Paceinterra, 17 ottobre 2016
L’ultimo
missile è caduto la scorsa settimana. 2 metri e mezzo di lunghezza,
si è adagiato sul terreno a pochi passi dal convento francescano di
Aleppo, senza esplodere. Poteva essere una strage. «Non c’è zona
al sicuro qui ad Aleppo», ci dice dalla Siria padre Firas Lutfi,
frate francescano. Ha vissuto ad Aleppo dal 2004 al 2011, poi una
pausa per studiare in Italia e infine, nel 2015, la decisione di
tornare ad Aleppo nonostante la guerra. Lo tratteniamo un’ora al
telefono dalla città che le Nazioni Unite hanno definito “la più
pericolosa del mondo”. «Come sta padre Firas?», gli chiediamo per
salutarlo. E lui ci risponde con una serena risata: «Grazie al
Signore sto bene».
Padre
Firas, si può ridere ancora ad Aleppo?
È
la fede che ci sostiene. Vivere ad Aleppo oggi è una grande sfida, è
un martirio quotidiano. Non si vede ancora una minima soluzione e
senza un appoggio divino perderemmo la testa e la ragione, le
speranze verrebbero esaurite. Invece la fede dà una riposta. Non
dobbiamo chiedere “perché?”, ma “per chi?”.
La
guerra è in continua evoluzione. Cosa sta succedendo?
La
situazione qui ad Aleppo sta persino peggiorando perché si vedono i
raggruppamenti delle milizie, si fa sempre più concreto un
intervento militare degli Stati Uniti e dei suoi alleati contro basi
dell’esercito siriano. La Russia ha minacciato che chi tocca le
basi siriane tocca quelle russe. Non è un mistero che qui si sta
giocando una partita internazionale. Qui c’è in gioco la Turchia,
la Russia, l’Arabia Saudita, l’Iran, gli Stati Uniti, la Francia,
la Gran Bretagna, il Qatar. Tutti vogliono un pezzo di Siria. Per
usare le parole di san Paolo ai romani, «tutti hanno peccato» in
Siria, perché tutti hanno contribuito alla distruzione.
Chi
ha voluto questa guerra?
Già
dagli inizi si capiva che la Siria non è la causa della guerra. La
guerra è nata in Afghanistan e la Primavera araba ha nascosto tanti
interessi, era un pacchetto preconfezionato. All’inizio si pensava
che qui fosse scoppiata una rivoluzione per chiedere più democrazia,
ma presto ci siamo resi conto che siamo finiti nella palude di una
guerra che ci vede vittima di interessi internazionali. Adesso le
ragioni sono più chiare: l’intento fin dall’inizio era spezzare
il Medio Oriente, in base alla religioni, alle etnie. Qui non si
combattono i governi, ma gruppi interni. Studi americani parlavano di
scontro di civiltà già nel 1993, non stanno facendo altro che
metterli in atto. Ora stiamo rischiando di diventare come la Somalia,
ma con tutto il rispetto, la Siria non è la Somalia. Le donne qui
avevano già da tempo un ruolo anche politico, mentre in altri stati
le donne non possono nemmeno guidare la macchina. Abbiamo poco tempo,
altrimenti avremo perso tutto. Se non troviamo una soluzione politica
rischiamo di perdere un patrimonio di tutta l’umanità. Damasco è
una delle capitali più antiche del mondo, qui ci sono le basi del
cristianesimo. Già parte del patrimonio è distrutto come a Palmira.
Eravamo il granaio dell’Impero romano, ora stiamo diventando un
cumulo di macerie. Noi speriamo che non avvenga lo scontro corpo a
corpo tra russi e americani. Il pericolo non è solo una battaglia
tra i giganti del mondo sul territorio siriano, una terza guerra
mondiale, ma la perdita della nostra identità.
L’Europa
ha un ruolo nel conflitto?
L’Europa
sembra impotente e spero che l’Europa non si renda complice del
sangue siriano. Gas, petrolio, la nostra posizione geografica, tutte
le nostre risorse sono diventate la nostra condanna. Temiamo che
Francia e Gran Bretagna possano avere nostalgie coloniali. Non
crediamo all’intervento innocente. “Formiamo il Comitato Amici
della Siria”, dicono. Si dichiarano amici e ci mandano i
terroristi, ripetono di essere amici e ci mandano armi. Che amici
sono questi? Non tutta l’Europa è però uguale. Guardiamo con
occhio diverso l’Italia, ma sappiamo comunque che è parte della
Nato ed è alleata degli Stati Uniti, di cui ormai noi diffidiamo.
Israele
è ancora in conflitto con la Siria per il Golan. Quali interessi ha?
Cosa
stia facendo Israele è enigmatico. Sappiamo che ha offerto cure ai
ribelli, che l’esercito israeliano ha violato il nostro territorio.
Il fatto che non parli non vuol dire che non agisca. L’interesse di
Israele è avere un esercito siriano debole, in modo da poter
controllare meglio il confine.
Quanto
Isis c’è ad Aleppo?
La
capitale dell’Isis è al-Raqqa, che dista 200 chilometri ad Est di
Aleppo. L’Isis taglia spesso la strada che collega Aleppo a
Damasco. Nella città invece c’è Al-Nusra e altre milizie. La
Russia ha smascherato il petrolio siriano venduto illegalmente al
confine turco, così l’Isis si arricchiva e comprava armi. Questo è
tema di scontro tra Usa e Russia.
Cosa
vede attorno a sé?
Vedo
una città quasi morta. Vedo sfiducia, depressione nell’animo degli
aleppini, perché aspettiamo la pace, ma non si vede, non c’è. Non
vedo solo demolizione materiale, delle pietre. Dove vivo tanto è
cambiato. Non ci sono zone di Aleppo dove si possa vivere in pace e
serenità. L’altro giorno 4 studentesse di una scuola elementare
sono state uccise alle 8.30, proprio mentre andavano a lezione.
Sembrava una giornata tranquilla, ma le bombe non hanno smesso dal
mattino fino a tarda sera. Noi cristiani viviamo nei quartieri
occidentali che sono sotto il controllo dell’esercito siriano, ma
questa zona non è mai stata esente da scontri. A maggio, un missile
ha ucciso una donna anziana. Noi abbiamo offerto ospitalità alla
famiglia perché l’edificio dove viveva la sua famiglia era
distrutto. La settimana scorsa un altro missile di 2 metri e mezzo è
caduto nell’area interna del nostro convento e per fortuna non è
esploso. Ecco cosa vedo: cittadini in agonia e sfiduciati dalla
comunità internazionale incapace di risolvere questo conflitto.
Diffidiamo di tutte le promesse, ci restano solo tante domande.
Quali?
Vogliamo
sapere perché ci hanno abbandonati. Perché ci trattano da numeri e
non da persone? Perché non c’è la volontà di trovare una accordo
di pace? Aleppo è una città martire, la gente scappa. Mi domando
con gli altri francescani come venire incontro a come venire incontro
alle necessità della popolazione. Stiamo entrando nel sesto anno di
guerra e qui serve acqua, elettricità, ma anche piccole cose per
gestire la vita ordinaria. Come fa chi ha perso un lavoro a tenere la
famiglia? Ci sono aziende fallite, come possono rinascere? A queste
domande l’unica risposta è la preghiera, l’affidamento alla
Provvidenza, che in questo momento non è mai mancata.
Quanto
è grande la comunità cristiana di Aleppo?
I
cristiani erano 150mila ora sono 30mila. Il numero continua a calare
drasticamente. Questa era la seconda città della Siria. Era la città
dell’economia, della finanza, era la città che non dormiva, la
città delle luci. 3,5 milioni di abitanti prima della guerra, ora
siamo meno della metà, un milione e mezzo in totale. Le persone
scappano in altre città dove c’è possibilità di lavorare, o in
Libano. Altri in Europa, con vie illegali, rischiando la morte in
mare. Tutto questo alla comunità internazionale non sembra
interessare.
Vi
aspettate che la comunità internazionale crei corridoi umanitari?
Noi
vogliamo la soluzione totale. Se poi deve passare per soluzioni
parziali allora possono servire. Qui ogni tregua fino ad oggi è
stata solo l’occasione per comprare nuove armi e riprendere la
guerra. I corridoi umanitari vengono sfruttati dai terroristi per
muoversi, questo è il problema.
Perché
e a quali condizioni si decide di restare oggi ad Aleppo?
Chi
resta lo fa per due ragioni: o non ha più soldi nemmeno per
viaggiare, oppure fa una scelta. Le ambasciate non sono aperte ai
profughi, così o prendi la via del mare con il rischio di morire, o
semplicemente non puoi affrontare il viaggio. Si resta a costo di
morire sotto le bombe. Poi ci sono quelli che sono convinti di
rimanere, come noi religiosi. Non siamo qui non per caso, ma vogliamo
testimoniare la nostra fede, testimoniare il Vangelo. Centinaia di
religiosi sono ancora qui per guidare una comunità in agonia.
Soffriamo con loro, hanno bisogno di pastori.
Come
si sopravvive ad Aleppo?
I
servizi ci sono ma sono molto costosi. Per parecchi mesi non avevamo
elettricità. Adesso il problema è l’acqua. Abbiamo scavato pozzi
per adattarci a questa situazione. Per il telefono usiamo internet,
ma il costo è di 100 euro al mese e per noi siriani è tantissimo.
Per l’elettricità delle 800 famiglie della nostra parrocchia
abbiamo pagato l’abbonamento ad un generatore elettrico dove
possono collegare una lavatrice, avere un po’ di luce per studiare.
Dobbiamo dare risposte concrete. Un’operazione per un malato o un
ferito può costare decine di migliaia di dollari. Nel nostro piccolo
facciamo di tutto perché la nostra gente possa restare. Non possiamo
abbandonarli perché già si sentono abbandonati dal mondo, ma noi
come pastori non possiamo far venire meno la nostra mano. Ogni giorno
riusciamo ad avere qualcosa per aiutarli.
Molti
media hanno detto che Aleppo rischia di rimanere senza ospedali. È
vero?
Distinguerei
tra parte occidentale (sotto controllo di Assad) e orientale sotto
controllo dei ribelli. Già prima della guerra la periferia Est era
più trascurata, quindi non è una novità che ci siano più
difficoltà. Quando la periferia è diventata base dei ribelli i
soldati e infermieri non potevano più entrare nella parte Est e si
sono arrangiati con le risorse già scarse che avevano. Le bombe
“intelligenti” non distinguono tra ospedali, scuole o basi
militari. Colpiscono ovunque e le vittime sono i civili. Il problema
è che i media fanno emergere notizie secondo gli interessi. Se sono
gestiti da persone vicine ai ribelli diranno che Assad ha colpito gli
ospedali con l’unico medico per i bambini rimasti ad Aleppo. È
vero o no? Nessuno può dirlo. Ci sono informazioni fabbricate. C’è
molta disinformazione, come è accaduto con le armi chimiche. Avevano
accusato l’esercito siriano di averle usate per poi rendersi conto
che non era possibile. In tempo di guerra è davvero difficile essere
oggettivi e prendere una posizione. Io mi occupo di servire i più
deboli, i più poveri, non sono un esperto militare. Io prendo solo
le conseguenze di questo martirio che sta subendo la mia comunità.
Mi
racconta la sua giornata di sacerdote?
Mi
alzo presto e cerco di dire le mie preghiere perché sono un frate.
Poi inizio a prendere contatti. Ho gli incontri con i parrocchiani,
porto la Comunione ai malati. Poi lascio sempre spazio alle
emergenze. Ci chiamano per dirci che è caduta una bomba che ha
distrutto una casa, oppure se hanno bisogno di pagare tasse, o se ci
sono feriti negli ospedali. Arrivo a casa che sono sfinito.
preghiera per la pace dei bambini di Marmarita |
Si
parla molto dei bambini di Aleppo. Cosa fate per loro?
Gli
adulti hanno fallito totalmente, la nostra speranza è che i bambini
possono parlare al cuore degli adulti. La scorsa settimana noi
francescani abbiamo accolto 800 bambini per pregare per la pace.
Quante case distrutte e bambini morti sotto le macerie di questa
guerra ingiusta. Quando vedi morire bambini solo perché vanno a
scuola, allora capisci che solo la Provvidenza sta aiutando i bambini
che sopravvivono.
Papa
Francesco fa sentire spesso la sua voce per favorire la pace in
Siria. Quanto peso hanno le sue parole?
Il
Papa è un uomo di pace e si sta occupando seriamente della pace in
Siria. Il Papa agisce con la Chiesa. Noi siamo suoi portavoce e
operiamo come operatori di pace. Tutto il bene che fa la Chiesa è
come se lo facesse il Papa. I suoi appelli per noi sono la prova di
una presenza paterna. Quando dice “Se volete la pace non vendete le
armi”, tocca il primo mercato che alimenta questa guerra. Francesco
lavora e prega per la Siria. Ricordo a settembre di tre anni fa ,
quando a San Pietro aveva riunito per una giornata di digiuno e
preghiera, e abbiamo scampato l’attacco imminente degli Stati
Uniti. E dal quel momento si iniziò a parlare di una soluzione
politica, mentre prima l’unica soluzione sul tavolo era militare.
Il Papa invoca la pace, perché la pace è un dono di Dio, ma si sta
mobilitando anche nel corpo diplomatico. «Beati gli operatori di
pace» dice il Vangelo.
Come
fa a tenersi in contatto con gli altri frati?
Qui
in Siria siamo una quindicina di frati. Il telefono è l’unico vero
strumento per tenersi in contatto perché le strade che collegano i
nostri conventi sono spesso chiuse o sono pericolose. Abbiamo un
convento al confine con la Turchia, zona sotto controllo straniero e
dove era stato sequestrato padre Dhiya Azziz. Nonostante le
difficoltà, tra noi c’è una bella relazione soprattutto per
migliorare il servizio verso le nostre comunità.
Padre
Francesco Patton, Custode di Terra Santa, in occasione della sua
nomina a maggio ci disse che avrebbe fatto di tutto per la Siria. È
già al lavoro?
Il
Custode è venuto da noi rischiando la vita, appena hanno riaperto la
strada da Aleppo e Damasco. È stato qui ad Aleppo dal 16 al 19
agosto. Io ricordo il suo coraggio. È venuto non solo a trovare noi
frati ma tutta la comunità. Io l’ho accompagnato da Aleppo a
Damasco. Ci ha detto che valeva la pena correre il rischio e ha
mantenuto la promessa.
In
conclusione, la pace in Siria è davvero impossibile?
Nella
parte costiera, dove c’è la base militare russa, non sembra
nemmeno che ci sia la guerra. Homs, tra Aleppo e Damasco, è stata
distrutta, ma ora sono riusciti a portare via gli uomini armati. La
pace non avverrà mai passivamente. Non basta commuoversi
vedendo i bambini morti. Se smettiamo di vendere armi allora la
guerra finirà, dobbiamo andare oltre gli interessi economici. Come
diceva san Giovanni Paolo II, la pace per quanto costosa avrà un
prezzo inferiore della guerra. Non devono fare in Siria come fanno in
Africa: danno armi a persone che non hanno nemmeno da mangiare. La
logica di sfruttamento è talmente fatale che non lascia spazio alla
ragione. Dovrebbero creare università, fare contratti, invece
vogliono solo sfruttarci, senza aiutarci a svilupparci. C’è tanta
ingiustizia. Io sono un uomo di fede e speranza. Se la pace è stata
possibile dopo altre guerre, allora perché non dovrebbe essere
possibile in Siria?