da IL FOGLIO del 6 aprile 2016 riprendiamo la riflessione di padre Samir
Khalil Samir : "L’Europa è
stata troppo tollerante con la radicalizzazione che cresceva nelle
sue città. E’ banale dire che il fondamentalismo è causato dalla
disoccupazione...."
Vorrei
partire da un dato di fatto, come premessa. Siamo in presenza di un
fenomeno sociologico “normale”: le città sono già occupate.
Trovare un posto nel cuore dei grandi agglomerati urbani è difficile
per chiunque, se non è già installato lì. Man mano che arrivano,
gli immigrati vanno a stabilirsi attorno alla città e la conseguenza
più banale è che si formano dei quartieri abitati solo da
immigrati: cercano una casa dove hanno un parente, un amico, una
persona del proprio luogo. Così si costituiscono, ovunque nel mondo,
dei quartieri che sono contraddistinti da una certa prevalenza
culturale. Può essere un quartiere di spagnoli, di italiani. Negli
ultimi tempi, l’emigrazione massiccia – e la più diffusa – è
quella che ha come luogo d’origine i paesi musulmani.
Il problema è che questi sono oggi più di 16 milioni nell’Unione
europea, secondo l’Istituto centrale tedesco degli archivi
sull’islam (Zentralinstitut Islam Archiv Deutschland). Ecco perché
esistono molti quartieri massicciamente musulmani. Ecco perché dico
che è un fenomeno culturale. Questo è un primo fatto, sociologico.
Poi
però, c’è un secondo problema. Dobbiamo capire che l’islam non
è una religione nel senso cristiano della parola. Almeno, non è
solo questo. Per noi, la religione è un rapporto personale tra me e
Dio, con annesso qualche legame religioso spirituale con altre
persone. Nel sistema islamico, la religione è tutto. E’ un
progetto globale: spirituale, sociale, intellettuale, familistico,
economico, politico, militare; include il modo di mangiare, di
vestirsi, di stare con gli altri, di vivere. L’islam entra in ogni
cosa. Non c’è un campo che sia esterno all’islam. Pensiamo al
modo di relazionarsi agli altri: se parlo con un uomo o con una
donna, è l’islam a deciderlo. Se frequento uno straniero, prima mi
assicuro che lui sia credente e musulmano. L’islam penetra in
tutto. Le scelte sociali, politiche, commerciali sono fatte a partire
dall’islam. La religione penetra ogni aspetto.
Dunque è
normale che, trovandosi tutti assieme, man mano la libertà personale
venga a essere limitata, perché ci saranno sempre persone –
diciamo “specialisti” (imam o semplicemente persone che
pretendono di aver studiato l’islam) – che verranno a dire “tu
ti comporti male, devi agire così”. C’è una propaganda che
porta a dire che un determinato quartiere deve essere gestito in modo
islamico. Si pensi, poi, che c’è anche un modo “islamico” di
vendere e comprare le cose. La conseguenza di questo sistema è che,
con l’andare del tempo, si creano delle unità a se stanti, isole
dove è più facile indottrinare la gente.
Inoltre,
negli ultimi tempi, la tendenza – che esiste da decenni nel mondo
islamico, almeno dagli anni Sessanta – è quella di una diffusione
di una visione dell’islam sempre più integralista,
fondamentalista, collettiva; una visione della vita che si impone
lentamente alla maggioranza. E’ il sistema wahhabita o salafita, o
dei Fratelli musulmani. Tutti vanno nella stessa linea, e cioè di
imporre un modo di essere musulmano. E questo determina che un
quartiere, una città o un paese intero divenga sempre più diretto
da questo gruppuscolo che ha un progetto chiaro e determinato, nonché
spesso finanziato dai ricchi paesi petroliferi. Al centro di questa
isola si metterà la moschea.
Si dirà: “Ci sono tante chiese e noi non abbiamo neanche un
piccolo luogo di preghiera”. Si faranno pressioni sui comuni
cittadini, per dire “rispettateci”. Allora, o l’amministrazione
pubblica dice “va bene, vi regaliamo quel terreno”, oppure loro
lo acquisteranno, aiutati dai paesi petroliferi.
Costruiranno
allora un piccolo centro, che pretenderebbe di essere solo per la
preghiera, ma che subito vedrà sorgere librerie con volumi fatti a
mero scopo propagandistico. Nascono così i centri islamici.
Il fatto
è che gli europei pensano che una moschea sia come una chiesa. Ma
nella chiesa si prega, non si fa politica. Forse, una volta se ne
faceva un po’, ma oggi chi va in chiesa lo fa per pregare. Nella
moschea no. Il discorso ufficiale durante la preghiera del venerdì è
solo in parte religioso. La parte preponderante, invece, è
socio-politica. Questo è il sistema stabilito e chi lo pratica fa
bene, è un buon musulmano e un buon imam.
La
Francia “laicarda”
In
Francia, i comuni hanno il diritto di concedere un terreno o una
costruzione per 99 anni in cambio di 1 euro simbolico: è ciò che si
chiama un bail emphytéotique. Questo sistema risale a una decisione
di secoli fa, ma ora è divenuto il metodo più diffuso in Francia
per dare ai musulmani un terreno per costruire una moschea. E questo
perché il diritto che lo permette risale al diritto romano, benché
esso sia molto cambiato nel frattempo. Le comunità si presentano
dicendo: noi siamo poveri, non abbiamo luoghi decenti per pregare,
mentre i cristiani hanno da secoli delle chiese, e noi non abbiamo
niente. Allora dateci questo, visto che la legge vi autorizza a
farlo. La conseguenza? I comuni e i governi si lasciano convincere da
tali motivazioni e regalano il terreno. Solo dopo, quando ormai è
troppo tardi, si scopre che lì si fa propaganda
islamista, jihadista,
e si crea così un quartiere islamico, dove la polizia non ha sempre
la possibilità di accedere.
La Francia è
sempre più non solo laica, ma (come si dice in francese) laicarda.
Ha cioè un progetto laico, che è in realtà anti religioso e anti
cristiano. Anzi, essenzialmente anti cattolico. Basta vedere
l’atteggiamento dell’attuale Primo ministro Manuel Valls, e
quello di Vincent Peillon (ex ministro dell’Istruzione) che diceva
in televisione “dobbiamo uccidere la chiesa cattolica”. Per lui,
“non si potrà mai creare un paese di libertà con la chiesa
cattolica” . Ma la chiesa non ha mai usato, nella nostra epoca,
mezzi politici e illegali. La chiesa dice la sua, come ogni uomo ha
il diritto di fare. Non ha possibilità concrete di fare pressione
sulla gente. La prova è che ogni anno ci sono sempre meno persone
che si dichiarano cristiane. Ma Valls e Peillon ritengono che il
cristianesimo ha un influsso troppo forte. Al contempo, il governo
francese ha bisogno di voti e cerca i musulmani, dando loro piccoli o
grandi vantaggi in cambio di consenso.
Penso
alla preghiera musulmana del venerdì, fatta per strada: è
inammissibile, qualunque sia il motivo. Se voglio utilizzare il luogo
pubblico (la strada) per un atto religioso, anche io cattolico devo
chiedere il permesso. Penso a un caso eccezionale, la processione per
la festa del Corpus Domini: non si può fare senza prima ottenere il
via libera dlle autorità, non si può decidere di scendere
liberamente in strada. Se non c’è il permesso, lo Stato ha il
diritto di impedire che si blocchi la strada. Invece, ogni settimana,
ogni venerdì, lo si fa. Con il pretesto che – dicono – non hanno
moschee o che le moschee sono troppo piccole. Io l’ho visto
a Parigi:
fanno venire i musulmani dalle periferie nel centro della città per
dire “vedete, le moschee sono troppo anguste”. C’è una sorta
di ricatto, uno scambio: usano tutto a fini politici. Ed è per
questo che l’islam si “arrangia” bene con lo stato.
Anche a
Milano, in viale Jenner, lo rivendicavano come diritto. La verità è
che siamo incoscienti: se si impedisce di occupare le strade, passa
l’idea che si sia anti musulmani. Invece è solo una norma di buon
senso. Gli islamisti, i fondamentalisti islamici usano tutti i mezzi
per imporsi. Poniamoci per un attimo su un piano più profondo,
andiamo a vedere come un quartiere si trasforma in un quartiere più
islamista (non dico islamico). I gruppi radicali hanno come scopo
principale di diffondere la loro visione dell’islam, perché per
loro è quello l’autentico islam, il più veritiero, e quindi va
imposto a tutti i musulmani. Di conseguenza, questi quartieri che un
tempo erano misti, diventano quartieri musulmani radicali, dove i non
musulmani – oppure i musulmani moderati – se ne vanno. Così il
quartiere non è più integrato nella città.
Accoglienza
e falsa tolleranza
Spesso
si critica lo stato accogliente. A mio giudizio, dobbiamo accogliere
lo straniero che si trova in estrema difficoltà (come spesso accade
di questi tempi). Ma dobbiamo anche aiutarlo a integrarsi realmente.
Lo stato deve spiegare agli immigrati che ci sono delle condizioni
necessarie da rispettare, prima fra tutte la necessità d’imparare
la lingua nazionale. Si dovrebbe spiegare che non si può rimanere
qui, in Europa, se non ci si comporta non solo conformemente alle
nostre leggi, ma anche in secondo le norme e le usanze delle nostre
società. Ma cosa significa “integrare”? Significa far sì
che l’altro sia uno di noi. Perché se l’altro non si integra,
per esempio con la lingua, avrà difficoltà a trovare anche
determinate occupazioni. C’è troppa falsa “tolleranza”
e disorganizzazione, mancanza di riflessione su ciò che significa
“accogliere”. E’ un compito molto delicato e impegnativo. Ma si
deve aggiungere che, se i flussi migratori rappresentano un peso per
lo stato e per le comunità, si deve riconoscere anche che l’Europa,
con la sua demografia estremamente bassa, ha bisogno anche di loro,
persone dal valore umano indispensabile a questo continente.
E’ banale
ricondurre l’ondata integralista nelle banlieue a problemi
socio-economici. Riflettiamo sulla disoccupazione: sono disoccupati
perché non hanno imparato un mestiere in modo corretto, in modo da
essere ricercati e non rigettati. L’ho notato in Francia: i ragazzi
di questi quartieri, anziché studiare, facevano chiasso per le
strade, andando in giro per gruppi alla sera, anzichè studiare. La
gente, anche musulmana, aveva paura. Invece le ragazze erano a casa,
facendo i compiti, lavorando. Personalmente l’ho constatato nella
banlieue di Parigi, dove andavo ogni sabato sera a riflettere con una
ventina di giovani musulmani: che tutte le ragazze avevano un lavoro.
I ragazzi invece molto di meno, con anche poche possibilità di avere
un buon lavoro. Perché non erano stati seri a scuola. Perché il
ragazzo è libero, mentre la ragazza è controllata, e questo è un
principio islamico. C’è la volontà di marginalizzarsi.
Bisogna
confrontarsi con un fatto chiaro: l’europeo (generalmente di
tradizione, se non di fede, cristiana) è diverso dal musulmano nella
sua mentalità. La causa di ciò non è lo Stato: la causa sono io,
giovane musulmano che rifiuta l’integrazione in nome della fede.
Ecco perché le famiglie dovrebbero aiutare in questo senso,
favorendo l’integrazione; dire “voi siete responsabili di voi
stessi, ma per questo dovete integrarvi a tutti i livelli”, non
andando a intaccare la fede musulmana, ben radicata nel profondo del
cuore e nei comportamenti.
Molenbeek
spiega le bombe di Bruxelles
Quanto
avvenuto a Bruxelles non è una sorpresa. Nel quartiere di Molenbeek,
ma non solo in questo, io ho visto scene con uomini che dicevano alla
polizia: “Che venite a fare qui? Questo non è campo vostro”. E
la polizia, trovandosi in tali situazioni, preferivano andarsene.
Uomini che, pure non intenzionati a fare uso della forza, avevano un
aspetto intimidatorio. Non si deve accettare nessuna eccezione, mai:
sia italiano da mille anni o da un anno. Ci sono delle norme, e
devono essere rispettate. I tedeschi hanno un’espressione molto
bella e sempre applicata: Ordnung muss sein!, cioè “l’ordine
deve esistere, tutto deve essere fatto secondo l’ordine previsto!”.
Per questo sono più avanzati in questo campo. In Germania non ho mai
visto, in trent’anni, un gruppo di musulmani come ho visto a
Birmingham o a Parigi, che vanno in giro a fare pressione sulla
popolazione musulmana. In Germania hanno infatti imparato che ognuno
può ottenere diritti solo se rispetta le norme comuni del paese dove
vive e che ha scelto per se stesso.
Samir
Khalil Samir S.I. è un islamologo gesuita, docente al Pontificio
Istituto Orientale di Roma. Già Pro rettore dell’istituto, è
stato anche consigliere di Benedetto XVI riguardo i rapporti con
l’islam.