P. OraproSiria
https://www.zerohedge.com/news/2019-04-07/secret-document-reveals-plans-civil-war-lebanon-israeli-false-flags-invasion?
trad. GB.P. OraproSiria
domenica 14 aprile 2019
2019, un nuovo anno di calvario per i Siriani
Statua nei giardini del Museo di Damasco. Credito fotografico: IVERIS |
Leggendo la breve intervista al dottor
Shebib provo uno sconforto infinito, perché essa conferma tutti i
timori che non mi hanno lasciata durante gli otto anni di conflitto
appena trascorsi. Nei disegni foschi di chi vi partecipa la partita a
scacchi contro la Siria dovrà terminare soltanto quando essa sarà
completamente dilaniata e ognuno potrà finalmente acciuffare la sua
parte del bottino.
Durante il mio viaggio a Latakia nell’autunno scorso, ho potuto constatare quanto i Siriani
siano provati e straziati da questa persecuzione spietata che non
concede tregue, eppure forti, intraprendenti, fidenti nelle loro
forze. E per deprimere, spezzare la resistenza e annientare questo
popolo fiero e valoroso, ecco che continua e si inasprisce la
subdola, lurida e impietosa guerra delle sanzioni che non mi
stancherò di denunciare.
Maria Antonietta Carta
Intervista ad Anas Alexis Shebib
Per capire l'attuale situazione della
popolazione siriana, IVERIS ha incontrato il dottor Anas Alexis
Shebib* di ritorno da Damasco e Suweida, dove ha partecipato a due
simposi: il primo di bioetica organizzato dall’ UNESCO e il secondo
organizzato dalla Syrian Society of Radiology.
Qual è la situazione a Damasco
oggi?
La sicurezza è migliorata
significativamente. Dalla ripresa della Ghouta nell'aprile 2018,
nella capitale non si sente più il rumore costante delle
detonazioni, però l'inasprimento dell'embargo rende la vita
quotidiana estremamente difficile. Dopo un’ulteriore svalutazione
della lira siriana, i generi di prima necessità sono diventati
ancora più costosi e c’è carenza di acqua, medicine, petrolio,
gasolio e gas. Oggi il gas è un lusso, le interruzioni di corrente
sono incessanti, non c'è acqua calda ... insomma, la situazione è
tale che chi è rimasto in Siria durante gli otto anni di guerra se
può adesso va via. Il Paese risente delle sanzioni anche dal punto
di vista scientifico e il livello dei medici si è abbassato molto,
mentre nel 2010 la Siria era il Paese più sviluppato del Medio
Oriente e Giordani e Libanesi venivano a curarsi qui.
Due carenze sono difficili da capire:
quella dei medicinali, dato che l'anno scorso si era ripreso a
produrre i farmaci generici, e quella del petrolio, dato che la Siria
è un paese produttore.
Per quanto riguarda i medicinali,
l'inasprimento dell'embargo non consente più l'importazione di
materie prime e senza elettricità le fabbriche non possono
funzionare. Queste sono le ragioni per le quali le aziende nella zona
industriale di Aleppo, dopo una timida ripresa, hanno di nuovo
cessato la loro attività.
Per quanto riguarda il gas e il
petrolio, i campi principali non si trovano nelle zone controllate
dal governo siriano, ma sono sotto il controllo delle Forze
Democratiche Siriane (SDF - Curdi) e della Coalizione occidentale. Il
petrolio sta ancora lasciando la Siria illegalmente attraverso la
Turchia o l'Iraq. I Russi occupano per difenderlo il campo di gas di
al-Chaer, vicino a Homs, attaccato più volte da Daesh, e finché
questo campo è occupato non potrà riprendere l’attività.
Un altro fenomeno sorprendente e che
molti Siriani rimasti volontariamente nel Paese durante gli otto anni
di guerra ora che la situazione della sicurezza è migliorata
decidono di andarsene. Come può essere spiegato questo fatto?
I Siriani sono demoralizzati. L'anno
scorso, le vittorie dell'esercito avevano dato loro speranze, in
particolare quella di conquistare Idlib, ma in risposta ai progressi
militari ci sono state controffensive della Turchia e dell'Occidente.
A ogni avanzata, le cose si complicano e le carte si rimescolano
perché tutte le parti coinvolte in questo conflitto hanno i propri
interessi.
I Russi sono alleati dei Siriani ma
sono anche amici dei Turchi e degli Israeliani, che occupano entrambi
parti del territorio. I Russi stanno cercando di mantenere buoni
rapporti con queste due parti in conflitto, specialmente con la
Turchia di Erdogan per non farla cadere tra le braccia degli Stati
Uniti.
I Turchi sono diffidenti nei confronti
dei Curdi e vogliono un accordo con la Siria per impedire ai Curdi di
creare il loro Stato.
Gli Iraniani sono partner importanti
dei Russi e fedeli alleati dei Siriani: grazie a loro lo Stato è
rimasto in piedi e gran parte della Siria è stata liberata, ma gli
Israeliani non vogliono la presenza degli Iraniani.
Gli Occidentali, con Israele e
l'Alleanza atlantica, hanno interessi strategici ed economici nella
Siria orientale e il modo migliore per farli prevalere è la mappa
curda.
L'equazione è davvero difficile...
C'è stato un altro momento di speranza
quando alcuni Paesi arabi hanno deciso di riaprire le loro
ambasciate, ma gli Stati Uniti hanno fatto pressioni affinché queste
relazioni diplomatiche non si ristabilissero. Naturalmente, le
recenti dichiarazioni di Donald Trump sul Golan non aiutano. E poiché
essi in realtà non hanno abbandonato il progetto di balcanizzazione
della Siria, le pressioni economiche, politiche e militari stanno
prolungando la guerra.
Dopo otto anni, la situazione è
diventata insostenibile per i Siriani, che oltre agli orrori e alle
carenze vivono in una condizione di stress incessante.
Questa è la storia della Siria: 10.000
anni di conflitti subiti a causa della sua posizione strategica.
Il movimento della storia è molto
lento. È la nostra aspettativa di vita che è breve, ma la Siria si
riprenderà come ha sempre fatto.
Trad. Maria Antonietta Carta
09 aprile 2019
*Anas Alexis Chebib è un medico
esperto di bioetica e presidente del Collettivo per la Siria
https://www.iveris.eu/list/entretiens/422 2019_nouvelle_annee_depreuve_pour_les_syriens
giovedì 11 aprile 2019
Dal vangelo secondo Damasco. La lunga via della ripresa e i nuovi nemici della Siria
di Fr. Bahjat Elia Karakach
Che cosa raccontarvi della realtà che vive ora la popolazione di Damasco? Con la liberazione della Città circa un anno fa, giusto nei giorni che antecedevano la Pasqua, la gioia, il sollievo dal costante pericolo bellico sul quale tutti noi vivevamo, la fiducia in un nuovo momento erano molto vivi nei volti, nonostante le situazioni difficili di ogni famiglia o persona.
Un anno quasi è passato e la speranza che c’era sta tramontando sempre di più nella delusione e scoraggiamento. Si dice che 'il dopo guerra è peggio della guerra’… non saprei dirvi se la possiamo mettere cosi, ma posso dirvi che la situazione che la gente vive è veramente dura: non c’è gas – si devono fare lunghe file alle volte di oltre 6 ore per comperare una bombola di gas (non completamente riempita), quando una volta alla settimana passa il camion che non ha abbastanza bombole per distribuire a tutti – non c’è gasolio, tanto necessario soprattutto per il freddo inverno che abbiamo vissuto fino a qualche giorno fa, l’elettricità arriva solo alcune ore al giorno. Solo la mancanza di queste 3 cose cosi necessarie basterebbe perché la vita della gente sia veramente pesante. Queste mancanze creano un terreno favorevole allo sviluppo di una ‘mafia’ che punta sempre di più al mercato nero. Le restrizioni esterne e adesso anche interne fanno vedere un futuro ‘’senza futuro’’ soprattutto per i giovani, spingendo tanti a desiderare ardentemente di partire del paese.
Ma c’è solo questa dura situazione? Nel volto dei nostri bambini, e sono tanti che più volte alla settimana riempiono di vita il cortile della chiesa, si vede la gioia di vivere insieme nella pace e nella speranza. I giovani si sentono sostenuti nelle loro paure ed incertezze e tanti vogliono dare il meglio di loro.
Vi racconto una dell’esperienza che stiamo facendo. Ci sono 500 famiglie nel bisogno che cerchiamo di aiutare mensilmente con un piccolo contributo economico e con la nostra amicizia. Queste famiglie sono visitate da un’equipe di giovani che due a due vanno a fare queste visite. Due di loro ci hanno raccontato la forte esperienza che hanno fatto visitando una famiglia di 5 persone che vive in una stanza, il papa è allettato a causa de una malattia, la mamma soffre del disco, abita con loro la mamma del papà e hanno due figli uno dei quali una bambina con grande handicap. Entrando in quella stanza sono rimasti senza parola al saluto caloroso della mamma che l’altro ha detto: ‘’Vedete che grande dono è per noi la nostra figlia?’’. Quando sono usciti, erano molto commossi nel veder come questa famiglia, cosi in difficoltà, accoglieva con fede e amore tutto dalle mani di Dio. ‘’E noi alle volte ci perdiamo con una piccola cosa…’’ – dicevano questi giovani, grati di potere fare questa esperienza che li aiuta a vedere la vita con altri occhi.
C’è molta più generosità e fede di quanto possiamo immaginare. Sono le radici nascoste di questa Chiesa di Gesù.
“Macché finita. La guerra è appena iniziata”. Forse i nemici non si chiamano più Daesh o Al Qaeda, ma fame e povertà, e sono nomi che fanno ugualmente paura. Sono i nemici che la politica internazionale può armare in modo più silenzioso e subdolo, senza mortai e lontano dai riflettori, con le sanzioni economiche che in questi mesi stanno mettendo letteralmente in ginocchio la Siria. Per questo la frase pronunciata da fra Antonio all’inizio assume quell’accento cupo e triste di chi non si crea facili illusioni su un futuro incerto.
Damasco è in ginocchio, l’elettricità che arriva a singhiozzo mostra il volto di un paese dimenticato dai media, ma vittima di un’emergenza umanitaria peggiore degli anni scorsi, quando la capitale siriana andava in onda su tutti i telegiornali. Siamo a Bab Touma, l’antica porta di San Tommaso, quartier generale dei progetti di ATS pro Terra Sancta nella terra di San Paolo.
Pensavamo di trovarci sulla via della ripresa, e invece ci troviamo in piena emergenza. Famiglie di quattro persone che vivono a stento in una stanza di pochi metri quadrati, ammalati che non possono permettersi di comprare medicine salvavita, sfollati che sono fuggiti in fretta da Homs, Maaloula, Knayeh: sono giorni intensi quelli passati in Siria a incontrare, a parlare con le persone accolte dai frati. Con Fadia e Ayham, i nostri validi collaboratori di Damasco, passiamo le giornate con loro cercando di capire i bisogni, e anche le loro speranze.
“Vivevamo a Homs fino a qualche anno fa, ma con la guerra siamo scappati”. Rita, che a stento trattiene le lacrime, ci parla dal letto, dove è incatenata da diversi mesi per una malattia alla schiena che non le lascia tregua. “Mio marito faceva il pittore, non eravamo ricchi ma avevamo di che vivere”. Poi la guerra, e il triste copione che ci siamo abituati a conoscere. “Siamo venuti a Damasco, a bussare a tante porte per chiedere aiuto. L’unica che si è spalancata è la vostra”. Rita parla del centro emergenza aperto dall’Associazione pro Terra Sancta nel convento dei francescani a Bab Touma, dove da diversi anni ci prendiamo cura di casi difficili come questo. “Mio figlio ha 16 anni e ha subito tanti traumi con la guerra. Non parla più, non ha amici, sono disperata”.
Sua figlia, invece, di soli quattro anni, ha un grave ritardo mentale. Muove continuamente la testa, su e giù. Rita chiede a suo marito di andare a giocare con lei per qualche minuto fuori dalla stanza. Vivono assieme, tutti e quattro, in una piccola stanza di 14 metri quadrati, e condividono il piccolo cucinino con altre famiglie in un quartiere povero della capitale. “Senza gli aiuti ricevuti non so dove saremmo ora”.
Rita è ancora a letto, il marito cerca un lavoro per mantenere quella famiglia piagata dalla guerra: non possono emigrare, ma solo sperare di potersi curare e mantenersi in vita, in attesa l’economia si riprenda. La speranza di tornare a vivere oggi ha un volto, e un luogo. Lo stesso luogo che ha accolto anche Hana, venuta a Damasco per farsi curare dal cancro. Nel suo paese, Hassakeh, non si trovavano cure adeguate. “Non potevo andare avanti e indietro ogni volta che dovevo ricevere le cure per il tumore, e così ho cercato un luogo dove poter fermarmi. La Provvidenza ha voluto che incontrassi i frati di Damasco. Senza di loro penso che oggi non sarei qui a raccontarvelo”.
La fila delle persone aiutate dai nostri progetti avviati con la collaborazione della parrocchia è lunga, e piena di storie come queste. Drammatiche, difficili, eppure con un fondo di speranza. La Siria di oggi. Damasceni, aleppini, abitanti di ogni dove nella scacchiera siriana dove le potenze internazionali si danno battaglia. Le sanzioni economiche li hanno messi in ginocchio. Ma per fortuna c’è chi fa di tutto per tenerli in piedi.
In questi otto anni di conflitto, noi di Associazione pro Terra Sancta abbiamo sempre sostenuto i francescani della Custodia di Terra Santa e il popolo siriano con molte attività. Lo abbiamo fatto grazie alla generosità di moltissimi di voi e vogliamo continuare a farlo con maggiore impegno. Per questo vi chiediamo di continuare ad assisterci ora che la crisi si fa più nera.
Vi chiediamo di assisterci mentre operiamo a Idlib, al fianco di padre Hanna, fra Louai e delle comunità di Knayeh e Yacoubieh. Vi chiediamo di assisterci dove non si combatte più: a Damasco nella distribuzione di medicinali, in ospedale, nelle attività con i bambini e ragazzi; ad Aleppo con padre Ibrahim Alsabagh, nella distribuzione di pacchi alimentari, medicine, beni di prima necessità, nella ricostruzione di case e nel sostegno al Franciscan Care Centre dove circa 250 bambini ricevono il sostegno psicologico necessario e svolgono attività di gioco e studio che risvegliano in loro la voglia di vivere e li fanno riacquistare fiducia in se stessi.
a questo link : SOSTIENI LE ATTIVITÀ di ATS IN SIRIA!
martedì 9 aprile 2019
UN RACCONTO SUL GENOCIDIO ARMENO: Hagob e l'uomo del deserto
Questa
storia è stata scritta nel 1995 in arabo, tradotta in armeno e
pubblicata in diversi giornali e riviste in Siria, Libano e Stati
Uniti. Venti anni dopo, l'autore, un medico di Aleppo che vive oggi
in Canada, ha deciso di tradurla in francese per il 100°
anniversario del genocidio armeno.
(traduzione di Gb.P. OraproSiria)
di SAMIR ANTAKI
Hagob
è un vecchio amico, anche se ha qualche anno più di me, forse ha
l'età di mio padre o anche più vecchio, ma non importa perché dopo
i quarant'anni noi abbiamo tutti la stessa età, soprattutto se
abbiamo le stesse idee e principi.
Hagob
viene a trovarmi in ambulatorio una volta all'anno per l'esame
annuale di controllo agli occhi, in più egli accompagna i propri
figli e nipoti e chiunque dei suoi amici più stretti che dicano "il
mio occhio" non ci mette molto a portarmeli, poichè è molto
orgoglioso del suo medico e della sua amicizia. Fortunatamente, molte
delle sue visite hanno avuto buon esito.
Eravamo
così vicini l'uno all'altro che lui veniva sempre in mio aiuto
quando avevo problemi con i miei strumenti in ambulatorio o in
ospedale, e lui era sempre lì quando la mia macchina si guastava o
quando avevo problemi di elettricità, o qualsiasi altro problema. Ci
siamo aiutati a vicenda, ciascuno nel proprio campo.
Hagob
non aveva una grande istruzione perché non aveva avuto la
possibilità di andare a scuola, ma sebbene fosse incolto aveva
un'intelligenza e una sapienza senza pari; inoltre aveva tanto buon
senso e una logica tali da rendere geloso un laureato ...
Hagob
era arrivato ad Aleppo nel 1915 con i sopravvissuti ai massacri
barbari e disumani perpetrati contro il suo popolo, gli Armeni, e
contro i Siro-Caldei, i Greci e altre minoranze cristiane da parte
degli Ottomani. Lui di appena tre anni, sua madre e sua sorella
maggiore di due anni, facevano parte del gruppo di sopravvissuti che
riuscirono a raggiungere Aleppo dopo una lunga e dolorosa marcia
forzata attraverso il deserto e le steppe della Siria, che durò
settimane; mentre per strada morirono suo padre, suo fratello
maggiore e i suoi tre zii.
Al
loro arrivo ad Aleppo furono alloggiati, come la maggior parte dei
rifugiati, in accampamenti di fortuna, con baracche di legno e tetto
in tela cerata, senza servizi igienici. Sua madre, che in casa era
regina, per sovvenire ai loro bisogni fu costretta a lavorare come
baby sitter e cuoca in casa di una ricca famiglia Aleppina.
Ella
riuscì grazie al suo coraggio e determinazione a prendersi cura dei
suoi due figli e migliorare la qualità della loro vita. All'età di
dieci anni, sua madre gli trovò un lavoro in un laboratorio
meccanico dove egli lavorava giorno e notte in condizioni difficili
per un misero salario. Finì per acquisire una grande esperienza e
una destrezza senza pari, tanto che il suo padrone lo promosse capo
del laboratorio.
Un
bel giorno quando aveva appena diciassette anni, sua madre gli disse:
figlio mio, è tempo che tu abbia il tuo negozio; hai sofferto
abbastanza, meriti di diventare il capo di te stesso. Affittarono,
con i pochi soldi messi da parte, una piccola baracca nel quartiere
di Meidan. Hagob riuscì a trovare utensili usati ma in buone
condizioni e ad un ottimo prezzo e iniziò da solo. Dopo anni di
fatica e privazioni e grazie alla sua perizia, al suo coraggio, alla
sua onestà, perseveranza e diligenza, Hagob divenne il proprietario
di diverse officine meccaniche. Si sposò, acquistò una bella casa,
e la cosa più importante di tutte è che divenne padre di quattro
figli che hanno avuto successo, tra cui un medico, un ingegnere, un
musicista, senza dimenticare il maggiore che ha lavorato con lui e
che ha modernizzato i laboratori introducendo nuove tecniche e
strumenti. E il mio amico Hagob è molto orgoglioso di tutto questo.
Un
bel giorno di primavera Hagob venne a trovarmi in ambulatorio e, per
delicatezza, si sistemò con gli altri pazienti nella sala d'aspetto.
Quando arrivò il suo turno, vidi entrare nel mio ufficio Hagob con
un beduino un po' più giovane di lui, vestito in modo tradizionale
con la sua djellaba, la sua abaya e la testa coperta da quella grande
sciarpa tipica nera e bianca. Inoltre aveva tatuati il mento e il
dorso della mano. Dopo il "Salam Alyakom" di rigore e i
convenevoli, Hagob mi presentò il signore che lo accompagnava,
dicendo: ti presento mio fratello Hajj Mohammad Al Rmeylan. Strinsi
calorosamente la mano del signore, poi, rivolgendomi a Hagob, dissi:
è quel Hajj Mohammad che gestisce i terreni agricoli che hai in
Jezireh e che tu consideri come un fratello? Mi ha risposto: ma no,
giuro che è mio fratello, figlio di mio padre e di mia madre.
Gli dissi, mentre invitavo il signore a sedersi sulla poltrona per
l'esame: vediamo dunque, basta scherzi Hagob. Ma proprio quando fu
faccia a faccia con me mi accorsi che aveva gli stessi occhi di Hagob
e il naso così tipico di molti Armeni. Lì per lì non capivo più
niente, allora ho chiesto a Hagob di sedersi e raccontarmi tutto.
Bene,
dal momento che insisti, dottore, ecco la mia storia: "Quando
avevo quarant'anni, mia madre, che era invecchiata ed era molto
malata, mi ha chiamato al suo capezzale per confidarmi un grande
segreto. Mi disse: trentasette anni fa, quando fummo espulsi dalla
Turchia e durante la marcia della vergogna attraverso il deserto
siriano, sotto un sole infuocato durante il giorno e il freddo del
deserto di notte, avevamo per nutrirci solo delle erbe e radici di
piante così rare in quell' angolo di mondo e appena qualche goccia
d'acqua sporca per saziare la nostra sete. Uno di quei giorni, ci
strapparono tuo padre e uno dei soldati lo decapitò ridendone con i
suoi amici, un altro spinse tuo fratello maggiore Hovsep e tuo zio
Dikran in un burrone, come fecero con molti altri. Ai soldati piaceva
inventare ogni giorno un nuovo metodo di tortura, al punto che
sventravano le donne in gravidanza con baionette per gettare poi il
feto in aria divertendosi a sparargli, questo è quello che è
successo alla povera Syranouche nostra vicina. Mentre per lo stupro,
non parliamone, era cosa normale. Che scene di orrore, figlio mio!
Tu, che all'epoca avevi tre anni, hai urlato notte e giorno come un
animale braccato ogni volta che uno di questi criminali mi si
avvicinava per picchiarmi con un calcio o un bastone, per farmi
alzare e continuare a camminare con Wannès tuo fratellino, di appena
tre mesi, tra le braccia.
Un
giorno le forze mi lasciarono, il latte nel mio seno divenne
pochissimo, Wannès non aveva la forza di reagire, bruciava di
febbre, gli occhi sbarrati: sentivo che stava per morire. Mi sedetti
per terra pregando e implorando Dio e il cielo, piangendo con le
poche lacrime che mi erano rimaste. All'improvviso tre beduini
fecero la loro apparizione, uno di loro mi diede una borraccia e
disse: bevi, sembri inaridita, poi ha dato un sorso a te e tua
sorella Azniv. Poi tirò fuori dalla sua borsa un pezzo di pane che
mi offrì, dicendo: che disgrazia! Come osano fare ciò che è contro
i libri di Dio. Poi mi chiese: dov'è il tuo uomo? Risposi: l'hanno
decapitato. Rimasero in silenzio. Alzandosi, mi disse: vieni con noi
con i tuoi figli, sarai al sicuro nella mia casa, mia moglie Fatme si
prenderà cura di voi mentre recuperate un po' di forza. Non aveva
finito la frase, che uno dei soldati che aveva osservato la scena si
avvicinò e impose ai tre beduini di andarsene rapidamente, puntando
il fucile contro di loro. Non appena si voltò, lasciai Wannès per
terra e dissi: almeno portate il mio neonato con voi, se ha la
possibilità di vivere è meglio, se no offritegli una decente
sepoltura. Il beduino mi disse: lascialo a terra e alzati per seguire
gli altri; i soldati non se ne accorgeranno, e appena te ne sarai
andata lo prenderemo e ti promettiamo di fare del nostro meglio. Poi
urlò ad alta voce mentre ci eravamo già allontanati: 'siamo della
tribù dei Rmeilan, ricordati di questo nome, povera donna.'
Hagop
continuò il suo racconto singhiozzando, sia lui che Hajj Muhammad:
quel giorno mia madre mi ha detto: "Perché io abbia il cuore e
la coscienza tranquilla prima di lasciare questa terra, sebbene io
sia certa che il mio neonato Wannes è morto, ti prego di andare nel
deserto per trovare la tribù di Rmeilan nella regione in cui furono
uccisi tuo padre e tuo fratello, che è distante due giorni di
cammino da Tall Abyad; se mai la trovassi, chiedi dei tre Beduini che
ho incontrato e cerca le tracce di tuo fratello Wannès. Perché se è
vivo, deve essere tra di loro. Per riconoscerlo lui ha una lunga
cicatrice sul suo dorso che va dalla spalla destra al fianco
sinistro, perché è stato ferito dalla punta della spada, quando
avendolo tra le mie braccia ho cercato di interpormi tra il soldato e
tuo padre.". Così lasciai Aleppo lo stesso giorno per andare
nel nord-est della Siria alla ricerca di mio fratello. Dopo due
settimane di intense ricerche, sono riuscito a trovare Wannès vivo.
Non posso descriverti, dottore, le scene di giubilo che hanno
accompagnato questo ritrovarci, e quello che mi ha sorpreso di più è
stata la grande somiglianza tra noi due. Bisognava vedere le facce
delle sue due mogli e dei suoi dieci figli, non potevano credere ai
loro occhi. Hanno sgozzato diverse pecore in onore di questa riunione
e hanno invitato quasi tutto il loro popolo a una festa più che
regale.
A quel punto Hajj Mohammad parlò, dicendo: quando avevo vent'anni, chiesi a mio padre, Sheikh Machaal, della cicatrice sulla mia schiena. Forse ero un ragazzo turbolento e mi sono fatto male quando sono caduto su una roccia affilata mentre giocavo? Mio padre mi ha detto "beh no, tu sei nato così, tu l'avevi già il giorno in cui ti strappato dalla morte". Poi mi ha raccontato tutta la storia e tutti gli abusi perpetrati contro i miei genitori e la mia comunità da quei selvaggi e tutte le sofferenze patite da mia madre, e mi diceva che non sapeva nemmeno se fosse arrivata ad Aleppo o fosse morta sulla strada. Lo Sceikh Mashaal si riprese e poi mi disse: dal momento che non abbiamo più avuto notizie dei tuoi genitori, ora sei nostro figlio, e sai che ti amiamo altrettanto se non più degli altri. Devi sposarti secondo le leggi di Dio e del suo Profeta. Così mi sono sposato, sono andato con mio padre in pellegrinaggio alla Mecca, e ogni volta che facevo le mie cinque preghiere quotidiane imploravo Allah e il suo Profeta di salvare mia madre e i miei fratelli se fossero ancora vivi, o di concedere loro la pace eterna e il paradiso, se non fossero più di questo mondo.
A quel punto Hajj Mohammad parlò, dicendo: quando avevo vent'anni, chiesi a mio padre, Sheikh Machaal, della cicatrice sulla mia schiena. Forse ero un ragazzo turbolento e mi sono fatto male quando sono caduto su una roccia affilata mentre giocavo? Mio padre mi ha detto "beh no, tu sei nato così, tu l'avevi già il giorno in cui ti strappato dalla morte". Poi mi ha raccontato tutta la storia e tutti gli abusi perpetrati contro i miei genitori e la mia comunità da quei selvaggi e tutte le sofferenze patite da mia madre, e mi diceva che non sapeva nemmeno se fosse arrivata ad Aleppo o fosse morta sulla strada. Lo Sceikh Mashaal si riprese e poi mi disse: dal momento che non abbiamo più avuto notizie dei tuoi genitori, ora sei nostro figlio, e sai che ti amiamo altrettanto se non più degli altri. Devi sposarti secondo le leggi di Dio e del suo Profeta. Così mi sono sposato, sono andato con mio padre in pellegrinaggio alla Mecca, e ogni volta che facevo le mie cinque preghiere quotidiane imploravo Allah e il suo Profeta di salvare mia madre e i miei fratelli se fossero ancora vivi, o di concedere loro la pace eterna e il paradiso, se non fossero più di questo mondo.
Armeni nel deserto siriano nel 1917 |
Hagob
intervenne allora, dicendo: Sai, dottore, ci sono molti bambini
Armeni che sono nella stessa situazione di mio fratello e che sono
stati salvati da morte certa dalle tribù nel deserto siriano. Quale
coraggio, quale nobiltà. Continuò: fortunatamente noi Armeni e gli
altri sopravvissuti a questi massacri, siamo stati ben accolti in
Siria, il che ci ha permesso di risorgere dalle nostre ceneri e
dimostrare ciò di cui siamo capaci! Allora sono intervenuto per
dire: in effetti, gli Armeni sono un vanto per la Siria, con una
quantità di pittori, scultori, musicisti, medici, avvocati,
ingegneri, scrittori, tecnici, gioielleri, meccanici, commercianti,
industriali e uomini d'affari che hanno contribuito all'elevazione
della Siria, e la Siria è fiera di considerarli come cittadini a
pieno titolo.
I
due fratelli replicarono in coro: e noi siamo orgogliosi di essere
Siriani. E
così, ci siamo ritrovati dopo tutti questi anni di lontananza. Ma
sfortunatamente, proseguì Hagob, quando sono tornato con mio
fratello Mohammad ad Aleppo per presentarlo con orgoglio a mia madre,
lei era già morta e sepolta. Ci siamo precipitati nel cimitero
armeno, dove lei riposa in pace su questa terra dell'accogliente
Siria, per raccoglierci sulla sua tomba. Abbiamo pregato insieme, io
in armeno, lui in Arabo e a squarciagola, nella speranza che le
nostre preghiere potessero raggiungere il grande deserto della Siria
dove sono caduti padri, fratelli e zii. Mentre pregavamo,
singhiozzavamo come bambini, mentre le nostre preghiere salivano come
una sinfonia armeno-araba, islamo-cristiana verso il cielo, verso il
solo e unico Dio.
In
seguito, continuò Hajj Mohammad, ci facemmo visita vicendevolmente,
le nostre mogli e i nostri figli approfondirono la loro conoscenza,
ed era meraviglioso ritrovare la mia famiglia e le mie radici. Ma ciò
che mi ha maggiormente addolorato è stato che le circostanze non mi
hanno permesso di baciare le mani di quella santa donna che mi ha
portato in braccio per notti e giorni mentre camminava sulle rotte
dell'esodo prima che la morte strappasse via mio padre ...
Appena
finita la frase, la mia segretaria aprì la porta dello studio medico
per informarsi sul motivo di questa lunga consulta: "Dottore, non ha
ancora completato l'esame di Mohammad? in dieci anni da quando lavoro
con lei questa è la prima volta che impiega tanto tempo con un
paziente. È da più di un'ora che è nel suo studio e i pazienti
nella sala d'attesa stanno diventando impazienti, e sono più di una
quindicina!"
Io
le ho risposto: non ho ancora iniziato la visita; sono solo
all'anamnesi, i suoi sintomi, i suoi antecedenti, la sua storia
familiare, le sue abitudini, le sue allergie ... e la ragione
principale della sua visita. Lei ha ribadito: Ma quali sono questi
sintomi così importanti, che c'è voluto così tanto tempo per
elencarli? Le ho risposto: egli si lamenta delle atrocità che
alcuni popoli si permettono di commettere su altri popoli perché la
loro religione, il loro colore o le loro idee non li soddisfano. Si
lamenta della scomparsa dell'amore da certi cuori, che permette loro
di torturare, uccidere e deportare intere popolazioni. Si lamenta
della secchezza dei suoi occhi per aver versato tante lacrime su una
santa donna che camminava e camminava a piedi scalzi per giorni e
giorni in fuga dalla barbarie della gente. Si lamenta della spada che
ha tagliato la gola di suo padre per la sola ragione che egli era
Armeno e per la cicatrice che questa spada ha lasciato sulla propria
schiena, che resterà per sempre a riprova di questo GENOCIDIO.
Mi rivolsi di nuovo a Hajj Mohammad mentre versava le lacrime che gli erano rimaste e dissi: È di questo che ti lamenti? Ho tolto il fazzoletto dalla tasca e mi sono asciugato anch'io la faccia e gli occhi e ho detto alla segretaria: dammi ancora qualche minuto per terminare la visita, ti prometto che non ci vorrà molto, e scusami con i malati nella sala d'attesa per questo ritardo, dicendo loro che c'è un intero popolo che attende ancora delle scuse, ormai da ottant'anni!
Mi rivolsi di nuovo a Hajj Mohammad mentre versava le lacrime che gli erano rimaste e dissi: È di questo che ti lamenti? Ho tolto il fazzoletto dalla tasca e mi sono asciugato anch'io la faccia e gli occhi e ho detto alla segretaria: dammi ancora qualche minuto per terminare la visita, ti prometto che non ci vorrà molto, e scusami con i malati nella sala d'attesa per questo ritardo, dicendo loro che c'è un intero popolo che attende ancora delle scuse, ormai da ottant'anni!
Sono
già passati più di venti anni dalla pubblicazione di questa storia.
Abbiamo commemorato il centenario di questo GENOCIDIO, il primo del
ventesimo secolo, che ha causato la morte di oltre due milioni di
Armeni, di Assiro-Caldei, di Siriaci, di Greci e altre minoranze
cristiane; e c'è ancora un paese che nega che i suoi antenati lo
abbiano perpetrato.
Dr.
S.A.
domenica 7 aprile 2019
L'annuale colletta per la Terra Santa, per sostenere i fratelli che lì vivono e testimoniano la fede nel Cristo morto e risorto
Pubblichiamo il testo della lettera inviata lo scorso 6 marzo, mercoledì delle Ceneri, ai vescovi di tutti il mondo dal cardinale Leonardo Sandri e dall’arcivescovo Cyril Vasil’, rispettivamente prefetto e segretario della Congregazione per le Chiese orientali, in occasione dell’annuale colletta per la Terra Santa.
Il cammino quaresimale invita ciascuno di noi a riandare ai luoghi e agli avvenimenti che hanno cambiato il corso della storia dell’umanità e l’esistenza personale di ognuno di noi: sono i luoghi e gli avvenimenti che ci trasmettono la memoria viva di tutto ciò che il Figlio di Dio incarnato ha detto, compiuto e sofferto per la nostra redenzione.
Centro di tutto l’anno liturgico è la Settimana Santa che inizia a Betfage, con l’entrata di Gesù a Gerusalemme. Lo seguiamo a Betania e assistiamo all’unzione col profumo di nardo, profezia della Sua passione, morte e resurrezione. Nel Cenacolo Egli offre se stesso per noi, nel pane e nel vino, e ci lava i piedi, insegnandoci l’umile servizio come comandamento nuovo dell’amore. Viviamo nel Getsemani il suo arresto e lo seguiamo da lontano con tutta la nostra fragilità, come Pietro che lo rinnega. Sotto la croce, con Maria e il discepolo amato siamo presenti alla sua morte, contemplando il suo costato trafitto. Deposto infine in quel sepolcro, presso il quale il mattino di Pasqua si reca Maria Maddalena, risorge e con la sua luce accarezza i nostri occhi e i nostri cuori, invitandoci a guardare dentro la storia del mondo e quella personale di ciascuno di noi.
Rivivendo i misteri della nostra salvezza, pensiamo con maggiore intensità ai fratelli e sorelle che vivono e testimoniano la fede nel Cristo morto e risorto in Terra Santa, esprimendo loro anche la solidarietà nella carità. Nella sua prima Udienza generale il 27 marzo 2013, Papa Francesco ha ricordato ai pellegrini: «Vivere la Settimana Santa seguendo Gesù vuol dire imparare ad uscire da noi stessi [...] per andare incontro agli altri, per andare verso le periferie dell’esistenza, muoverci per primi verso i nostri fratelli e le nostre sorelle».
Quest’anno, in occasione della Colletta pro Terra Sancta, assieme all’invito di Papa Francesco vogliamo riascoltare anche san Paolo VI, che volle recarsi in Terra Santa agli inizi di gennaio del 1964, primo Successore dell’Apostolo Pietro a compiere questo pellegrinaggio. Nell’Esortazione Apostolica Nobis in animo, con la quale nel 1974 istituì la Colletta, afferma: «La Chiesa di Gerusalemme [...] occupa un posto di predilezione nella sollecitudine della Santa Sede e nelle preoccupazioni di tutto il mondo cristiano, mentre l’interesse per i Luoghi Santi, ed in particolare per la città di Gerusalemme, emerge anche nei più alti consessi delle Nazioni e nelle maggiori Organizzazioni internazionali [...]. Tale attenzione è oggi maggiormente richiesta dai gravi problemi di ordine religioso, politico e sociale ivi esistenti [...]».
Ancora oggi il Medio oriente assiste ad un processo che ha lacerato i rapporti tra i popoli della regione, creando una situazione di ingiustizia tale che sperare la pace diventa quasi temerario. A Bari, lo scorso 7 luglio, all’inizio della preghiera del Santo Padre con i Capi delle Chiese orientali del Medio oriente, sono risuonate queste parole: «Su questa splendida regione si è addensata, specialmente negli ultimi anni, una fitta coltre di tenebre: guerra, violenza e distruzione, occupazioni e forme di fondamentalismo, migrazioni forzate e abbandono, il tutto nel silenzio di tanti e con la complicità di molti. Il Medio oriente è divenuto terra di gente che lascia la propria terra. E c’è il rischio che la presenza di nostri fratelli e sorelle nella fede sia cancellata, deturpando il volto stesso della regione, perché un Medio oriente senza cristiani non sarebbe Medio oriente».
La Chiesa, come ricorda san Paolo VInella Nobis in animo, da tempo non è rimasta a guardare: «Dalla seconda metà del secolo scorso vi fu un importante aumento di opere pastorali, sociali, caritative, culturali, a beneficio della popolazione locale senza distinzioni e delle comunità ecclesiali in Terra Santa [...]. Affinché la presenza cristiana bimillenaria nella sua origine e nella sua permanenza in Palestina, possa sopravvivere ed anzi consolidare la propria presenza in maniera attiva ed operare al servizio delle altre comunità con cui deve convivere, è necessario che i cristiani di tutto il mondo si mostrino generosi, facendo affluire alla Chiesa di Gerusalemme la carità delle loro preghiere, il calore della loro comprensione ed il segno tangibile della loro solidarietà».
Nell’ultimo periodo, assistiamo con speranza ad una certa ripresa dei pellegrinaggi, toccando con mano la gioia della fede di tanti fedeli che giungono in Terra Santa sempre più numerosi dalla Cina, dall’India, dall’Indonesia, dalle Filippine e dallo Sri-Lanka: come non pensare al compimento della profezia evangelica «verranno da Oriente e da Occidente, dal Settentrione e dal Mezzogiorno e siederanno a mensa nel Regno di Dio»? Tale vitalità apostolica è un segno grande per le comunità locali, e interpella quelle dell’Occidente talora tentate di scoraggiamento e rassegnazione nel vivere e testimoniare la fede nel quotidiano.
A lei, ai sacerdoti, ai religiosi e ai fedeli, che si adoperano per la buona riuscita della Colletta, in fedeltà ad un’opera che la Chiesa richiede di compiere a tutti i suoi figli secondo le modalità note, ho la gioia di trasmettere la viva riconoscenza del Santo Padre Francesco. E mentre invoco copiose benedizioni divine su questa Diocesi, porgo il più fraterno saluto nel Signore Gesù.
mercoledì 3 aprile 2019
Pellegrinaggio di OraproSiria in Libano
Per prepararci, riportiamo una bella riflessione di fra Ielpo che illumina il significato del Pellegrinaggio, certi che sarà un aiuto a noi e a tutti coloro che si recano a pregare presso un Luogo Santo.
A tutti i nostri amici assicuriamo la nostra preghiera sotto il manto di Maria e di san Charbel.
«Fu visto e vide»
di fra Francesco Ielpo ofm | marzo-aprile 2019
La conversione non nasce dalla paura di un castigo o da uno sforzo morale. Avviene quando ci scopriamo amati gratuitamente dallo sguardo misericordioso di Gesù su di noi.
Il pellegrinaggio in genere – e quello in Terra Santa in particolare – ha sempre avuto una forte connotazione penitenziale.
Ci si metteva in cammino per espiare le proprie colpe e in alcuni casi poteva essere persino sostitutivo della pena carceraria per chi aveva commesso dei reati. L’idea di penitenza, intesa come sofferenza, privazioni e disagi, era implicita nelle motivazioni di molti pellegrini medievali. Le difficoltà del viaggio, le tribolazioni sopportate, nonché i pericoli, costituivano un mezzo per espiare i propri peccati.
Ricordo che quando fui nominato Commissario di Terra Santa mi recai a Roma per un corso di formazione specifico. Un giorno, prendendo l’ascensore del grande collegio internazionale francescano dell’Antonianum, mi trovai in cabina con un frate a me sconosciuto che guardandomi dall’alto della sua statura mi domandò: «E tu chi sei?». Dopo aver risposto con il mio nome, il motivo per cui mi trovavo a Roma e l’incarico che mi era appena stato affidato, il frate con aria molto seria aggiunse: «Questa è l’ultima occasione che Dio ti dà per convertirti». Sinceramente spero che non sia l’ultima occasione, ma rimane pur vero che la Terra Santa costituisce una grande opportunità di conversione.
Oggi, forse, questo aspetto del pellegrinaggio rischia di passare in secondo piano. Si parte per la Terra Santa con il desiderio di vedere i luoghi e di ripercorrere la geografia sacra senza affrontare, in tutta onestà, grandi sacrifici o penitenze. Ma è possibile, tra le tante comodità che le moderne forme di viaggio consentono, recuperare la dimensione fondamentale del pellegrinaggio come «cammino di conversione»? A partire dalla mia personale esperienza intravedo una positiva risposta nella figura di Zaccheo.
Nel venire a sapere che Gesù passava da Gerico, quest’uomo basso di statura e peccatore pubblico, desiderando vedere Gesù si ingegna per superare le difficoltà oggettive e sale su una pianta di sicomoro.
Voleva vedere Gesù, ma, come ricorda sant’Agostino, «fu visto e vide; ma se non fosse stato veduto, non avrebbe visto».
Nell’esperienza giudaica tre volte all’anno tutti gli ebrei maschi dovevano compiere la «salita a Gerusalemme» (’aliyah) «non solo per vedere Dio, ma anche per essere visti dal Signore» (F. Manns, Terra Santa sacramento della fede, Edizioni Terra Santa 2015). In Terra Santa, ancora oggi, si può fare l’esperienza «graziosa» di uno sguardo amorevole che si posa sulla nostra vita.
Qualche anno fa, a causa dell’annullamento di un precedente viaggio in un Paese esotico, un uomo si era iscritto all’ultimo momento a un pellegrinaggio organizzato dal Commissariato, perché desideroso di visitare luoghi mediorientali. Erano quarant’anni che non metteva piede in una chiesa, dal giorno delle nozze, e aveva vissuto, pur comportandosi bene e in maniera onesta, come se Dio non esistesse.
Dopo qualche giorno di cammino si avvicinò chiedendomi un colloquio personale. Non sapeva perché, ma luogo dopo luogo, santuario dopo santuario, cresceva in lui un desiderio grande di comunicarsi e mi confidava che non poteva farlo perché convinto di non potersi confessare né ricevere l’assoluzione.
Nello scoprire che poteva ricevere il perdono di Dio non riuscì a trattenere la commozione e le lacrime. Lo stesso avvenne il giorno seguente durante la santa Messa al memoriale di san Pietro a Cafarnao, dove ricevette la comunione. Nel luogo dove Gesù aveva promesso il pane vero, quello disceso dal Cielo che dà la vita eterna, quell’uomo si è sentito dire, al pari di Zaccheo, «oggi devo fermarmi a casa tua» (Luca 19, 5) e lo ha accolto pieno di gioia nell’Eucaristia. La conversione non nasce dalla paura di un castigo né da uno sforzo morale. Il cambiamento del nostro cuore avviene sempre quando ci scopriamo amati gratuitamente, quando lo sguardo misericordioso di Gesù si posa sulla nostra vita... Allora, e solo allora, la conversione, cioè il cambiamento di vita («Ecco Signore, io do la metà dei miei beni ai poveri e, se ho rubato a qualcuno, restituisco quattro volte tanto»), ne scaturisce come conseguenza.
Ancora oggi possiamo recuperare nel pellegrinaggio il «cammino di conversione» di cui tutti abbiamo bisogno, senza necessariamente indossare l’abito del penitente e affrontare particolari disagi. Partiamo, dunque, con il desiderio di vedere, ma anche di essere visti dal Signore. Docili allo Spirito scopriremo che Gesù ci guarda, ci parla e ci ama attraverso i Luoghi Santi, nella Parola, nella preghiera, negli incontri con le «pietre vive» e attraverso il volto di coloro che camminano con noi.
http://www.terrasanta.net/tsx/lang/it/p11479/Fu-visto-e-vide
http://www.terrasanta.net/tsx/lang/it/p11479/Fu-visto-e-vide
martedì 2 aprile 2019
Quando gli americani definirono Daesh un "vantaggio strategico": la Guerra delle Ombre in Siria
di Ian Hamel
trad. Gb.P. OraproSiria
Gli
Stati Uniti e l'Europa non hanno sempre considerato Daesh un nemico.
Al contrario, l'hanno ampiamente finanziato e armato, dice il
giornalista indipendente Maxime Chaix ne "La guerra dell'ombra
in Siria" , frutto di cinque anni di ricerche.
Maxime
Chaix, traduttore di diversi libri del canadese Peter Dale Scott,
autore di «The American War Machine»), non è affatto un
complottista. A partire da fonti aperte, egli racconta che gli
americani e i sauditi, nella loro ossessione di voler abbattere
rapidamente Bashar al-Assad, hanno ampiamente aiutato i jihadisti in
Siria già dal 2011. Per ingannare l'opinione pubblica, hanno
battezzato «ribelli moderati» il Fronte al-Nusra, il ramo siriano
di al-Qaeda. Daesh nacque nel 2013 da una scissione del Fronte
al-Nusra. Fu solo molto più tardi, consci di aver favorito un
mostro, che gli Occidentali dichiararono guerra allo Stato islamico,
proclamato da Abu Bakr al-Baghdadi.
L'11
febbraio 2015, l'ex comandante della NATO, il generale Wesley Clark,
spiega tranquillamente alla CNN, e quindi a milioni di
telespettatori, che «Daesh [è stato] creato attraverso il
finanziamento dei nostri amici e alleati [in Medio Oriente], perché
ti diranno che se vuoi uomini che combattano Hezbollah [sciita] fino
alla morte, non pubblicherai un manifesto di reclutamento del genere
... "Unisciti ai nostri ranghi, costruiremo un mondo migliore",
preferirai piuttosto sostenere [in segreto] questi fanatici
religiosi, questi fondamentalisti [sunniti]».
Un
miliardo di dollari all'anno
Nell'ottobre
2011, Barack Obama autorizza David Petraeus, il direttore della CIA,
a lanciare una guerra segreta in Siria, chiamata Timber Sycamore ,
coinvolgendo altri quindici servizi speciali, tra cui servizi
europei, in particolare inglesi e francesi. «Nel corso degli anni,
questa campagna è cresciuta a tal punto che il Washington Post l'ha descritta nel giugno 2015 come "una delle più grandi operazioni
clandestine" nella storia della CIA, con un finanziamento quasi
pari a un miliardo di dollari l'anno» scrive Maxime Chaix, le cui
informazioni sono tutte corroborate da una moltitudine di note a piè
di pagina.
Un'enorme
rete di rifornimenti di armi destinate ai ribelli viene così creata
da David Petraeus e poi dal suo successore a capo della CIA, John
Brennan, "in coordinamento con i loro alleati turchi,
petromonarchie, europei e israeliani". Il che fa affermare a
Christopher Davidson, che ha condotto ricerche su Timber Sycamore ,
nel suo libro "Shadow Wars", che «Daesh non era
considerato un nemico dall'ufficio di Obama e dai suoi principali
partner, ma come un turbolento "vantaggio strategico"».
Al
Qaeda ha fatto «un buon lavoro»
«La
guerra dell'ombra in Siria» non risparmia neanche le grandi potenze
europee. Il libro riporta che i servizi britannici dalla loro base
militare a Cipro controllano i movimenti delle truppe siriane e ne
informano i ribelli. Quanto a Laurent Fabius, allora Ministro degli
Affari Esteri, non esita a dichiarare che il Fronte Al-Nusra fa «un
buon lavoro». E si tratta del ramo di al-Qaeda nel Levante! La
scissione tra Al-Nusra e Daesh ha avuto luogo nella primavera del
2013. Il fronte di Al-Nusra è stato ribattezzato Jabbat Fateh
al-Sham nel luglio 2016, e Hayat Tahrir al-Sham nel gennaio 2017.
Nel
dicembre 2015, il deputato di LR Alain Marsaud, ex giudice
antiterrorismo, intervistato in questo libro, ricorda di aver avuto
«l'opportunità di mostrare all'Assemblea Nazionale le foto di
combattenti di Al-Nusra in possesso di fucili d'assalto francesi».
Quanto al deputato socialista Gerard Bapt, riconosce che gli aiuti
francesi ai ribelli in questo paese «e più in generale il sostegno
occidentale a loro favore, sono continuati anche dopo gli attentati
contro Charlie Hebdo e l'Hyper Kosher, benchè rivendicati da
al-Qaeda».
«La
guerra delle ombre in Siria» è tanto più intrigante perché il suo
autore non risparmia il regime siriano. Ricorda che Bashar al-Assad
ha anch'egli un'innegabile responsabilità nella crescita
dell'islamismo in Medio Oriente «specialmente dopo l'invasione
dell'Iraq condotta dagli Stati Uniti nel 2003». Maxime Chaix ricorda
anche che in un'altra epoca la CIA ha subappaltato ai suoi partner
siriani la detenzione extragiudiziale e la tortura dei sospetti
jihadisti dopo averli rapiti illegalmente.
(*)
Maxime Chaix, «La guerre de l’ombre en Syrie. Cia, pétrodollars
et djihad» , Eric Bonnier Editions, febbraio 2019.
domenica 31 marzo 2019
Padre Frans, ucciso cinque anni fa in Siria, potrebbe essere beatificato
Gesuita
e siriano, padre Ziad Hilal pubblica un libro sulla sua vita durante
questi otto anni di guerra: Homs,
l'ostinata speranza (1).
https://www.la-croix.com/Religion/Catholicisme/Monde/Le-pere-Frans-assassine-cinq-ans-Syrie-pourrait-etre-beatifie-2019-03-27-1201011628
In
questo libro, che concorre al premio di L' Œuvre
d’Orient ,
rende omaggio alle numerose vittime siriane, così come a padre Frans
Van der Lugt, assassinato a Homs il 7 aprile 2014.
di
Anne-Bénédicte Hoffner
La
Croix , 27/03/2019
trad: OraproSiria
La
Croix: Perché intitolare il suo libro dedicato alla vita di tutti i
giorni durante la guerra in Siria, sulla speranza?
Padre
Ziad Hilal: Se
noi stessi non abbiamo potuto vederne il frutto, speriamo che il
lavoro che abbiamo già avviato sull'educazione alla pace e alla
riconciliazione, alla purificazione della memoria, permetta alle
nuove generazioni di vivere cose belle. Era già la preghiera
del salmista: "Mostra la tua opera ai tuoi servi, il tuo
splendore sia sui loro figli! Conferma l'opera delle nostre
mani "(Sal 89). È fondamentale mettere questa speranza per
la Siria al centro di ciò che stiamo facendo.
Come
scrivere di questo orribile conflitto che sconvolge il suo paese da
otto lunghi anni?
ZH: Ognuno
dei trenta capitoli racconta una storia che ho vissuto con
altri. Tutto il mio lavoro per questo libro è cercare di
rintracciare ciò che la stampa non può mostrare, per descrivere ciò
che noi - gesuiti, cristiani, musulmani siriani di Homs - abbiamo
vissuto durante l'assedio della città e durante la guerra .
Descrivo
la realtà: le nostre sofferenze, le nostre gioie, il nostro
isolamento, come mangiavamo, il modo in cui cercavamo l'acqua,
l'energia elettrica, e anche come noi cerchiamo fin dall'inizio della
guerra di rispondere sia all'emergenza umanitaria che all'immenso
bisogno di educazione. Mostro il ruolo e la forza della Chiesa,
le Chiese cristiane, per aiutare il popolo siriano. Non vogliamo
che la nuova generazione sia una generazione di guerra ma una
generazione di pace: per questo, ora dobbiamo combattere il
fondamentalismo religioso e l'incitamento all'odio.
Il
7 aprile, saranno passati cinque anni da quando il vostro
confratello, il gesuita Frans Van der Lugt, fu assassinato nel
giardino della comunità di Homs. Che ruolo ha giocato durante
questa crisi?
ZH: Padre
Frans era profondamente un uomo di pace e riconciliazione. È
grazie a lui che la nostra casa ha ospitato famiglie cristiane e
musulmane, illustrando l'unità del paese. Riuscì a
trasformarlo in una sorta di oasi fiorita in un mondo di violenza e
distruzione.
Come
sacerdote e psicoanalista, ha ascoltato le persone come persone, con
la preoccupazione di aiutarle a superare i traumi della
guerra. Quando fu assassinato, ci furono reazioni da parte di
tutta la società civile siriana. È molto raro che musulmani,
cattolici e cristiani ortodossi si trovino attorno alla stessa
figura: questo è stato il suo caso. È un martire non solo
cristiano ma siriano!
In
che modo la Compagnia di Gesù celebrerà la sua eredità?
ZH: All'inizio
di aprile, una piccola delegazione tra cui il Padre Generale, padre
Arturo Sosa, il suo assistente generale che era il nostro provinciale
in Siria quando il padre Frans fu assassinato, e il postulatore della
sua causa di beatificazione, Don Pascual Cebollada se recherà a
Homs. Secondo le regole della Chiesa, è necessario attendere
cinque anni dopo la morte di una persona prima di presentare la sua
causa: è ora di iniziare.
Da
parte mia, io sarò in Germania con i rifugiati siriani di tutte le
religioni che desiderano anch'essi rendere omaggio al padre
Frans. Vogliono organizzare un'escursione di due giorni nella
natura, come quelle che il padre Frans aveva l'abitudine di
organizzare con loro per scoprire il paese e favorire l'unità fra le
comunità. Celebreremo anche la Messa, in comunione con i nostri
fratelli di Homs.
Come
ha accolto la notizia della caduta dello Stato islamico a Baghouz,
nel nord della Siria? È questa la fine del conflitto?
ZH: Siamo
un po' più tranquilli dopo la sconfitta di Daech: il gruppo di
fanatici che voleva imporre il suo modo di vivere, di vestirsi, di
mangiare a tutta la popolazione siriana ha provocato il
caos. Dividere il mondo in credenti e infedeli, questo è il
metodo di Daech, ed è anche il nostro incubo in Siria.
Ma
sappiamo anche che la sconfitta militare non fa sparire questa idea
nelle menti delle persone. Le persone che ne facevano parte,
così come quelle che sono vicine ad Al Qaeda, continuano a pensare
che quelli che non la pensano come loro non meritano di vivere. Il
lavoro rimane immenso!
Per
quanto riguarda padre Paolo Dall'Oglio e gli altri ostaggi, non ho
notizie e questo mi preoccupa. Ora la faccenda è nelle mani di
curdi e americani.
(1) Homs,
l’espérance obstinée.
Avec François-Xavier Maigre, préface de Mgr Pascal Gollnisch.
Bayard, 301 p., 17,90 €
https://www.la-croix.com/Religion/Catholicisme/Monde/Le-pere-Frans-assassine-cinq-ans-Syrie-pourrait-etre-beatifie-2019-03-27-1201011628
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