S.I.R. 6 luglio 2019
“Ci
vantiamo anche nelle tribolazioni,
sapendo che la tribolazione produce pazienza, la pazienza una virtù
provata e la virtù provata la speranza. La speranza poi non delude”,
cita san Paolo, la lettera ai Romani, padre
Raimondo Girgis,
superiore del Memoriale di San Paolo a Damasco, per raccontare come i
siriani stanno vivendo la guerra che dura oramai da oltre 8 anni. E
non poteva essere altrimenti visto che siamo a pochi metri dalla
grotta dove, secondo la tradizione, Saulo di Tarso ribattezzato poi
Paolo, fariseo e cittadino romano, folgorato, cadde da cavallo e si
convertì passando così da persecutore della prima chiesa di
Gerusalemme e delle prime comunità cristiane della Palestina, ad
apostolo della resurrezione di Cristo fuori dalla Terra Santa, fino a
Roma, dove fu decapitato.
Locus Traditionalis Conversionis Sancti Pauli Apostoli. |
“Siamo
a Tabbaleh, una zona popolare della capitale siriana”, dice il
francescano mentre mostra il convento voluto da Papa Paolo VI per
accogliere i pellegrini sulla via di san Paolo. “Prima della
guerra, ricorda,arrivavano
in Siria centinaia di migliaia di pellegrini. Molti sostavano qui ma
ora è tutto cambiato. Al posto dei pellegrini accogliamo famiglie
sfollate, povere e persone malate con i loro familiari che vengono a
Damasco per curarsi. Non facciamo distinzioni di fede e di etnia”.
La guerra ha cambiato drammaticamente il volto della Siria e i
francescani si sono fatti trovare pronti, fedeli alla loro missione, la stessa da 800 anni in Terra Santa, il cui simbolo è il Crocifisso
di san Damiano: “Francesco va e ripara la mia casa”.
La
tribolazione.
Per padre Raimondo, per padre Bahjat
Elia Karakach,
guardiano del vicino convento della Conversione di San Paolo e per
padre Ibrahim
Alsabagh, parroco
latino di Aleppo, tutti francescani della Custodia di Terra Santa,
oggi la “casa” si chiama Siria. Così per tutti i loro
confratelli. “Ma non sono
solo i muri delle case che devono essere riparati”
si affretta a dire padre Raimondo “vanno
rinsaldati anche i cuori e gli animi della gente. Vorremmo fermare la
guerra dove ancora si combatte (a
Idlib, ndr.),
vorremmo poter vivere le nostre vite senza dover contare sugli aiuti
esterni. Purtroppo versiamo in una grave crisi economica resa ancora
più dura dall’embargo Usa e Ue. Difficile rialzare la testa in
questa situazione, ci vorranno decenni”.
La
gente è stanca, sconfortata e disillusa conferma
il francescano, vicario apostolico latino di Aleppo, mons. George
Abou Khazen,
molti dicono di aver sbagliato a rimanere qui.
Soffriamo
la mancanza di medicine, di gas da cucina, di benzina e di gasolio a
causa delle sanzioni”. La tribolazione dei siriani ha il volto
degli sfollati, dei profughi, degli amputati, dei bambini
traumatizzati dalle bombe, dei senza lavoro, degli anziani rimasti
soli, delle famiglie spezzate, delle donne abusate. “Per questo
motivo – ribadisce padre
Raimondo – i siriani hanno bisogno di gesti concreti di
ricostruzione che infondono certezze in vista di tempi migliori. Da
soli non riusciremo mai a ricostruire il nostro Paese. Serve
l’aiuto internazionale”.
La
pazienza e la virtù provata.
“La fede è stata il
motivo della resistenza di tanti siriani in questi anni di guerra”
dice mons. Abou Khazen. "Noi
cristiani eravamo pronti a perdere tutto, i beni materiali e la vita.
Ma non avremmo mai rinunciato alla nostra fede.
E
anche per gli altri credenti mi sento di dire lo stesso. La
tribolazione produce pazienza, scrive san Paolo, e così sta
accadendo. La chiesa ha dato un bel segno: nessun prete, nessun
parroco, nessun religioso o religiosa, nessun vescovo, ha lasciato la
Siria. Siamo rimasti qui con la gente, e questa vicinanza ha infuso
coraggio. Abbiamo
visto molte conversioni, ci sono stati tanti cristiani che, provati
in questo tempo di difficoltà hanno riscoperto la fede e si sono
riavvicinati.
Ad Aleppo abbiamo anche celebrato un sinodo interrituale delle sei
chiese cattoliche (latina, maronita, caldea, melkita, armena,
siro-cattolica), ispirato ai
discepoli di Emmaus e durato oltre un anno. Il Sinodo ha ribadito la
nostra missione: essere promotori di pace e di unità nel Paese”.
“Tutte
le chiese cristiane durante la guerra e ancora oggi” dichiara
padre Elia, rimasto illeso il 18 novembre del 2016 nello scoppio di
un razzo che ha distrutto la cupola della sua chiesa “hanno
offerto aiuto materiale e morale dando testimonianza di unità,
mostrando il volto di Dio accogliendo tutti senza distinzione”.
La
speranza. Dalle
parrocchie di Damasco a quella di Aleppo è lunga la lista di
programmi di solidarietà messi in piedi dalla Custodia di Terra
Santa, con l'aiuto della sua ong Ats (Associazione di Terra Santa) e
di altri benefattori, tra i quali la Conferenza
episcopale italiana.
Progetti che infondono speranza concreta ai siriani, musulmani e
cristiani, che possono tornare a credere in una nuova vita.
“Da
tre anni” racconta padre
Raimondo “abbiamo attivato
un
programma di sostegno psicologico
per i bimbi traumatizzati dalla guerra. 12 volontari, due giorni a
settimana, si occupano di 150 bambini, in larga maggioranza
musulmani. Si tratta di piccoli che sono stati testimoni di
efferatezze e violenza. Molti di loro abitano nei quartieri Est della
città i più segnati dalla guerra. Il progetto punta a far rinascere
in loro la gioia e la voglia di stare insieme. Da noi giocano,
suonano strumenti musicali, disegnano. E' dai disegni che si
percepisce tutto il loro disagio: armi, carri armati, aerei da
guerra, bombe, sono i soggetti che ricorrono più spesso, come anche
il colore rosso, quello del sangue.”
Un
progetto analogo è stato lanciato ad Aleppo da padre Firas
Lufti nel Terra
Santa Center. Nella parrocchia di san Francesco di Aleppo, il parroco
padre
Ibrahim ha iniziato nel
2016 un
progetto per ridare una casa
a chi l'aveva persa a causa della guerra. “Inizialmente”
spiega “siamo intervenuti
sulle abitazioni quasi totalmente distrutte, poi su quelle
parzialmente danneggiate e infine su quelle lievemente colpite. Solo
nel 2016, in piena guerra, abbiamo riparato 256 case. Fino ad oggi ne
abbiamo restaurate oltre 1400. E l'opera continua grazie al
contributo della Cei. I vescovi italiani ci hanno aiutato anche ad
assistere la popolazione con pacchi
alimentari, medicine e visite, aiuto alle madri in attesa.
Grazie alla generosità della Chiesa italiana abbiamo potuto
sostenere tanti giovani desiderosi di avviare delle piccole imprese.
Non
si tratta solo di dare pane ma di offrire vicinanza. La solidarietà
diventa così un atto liturgico”.
La
guerra ha prodotto nuove emergenze cui, avverte padre Ibrahim,
“bisogna fare fronte. Penso ai militari in congedo, molti dei
quali feriti e amputati che dopo otto anni di guerra si ritrovano con
un nulla in mano perché impossibilitati fisicamente. Per loro
abbiamo pensato ad un ufficio di assistenza legale. Penso alle
giovani coppie che non riescono a sposarsi. Come regalo di nozze
doniamo l’affitto per un anno di una casa, oppure un
elettrodomestico, il restauro dell’abitazione. Non posso
dimenticare – sorride padre Ibrahim – due sposi italiani
che hanno donato le proprie fedi nuziali per aiutare una coppia di
giovani siriani a sposarsi”.
“La
speranza poi non delude...”. Al fronte di guerra in
Siria i francescani rispondono con un “fronte di pace” fatto da
tanti gesti e segni di solidarietà portati avanti da volontari e
benefattori. “E' questa la speranza che non delude che rafforza
il corpo e lo spirito, che aiuta a sprigionare vitalità e
creatività” dice padre Elia.
Mi
piace ricordare che san Paolo è venuto a Damasco come un terrorista,
un persecutore. Poi qui ha conosciuto Dio. Speriamo che da Damasco il
terrorismo, la cultura della guerra, del rifiuto dell' altro possano
estinguersi per fare posto a una cultura di pace e di tolleranza”.
Come
ricorda la Croce di san Damiano che mostra Cristo “ferito e forte”
allo stesso tempo. Come la Siria di oggi…