«Noi cristiani di Giordania vogliamo restare in Medio Oriente. Ma temiamo Qatar, Francia e America»
Intervista al sacerdote di Giordania esperto di Medio Oriente p. Hanna Kildani: «La Primavera araba è diventata un inverno. Qatar e Arabia Saudita non parlino di democrazia, perché sono teocrazie. Solo il Papa ci conforta».
TEMPI 14 gennaio 2013, di Leone Grotti
Padre Hanna, che cosa risponde alla domanda di Twal? La Giordania è accerchiata da conflitti, verrà contagiata?
Per ora la Giordania è stabile. Con la Primavera araba, che alla luce dei fatti non si può definire Primavera, Siria Egitto Libia e Tunisia hanno avuto problemi ma in Giordania le cose vanno bene. Le proteste sono pacifiche e il 23 gennaio ci saranno le elezioni del Parlamento. Molte persone protestano contro la Costituzione, ma la maggioranza vuole queste elezioni. Certo c’è il problema dell’economia che va male: noi importiamo il gas dall’Egitto, ma da quando i Fratelli Musulmani hanno preso il potere, le importazioni sono diventate più difficili. La Primavera araba ci ha già fatto perdere 5 miliardi di dollari solo per il gas egiziano, che fatica ad arrivare.
E i cristiani?
La condizione dei cristiani, 200 mila circa, è come quella di tutti gli altri giordani, che soffrono per l’economia. Per il resto, la Giordania è un paese musulmano ma c’è la libertà di culto, non siamo in Arabia Saudita, i cristiani qui vivono in pace. Le chiese sono aperte, abbiamo scuole e ospedali. Ha ragione il patriarca Twal quando dice che la Giordania è il polmone del Medio Oriente, diciamo che è l’oasi del Medio Oriente. È l’unico posto dove si possono svolgere dei raduni: molti cristiani non possono andare in Palestina, in Iraq, in Siria, molti neanche in Egitto, allora si viene in Giordania, l’unico paese in grado di accogliere tutti. Speriamo che i giordani, il governo e il re lavorino insieme, mano nella mano, per mantenere stabile la situazione. Non sarà facile però sorpassare questa crisi economica, causata dalle guerre che ci circondano.
Il patriarca Twal si è detto preoccupato per tutti i cristiani del Medio Oriente. Condivide la sua preoccupazione?
Sì, temiamo che ora tocchi alla Giordania quello che progressivamente è avvenuto in tutto il Medio Oriente. Nel secolo 19esimo, nel 1860 sono stati massacrati i cristiani in Libano e Siria, per questo molti cristiani sono emigrati in America. Nel 20esimo secolo, la presenza cristiana nella Galilea è stata danneggiata a causa di Israele, molti cristiani della Galilea sono venuti in Giordania. Con la Guerra dei sei giorni molti cristiani hanno lasciato Gerusalemme e Betlemme. Nel 1967 c’erano 40 mila cristiani a Gerusalemme, oggi sono 10 mila. Dopo c’è stata la guerra civile del Libano, che ha fatto scappare tantissimi cristiani. Poi la guerra in Iraq con la fine del regime di Saddam Hussein, che ha ridotto i cristiani in quel paese da un milione di mezzo a 400 mila. Ora in Siria migliaia di cristiani stanno lasciando il paese per andare negli Stati Uniti e in Europa. In Egitto, anche se si dice poco, secondo le statistiche in un anno hanno lasciato il paese 10 mila copti.
All’elenco manca solo la Giordania.
Esatto, i cristiani in Medio Oriente patiscono una guerra dietro l’altra, una persecuzione dietro l’altra. Fino ad oggi, i cristiani della Giordania hanno vissuto in pace ma nel nostro cuore alberga la paura che il nostro turno arrivi adesso, nei prossimi anni.
Lei ha vissuto molto in Palestina, che di recente ha vissuto un altro conflitto con Israele. Gerusalemme è sempre la chiesa del Calvario?
Sì. Io sono giordano ma ho fatto i miei studi in Palestina. Da 14 anni non ci posso tornare perché ho bisogno del visto e prendere il visto israeliano per noi è una umiliazione. Andare all’ambasciata di Israele e ottenere il visto, poi, non è facile. Io come molti cristiani non possiamo andare a Gerusalemme, anche per questo la chiesa di Gerusalemme è la chiesa del Calvario, ma la Giordania resta il suo polmone per quanto riguarda le vocazioni sacerdotali e la stabilità.
Ha citato la situazione della Siria e dei suoi cristiani, che la comunità internazionale non sembra in grado di aiutare.
Una situazione drammatica. Io non credo mai, perché la storia lo dimostra, che un paese faccia guerra a un altro per la democrazia. I paesi fanno la guerra per interessi economici e politici. La Siria non è un paese democratico, c’è una dittatura, ci sono enormi problemi, il regime di Assad è corrotto ma i paesi come Qatar e Arabia Saudita che mandano in territorio siriano i fanatici e gli estremisti a fare la guerra non lo fanno per la democrazia e il popolo siriano ma per i loro interessi. Arabia Saudita e Qatar non sono paesi democratici e non fanno la guerra per la democrazia: se non rispettano i diritti dell’uomo nel loro paese, come possono parlare dei diritti dell’uomo in Siria? Io non accetto discorsi sulla democrazia da loro. Il governo siriano è totalitarista, è vero, ma almeno il regime di Assad è laico, non religioso come quello di Qatar e Arabia Saudita.
Che cosa pensa di Mohamed Morsi al potere in Egitto?
Sono preoccupato. In Egitto ci sono 10 milioni di cristiani. È straordinario che chi ha fatto la rivoluzione egiziana oggi non è al governo. I ragazzi egiziani, dopo avere cacciato Mubarak, hanno perso la rivoluzione perché il potere è stato preso dai Fratelli Musulmani. Questo è incredibile dal momento che i Fratelli Musulmani in principio erano contro la rivoluzione. È chiaro che non si può che essere preoccupati per il futuro.
Qual è quindi il suo giudizio sulla Primavera araba?
La prima parte della Primavera araba è stata positiva perché nata dai giovani che non credevano più ai loro governi, volevano diritti, lavoro. Purtroppo però non è finita così, i giovani sono stati usurpati dai Fratelli Musulmani che con il benestare di Stati Uniti, Francia ed Europa sono saliti al potere. Attitudine positiva, dunque, nello slancio iniziale ma poi la primavera si è trasformata in inverno, anche per colpa di Stati Uniti, Europa, Arabia Saudita e Qatar. Io ripeto: questi ultimi due paesi sono teocrazie e allora come possono parlare di democrazia? Non rispettano i diritti dell’uomo, la libertà di culto, che cosa possono esportare loro? Guardiamo alla Libia: oggi nessuno ne parla più, eppure quelle persone ora si ammazzano tra di loro, è in atto una guerra civile terribile di cui nessuno parla. Questa è la Primavera araba.
Qual è allora la speranza per i cristiani del Medio Oriente?
Prima di tutto abbiamo speranza in Dio, nel Signore, poi nei nostri contadini che hanno equilibrio politico ed economico. Per il resto, non ci resta che avere fiducia nel futuro perché è la sola cosa che possiamo fare, non c’è altro posto per noi. Noi non vogliamo andare via dal nostro paese, Europa e Stati Uniti non sono il nostro paese, la nostra vocazione di cristiani è stare in Medio Oriente, dare testimonianza della fede qui. Speriamo quindi che la Giordania resti in pace.
Il Sinodo del Medio Oriente vi ha aiutato?
Sì, è un piano di lavoro però che non dura un anno. È stato fatto un raduno a Roma ma per applicarlo ci vorranno 20 anni, come il Concilio vaticano II. C’è dunque bisogno di tempo.
Benedetto XVI è stato in questo pontificato quattro volte in Medio Oriente, l’ultima visita l’ha fatta in Libano. Siete confortati dalla sua presenza?
Quando il Papa è vicino, quando la Chiesa ci sta vicina, anche la Chiesa italiana, per noi è una grande gioia e un grande aiuto. Ma quando i politici come Sarkozy o Clinton vengono nei nostri paesi allora abbiamo paura. Loro infatti non pensano mai al benessere dei popoli del Medio Oriente, pensano al bene dell’Europa, di Israele ma non della Giordania o dell’Egitto. Invece quando il Papa viene da noi, cristiani e musulmani provano una grande gioia, la sua vicinanza umana e spirituale ci conforta. Quando arrivano certi politici invece proviamo angoscia nel nostro cuore ed è meglio che non si facciano vedere qui da noi: abbiamo paura di loro perché sono interessati solo al gas e al petrolio.