SANZIONI UE ALLA SIRIA
Il patriarca Gregorios III Laham chiede
all'Europa un protagonismo diverso: ''Il nostro Paese non ha bisogno di
forniture di armi. La nostra terra è intrisa di sangue. Più armi significa più
morte, più violenza, più emigrazione, più povertà. Abbiamo bisogno che le
diplomazie lavorino per raggiungere la pace''
S.I.R. Martedì 19 Febbraio 2013
L’Unione europea, nella seduta di ieri a Bruxelles, ha rinnovato per tre
mesi il pacchetto di sanzioni contro il regime di Damasco in scadenza il
prossimo 28 febbraio, con l’impegno di “emendare” le misure in modo da “fornire
un maggiore supporto non-letale e assistenza tecnica per la protezione dei
civili”. Nel prolungamento delle sanzioni non c’è l’allentamento sull’embargo
delle armi che era stato ventilato dalla Gran Bretagna, per poter dare un aiuto
diretto all’opposizione. Ipotesi tiepidamente sostenuta dalla Francia, ma
osteggiata dalla maggioranza dei 27.
Sempre ieri, ma a Ginevra, la Commissione Onu sulle violazioni dei diritti umani, di cui è membro l’ex procuratrice federale, Carla Del Ponte, ha presentato un rapporto che punta il dito “sugli individui in posizione di leadership” come responsabili dei crimini. “C’è un bisogno urgente di avere accesso alla Siria” per indagare sulle violazioni dei diritti umani ed è ora che il Consiglio di sicurezza deferisca la situazione nel paese alla Corte penale internazionale, ha detto Del Ponte.
Sul terreno degli scontri la situazione si fa ancora più complicata ora che le milizie sciite libanesi di Hezbollah sono scese in campo a fianco dello storico alleato siriano, il presidente Assad, sferrando attacchi contro i ribelli locali nella provincia centrale di Homs. Su questi ultimi sviluppi Daniele Rocchi, per il Sir, ha posto alcune domande al patriarca di Antiochia e di tutto l’Oriente, di Alessandria e di Gerusalemme, Gregorios III Laham.
Beatitudine, ieri l’Ue ha prorogato per tre mesi il pacchetto di sanzioni contro il regime di Damasco. Cosa ne pensa?
“Questo embargo non fa che peggiorare le condizioni del popolo e non tocca il Governo e il presidente. La vita in Siria è ogni giorno più costosa, le famiglie hanno difficoltà ad acquistare i generi di prima necessità, moltissime hanno avuto le proprie case distrutte. Tante hanno lasciato il Paese. Per questo oggi siamo riuniti qui a Damasco con i rappresentanti di tutti gli organismi di solidarietà delle chiese cristiane. Lo scopo è quello di coordinare gli aiuti alla popolazione sfollata, rifugiata, alle famiglie e alle persone che sono rimaste ma che hanno perso la casa, il lavoro e che non riescono ad andare avanti”.
Cosa avrebbe dovuto fare l’Unione europea, allora?
“La situazione è da tempo insostenibile, la violenza e l’instabilità minano l’economia, ormai al collasso, impediscono ogni dialogo e la ricerca di una soluzione politica negoziata che è quella che tutti auspichiamo. L’Ue invece di aiutare la riconciliazione interna, lottando contro il fondamentalismo di tante fazioni in campo, proroga di tre mesi le sanzioni. Non è questa l’Ue che vogliamo”.
Di cosa avrebbe bisogno la Siria?
“Diciamo prima di cosa non ha bisogno la Siria: la Siria non ha bisogno di forniture di armi. La nostra terra è intrisa di sangue. Più armi significa più morte, più violenza, più emigrazione, più povertà. Abbiamo bisogno che le diplomazie lavorino per raggiungere la pace. Non vogliamo denaro, non vogliamo armi. La gente siriana che soffre della violenza chiede questo alla comunità internazionale: che si dia da fare per il negoziato, il dialogo e la riconciliazione. La Siria vuole stabilità e sicurezza”.
Sono sempre di più i casi di violenza e abusi contro la popolazione e la piaga dei rapimenti sembra colpire principalmente i cristiani. Perché proprio i cristiani?
“Oggi non c’è luogo sicuro in Siria. I rapimenti sono solo un aspetto della mancanza di sicurezza che si vive in Siria oggi. Questi non riguardano solo i cristiani ma tutta la popolazione. I cristiani, certamente, sono anch’essi nel mirino. Al momento sappiamo di tre sacerdoti rapiti e stiamo cercando di riportarli a casa salvi”.
Da domani, fino al 22 febbraio, ad Amman, in Giordania si tiene un summit delle 17 Caritas nazionali del medio Oriente e del Nord Africa, che avrà a tema anche la tragedia siriana. I profughi siriani sono più di 350mila sia in Giordania che in Libano e non meno di 150mila in Turchia…
“L’incontro di Amman è il segno più vero e autentico dell’amore della Chiesa verso la Siria e indica ciò che si dovrebbe fare per aiutare veramente il nostro Paese. Salutiamo con riconoscenza la Santa Sede e le Chiese che si stanno prodigando per portare sostegno spirituale e materiale ai nostri fratelli sfollati e rifugiati in Giordania, Libano, Turchia. Questa è la vera risposta alle sanzioni imposte dall’Ue, che ormai ha perso ogni senso di valore cristiano”.
La fuga dei siriani dal Paese sembra non finire. A complicare le cose anche la discesa in campo delle milizie libanesi di Hezbollah a fianco del presidente Assad. Teme l’escalation della guerra?
“L’allargamento del conflitto, che vede adesso in campo anche le milizie sciite di Hezbollah a fianco di Assad è la riprova che questa guerra potrà finire solo in presenza di un’azione vigorosa di dialogo e di negoziato. Con le armi non si va da nessuna parte. Mi appello all’Europa e al mondo: non armate i contendenti ma aiutateli a sedere intorno ad un tavolo per trovare una soluzione politica giusta. Serve uno sforzo politico e diplomatico per la riconciliazione tra i gruppi in conflitto”.
Carla Del Ponte, magistrato dell’Onu che si occupa di diritti umani, ha detto ieri che “è arrivato il momento” per il Consiglio di Sicurezza di portare i crimini di guerra della Siria davanti alla Corte penale internazionale (Cpi). È d’accordo con questa richiesta?
“Oggi in Siria siamo tutti criminali, siamo tutti da processare, ma anche l’Europa. Questa è anche la guerra dell’ipocrisia e della bugia. Quel che si scrive intorno a questo conflitto non è tutto vero. Non è vero, per esempio, che tutta la popolazione è contro Assad. La gente chiede solo la fine della violenza, di uscire dal caos in cui vive, di ritrovare sicurezza e stabilità. Aiutateci a dialogare allontanando tutte quelle forze straniere e fondamentaliste che combattono dentro la Siria e che minano la convivenza del popolo e la rinascita del Paese”.
Sempre ieri, ma a Ginevra, la Commissione Onu sulle violazioni dei diritti umani, di cui è membro l’ex procuratrice federale, Carla Del Ponte, ha presentato un rapporto che punta il dito “sugli individui in posizione di leadership” come responsabili dei crimini. “C’è un bisogno urgente di avere accesso alla Siria” per indagare sulle violazioni dei diritti umani ed è ora che il Consiglio di sicurezza deferisca la situazione nel paese alla Corte penale internazionale, ha detto Del Ponte.
Sul terreno degli scontri la situazione si fa ancora più complicata ora che le milizie sciite libanesi di Hezbollah sono scese in campo a fianco dello storico alleato siriano, il presidente Assad, sferrando attacchi contro i ribelli locali nella provincia centrale di Homs. Su questi ultimi sviluppi Daniele Rocchi, per il Sir, ha posto alcune domande al patriarca di Antiochia e di tutto l’Oriente, di Alessandria e di Gerusalemme, Gregorios III Laham.
Beatitudine, ieri l’Ue ha prorogato per tre mesi il pacchetto di sanzioni contro il regime di Damasco. Cosa ne pensa?
“Questo embargo non fa che peggiorare le condizioni del popolo e non tocca il Governo e il presidente. La vita in Siria è ogni giorno più costosa, le famiglie hanno difficoltà ad acquistare i generi di prima necessità, moltissime hanno avuto le proprie case distrutte. Tante hanno lasciato il Paese. Per questo oggi siamo riuniti qui a Damasco con i rappresentanti di tutti gli organismi di solidarietà delle chiese cristiane. Lo scopo è quello di coordinare gli aiuti alla popolazione sfollata, rifugiata, alle famiglie e alle persone che sono rimaste ma che hanno perso la casa, il lavoro e che non riescono ad andare avanti”.
Cosa avrebbe dovuto fare l’Unione europea, allora?
“La situazione è da tempo insostenibile, la violenza e l’instabilità minano l’economia, ormai al collasso, impediscono ogni dialogo e la ricerca di una soluzione politica negoziata che è quella che tutti auspichiamo. L’Ue invece di aiutare la riconciliazione interna, lottando contro il fondamentalismo di tante fazioni in campo, proroga di tre mesi le sanzioni. Non è questa l’Ue che vogliamo”.
Di cosa avrebbe bisogno la Siria?
“Diciamo prima di cosa non ha bisogno la Siria: la Siria non ha bisogno di forniture di armi. La nostra terra è intrisa di sangue. Più armi significa più morte, più violenza, più emigrazione, più povertà. Abbiamo bisogno che le diplomazie lavorino per raggiungere la pace. Non vogliamo denaro, non vogliamo armi. La gente siriana che soffre della violenza chiede questo alla comunità internazionale: che si dia da fare per il negoziato, il dialogo e la riconciliazione. La Siria vuole stabilità e sicurezza”.
Sono sempre di più i casi di violenza e abusi contro la popolazione e la piaga dei rapimenti sembra colpire principalmente i cristiani. Perché proprio i cristiani?
“Oggi non c’è luogo sicuro in Siria. I rapimenti sono solo un aspetto della mancanza di sicurezza che si vive in Siria oggi. Questi non riguardano solo i cristiani ma tutta la popolazione. I cristiani, certamente, sono anch’essi nel mirino. Al momento sappiamo di tre sacerdoti rapiti e stiamo cercando di riportarli a casa salvi”.
Da domani, fino al 22 febbraio, ad Amman, in Giordania si tiene un summit delle 17 Caritas nazionali del medio Oriente e del Nord Africa, che avrà a tema anche la tragedia siriana. I profughi siriani sono più di 350mila sia in Giordania che in Libano e non meno di 150mila in Turchia…
“L’incontro di Amman è il segno più vero e autentico dell’amore della Chiesa verso la Siria e indica ciò che si dovrebbe fare per aiutare veramente il nostro Paese. Salutiamo con riconoscenza la Santa Sede e le Chiese che si stanno prodigando per portare sostegno spirituale e materiale ai nostri fratelli sfollati e rifugiati in Giordania, Libano, Turchia. Questa è la vera risposta alle sanzioni imposte dall’Ue, che ormai ha perso ogni senso di valore cristiano”.
La fuga dei siriani dal Paese sembra non finire. A complicare le cose anche la discesa in campo delle milizie libanesi di Hezbollah a fianco del presidente Assad. Teme l’escalation della guerra?
“L’allargamento del conflitto, che vede adesso in campo anche le milizie sciite di Hezbollah a fianco di Assad è la riprova che questa guerra potrà finire solo in presenza di un’azione vigorosa di dialogo e di negoziato. Con le armi non si va da nessuna parte. Mi appello all’Europa e al mondo: non armate i contendenti ma aiutateli a sedere intorno ad un tavolo per trovare una soluzione politica giusta. Serve uno sforzo politico e diplomatico per la riconciliazione tra i gruppi in conflitto”.
Carla Del Ponte, magistrato dell’Onu che si occupa di diritti umani, ha detto ieri che “è arrivato il momento” per il Consiglio di Sicurezza di portare i crimini di guerra della Siria davanti alla Corte penale internazionale (Cpi). È d’accordo con questa richiesta?
“Oggi in Siria siamo tutti criminali, siamo tutti da processare, ma anche l’Europa. Questa è anche la guerra dell’ipocrisia e della bugia. Quel che si scrive intorno a questo conflitto non è tutto vero. Non è vero, per esempio, che tutta la popolazione è contro Assad. La gente chiede solo la fine della violenza, di uscire dal caos in cui vive, di ritrovare sicurezza e stabilità. Aiutateci a dialogare allontanando tutte quelle forze straniere e fondamentaliste che combattono dentro la Siria e che minano la convivenza del popolo e la rinascita del Paese”.