«La Santa Sede chiede che le parti in conflitto consentano da subito il dispiegarsi dell’impegno per l’assistenza umanitaria e pongano fine alle ostilità: l’obiettivo deve essere una pace concordata e duratura.
È paradossale che faccia più notizia un missile che cade su una postazione di miliziani rispetto alla popolazione che muore per la fame e la miseria.
Occorre ritrovare il coraggio di un’azione congiunta, soprattutto da parte delle grandi potenze come Stati Uniti e Russia, e poi di tutti i Paesi mediorientali coinvolti.
Non mi sembra giusto progettare di armare o addestrare i combattenti e pretendere nello stesso tempo di cercare le vie della pace».
Vatican Insider, 28 maggio 14
È stata al centro della prima giornata del viaggio in Terra Santa: della guerra fratricida in Siria e della conseguente catastrofe umanitaria ha parlato il Papa durante la tappa del suo pellegrinaggio ad Amman.
Venerdì 30 maggio si tiene in Vaticano un summit promosso da «Cor Unum» per coordinare il lavoro delle agenzie che si occupano degli aiuti umanitari nel Paese distrutto dopo tre anni di conflitto.
Papa Francesco ad Amman, all’inizio del suo pellegrinaggio in Terra Santa, è tornato a chiedere che si riapra il negoziato sulla Siria. Qual è la situazione oggi?
«Intanto dobbiamo dire grazie al Papa che nel corso della sua visita in Terra Santa ha rimesso al centro il problema siriano. La situazione rimane drammatica: la guerra continua, nell’indifferenza della comunità internazionale, e il negoziato per la pace è in fase di stallo. Secondo i dati in nostro possesso oggi si contano circa 140 mila vittime, oltre 9 milioni di bisognosi di assistenza sanitaria, 60% di ospedali distrutti o inagibili. I siriani rifugiati sono più di 2 milioni, la maggior parte nei Paesi dell’area mediorientale e mediterranea, dei quali il 52% circa è composto da bambini e ragazzi sotto i 17 anni. E poi vi sono oltre 6 milioni di sfollati interni. È una catastrofe umanitaria».
Ha qualche notizia sulla sorte di padre Dall'Oglio?
«Purtroppo no, nessuna notizia ufficiale. Vivo con apprensione le indiscrezioni che sono uscite in questi giorni sulla stampa, e prego affinché si rivelino non vere e padre Dall’Oglio possa tornare presto dai suoi cari».
Qual è la posizione della Santa Sede sul conflitto siriano?
«La Santa Sede chiede che le parti in conflitto consentano da subito il dispiegarsi dell’impegno per l’assistenza umanitaria e pongano fine alle ostilità: l’obiettivo deve essere una pace concordata e duratura. Inoltre riteniamo che debba essere garantita l’integrità territoriale del Paese. Nella Siria di domani ci deve essere posto per tutti, comprese le comunità cristiane ed ogni altra minoranza».
Che cosa dovrebbe fare, secondo lei, la comunità internazionale?
«Intanto dovrebbe risvegliarsi dal torpore nel quale è caduta. È paradossale che faccia più notizia un missile che cade su una postazione di miliziani rispetto alla popolazione che muore per la fame e la miseria. Poi bisogna mettere da parte gli egoismi e lavorare perché si torni al tavolo del negoziato. Ginevra 2 non può segnare il fallimento della strategia di pace: occorre ritrovare il coraggio di un’azione congiunta, soprattutto da parte delle grandi potenze come Stati Uniti e Russia, e poi di tutti i Paesi mediorientali coinvolti. Non mi sembra giusto progettare di armare o addestrare i combattenti e pretendere nello stesso tempo di cercare le vie della pace».
«Cor Unum» ha organizzato un incontro di coordinamento per le agenzie operanti nel contesto della crisi siriana. Perché? Quali saranno i temi al centro della vostra riflessione?
«Abbiamo avvertito l’esigenza, emersa soprattutto dagli organismi cattolici che lavorano nel contesto della crisi, di trovare nuove forme di coordinamento tra di loro e con la Santa Sede. La riunione del 30 maggio, a cui parteciperanno 25 agenzie attive in Siria e nei Paesi limitrofi, ci servirà per fare un bilancio di quanto fatto finora ed evidenziare criticità e priorità per il futuro. Per esempio: è possibile creare una maggiore sinergia tra il lavoro dei vescovi locali e quello progettuale delle agenzie? Come muoverci nell’emergenza educativa e di lavoro che una grande parte della popolazione siriana sta soffrendo? Ricordo che questo appuntamento è in continuità con quello organizzato lo scorso anno, nel mese di giugno. Allora, dopo quella riunione, nacque il primo ufficio di coordinamento delle informazioni a Beirut, il cui lavoro sarà valutato e valorizzato nel corso della riunione».
Che cosa fa il Pontificio Consiglio «Cor Unum» per la Siria?
«Cor Unum svolge un lavoro che coniuga l’assistenza materiale (costruzione di scuole, ospedali, case, fornitura di generi alimentari) con l’accompagnamento spirituale e ideale degli organismi cattolici. Promuoviamo il coordinamento tra i soggetti operanti sul campo e, in molti casi, realizziamo direttamente progetti di sviluppo assieme a partner istituzionali e privati. Una missione sanitaria per bambini siriani rifugiati in Libano, realizzata assieme all’Ospedale Bambino Gesù, a Caritas Libano e a finanziatori esterni, come la Fondazione Raoul Follereau, ha permesso di aiutare già oltre 4 mila bambini. Ma pensate che secondo dati Unicef, sarebbero oltre 5 milioni i bambini che hanno bisogno urgente di aiuto: 10 mila sarebbero quelli rimasti uccisi nella guerra, 1.2 milioni i rifugiati nei Paesi vicini, 3 milioni circa non frequentano le scuole.
E la Chiesa, più in generale, come si sta muovendo in concreto?
«La Chiesa segue l’evoluzione della crisi siriana fin dall’inizio, sia nei suoi aspetti diplomatici che umanitari. Nel suo complesso essa ha stanziato oltre 80 milioni di dollari, che sono stati impiegati in progetti umanitari in diversi settori, come l’assistenza a bambini e anziani, l’alimentazione, la ricostruzione di complessi abitativi e chiese, l’educazione. Le istituzioni che operano oggi sul campo sono più di 62, mentre sono oltre 42 gli organismi cattolici che hanno finanziato questi sforzi. Nel campo educativo, per esempio, sono stati investiti quasi 18 milioni di dollari, per la ricostruzione di scuole, per garantire il diritto allo studio o promuovere corsi formativi. Sono stati raggiunti oltre 310 mila ragazzi, e l’assistenza è arrivata anche ai rifugiati negli Stati confinanti: Libano, Giordania, Turchia, Cipro, Egitto, Iraq, Armenia. Ma c’è ancora moltissimo da fare».
Qual è la situazione delle comunità cristiane? Il cristianesimo rischia di scomparire da Paesi dove è presente sin dall'epoca apostolica. Che cosa chiede la Chiesa?
«Sarebbe uno scandalo che il cristianesimo smettesse di vivere là dove Gesù è nato e ha iniziato la sua predicazione. L’origine della Chiesa è in Medio Oriente e le comunità cristiane si sono rivelate in questi anni utili strumenti per la riconciliazione. Come ha detto Papa Francesco ad Amman, “esse offrono il loro contributo per il bene comune della società nella quale sono pienamente inserite”. Credo che a nessuno convenga soffocare le prospettive di pace che possono dare. La Chiesa perciò chiede una presa d’atto da parte di tutti di questo fatto gravissimo: non possiamo sempre aspettare che una chiesa venga distrutta o magari un religioso venga ucciso, per parlarne. Se il processo di pace ripartirà, come auspichiamo, bisognerà garantire la presenza di tutte le comunità nella nuova Siria. E pensiamo in questo contesto che l’integrità territoriale del Paese debba essere salvaguardata».
http://vaticaninsider.lastampa.it/inchieste-ed-interviste/dettaglio-articolo/articolo/siria-syria-siria-34413/
Rapporto delle Nazioni Unite: la perdita economica totale dall'inizio del conflitto in Siria è stimata a 143,8 miliardi dollari
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