L’autunno scorso, durante il mio
soggiorno a Latakia ho incontrato tante persone e tutte avevano in
comune un’urgenza incredibile di raccontare e di essere ascoltate
da me che tornavo da lontano. Storie dure di sofferenze, di
spaventi, di sgomento, di perdite strazianti, di vuoti incolmabili.
Aprivo la porta al mio o alla mia ospite e, dopo un abbraccio
silenzioso e talvolta ancora prima di andare a sederci, iniziava la
narrazione incontenibile degli anni trascorsi dentro questa guerra
spietata. Altre volte, occorreva una tazza di caffè e un ‘’ci
sei mancata’’ o ‘’ sei tornata per restare, vero?’’ o
qualche altra frase di preambolo o un cenno di pianto subito placato
o una risata complice per una qualunque sciocchezza o un attimo di
raccoglimento come per riunire le forze e dare il via alle storie che
avevano bisogno di essere confidate. Storie personali o familiari
difficili, dolorose, malinconiche, tragiche e in qualche caso con
risvolti un po’ tragicomici. Come la vita. Vorrei scrivere di tutti
questi incontri, ma ancora non ci riesco. È difficile staccarmi
dalla moltitudine di gesti, sensazioni, emozioni, fremiti e silenzi,
talvolta più intensi delle parole, in cui mi sento immersa. Ma posso
dire che tutte le storie individuali, uniche, che ho ascoltato hanno
tratti comuni come l’ammissione, talvolta espressa con energia e
talvolta sussurrata con difficoltà, del terrore provato quando i
terroristi si trovavano a pochi chilometri da Latakia, il sollievo
palpabile per il pericolo scongiurato e l’ira, invece quasi urlata
da tutte e da tutti per essere stati traditi dai Curdi favoreggiatori
di Israele e dell’America. Tratti comuni che ho ritrovato nel breve
scritto che segue - di Lilly Martin Sahiounie, una signora
statunitense che vive a in Siria da quasi trent’anni - così come
la solitudine che opprime tutti. Tremo, mentre scrivo queste
parole, perché mi riportano verso la sensazione tristissima che
provavo costantemente nel constatare quanto si sentissero traditi,
inascoltati e soli. Ignorati dal mondo. Lo capivo non per il biasimo,
raramente e sommessamente espresso, ma per la gioia grata verso chi
per il solo fatto di tornare da quel mondo lontano attestava la loro
esistenza, il loro travaglio, ma sopra ogni cosa la loro dignità.
Dedico queste righe a tutte le persone che ho incontrato a Latakia e
a quelle che non ho potuto incontrare. E dico alla cara Lilly che
dopo il nostro lungo abbraccio mi ha ingiunto: ‘’Prima parlo io,
poi mi racconterai di te’’: alla prossima volta, per ascoltarti
parlare più a lungo, ma intanto continua a offrirci le tue preziose
testimonianze.
Maria Antonietta Carta
Aggiornamento dalla Siria, 27 marzo
2019. Di Lilly Martin Sahiounie
I media di tutto
il mondo sono pieni di articoli che gridano: “L’ISIS È
SCONFITTO". Devo ammettere che per quanto mi concerne, l’Isis
non è mai stata la preoccupazione principale, poiché nella regione
in cui vivo non è mai arrivata e quindi non ho mai sofferto
direttamente per causa loro. I video con teste mozzate erano sempre
un evento "lontano" e non vi ho prestato un’attenzione
eccessiva.
La mia casa è stata distrutta nel 2014 e i miei vicini
sono stati massacrati, rapiti e violentati. Tre chiese bruciate,
fabbriche, aziende e case saccheggiate e poi distrutte. Niente di
tutto ciò è stato fatto dall’ISIS nella mia zona. Qui, da 2011
fino al 2019, tutte le distruzioni e i crimini sono stati
rigorosamente perpetrati dall'Esercito Siriano Libero e dai loro
affiliati di Al Qaeda: Jabhat al Nusra e il resto delle milizie
appoggiate dagli Stati Uniti.
È vero che alcuni di quei terroristi
alla fine si sono uniti all'ISIS, ma mentre stavano uccidendo qui non
erano ISIS. Cosa rappresenta un nome? Talvolta non tanto. I LAKERS o
i CELTICS sono nomi diversi, eppure sono tutti giocatori di basket
indipendentemente dall'uniforme che indossano. Lo stesso può dirsi
dei terroristi: sono tutti tagliati nella stessa stoffa. Ho sofferto
e i miei vicini, amici e parenti hanno sofferto durante otto anni di
guerra, eppure non siamo stati colpiti dall’ISIS. I media a livello
globale stanno sbandierando il fatto che ISIS è finito. OK, buono a
sapersi, ma quando ci sbarazzeremo dei terroristi che ancora
detengono il controllo di terre siriane? Dove sono i media e le
proteste dei governi per Idlib controllata da terroristi assetati di
sangue, che detengono due milioni di civili come ostaggi? Nessuno ne
parla. Dov'è la protesta globale per i terroristi sponsorizzati
dagli Stati Uniti e l'SDF, che detengono una gran parte del
territorio nord-orientale della Siria? Quelli dell'SDF hanno
stuprato, mutilato, ucciso e scacciato dalle loro case migliaia di
persone, mentre marciavano incoraggiati dal sostegno dell'esercito
degli Stati Uniti e mentre facevano pulizia etnica contro tutti i
Siriani che non sono nati Curdi. Immaginate i bianchi degli Stati
Uniti che, marciando attraverso l'Alabama, costringano tutti gli
abitanti neri a lasciare le loro case. Questa è la situazione in
Siria. Ma non importa a nessuno perché sono gli USA a sostenere i
criminali terroristi della SDF.
In conclusione: è una buona cosa che
ISIS non conservi più territori siriani, ma non possiamo dimenticare
le due zone controllate da altri terroristi: Idlib e la regione
nord-orientale. E voglio dire che non esiste nessun Kurdistan. I
Curdi siriani sono cittadini siriani e hanno gli stessi diritti dei
vicini di casa che loro hanno stuprato, mutilato e ucciso. La Siria
non sarà divisa. Dato che alla SDF non piace vivere in pace e nel
rispetto di tutti i diritti per tutti, anche nel rispetto del diritto
di proprietà per chi non è Curdo, forse è giunto il momento che lo
"Zio Donald Trump" li trasferisca negli Stati Uniti dove
potranno ritagliarsi una Patria tutta per sé.
Trad. Maria Antonietta Carta