Traduci

martedì 28 maggio 2019

I sogni turchi dell'annessione islamica di Idlib stanno per svanire


di Steven Sahiounie
trad. OraproSiria

Dal giorno in cui la guerra è iniziata nel marzo 2011 a Deraa, l'ideologia politica dell'Islam radicale è stata al centro della scena. Dall'inizio del conflitto siriano, i miliziani intendevano lottare per abolire il governo laico siriano, al fine di formare un nuovo governo retto dall' Islam radicale . Vedevano i loro vicini cristiani come "pagani" che dovevano essere massacrati. Non erano interessati alla libertà o alla democrazia; stavano combattendo per purificare la Siria da chiunque non fosse come loro.  [* N:d.T. :Riportiamo in calce lo stralcio di un articolo che testimonia l'angoscia anche dei Cristiani Siriaci, di fronte alle mire di espansione turche sul nord-est della Siria: gli Assiri temono di rivivere oggi il massacro di Seyfo del 1915, in cui gli ottomani cercarono di estirpare i Cristiani assiri, siriaci e caldei del Medio Oriente aramaico]

Erdogan, il leader turco, è stato incaricato dai suoi co-firmatari della NATO con il compito di essere il punto di transito dei jihadisti internazionali che si riversano per sostenere il fallito Esercito Libero Siriano (FSA), e la fonte di rifornimenti e armi per le forze “stivali a terra" sostenute dalla NATO , che provengono dai 4 angoli del globo. La Turchia ha beneficiato immensamente del flusso di armi, denaro, prodotti chimici, terroristi e dell'enorme quantità di aiuti umanitari che si riversavano per i profughi siriani.  

Erdogan non doveva preoccuparsi dei cittadini turchi che si lamentavano dell'islam radicale, perché il suo partito al governo AKP era basato sull'Islam duro e stava trasformando la Turchia secolare in un porto sicuro dei Fratelli Musulmani , e aveva la politica di silenziare le voci critiche.
Erdogan ha sviluppato un sogno di annessione della striscia settentrionale della Siria. Il suo sogno stava per realizzarsi, ma l'offensiva su Idlib è iniziata, e il suo sogno si sta trasformando in un incubo. Aveva sostenuto l'FSA e tutti i terroristi, che lui chiama "ribelli", indipendentemente dal fatto che fossero affiliati ad Al Qaeda e molti fossero associati all'ISIS. Ora sta inviando rinforzi a Idlib, fornendoli di armi sofisticate. Tuttavia, i terroristi che comanda non usano aerei, tranne i droni.   Un articolo recentemente firmato da un media filo-Erdogan, nel titolo si chiedeva se la Turchia avrebbe perso Idlib: il che dà l'impressione che il governo turco abbia ritenuto di avere diritto a Idlib e descrive chiaramente come il presidente turco vede il presidente siriano.

La popolazione civile di Idlib è dipinta dai media occidentali come timorosa dell'avanzata militare siriana e russa. Le nazioni della NATO all'ONU invocano sempre il nome dei civili di Idlib come se fossero tutti di un solo pensiero e che tutti volessero rimanere nelle mani dei terroristi. 
Selma (nome cambiato per motivi di sicurezza) ha telefonato a sua sorella a Latakia e le ha detto "Ogni volta che ascoltiamo carri armati, stiamo pregando che l'esercito venga a liberarci, i miei bambini e io abbiamo le nostre bandiere bianche pronte. Potremmo essere risparmiati, o potremmo morire nella battaglia, ma comunque finiremo per liberarci". La sorella di Selma ha raccontato storie di sofferenza, privazione e vita sotto la legge islamica. 
Selma ha raccontato come in passato la vita sotto l' FSA , sostenuto dall'America, fosse stata più facile da sopportare, tranne che essi estorcevano denaro e ottenevano un profitto dal loro potere. Tuttavia, con il passare degli anni, l' FSA si è dissolto e i jihadisti stranieri hanno ora il controllo di tutto. Non tutti parlano arabo e non praticano una religione riconoscibile, ma qualche nuovo culto fanatico che utilizza la paura per soggiogare i civili. Ogni ragazza o donna è un bersaglio sessuale  ambito.  Idlib non fa parte della Siria: è diventato uno stato islamico.

L' accordo russo-turco firmato a Sochi nel 2018 implicava che Erdogan avrebbe rimosso fisicamente i terroristi dai civili. L'accordo non è mai stato un cessate il fuoco o una zona di non conflitto: era uno strumento per assicurare che i civili disarmati non venissero danneggiati quando le forze russe e l'esercito arabo siriano (SAA) combatteranno per eliminare i terroristi collegati ad Al Qaeda.  Alla fine, non valeva la carta su cui era scritto, poiché Erdogan non ha fatto mai alcun tentativo di rimuovere i terroristi, e invece ha costruito numerosi avamposti all'interno di Idlib, quindi in effetti annettendo il territorio alla Turchia, e tutti con un coordinamento esplicito tra i gruppi allineati di Al Qaeda .  

Attualmente, l'esercito arabo siriano sotto il comando del generale Suhel Al-Hassan e della sua élite "Tiger Forces" sta spingendo in avanti nel tentativo di riguadagnare Idlib, liberare i civili e sterminare i terroristi. Questo crescendo è stato visto precedentemente in Bab Amro, East Aleppo e East Ghouta.  

Risoluzione 2249 del 2015 del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite: "Gli Stati membri delle Nazioni Unite sono chiamati a sradicare i paradisi stabiliti su Siria / Iraq dall'ISIL (Stato islamico / ISIS), dal Fronte di Al Nusra (affiliazione di AlQaeda in Siria) e" tutte le altre entità associate con Al Qaeda. ". 
Tutti gli occhi sono puntati su Idlib mentre si avvicina il finale.
http://inforos.ru/en/?module=news&action=view&id=92045



* Discendenti dei sopravvissuti del Seyfo: i cristiani siriaci si oppongono alla "zona sicura" turca in Siria
Le zone di confine tra Turchia e Siria sono punteggiate da piccole chiese cristiane siriache. Lo scorso autunno, i proiettili sono penetrati nel muro di una chiesa nel villaggio di Tel Jihan, nel nord-est della Siria, a soli quattrocentocinquanta metri dal confine turco. La gente del posto mi ha detto che non è un incidente isolato. I cristiani siriaci si riferiscono a se stessi come "discendenti di sopravvissuti". Molti dei loro antenati morirono nel massacro di Seyfo del 1915 in cui circa ottocentomila cristiani furono uccisi dagli Ottomani. L'evento ha ricevuto poca attenzione dagli studiosi, portando lo storico Joseph Yacoub a chiamarlo "genocidio nascosto". Questa comunità – che include cristiani siriaci, assiri, caldei e armeni - non ha dimenticato la persecuzione subita per mano degli ottomani un secolo fa. Ed è proprio questa esperienza il motivo della loro attuale opposizione al piano di Ankara di schierare le truppe turche a est dell'Eufrate. Il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan sta cercando di definire il piano come una "zona cuscinetto" o "zona sicura". Per i siriani, è un altro intervento di una potenza straniera. Invece di indurre un senso di sicurezza, l'idea di schierare truppe turche in patria riaccende i ricordi del trauma subito dalla loro comunità.
 In contrasto con il genocidio armeno, il massacro di Seyfo del 1915 ha ricevuto pochissima attenzione dagli studiosi. In uno dei primi libri in lingua inglese sull'argomento, "Year of the Sword" pubblicato dalla Oxford University Press, lo storico Joseph Yacoub descrive le uccisioni di massa del 1915 come un "genocidio nascosto" che ha ucciso circa trecentomila persone. Era un periodo in cui "gli ottomani cercavano di estirpare i cristiani assiri, siriaci e caldei del Medio Oriente aramaico". Un altro libro dovrebbe essere pubblicato alla fine di questo mese dalla Harvard University Press, “Il genocidio dei trent'anni: La distruzione turca delle sue minoranze cristiane 1894-1924", di cui furono coautori Benny Morris e Dror Ze'Evi. Mentre anche i curdi sono stati perseguitati durante questo periodo, almeno una tribù curda ha collaborato con l'esercito ottomano nel prendere di mira le minoranze non musulmane della regione.
Virtualmente ogni famiglia cristiana nel nord-est della Siria ha un parente o un antenato che è stato direttamente colpito dalle atrocità ottomane. Il passaggio del trauma da una generazione all'altra è noto come trauma transgenerazionale. Se gli Stati Uniti sono d'accordo con il piano della Turchia di schierare truppe nella Siria nord-orientale, Washington potrebbe diventare complice della perpetuazione del trauma transgenerazionale tra la minoranza cristiana della Siria, anche se le truppe si astenessero dagli abusi commessi ad Afrin l'anno scorso....

domenica 26 maggio 2019

Padre Firas Lufti, francescano: “Si torna a parlare dell’uso di armi chimiche per creare un falso pretesto che giustifichi al mondo un nuovo attacco internazionale alla Siria”


di Luca Collodi

Le autorità siriane e russe intendono aprire dei corridoi umanitari per consentire ai civili del nord-ovest del Paese di mettersi in salvo dall'offensiva militare in corso nella regione di Idlib contro le milizie jihadiste. Lo riferisce la tv al-Mayadin, vicina al governo di Damasco. Nell'area sono ammassati circa tre milioni di civili. Raggiunto telefonicamente ad Aleppo il padre Firas Lufti, francescano della Custodia di Terra Santa e superiore del Collegio francescano di Aleppo, della situazione nella città siriana racconta ai microfoni di Radio Vaticana Italia: 
R. - A due anni dalla liberazione, Aleppo, città nella quale i jihadisti si erano installati nella parte storica, è stata riunificata. Non si parla più di Aleppo Est e di Aleppo Ovest. Una parte di questi jihadisti si trovano però nelle vicinanze di Aleppo, verso la provincia di Idlib, roccaforte intorno alla quale ancora infuriano battaglie per la riconquista. Ad Idlib, infatti, si sono rifugiati centinaia di migliaia di jihadisti. 
Da 15 giorni sono stati registrati lanci di missili e di razzi dalla parte occupata dai jihadisti proprio sul cuore della città, abitato dai civili dove non ci sono centri militari o soldati. Risulta che ci sono sempre vittime, bambini e donne innocenti. Quindi i jihadisti lanciano i loro missili per dire che sono lì e vogliono esprimere una sorta di solidarietà con quella parte della Siria.

Gli Stati Uniti hanno il sospetto che la Siria abbia usato armi chimiche, ma è un sospetto che viene smentito un po’ da tutti 
R. – Questa è un’antifona purtroppo suonata fin dall’inizio del conflitto. I media sono stati sempre usati come arma, più efficace e più distruttivi dell’arma della guerra nel senso vero della parola. La disinformazione e soprattutto le agenzie dei caschi blu – o caschi bianchi – hanno detto molte bugie. Si ritorna al discorso delle armi chimiche per creare un pretesto per attaccare ancora di più la Siria e cercare di coinvolgere il mondo per ottenere un’opinione internazionale che giustifichi – tra virgolette – un intervento militare. Magari americano o altro, per legalizzare una manovra che andrebbe soltanto a peggiorare la situazione. Invece di trovare soluzioni concrete, politiche di dialogo, di incontri, si ricorre purtroppo subito alla violenza massiccia come se ci fosse una resistenza, una non volontà di fare la pace e di farla finita. La gente è veramente stanca di questa guerra. Questa antifona non è un buon segno e non è un buon segnale.

Sul piano umanitario, la vita ad Aleppo e in Siria sta tornando alla normalità? Le famiglie stanno ritornando a casa?
R. – Come Chiesa aleppina, abbiamo subito una perdita passando da 160 mila cristiani che eravamo prima del conflitto a 30 mila – quasi 30 mila – cristiani rimasti oggi. Questo calo drammatico e drastico è significativo per i cristiani, per il loro presente e per il loro futuro, per il peso che il loro ruolo potrà avere come cittadini della Siria. E questo fenomeno si può estendere a tutte le aree e a tutte le città siriane. Per quanto riguarda il lato umanitario, forse si sta passando dall’emergenza vera e propria, con la mancanza di acqua, elettricità e cibo, ad una fase che comunque non è meno difficile della prima. 
Non siamo passati, cioè, allo sviluppo e ad un salto qualitativo nella società perché l’embargo ha ancora conseguenze sulla società siriana. Se, per esempio, lei volesse mandarmi 50 euro per aiutarmi, non potrà farlo tramite le banche perché quando si scrive “Siria – Aleppo”, i denari vengono bloccati.

mercoledì 22 maggio 2019

Armi chimiche e 'false flag'


Ulteriori prove che l'attacco USA 'per armi chimiche' fu basato su una 'false flag'
    di Tony Cartalucci*

Ulteriori prove sono emerse che indicano che il presunto attacco chimico in Douma del 2018, in Siria, fu messo in scena dai miliziani sostenuti dagli Stati Uniti, non dal governo siriano.

Recenti rivelazioni indicano che gli Stati Uniti non solo hanno falsamente accusato Damasco di aver effettuato l'attacco, ma hanno eseguito bombardamenti contro la Siria basati su un falso pretesto. A tutt'oggi, gli Stati Uniti hanno categoricamente omesso di produrre alcuna convincente prova a sostegno delle loro affermazioni iniziali.
Al contrario, una successiva indagine condotta dall'Organizzazione per la proibizione delle armi chimiche (OPCW) ha prodotto prove schiaccianti che dimostrano che un evento 'falso flag' è stato condotto da militanti appoggiati dagli Stati Uniti. Questo includeva una bombola di gas di cloro trovata in un deposito di armi dei militanti ispezionato da investigatori dell'OPCW, che combaciava esattamente con i due cilindri usati pretestuosamente nello stesso attacco di Douma del 2018.
Mentre i militanti sostenuti dagli Stati Uniti hanno insistito nel sostenere che due bombole di gas sono state sganciate da elicotteri governativi su Douma, l'OPCW ha osservato che i presunti crateri causati dall'impatto dei cilindri corrispondevano a quelli degli edifici vicini chiaramente provocati da ordigni esplosivi.
La relazione finale dell'OPCW riguardante l'incidente di Douma ha affermato: Il team [della missione OPCW in Siria] ha osservato che un simile cratere era presente su un vicino stabile in costruzione.
L'implicazione è che i cilindri non potrebbero aver creato i crateri a loro attribuiti dai militanti (sostenuti dagli Stati Uniti) mentre i media occidentali sostengono questa versione della storia. Invece, implica che i cilindri sono stati posizionati manualmente vicino ai crateri preesistenti creati da ordigni convenzionali.
Mentre il rapporto finale dell'OPCW includeva fotografie di danni sull'edificio adiacente, non ha ulteriormente elaborato o considerate le ovvie implicazioni di crateri simili, visti esplicitamente nelle vicinanze.
Tuttavia, più recentemente, un rapporto inedito dell'OPCW intitolato "Valutazione dell'ingegneria di due cilindri osservati nell'incidente di Douma - Sintesi" (PDF), è stato elaborato: Gli esperti sono stati consultati per valutare l'aspetto del cratere osservato nella posizione 2, in particolare la sua parte inferiore.ù

L'opinione degli esperti è che il cratere osservato sia più coerente con quello risultante da una esplosione potente (come quella da un mortaio HE o da un razzo di artiglieria) piuttosto che un risultato di impatto di un oggetto che cade. Ciò è stato confermato anche dall'osservazione del tondino deformato rivolto all'esterno nella parte inferiore del cratere, che non si spiega con l'apparente non penetrazione e il danno minimo del cilindro. La probabilità che il cratere sia stato creato da un bombardamento da mortaio/artiglieria o simile, è supportato anche dalla presenza di più crateri molto simili di aspetto, in lastre di cemento in cima a edifici vicini, da un (insolitamente elevato, ma possibile) modello di frammentazione sulle pareti superiori, con le indicazioni di scheggiatura del calcestruzzo sotto il cratere, e (mentre si osservava che sono stati creati nell'angolo della stanza) bruciature nere sul fondo e sulla sommità del cratere.
La valutazione ingegneristica concluderebbe: In sintesi, l'osservazione sulla scena dei due luoghi, insieme alla successiva analisi, suggerisce che c'è una maggiore probabilità che entrambi i cilindri siano stati posizionati manualmente in quelle due posizioni piuttosto che essere lanciate dagli aerei.
La valutazione aggiunge ulteriore importanza a ciò che molti analisti hanno concluso all'epoca in cui l'OPCW ha pubblicato il suo rapporto finale ufficiale sull'incidente - che l'evento è stato organizzato.

A ben vedere, Damasco non aveva alcuna motivazione per portare a termine l'attacco del 2018. Questo si è verificato alla vigilia della vittoria totale delle forze siriane sui militanti appoggiati dagli Stati Uniti trincerati nei tunnel attorno alla capitale siriana. L'esercito siriano aveva usato un'ampia forza convenzionale per superare le posizioni dei militanti e anche se Damasco avesse creduto che l'uso di armi chimiche avrebbe accelerato la vittoria, è improbabile che a quello scopo avrebbe lanciato solo 2 bombole di gas contenenti una quantità trascurabile di cloro.
Viceversa, i militanti sostenuti dagli Stati Uniti stavano per affrontare una sconfitta inevitabile e completa, insieme a un governo degli Stati Uniti con un disperato bisogno di un pretesto per usare la forza militare per rallentare o fermare l'avanzata delle truppe siriane - avevano tutte le motivazioni per mettere in scena l'attacco chimico, per dare la colpa a Damasco, mentendo fin dall'inizio.

Se l'analisi politica del presunto attacco che ha considerato le possibili motivazioni di entrambe le parti per attuare l'attacco, non fossero ancora abbastanza esaustive, questo recente studio di ricercatori dell'OPCW ha ulteriormente sollevato la questione.
Perché il false flag di Douma è ancora importante?
La propensione di Washington ad inscenare provocazioni come pretesto per una guerra più ampia, non è connessa alla sola Douma, o alla sola Siria.
Il pretesto che portò all'invasione americana dell'Iraq del 2003 era basato interamente su una menzogna deliberatamente costruita su prove fabbricate.
E gli Stati Uniti cercano ancora di provocare la guerra in Ucraina, in Venezuela, contro l'Iran, e probabilmente ancora in Siria, nel momento in cui le forze governative (e i suoi alleati NDT) cominciano a riprendersi Idlib.

Capire come i militanti appoggiati dagli Stati Uniti hanno messo in scena l'attacco di Douma nel 2018; come i media occidentali abbiano mentito al mondo intero in seguito, per vendere il successivo intervento militare occidentale, e come gli investigatori hanno esposto prove che rivelano questo attacco come una falsa operazione (false flag), servirà a tutti per smorzare l'impatto politico delle future false provocazioni.

*Tony Cartalucci, ricercatore e scrittore geopolitico di Bangkok, in particolare per la rivista online "New Eastern Outlook".
   trad . Gb.P.  OraproSiria 

lunedì 20 maggio 2019

La società siriana e la laicità

Pubblichiamo questa riflessione di T. Meyssan  per contribuire al dibattito in corso circa 'religioni e laicità'.  Proponiamo di integrarla con la lettura del monito del compianto carissimo mons Nazzaro sul pericolo della diffusione del pensiero totalitario 'wahhabita' sottovalutata nel mondo occidentale :

di Thierry Meyssan
ll generale sunnita Hassan Turkmani aveva concepito la difesa della Siria poggiandosi sui suoi abitanti [1]. Secondo Turkmani era possibile far sì che le comunità si prendessero cura le une delle altre, pur conservando le proprie peculiarità culturali, e difendessero così il Paese.
Era solo una teoria, oggi però constatiamo quanto fosse giusta. La Siria è sopravvissuta all’assalto della più vasta coalizione della storia, così come in epoca romana sopravvisse alle guerre puniche.
Delenda Carthago, «Cartagine deve essere distrutta» [2], diceva Catone il Censore, «Bashar deve andarsene», gli ha fatto eco Hillary Clinton.
Chi ancora spera di distruggere la Siria ora sa che bisogna innanzitutto distruggerne il mosaico religioso, sicché le minoranze vengono diffamate ed elementi della comunità maggioritaria incoraggiati a imporre il proprio culto agli altri.
La Siria ha una lunga storia di collaborazione fra le religioni. Nel III secolo la regina Zenobia, che si ribellò alla tirannia occidentale dell’Impero Romano e si mise alla testa degli arabi d’Arabia, d’Egitto e dell’intero Levante, fece di Palmira [3] la sua capitale. Sotto il suo regno fiorirono le arti e tutte le comunità religiose furono indistintamente tutelate.
Nel XVI secolo la Francia fu teatro di terribili guerre di religione tra due rami del cristianesimo, il cattolico e il protestante, cui mise fine la concezione del filosofo Montaigne di relazioni interpersonali che permettano a tutti di vivere in pace.  Il progetto del siriano Hassan Turkmani va oltre Montaigne. Non basta tollerare che altri, pur credendo nel nostro stesso Dio, lo celebrino in modo diverso dal nostro. Si tratta di pregare insieme. Infatti nella grande moschea degli Omayyadi di Damasco la testa di Giovanni Battista era ogni giorno venerata da ebrei, cristiani e mussulmani [4]. È l’unica moschea in cui i mussulmani hanno pregato insieme a un papa, Giovanni Paolo II, attorno a reliquie oggetto di comune venerazione.
In Europa, dopo le sofferenze delle due guerre mondiali, i preti delle diverse religioni hanno predicato il timore di Dio su questa terra per ottenere la ricompensa nell’aldilà [5]. La pratica religiosa ha progredito, ma bisogna fortificare i cuori. Dio però non ha inviato i profeti per minacciarci. Trent’anni dopo, i giovani, che volevano emanciparsi anche da questa coercizione, hanno respinto con veemenza l’idea stessa di religione. La laicità [6], una forma di governo per vivere insieme nel rispetto delle reciproche differenze, è diventata un’arma contro queste stesse differenze.
Evitiamo di commettere lo stesso errore.
Il ruolo delle religioni non è né imporre un modo di vita, come ha fatto Daesh, né terrorizzare le coscienze, come hanno fatto gli europei in passato.  Lo Stato non ha il compito di essere arbitro nelle dispute teologiche, men che meno di scegliere tra le religioni. Come in Occidente, anche nel mondo arabo i partiti politici invecchiano male, ma quando sono stati fondati il PSNS [7] e il Baas [8] volevano fondare uno Stato laico, ossia uno Stato che garantisse a chiunque la libertà di celebrare senza timori il proprio culto. 
Questa è la Siria.
[1] Il generale Hassan Turkmani (1935-2012) fu dapprima capo di stato-maggiore, poi ministro della Difesa. Dirigeva il Consiglio di Sicurezza Nazionale, distrutto il 18 luglio 2012 dal mega attentato della NATO. Ha concepito i piani di difesa della Siria.
[2] Cartagine, nell’attuale Tunisia, era colonia di Tiro, nell’attuale Libano. Dopo la distruzione di Cartagine e il genocidio dei suoi abitanti, Annibale si rifugiò a Damasco. Roma lo inseguì fin qui, minacciando di distruggere anche la città. Alla fine Annibale si arrese e fu firmato un trattato di non-proliferazione: la Siria non avrebbe più allevato elefanti da guerra e ispettori romani avrebbero potuto visitare il Paese per verificare il rispetto del trattato.
[3] Palmira era una capitale prospera, situata lungo la via della seta che collegava la capitale cinese Xi’an ai porti mediterranei di Tiro e Antiochia. Le distruzioni e le cerimonie di esecuzioni capitali celebrate da Daesh nell’antico teatro di Palmira volevano far riferimento a questo prestigioso passato.
[4] Nella maggior parte delle culture mussulmane le moschee sono riservate ai propri fedeli. In Siria non è mai stato così: i luoghi di culto sono aperti a tutti.
[5] La credenza secondo cui in Paradiso i Buoni saranno ricevuti dalle vergini è fondata sul Corano. Si tratta però di un errore di comprensione: il Corano non è stato infatti scritto in arabo moderno, bensì in una lingua più antica che comprendeva molte espressioni armene.
[6] La laicità francese è una forma di governo instaurata dai re di Francia che, pur rivendicando il diritto di essere consacrati dalla Chiesa cattolica, rifiutavano che quest’ultima interferisse nel loro regno. Nel XVI secolo Enrico IV sottomise protestanti e cattolici a un’unica autorità cattolica (cosa che Luigi XIV rimise in causa). Gli Stati Generali del 1789 tentarono di creare una Chiesa Cattolica di Francia meno dipendente da Roma. Ma il “breve” segreto di papa Pio VI ingiunse ai vescovi di abrogare la Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo e del Cittadino che tuttavia avevano votato. Ne seguirono altre atrocità, fra cui la guerra di Vandea. Solo dopo il rovesciamento della monarchia per diritto divino nel XX secolo fu possibile proclamare la separazione fra Chiesa e Stato, conformemente al progetto politico dei re di Francia. Oggi la laicità è interpretata in senso contrario dagli avversari del fatto religioso e dagli avversari dell’islam.
[7] Il Partito Social Nazionalista Siriano (PSNS) fu fondato nel 1932 da cinque persone, fra cui il cristiano Antoun Saadé e il padre del nostro ex vice-presidente, il principe Issa al-Ayoubi, per riunire la Grande Siria, divisa dalla colonizzazione europea. Questo partito molto progressista si batté subito per l’uguaglianza tra i sessi. Durante la lotta contro l’Impero Francese, il partito cadde sotto l’influenza dei britannici. La propaganda israeliana l’ha classificato come partito di estrema destra, il che è assolutamente falso. Numerosi intellettuali di Cipro, Iraq, Giordania, Kuwait, Libano, Palestina e Siria sono passati per il PSNS ma non ci sono restati. Il partito si è poi dissolto in numerose formazioni politiche.
[8] Il Partito Socialista della Risurrezione Araba, il Baas, è stato fondato nel 1947 intorno al pensiero di Michel Aflak. A differenza del PSNS, non ambisce soltanto a ricostituire la Grande Siria, ma a unificare tutte le regioni di cultura araba. Ogni Paese arabo ha il proprio Baas, confederato al Baas siriano. Il Baas iracheno si è reso indipendente con Saddam Hussein; negli anni Ottanta ruppe il legame con la laicità, sostenne i Fratelli Mussulmani e predicò il «ritorno alla fede». Il movimento contaminò altri partiti Baas i cui dirigenti ostentarono presto la barba e fecero portare il velo alle mogli.

giovedì 16 maggio 2019

Quella lezione al mondo intero dei Cristiani di Siria

di Fulvio Scaglione
16 maggio 2019

La guerra in Siria, come ci dimostrano le cronache, era tutt’altro che conclusa. Da giorni l’offensiva dell’esercito di Damasco e delle truppe russe contro Idlib e l’ultimo caposaldo di ribelli e jihadisti provoca altre centinaia di migliaia di sfollati e moltissimi morti tra i civili. 
L'immagine può contenere: 7 persone, persone in piedi, persone che camminano, folla e spazio all'apertoTra loro, anche sei bambini uccisi da un missile nel villaggio cristiano di Al-Squalbiyeh.
Mentre il dramma continua, proprio la situazione dei cristiani consente di allargare lo sguardo sull’intera regione. In Siria, come si sa, in questi otto anni di guerra più di metà degli abitanti ha dovuto abbandonare la propria casa. Milioni di persone si sono trasformate in sfollati interni (quasi 6,5 milioni) o rifugiati all’estero (quasi 5 milioni). Tra coloro che hanno dovuto o voluto abbandonare il Paese ci sono, ovviamente, anche molti cristiani. Secondo uno studio di Aiuto alla Chiesa che soffre, già nel 2017 il numero dei cristiani di Siria si era dimezzato, passando dal 10 al 5% della popolazione (circa 20 milioni di persone nel 2011). In certi luoghi il crollo è stato verticale: ad Aleppo, i quattro anni di assedio e di bombardamenti hanno ridotto i cristiani dai 150mila del 2011 ai 35-40 mila attuali.  
 Ai numeri, comunque indicativi, andrebbero aggiunte altre considerazioni. Per esempio: l’esodo ha spesso privato le comunità cristiane, e la Siria intera, della classe dirigente, della borghesia delle professioni e dei mestieri, decisiva soprattutto quando si dovrà avviare l’opera di ricostruzione del Paese. E l’opera indefessa delle Chiese, che si battono per far tornare in patria i loro fedeli acquistando biglietti aerei, trovando appartamenti ai senza tetto, pagando in parte o in toto le pigioni, scovando o addirittura inventando posti di lavoro, pare spesso una goccia nel mare dei bisogni. 
Per quanto si possa essere pessimisti, però, una cosa è già chiara: non succederà in Siria quanto è successo in Iraq, dove la comunità cristiana nel suo insieme è arrivata vicina all’estinzione. Prendiamo, per l’Iraq, i numeri forniti da Sua Beatitudine Louis Raphael I Sako, patriarca della Chiesa caldea cattolica. Prima dell’invasione anglo-americana del 2003 in Iraq c’era un milione e mezzo di cristiani. Nel 2014 ne restava mezzo milione. Poi, in quell’anno, arrivò l’Isis e ora i cristiani sono ridotti a 300mila. Molti dei quali tuttora ammassati nei campi profughi del Kurdistan.
L'immagine può contenere: 1 persona
In estrema sintesi: mentre i cristiani dell’Iraq rischiano di sparire, quelli di Siria hanno sofferto e soffrono ma resistono come parte importante del mosaico etnico-religioso del Paese. Questo per due ragioni fondamentali. La prima è che la Siria ha un innegabile Dna cristiano. Qui si sviluppò, per opera di san Paolo convertito, non a caso, sulla via di Damasco, il cattolicesimo come noi lo conosciamo. Qui, tra fine Ottocento e primi del Novecento, e quasi sempre per opera di pensatori cristiani, nacque il nazionalismo panarabo e poi il nazionalismo siriano. 
Qui, negli anni atroci di questa guerra civile, le Chiese cristiane hanno saputo proporsi come un modello di intervento sociale superiore a qualunque divisione politica, etnica o confessionale.
L’altra ragione, piaccia o no ammetterlo e qualunque opinione si abbia di Bashar al Assad e dei suoi, è che in Siria i cristiani nono sono stati abbandonati. Il governo o, per chi preferisce, il regime, si è occupato dei cristiani, ha cercato di difenderli, ha esaltato il loro ruolo nella società siriana. In Iraq è successo esattamente il contrario. Essendo una minoranza pacifica e disarmata, i cristiani sono diventati il bersaglio di tutte le parti in guerra. E chi avrebbe dovuto proteggerli, soprattutto nel 2003, cioè prima i governi invasori di Usa e Regno Unito e poi il governo da loro insediato, si è di fatto disinteressato della loro sorte.
Per tutte queste ragioni ai cristiani del Medio Oriente, e soprattutto ai cattolici, servirebbe ora un segno forte di sostegno da parte della Santa Sede e di papa Bergoglio. Intendiamoci, l’attenzione è sempre stata altissima. Basterebbero a dimostrarlo la nomina a cardinale, nel 2016, di monsignor Mario Zenari, dal 2008 nunzio vaticano a Damasco, un inedito nella storia della Chiesa visto che mai prima era accaduto che un diplomatico vaticano ottenesse la porpora. E anche la nomina del patriarca Sako a membro del Pontificio consiglio per il dialogo interreligioso.
Ma è inutile nascondere che ciò che i cristiani del Medio Oriente ora si aspettano è un viaggio di papa Francesco, che è appena stato negli Emirati Arabi Uniti e in Marocco e che nel 2020 dovrebbe partecipare alla Conferenza per il dialogo cattolico-islamico organizzata a Beirut dalla Lega musulmana mondiale, anche nelle loro tormentatissime terre. La Siria è una meta troppo complessa per l’enorme valenza politica che un simile viaggio porterebbe inevitabilmente con sé. Ma non l’Iraq, dove il sostegno di Roma ai profughi non è certo mancato in questi anni. L’Iraq dove il cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato, si è recato lo scorso Natale. L’Iraq dove i cristiani rischiano di sparire come presenza visibile e organizzata. Diverse fonti vaticane, e in prima persona il cardinale Parolin attraverso una lunga intervista a Tv2000, hanno fatto sapere che “per un viaggio del Papa in Iraq ci devono essere quel minimo di condizioni che permettano al viaggio stesso di realizzarsi ma che attualmente non esistono”. Il pensiero va ai problemi della sicurezza, tuttora cruciali nel Paese dove, per fare un solo esempio, con ogni probabilità da cinque anni latitante lo stesso Al Baghdadi. Nondimeno, e proprio per questo, posando anche solo un piede in Iraq, papa Francesco farebbe un’ineguagliabile iniezione di coraggio a chi ha scelto di testimoniare la fede fino al possibile martirio.  In un’epoca in cui la persecuzione dei cristiani è diventata, secondo tutti gli indicatori, un allarme mondiale.
https://it.insideover.com/senza-categoria/cristiani-siria-lezione.html

lunedì 13 maggio 2019

E' ancora troppo presto per il ritorno di IDLIB al Governo Siriano?

Troppi sono gli interessi divergenti e le complesse relazioni tra i principali attori sulla scena del Levante perchè avvenga finalmente la liberazione della provincia di Idlib, occupata dalle formazioni jihadiste: intanto, la carneficina quotidiana continua ...  



Di Elijah J. Magnier
tradotto da: Alice Censi
Durante tutta la guerra in Siria, la Turchia ha avuto un ruolo attivo nella destabilizzazione del paese. Erdogan ha reso possibile l’ afflusso di migliaia di stranieri che in seguito avrebbero poi formato le unità combattenti straniere dell’ISIS. Il presidente turco ha agevolato il sostegno logistico, il trasporto di petrolio rubato e i rifornimenti al gruppo terroristico. Inoltre la Turchia ha aiutato al-Qaeda a strappare Idlib al governo siriano e, coordinandosi con i militanti di questa organizzazione, cercava di riprendersi Kessab, nel distretto di Latakia, (per potersi aprire così una finestra sul Mediterraneo su questa costa) prima che i jihadisti venissero scacciati da questa provincia ma non da Idlib e dalla sua zona rurale. Il presidente Erdogan ha il sostegno di molti gruppi siriani che si trovano ad Afrin e attorno alla provincia di al-Hasaka. Ha quindi bisogno di accontentarli trovando il modo di inserire i loro leaders e rappresentanti nella commissione che riscriverà la costituzione siriana. 
Questi ribelli siriani, comunque, nonostante siano tantissimi, hanno mostrato la loro incapacità di opporsi ad al-Qaeda. Sono stati sopraffatti da questo gruppo jihadista, motivato al punto da riuscire ad avere il controllo di una gran fetta della provincia di Idlib nonché della città. Nonostante ciò il presidente Erdogan ha bisogno di questi cosiddetti ribelli per combattere i curdi di al-Hasaka casomai se ne presentasse l’occasione dopo un accordo ( che per il momento sembra ben lungi da poter essere raggiunto) con le forze americane di stanza nella zona. I combattenti siriani alleati della Turchia sono uno scudo utile a proteggere le truppe turche e a ridurne le vittime in caso di eventuali battaglie.            I turchi, con i loro interlocutori in Siria, cioè la Russia e l’Iran (che sono  alleati del governo siriano), sostengono che le modifiche da apportare alla costituzione potrebbero rabbonire l’opposizione siriana. La Turchia ha fatto i nomi di 150 personaggi, inclusi dei membri dei “Fratelli Musulmani”, che dovrebbero prendere parte ad una trattativa con l’amministrazione siriana e le cui proposte dovrebbero essere tenute in conto nel processo di riforma costituzionale. Damasco rifiuta queste proposte e ha anche detto no a parecchi nomi che la Turchia ha suggerito. 
Malgrado il presidente Erdogan abbia sempre dimostrato di non impegnarsi in modo serio, per gli alleati del presidente Assad la Turchia ha un’importanza strategica notevole. Non hanno intenzione di tenerla  fuori dai giochi e liquidarla in quattro e quattr’otto.   La Turchia ha un ruolo importante in Medio Oriente. La sua avversione per i curdi ha indirettamente aiutato Damasco e contribuito a sventare il piano di Washington di dividere la Siria creando uno stato curdo, il “Rojava”.      Agli occhi dell’amministrazione americana questa mossa è apparsa accettabile perchè la presenza delle truppe turche nel nord-ovest della Siria bilancia quella delle truppe statunitensi che continuano ad occupare il nord-est. La Turchia, inoltre, insiste sul disarmo dei curdi quando terminerà l’occupazione americana. Se gli Stati Uniti non si impegneranno a disarmarli, ci penserà lei a farlo. E anche questo va a favore del presidente Assad dato che i leaders curdi sono coscienti della minaccia turca quando trattano con le autorità di Damasco. 
L'immagine può contenere: 5 persone, persone che sorridono, persone sedute e tabella
Il pianto delle mamme dei 5 bambini della cittadina cristiana Ạl Sqylbyẗ uccisi ieri dal bombardamento dei miliziani jihadisti di Idlib
Anche se l’involontario contributo della Turchia ha dato sotto certi aspetti dei risultati positivi, il presidente Assad non accetta la presenza turca sul territorio siriano e insiste sul recupero di Idlib proprio per evitare che questa presenza diventi permanente. Ma sia Damasco che Mosca ritengono che riconquistare Idlib con il consenso di Ankara potrebbe diminuire le vittime e ridurre i danni alle infrastrutture locali.  
  Mosca appare meno disposta di Assad a fare pressione su Erdogan e a forzarlo su Idlib. La Russia sa bene che una pressione militare sui jihadisti di Idlib porterebbe all’esodo di centinaia di migliaia di civili verso la Turchia e non verso le zone controllate dal governo siriano. 
Oggi le relazioni tra Turchia e Russia sono più forti che mai, vista soprattutto l’aggressiva diplomazia degli Stati Uniti che trascina con sé  i suoi alleati, Turchia compresa. Mosca è riuscita a mandar giù l’abbattimento del suo aereo da parte di Ankara nel 2015 e ha aumentato con lei la collaborazione militare e commerciale. Putin ha ottenuto un vero e proprio successo riuscendo a rompere l’unità della NATO ( di cui la Turchia è parte essenziale) che oggi è in prima linea per fronteggiare la “minaccia russa”. Inoltre i 910km del gasdotto “Turkstream” che uniscono la Russia con la Turchia forniranno il gas all’alleato della Russia e permetteranno a Erdogan di diventare un fornitore fondamentale per l’Europa. 
Mosca, (per proteggere i suoi scambi commerciali del valore di 100 miliardi di dollari con la Turchia e i 5-6 milioni di turisti che vanno a visitarla) è sicura di essere in una posizione privilegiata per chiedere a Damasco di frenare le sue pretese sul territorio che oggi fa parte della zona controllata dai turchi. L’aviazione russa aveva e ha ancora un ruolo essenziale per tenere in vita il governo siriano e la sua stabilità. La Russia ha sostenuto la Siria alle Nazioni Unite, ha evitato che Obama la bombardasse e ha pure attenuato l’istinto omicida dell’amministrazione Trump evitandole un bombardamento a tappeto. 
Erdogan è ormai un partner indiscutibile non solo per la Russia ma anche per l’Iran, oggi più che mai, data la “guerra di strangolamento” portata avanti da Trump contro Teheran. Centinaia di nuovi uffici di collegamento iraniani sono stati aperti nella capitale turca per gestire gli effetti delle pesanti sanzioni americane e contrastarne le procedure. Le esportazioni iraniane in Turchia hanno raggiunto i 563 milioni di dollari ed entrambi i paesi si prefiggono di aumentarle di molto negli anni a venire.            L’Iran ha avuto un ruolo importante nel far fallire il colpo di stato contro il presidente Erdogan nel 2016 e questo ha fatto sì che i governanti iraniani abbiano un trattamento di favore tra la gerarchia turca. Questa situazione permette all’Iran di usare i suoi buoni rapporti con la Turchia a vantaggio della Siria. 
Immagine correlata
Tutti questi elementi e le relazioni tra i principali attori sulla scena del Levante significano che un attacco contro Idlib non avverrà domani. O il presidente Erdogan troverà il modo di neutralizzare al-Qaeda e i jihadisti ( cosa poco probabile a breve termine) oppure, probabilmente, darà il via libera alla Russia e al governo siriano per attaccare Idlib quando verrà allestito un luogo sicuro in cui proteggere gli abitanti. Erdogan deve anche gestire decine di migliaia di ribelli armati e i loro leaders. O riusciranno ad essere inseriti nell’esercito e nelle istituzioni siriane, quando Damasco accetterà una soluzione, oppure Idlib dovrà aspettare ancora moltissimo tempo prima di essere liberata. La sua liberazione potrebbe richiedere forse lo stesso tempo che servirebbe a rendere effettivo un (ipotetico) ritiro completo delle forze degli Stati Uniti. 

mercoledì 8 maggio 2019

La situazione a Idlib e il gioco della Turchia tra Russia e Stati Uniti


di Michael Jansen*
trad. Gb.P. OraproSiria
Durante la scorsa settimana la stampa occidentale ha riferito di bombardamenti russi e siriani nella provincia nord-occidentale di Idlib e della fuga di migliaia di civili dai villaggi presi di mira. Gli articolisti denunciano, con l'obiettivo di fermare un'operazione militare a tutto campo contro Idlib, che Mosca e Damasco hanno violato l'accordo di "de-escalation" raggiunto lo scorso anno tra Russia e Turchia: coloro che hanno segnalato la situazione in questo modo stanno promulgando "false notizie". Le forze governative russe e siriane non hanno violato l'accordo raggiunto dal presidente russo Vladimir Putin e dal suo omologo turco Recep Tayyip Erdogan il 16 settembre 2018, invece i gruppi filoturchi affiliati ad Al Qaeda che controllano Idlib non hanno implementato l'accordo sin dal primo giorno.
L'accordo prevede l'imposizione di un cessate il fuoco per tutta Idlib, la creazione di una zona cuscinetto di 15-25 chilometri attorno a Idlib, il ritiro da questa zona delle armi pesanti detenute da tutti i gruppi e da tutti i combattenti radicali. La Turchia è tenuta a separare i radicali dai "ribelli" (sebbene ciò sia impossibile) e smobilitare e disarmare le fazioni radicali. Con questo accordo, finalmente si riaprirebbero le autostrade che collegano Damasco ad Aleppo e Latakia. Tutti i firmatari hanno l'impegno di osservare il cessate il fuoco. Anche gli elementi di al-Qaeda sono stati inclusi nel cessate il fuoco, sebbene secondo l'ONU siano gruppi "terroristi" e non abbiano diritto a tale trattamento.
L'accordo è stato prontamente respinto dal Partito Islamico Cinese dell'Uighur Turkistan, dall'Organizzazione dei Guardiani della Religione, da Ansar al-Tawhid, Fronte Ansar al-Din e Ansar al-Islam. Hay'at Tahrir al-Sham successore di Al Qaeda non si è impegnato.
La Turchia, con i suoi "ribelli" surrogati nell'Esercito Siriano Libero e Tahrir al-Sham e i suoi partner altrettanto radicali non hanno rispettato i termini dell'accordo. Armi pesanti, ribelli e combattenti radicali non sono stati ritirati dalla zona cuscinetto, sono rimaste le armi pesanti e il cessate il fuoco non è stato onorato. Invece, Tahrir al-Sham ha esteso il suo controllo su Idlib dal 60 al 100 per cento e ha continuato gli attacchi contro l'esercito siriano e i villaggi e le città controllati dal governo nelle province settentrionali di Aleppo e in quelle occidentali di Hama. I droni sono stati lanciati contro la base militare russa a Latakia, a sud di Idlib. Un collega occidentale che ha recentemente visitato Aleppo e un villaggio cristiano presso Hama, vicino al confine della zona del cessate il fuoco, ha detto a Gulf Today che i combattenti hanno costantemente sparato mortai dentro aree residenziali in violazione del cessate il fuoco.
Mosca e Damasco hanno accettato questo accordo sotto la pressione delle Nazioni Unite, delle organizzazioni umanitarie internazionali e delle potenze occidentali. Queste sostengono che un attacco frontale contro gli elementi armati anti-governativi di Idlib comporterebbe un disastro umanitario per 2,5/3 milioni di civili residenti nella provincia e una nuova inondazione di rifugiati in Turchia. Ankara continua ad ammonire contro queste conseguenze se un attacco a tutto campo venisse attuato su Idlib, che è diventata di fatto la base occidentale di al-Qaeda.
Ma permettendo a Idlib di cadere sotto la dominazione di Tahrir al-Sham, Ankara ha creato una nuova minaccia per sé e per l'Europa in un momento in cui l'Occidente si concentrava sulla battaglia contro Daesh. Insistendo sul monito che Damasco e Mosca continuino a esercitare moderazione, le Nazioni Unite e le potenze occidentali (e i media) stanno proteggendo la base di al-Qaeda in Siria e stanno dando al gruppo radicale il tempo di consolidare la sua presa su Idlib.
Pertanto, il rifiuto della Turchia e dei suoi protetti di adempiere ai propri impegni, ha fornito una giusta causa per gli attacchi degli aerei russi e siriani e delle truppe siriane che sono stati costantemente presi di mira da Tahrir al-Sham.
Mosca ha tollerato l'inerzia di Ankara per così tanti mesi perché la Russia cerca di indebolire l'alleanza della Nato spingendo la Turchia a disertare. Questa politica è stata un fallimento. La Turchia sta giocando sia Russia che Stati Uniti e ha intenzione di trarre il massimo vantaggio da questo gioco, anche se, fin troppo chiaramente, il gioco è finito. La Russia è stufa della doppiezza di Ankara.
Mentre i russi e l'esercito siriano hanno rinviato l'azione militare, Tahrir al-Sham si è consolidata su tutto il territorio di Idlib sotto la protezione turca e internazionale. Erdogan intrattiene la vana speranza di reclutare combattenti di Tahrir al-Sham per il suo piano di prendersi ampi tratti della Siria settentrionale incoraggiando il gruppo radicale a impadronirsi della zona di frontiera turco-siriana a ovest del fiume Eufrate, mentre elementi del cosiddetto Esercito Libero (ESL) combattono i curdi sostenuti dagli Stati Uniti a est.
Nel frattempo, incoraggiati dagli Stati Uniti, i curdi siriani hanno invitato leader arabi tribali e capi delle comunità che vivono nella zona che controllano, per una conferenza nella città di Ain Issa. L'obiettivo era quello di presentare un fronte compatto negoziando con Damasco. Nel suo discorso all'evento, il leader curdo Mazloum Kobani ha detto che Damasco dovrebbe riconoscere l'amministrazione curda nel nord-est e lo status speciale dell'alleanza dei curdi con elementi arabi e il suo ruolo nella sconfitta di Daesh. Ha affermato che non ci può essere pace senza il riconoscimento dei diritti delle minoranze curde.
Damasco ha risposto accusando i curdi e i loro alleati di "tradimento".
I Curdi sono pressati per raggiungere un accordo con Damasco a causa della decisione degli Stati Uniti di ritirare la maggior parte delle sue truppe nel nord della Siria e della minaccia della Turchia di invadere l'area presa dai curdi che costituisce il 25 per cento della Siria. Negli ultimi mesi i curdi hanno abbandonato la loro richiesta di una zona autonoma curda, in una Siria decentrata e federale. Damasco rifiuta categoricamente questa richiesta.
Inoltre, gli arabi che vivono nell'area dominata dai curdi, che rappresentano il 70% della popolazione locale, non vogliono vivere sotto il dominio curdo e hanno preso accordi separati con il governo siriano, scalzando la richiesta di continuare il controllo amministrativo curdo delle aree arabe.
Mosca ha accusato Washington di usare i curdi siriani, allo scopo di indebolire il modello Astana sponsorizzato da Russia, Iran e Turchia sui negoziati tra il governo e i gruppi ribelli e al fine di assicurare una presenza statunitense a lungo termine in Siria. Il Ministro degli Esteri russo ha accusato gli Stati Uniti di tentare di creare uno stato separatista curdo in Siria, in violazione del principio di preservare l'integrità e la sovranità territoriale siriana stabilito nella carta delle Nazioni Unite e confermato nelle risoluzioni riguardanti la guerra siriana.
Washington ha fatto proprio questo, intervenendo in Siria negli ultimi otto anni. Gli Stati Uniti hanno cominciato fornendo all'Esercito Siriano Libero fondato in Turchia aiuti "non letali", poi hanno addestrato e armato combattenti "controllati", e infine hanno fornito truppe e copertura aerea per sostenere i curdi siriani nelle operazioni contro Daesh. I curdi si aspettavano un sostegno a lungo termine, ma hanno scoperto che gli Stati Uniti sono pronti ad abbandonarli, lasciandoli nella ricerca disperata di preservare la propria milizia e far valere i propri diritti utilizzando il territorio che detengono come leva nei negoziati con Damasco. Finora, questo ha fallito.
*L'autore, un rispettato osservatore degli affari mediorientali, ha scritto tre libri sul conflitto arabo-israeliano.