(traduzione di Gb.P. OraproSiria)
di SAMIR ANTAKI
Hagob
è un vecchio amico, anche se ha qualche anno più di me, forse ha
l'età di mio padre o anche più vecchio, ma non importa perché dopo
i quarant'anni noi abbiamo tutti la stessa età, soprattutto se
abbiamo le stesse idee e principi.
Hagob
viene a trovarmi in ambulatorio una volta all'anno per l'esame
annuale di controllo agli occhi, in più egli accompagna i propri
figli e nipoti e chiunque dei suoi amici più stretti che dicano "il
mio occhio" non ci mette molto a portarmeli, poichè è molto
orgoglioso del suo medico e della sua amicizia. Fortunatamente, molte
delle sue visite hanno avuto buon esito.
Eravamo
così vicini l'uno all'altro che lui veniva sempre in mio aiuto
quando avevo problemi con i miei strumenti in ambulatorio o in
ospedale, e lui era sempre lì quando la mia macchina si guastava o
quando avevo problemi di elettricità, o qualsiasi altro problema. Ci
siamo aiutati a vicenda, ciascuno nel proprio campo.
Hagob
non aveva una grande istruzione perché non aveva avuto la
possibilità di andare a scuola, ma sebbene fosse incolto aveva
un'intelligenza e una sapienza senza pari; inoltre aveva tanto buon
senso e una logica tali da rendere geloso un laureato ...
Hagob
era arrivato ad Aleppo nel 1915 con i sopravvissuti ai massacri
barbari e disumani perpetrati contro il suo popolo, gli Armeni, e
contro i Siro-Caldei, i Greci e altre minoranze cristiane da parte
degli Ottomani. Lui di appena tre anni, sua madre e sua sorella
maggiore di due anni, facevano parte del gruppo di sopravvissuti che
riuscirono a raggiungere Aleppo dopo una lunga e dolorosa marcia
forzata attraverso il deserto e le steppe della Siria, che durò
settimane; mentre per strada morirono suo padre, suo fratello
maggiore e i suoi tre zii.
Al
loro arrivo ad Aleppo furono alloggiati, come la maggior parte dei
rifugiati, in accampamenti di fortuna, con baracche di legno e tetto
in tela cerata, senza servizi igienici. Sua madre, che in casa era
regina, per sovvenire ai loro bisogni fu costretta a lavorare come
baby sitter e cuoca in casa di una ricca famiglia Aleppina.
Ella
riuscì grazie al suo coraggio e determinazione a prendersi cura dei
suoi due figli e migliorare la qualità della loro vita. All'età di
dieci anni, sua madre gli trovò un lavoro in un laboratorio
meccanico dove egli lavorava giorno e notte in condizioni difficili
per un misero salario. Finì per acquisire una grande esperienza e
una destrezza senza pari, tanto che il suo padrone lo promosse capo
del laboratorio.
Un
bel giorno quando aveva appena diciassette anni, sua madre gli disse:
figlio mio, è tempo che tu abbia il tuo negozio; hai sofferto
abbastanza, meriti di diventare il capo di te stesso. Affittarono,
con i pochi soldi messi da parte, una piccola baracca nel quartiere
di Meidan. Hagob riuscì a trovare utensili usati ma in buone
condizioni e ad un ottimo prezzo e iniziò da solo. Dopo anni di
fatica e privazioni e grazie alla sua perizia, al suo coraggio, alla
sua onestà, perseveranza e diligenza, Hagob divenne il proprietario
di diverse officine meccaniche. Si sposò, acquistò una bella casa,
e la cosa più importante di tutte è che divenne padre di quattro
figli che hanno avuto successo, tra cui un medico, un ingegnere, un
musicista, senza dimenticare il maggiore che ha lavorato con lui e
che ha modernizzato i laboratori introducendo nuove tecniche e
strumenti. E il mio amico Hagob è molto orgoglioso di tutto questo.
Un
bel giorno di primavera Hagob venne a trovarmi in ambulatorio e, per
delicatezza, si sistemò con gli altri pazienti nella sala d'aspetto.
Quando arrivò il suo turno, vidi entrare nel mio ufficio Hagob con
un beduino un po' più giovane di lui, vestito in modo tradizionale
con la sua djellaba, la sua abaya e la testa coperta da quella grande
sciarpa tipica nera e bianca. Inoltre aveva tatuati il mento e il
dorso della mano. Dopo il "Salam Alyakom" di rigore e i
convenevoli, Hagob mi presentò il signore che lo accompagnava,
dicendo: ti presento mio fratello Hajj Mohammad Al Rmeylan. Strinsi
calorosamente la mano del signore, poi, rivolgendomi a Hagob, dissi:
è quel Hajj Mohammad che gestisce i terreni agricoli che hai in
Jezireh e che tu consideri come un fratello? Mi ha risposto: ma no,
giuro che è mio fratello, figlio di mio padre e di mia madre.
Gli dissi, mentre invitavo il signore a sedersi sulla poltrona per
l'esame: vediamo dunque, basta scherzi Hagob. Ma proprio quando fu
faccia a faccia con me mi accorsi che aveva gli stessi occhi di Hagob
e il naso così tipico di molti Armeni. Lì per lì non capivo più
niente, allora ho chiesto a Hagob di sedersi e raccontarmi tutto.
Bene,
dal momento che insisti, dottore, ecco la mia storia: "Quando
avevo quarant'anni, mia madre, che era invecchiata ed era molto
malata, mi ha chiamato al suo capezzale per confidarmi un grande
segreto. Mi disse: trentasette anni fa, quando fummo espulsi dalla
Turchia e durante la marcia della vergogna attraverso il deserto
siriano, sotto un sole infuocato durante il giorno e il freddo del
deserto di notte, avevamo per nutrirci solo delle erbe e radici di
piante così rare in quell' angolo di mondo e appena qualche goccia
d'acqua sporca per saziare la nostra sete. Uno di quei giorni, ci
strapparono tuo padre e uno dei soldati lo decapitò ridendone con i
suoi amici, un altro spinse tuo fratello maggiore Hovsep e tuo zio
Dikran in un burrone, come fecero con molti altri. Ai soldati piaceva
inventare ogni giorno un nuovo metodo di tortura, al punto che
sventravano le donne in gravidanza con baionette per gettare poi il
feto in aria divertendosi a sparargli, questo è quello che è
successo alla povera Syranouche nostra vicina. Mentre per lo stupro,
non parliamone, era cosa normale. Che scene di orrore, figlio mio!
Tu, che all'epoca avevi tre anni, hai urlato notte e giorno come un
animale braccato ogni volta che uno di questi criminali mi si
avvicinava per picchiarmi con un calcio o un bastone, per farmi
alzare e continuare a camminare con Wannès tuo fratellino, di appena
tre mesi, tra le braccia.
Un
giorno le forze mi lasciarono, il latte nel mio seno divenne
pochissimo, Wannès non aveva la forza di reagire, bruciava di
febbre, gli occhi sbarrati: sentivo che stava per morire. Mi sedetti
per terra pregando e implorando Dio e il cielo, piangendo con le
poche lacrime che mi erano rimaste. All'improvviso tre beduini
fecero la loro apparizione, uno di loro mi diede una borraccia e
disse: bevi, sembri inaridita, poi ha dato un sorso a te e tua
sorella Azniv. Poi tirò fuori dalla sua borsa un pezzo di pane che
mi offrì, dicendo: che disgrazia! Come osano fare ciò che è contro
i libri di Dio. Poi mi chiese: dov'è il tuo uomo? Risposi: l'hanno
decapitato. Rimasero in silenzio. Alzandosi, mi disse: vieni con noi
con i tuoi figli, sarai al sicuro nella mia casa, mia moglie Fatme si
prenderà cura di voi mentre recuperate un po' di forza. Non aveva
finito la frase, che uno dei soldati che aveva osservato la scena si
avvicinò e impose ai tre beduini di andarsene rapidamente, puntando
il fucile contro di loro. Non appena si voltò, lasciai Wannès per
terra e dissi: almeno portate il mio neonato con voi, se ha la
possibilità di vivere è meglio, se no offritegli una decente
sepoltura. Il beduino mi disse: lascialo a terra e alzati per seguire
gli altri; i soldati non se ne accorgeranno, e appena te ne sarai
andata lo prenderemo e ti promettiamo di fare del nostro meglio. Poi
urlò ad alta voce mentre ci eravamo già allontanati: 'siamo della
tribù dei Rmeilan, ricordati di questo nome, povera donna.'
Hagop
continuò il suo racconto singhiozzando, sia lui che Hajj Muhammad:
quel giorno mia madre mi ha detto: "Perché io abbia il cuore e
la coscienza tranquilla prima di lasciare questa terra, sebbene io
sia certa che il mio neonato Wannes è morto, ti prego di andare nel
deserto per trovare la tribù di Rmeilan nella regione in cui furono
uccisi tuo padre e tuo fratello, che è distante due giorni di
cammino da Tall Abyad; se mai la trovassi, chiedi dei tre Beduini che
ho incontrato e cerca le tracce di tuo fratello Wannès. Perché se è
vivo, deve essere tra di loro. Per riconoscerlo lui ha una lunga
cicatrice sul suo dorso che va dalla spalla destra al fianco
sinistro, perché è stato ferito dalla punta della spada, quando
avendolo tra le mie braccia ho cercato di interpormi tra il soldato e
tuo padre.". Così lasciai Aleppo lo stesso giorno per andare
nel nord-est della Siria alla ricerca di mio fratello. Dopo due
settimane di intense ricerche, sono riuscito a trovare Wannès vivo.
Non posso descriverti, dottore, le scene di giubilo che hanno
accompagnato questo ritrovarci, e quello che mi ha sorpreso di più è
stata la grande somiglianza tra noi due. Bisognava vedere le facce
delle sue due mogli e dei suoi dieci figli, non potevano credere ai
loro occhi. Hanno sgozzato diverse pecore in onore di questa riunione
e hanno invitato quasi tutto il loro popolo a una festa più che
regale.
A quel punto Hajj Mohammad parlò, dicendo: quando avevo vent'anni, chiesi a mio padre, Sheikh Machaal, della cicatrice sulla mia schiena. Forse ero un ragazzo turbolento e mi sono fatto male quando sono caduto su una roccia affilata mentre giocavo? Mio padre mi ha detto "beh no, tu sei nato così, tu l'avevi già il giorno in cui ti strappato dalla morte". Poi mi ha raccontato tutta la storia e tutti gli abusi perpetrati contro i miei genitori e la mia comunità da quei selvaggi e tutte le sofferenze patite da mia madre, e mi diceva che non sapeva nemmeno se fosse arrivata ad Aleppo o fosse morta sulla strada. Lo Sceikh Mashaal si riprese e poi mi disse: dal momento che non abbiamo più avuto notizie dei tuoi genitori, ora sei nostro figlio, e sai che ti amiamo altrettanto se non più degli altri. Devi sposarti secondo le leggi di Dio e del suo Profeta. Così mi sono sposato, sono andato con mio padre in pellegrinaggio alla Mecca, e ogni volta che facevo le mie cinque preghiere quotidiane imploravo Allah e il suo Profeta di salvare mia madre e i miei fratelli se fossero ancora vivi, o di concedere loro la pace eterna e il paradiso, se non fossero più di questo mondo.
A quel punto Hajj Mohammad parlò, dicendo: quando avevo vent'anni, chiesi a mio padre, Sheikh Machaal, della cicatrice sulla mia schiena. Forse ero un ragazzo turbolento e mi sono fatto male quando sono caduto su una roccia affilata mentre giocavo? Mio padre mi ha detto "beh no, tu sei nato così, tu l'avevi già il giorno in cui ti strappato dalla morte". Poi mi ha raccontato tutta la storia e tutti gli abusi perpetrati contro i miei genitori e la mia comunità da quei selvaggi e tutte le sofferenze patite da mia madre, e mi diceva che non sapeva nemmeno se fosse arrivata ad Aleppo o fosse morta sulla strada. Lo Sceikh Mashaal si riprese e poi mi disse: dal momento che non abbiamo più avuto notizie dei tuoi genitori, ora sei nostro figlio, e sai che ti amiamo altrettanto se non più degli altri. Devi sposarti secondo le leggi di Dio e del suo Profeta. Così mi sono sposato, sono andato con mio padre in pellegrinaggio alla Mecca, e ogni volta che facevo le mie cinque preghiere quotidiane imploravo Allah e il suo Profeta di salvare mia madre e i miei fratelli se fossero ancora vivi, o di concedere loro la pace eterna e il paradiso, se non fossero più di questo mondo.
Armeni nel deserto siriano nel 1917 |
Hagob
intervenne allora, dicendo: Sai, dottore, ci sono molti bambini
Armeni che sono nella stessa situazione di mio fratello e che sono
stati salvati da morte certa dalle tribù nel deserto siriano. Quale
coraggio, quale nobiltà. Continuò: fortunatamente noi Armeni e gli
altri sopravvissuti a questi massacri, siamo stati ben accolti in
Siria, il che ci ha permesso di risorgere dalle nostre ceneri e
dimostrare ciò di cui siamo capaci! Allora sono intervenuto per
dire: in effetti, gli Armeni sono un vanto per la Siria, con una
quantità di pittori, scultori, musicisti, medici, avvocati,
ingegneri, scrittori, tecnici, gioielleri, meccanici, commercianti,
industriali e uomini d'affari che hanno contribuito all'elevazione
della Siria, e la Siria è fiera di considerarli come cittadini a
pieno titolo.
I
due fratelli replicarono in coro: e noi siamo orgogliosi di essere
Siriani. E
così, ci siamo ritrovati dopo tutti questi anni di lontananza. Ma
sfortunatamente, proseguì Hagob, quando sono tornato con mio
fratello Mohammad ad Aleppo per presentarlo con orgoglio a mia madre,
lei era già morta e sepolta. Ci siamo precipitati nel cimitero
armeno, dove lei riposa in pace su questa terra dell'accogliente
Siria, per raccoglierci sulla sua tomba. Abbiamo pregato insieme, io
in armeno, lui in Arabo e a squarciagola, nella speranza che le
nostre preghiere potessero raggiungere il grande deserto della Siria
dove sono caduti padri, fratelli e zii. Mentre pregavamo,
singhiozzavamo come bambini, mentre le nostre preghiere salivano come
una sinfonia armeno-araba, islamo-cristiana verso il cielo, verso il
solo e unico Dio.
In
seguito, continuò Hajj Mohammad, ci facemmo visita vicendevolmente,
le nostre mogli e i nostri figli approfondirono la loro conoscenza,
ed era meraviglioso ritrovare la mia famiglia e le mie radici. Ma ciò
che mi ha maggiormente addolorato è stato che le circostanze non mi
hanno permesso di baciare le mani di quella santa donna che mi ha
portato in braccio per notti e giorni mentre camminava sulle rotte
dell'esodo prima che la morte strappasse via mio padre ...
Appena
finita la frase, la mia segretaria aprì la porta dello studio medico
per informarsi sul motivo di questa lunga consulta: "Dottore, non ha
ancora completato l'esame di Mohammad? in dieci anni da quando lavoro
con lei questa è la prima volta che impiega tanto tempo con un
paziente. È da più di un'ora che è nel suo studio e i pazienti
nella sala d'attesa stanno diventando impazienti, e sono più di una
quindicina!"
Io
le ho risposto: non ho ancora iniziato la visita; sono solo
all'anamnesi, i suoi sintomi, i suoi antecedenti, la sua storia
familiare, le sue abitudini, le sue allergie ... e la ragione
principale della sua visita. Lei ha ribadito: Ma quali sono questi
sintomi così importanti, che c'è voluto così tanto tempo per
elencarli? Le ho risposto: egli si lamenta delle atrocità che
alcuni popoli si permettono di commettere su altri popoli perché la
loro religione, il loro colore o le loro idee non li soddisfano. Si
lamenta della scomparsa dell'amore da certi cuori, che permette loro
di torturare, uccidere e deportare intere popolazioni. Si lamenta
della secchezza dei suoi occhi per aver versato tante lacrime su una
santa donna che camminava e camminava a piedi scalzi per giorni e
giorni in fuga dalla barbarie della gente. Si lamenta della spada che
ha tagliato la gola di suo padre per la sola ragione che egli era
Armeno e per la cicatrice che questa spada ha lasciato sulla propria
schiena, che resterà per sempre a riprova di questo GENOCIDIO.
Mi rivolsi di nuovo a Hajj Mohammad mentre versava le lacrime che gli erano rimaste e dissi: È di questo che ti lamenti? Ho tolto il fazzoletto dalla tasca e mi sono asciugato anch'io la faccia e gli occhi e ho detto alla segretaria: dammi ancora qualche minuto per terminare la visita, ti prometto che non ci vorrà molto, e scusami con i malati nella sala d'attesa per questo ritardo, dicendo loro che c'è un intero popolo che attende ancora delle scuse, ormai da ottant'anni!
Mi rivolsi di nuovo a Hajj Mohammad mentre versava le lacrime che gli erano rimaste e dissi: È di questo che ti lamenti? Ho tolto il fazzoletto dalla tasca e mi sono asciugato anch'io la faccia e gli occhi e ho detto alla segretaria: dammi ancora qualche minuto per terminare la visita, ti prometto che non ci vorrà molto, e scusami con i malati nella sala d'attesa per questo ritardo, dicendo loro che c'è un intero popolo che attende ancora delle scuse, ormai da ottant'anni!
Sono
già passati più di venti anni dalla pubblicazione di questa storia.
Abbiamo commemorato il centenario di questo GENOCIDIO, il primo del
ventesimo secolo, che ha causato la morte di oltre due milioni di
Armeni, di Assiro-Caldei, di Siriaci, di Greci e altre minoranze
cristiane; e c'è ancora un paese che nega che i suoi antenati lo
abbiano perpetrato.
Dr.
S.A.