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sabato 25 settembre 2021

Ho visto di persona le conseguenze delle sanzioni sul popolo libanese e siriano

Il 24 settembre, il sito The Cradle riporta: "La compagnia elettrica statale libanese, Électricité du Liban (EDL), ha avvertito che il Paese è a una settimana da un blackout totale poiché le riserve di carburante stanno per esaurirsi.".  
Nella disperazione che attanaglia la gente, i frati del Monastero di Annaya lanciano l'iniziativa ′′La strada che porta a San Charbel ad Annaya non ha bisogno di benzina′′ , proponendo sabato 25 settembre a tutta la popolazione, cristiani e musulmani senza distinzione, un pellegrinaggio a piedi da Byblos fino alla tomba di San Charbel , per implorare dal Santo luce e speranza per il Libano stremato.

Ci uniamo spiritualmente al cammino di intercessione dei fratelli libanesi . OraproSiria  


"Ho visto di persona l'orribile risultato che le sanzioni occidentali stanno avendo sul popolo siriano e libanese"

Daniel Kovalik insegna Diritti Umani Internazionali presso l'Università di Pittsburgh School of Law, ed è autore del libro pubblicato lo scorso anno "No More War": Come l'Occidente viola il diritto internazionale utilizzando interventi "Umanitari" per promuovere interessi economici e strategici.

Milioni di persone affamate... niente carburante o elettricità... valuta senza più valore... Ho assistito a tutto questo in Libano e in Siria. E la tragedia più grande è che questa inutile sofferenza è causata dalla volontà dell'Occidente di introdurre "libertà" e "democrazia".

Sono appena tornato dal mio secondo viaggio in Libano e Siria quest'anno. Paesi già visitati a maggio, e nel corso di alcuni mesi ho assistito a un precipitoso declino del benessere delle persone in entrambi questi Paesi.

Beirut, la capitale del Libano, sembrava piuttosto normale e tranquilla a maggio, ma ora di notte è completamente buia a causa della mancanza di elettricità. Ci sono solo poche ore di elettricità al giorno, sporadicamente, in tutta la città. Nel frattempo, il carburante è quasi impossibile da trovare, con file di auto che si estendono per almeno un chilometro in attesa di rifornimento. Un certo numero di miei amici mi ha detto che non poteva guidare per incontrarmi, perché non aveva carburante per il proprio veicolo.

C'è anche poco o nessun servizio di rimozione spazzatura, e quindi le strade e i marciapiedi sono pieni di immondizie. In quella che un tempo era soprannominata la 'Parigi d'Oriente', ho visto capre vagare per le strade in cerca di cibo tra la spazzatura ai lati della strada. La lira libanese è crollata di valore ogni giorno, con i menù dei ristoranti ancora in grado di funzionare mostrando i prezzi scritti a matita in modo che potessero essere cambiati ogni mattina. Mentre scrivo queste parole, la lira vale 0,00066 dollari americani. Un certo numero di persone veramente esasperate ha dichiarato – con un gesto della mano in aria – che “il Libano è finito”. E certamente è quello che essi provano.

In Libano tutti quelli con cui ho parlato vogliono uscire dal Paese; alcuni mi hanno persino chiesto se potevo portarli con me. La possibile eccezione è la massa del popolo siriano che è fuggito dalla guerra nel proprio Paese. Molti di questi siriani ora vivono per le strade di Beirut. È molto comune vedere donne siriane con i loro bambini che dormono sui marciapiedi bui della città. Secondo l'UNICEF, in Libano vivono quasi 1,5 milioni di rifugiati siriani, mettendo a dura prova un sistema sociale incapace di prendersi cura anche della propria gente.

Anche la Siria soffre di una mancanza di elettricità, con energia solo per poche ore al giorno, e anche cibo e medicine vitali sono difficili da trovare. I materiali di protezione individuale necessari per proteggersi dal Covid – come mascherine e gel igienizzante per le mani – sono quasi inesistenti.

Le famiglie con cui stavo erano pronte con il bucato e il cibo da cucinare per balzare sull' occasione in cui l'elettricità si accendeva per un'ora. La maggior parte delle persone è senza aria condizionata o refrigerazione nel clima afoso. Anche la sterlina siriana è relativamente priva di valore, 100 dollari acquistano sacchi di valuta, come ho sperimentato di persona. Nel frattempo, vaste aree di città come Homs rimangono in gran parte in macerie poiché la ricostruzione postbellica si è arrestata.

Tutto questo è, ovviamente, secondo il piano degli "umanitari" occidentali che mantengono le loro soffocanti sanzioni economiche contro la Siria - un tempo il più grande partner commerciale del Libano e la più grande fonte di carburante - inteso a portare in qualche modo democrazia e libertà nella regione. Come ben sappiamo, queste sanzioni colpiscono prima di tutto i civili e feriscono in modo sproporzionato donne e bambini in ogni Paese in cui sono state imposte.

Come spiega un articolo su Foreign Affairs, l'esempio dell'Iraq mostra che le sanzioni non fanno altro che creare miseria umana. Si legge: “Le sanzioni statunitensi hanno ucciso centinaia di migliaia di iracheni. Il loro effetto è stato di genere, punendo in modo sproporzionato donne e bambini. L'idea che le sanzioni funzionino è un'illusione spietata”. E va molto in dettaglio sul bilancio umanitario delle sanzioni imposte per la prima volta alla Siria dal presidente Trump. “L'amministrazione Trump ha progettato le sanzioni che ora ha imposto alla Siria per rendere impossibile la ricostruzione. Le sanzioni colpiscono i settori dell'edilizia, dell'elettricità e del petrolio, essenziali per rimettere in piedi la Siria. Sebbene gli Stati Uniti affermino di "proteggere" i giacimenti petroliferi della Siria nel nord-est, non hanno concesso al governo siriano l'accesso per ripararli e le sanzioni statunitensi vietano a qualsiasi azienda di qualsiasi nazionalità di ripararli, a meno che l'amministrazione non voglia fare un'eccezione …”

L'articolo continua sottolineando che queste restrizioni significano che il Paese deve affrontare "la fame di massa o un altro esodo di massa", secondo il Programma Alimentare Mondiale. Ciò è supportato da statistiche allarmanti che mostrano che 10 anni fa la povertà assoluta in Siria colpiva meno dell'uno per cento della popolazione. Entro il 2015, questo era salito al 35 % della popolazione. Si nota anche l'aumento dei prezzi dei generi alimentari – 209 per cento nell'ultimo anno – e il fatto che, secondo il Programma Alimentare Mondiale, ci sono ora 9,3 milioni di siriani in condizioni di “insicurezza alimentare ”.

C'è anche una critica ai requisiti che il Governo siriano deve soddisfare per ottenere il sollievo dalle sanzioni. Questi sono descritti come " volutamente vaghi " - uno stratagemma, si dice, per scoraggiare gli investitori che potrebbero essere in grado di aiutare la Siria, ma non sono preparati a farlo perché non sono sicuri di essere liberi di aiutare.

L'organizzazione umanitaria del Regno Unito, l'Humanitarian Aid Relief Trust (HART), fa eco a queste preoccupazioni, spiegando che " le sanzioni che sono state imposte alla Siria dall'UE (compreso il Regno Unito) e dagli Stati Uniti hanno causato terribili conseguenze umanitarie per i cittadini siriani" nelle aree controllate dal governo (il 70% del Paese) che stanno cercando di ricostruire le loro vite…”. “Delle enormi quantità di aiuti umanitari che i governi occidentali stanno inviando 'in Siria', la stragrande maggioranza raggiunge o i rifugiati fuggiti dal Paese, o solo quelle aree della Siria occupate da gruppi militanti contrari al Governo siriano. La maggior parte dei siriani è quindi deliberatamente lasciata senza sostegno; anzi, anche il loro stesso sforzo per aiutare se stessi e ricostruire la propria vita è ostacolato dalle sanzioni”.

La disperazione provocata dalle sanzioni occidentali è palpabile. Siriani e libanesi, i cui destini sono indissolubilmente legati l'uno all'altro, hanno poche speranze per un futuro felice e prospero. Ancora una volta, le pretese dell'Occidente di "civilizzare" il mondo hanno portato solo miseria, dolore e distruzione.

Ma sarei negligente se non finissi con questa nota: che, nonostante tutto, l'incredibile ospitalità e gentilezza dei siriani e dei libanesi non sono ancora state distrutte dalla crudeltà che ha colpito il loro popolo. Ovunque io e i miei compagni andassimo, anche nelle case più modeste di posti come Maaloula, Homs o Latakia, in Siria o in Libano, le famiglie erano pronte a offrirci caffè, acqua e snack.

Nonostante il fatto che vengano loro negati i servizi basilari alla vita, da sanzioni mirate come un'arma nucleare, queste persone sanno ancora condividere il poco che hanno. Questo lo porterò sempre con me e ne sarò sempre grato.

https://www.rt.com/op-ed/534711-western-sanction-syria-lebanon/

venerdì 10 settembre 2021

Esiti dell'11 settembre: gli USA padroni del diritto dei popoli ad avere luce e gas

L'elettricità per Siria e Libano dipende dagli Stati Uniti

di Steven Sahiounie, giornalista e commentatore politico

traduzione Gb.P. OraproSiria 

Ieri in Giordania i ministri dell'Energia di Egitto, Siria, Libano e Giordania si sono incontrati e hanno concordato un piano per rifornire il Libano di gas naturale egiziano da convertire in elettricità. La conferenza stampa congiunta ha confermato che tutti avevano concordato di rilanciare l'Arab Gas Pipeline (AGP) che collega il gas egiziano alla Giordania, dove verrà utilizzato per produrre elettricità aggiuntiva per la rete che collega la Giordania al Libano attraverso la Siria.

Ciò fa seguito a un incontro a Damasco tenutosi il 4 settembre tra funzionari libanesi e siriani che discutevano la richiesta libanese di importare gas dall'Egitto ed elettricità dalla Giordania attraverso il territorio siriano.

Tuttavia, le sanzioni statunitensi contro la Siria stanno bloccando il processo regolare per aiutare il Libano assediato, dove la popolazione non ha accesso a elettricità, gas e persino l'acqua è scarsa.

Egitto e Giordania stanno facendo pressioni sull'amministrazione Biden affinché rinunci alle sanzioni siriane ai sensi del Caesar Act, per facilitare il passaggio dell'articolato accordo regionale. Il Caesar Act è stato approvato dal Congresso degli Stati Uniti per danneggiare il governo siriano, ma ha invece fatto soffrire la popolazione siriana in molti modi, dalla svalutazione della valuta all'iperinflazione.

Attualmente, la Siria soffre di una grave mancanza di elettricità, con la maggior parte delle abitazioni che ne usufruiscono solo per 3-4 ore al giorno. I generatori a benzina non sono la soluzione, poiché c'è anche una grave carenza di benzina che viene razionata. Per quanto grave sia la situazione in Siria a causa delle sanzioni statunitensi, la situazione in Libano è anche molto peggiore.

La Banca Mondiale si è offerta di fornire finanziamenti per il progetto, ma è preoccupata per la corruzione tra l'élite dirigente libanese, responsabile della terribile situazione in Libano, che secondo la Banca Mondiale è la peggiore crisi finanziaria degli ultimi 150 anni.

In una conferenza stampa del 4 settembre, il Segretario Generale del Consiglio superiore libanese-siriano, Nasri Khoury, ha dichiarato: “La parte libanese ha chiesto l'assistenza della Siria al Libano per ottenere gas egiziano ed elettricità giordana attraverso il territorio siriano. La parte siriana ha affermato la disponibilità della Siria a soddisfare tale richiesta".

Crisi del Libano

Il Libano è caduto in un grave fallimento dopo che il pubblico si è ribellato contro la corruzione sistemica dell'élite al potere. Il governo non è riuscito a fornire nemmeno i servizi più elementari: acqua, benzina, cibo ed elettricità. Molti ospedali hanno chiuso e quelli aperti faticano a trovare le medicine.

Sulla scia del crollo libanese, è stato compiuto uno sforzo per prelevare energia elettrica dalla Giordania attraverso la Siria, fornendo quantità di gas egiziano alla Giordania, consentendole di produrre ulteriori quantità di elettricità da immettere nella rete che collega la Giordania al Libano attraverso la Siria .

L'Egitto aveva fornito gas al Libano nel 2009 e nel 2010, ma le forniture si sono concluse poco dopo quando la produzione di gas egiziana è diminuita. L'Egitto ha riavviato l'esportazione di gas attraverso il gasdotto nel 2018, ma il gas è andato prevalentemente in Giordania.

La società Electricité du Liban (EDL) ha firmato un accordo con l'Iraq per acquistare olio combustibile pesante da convertire in elettricità, che dovrebbe coprire circa un terzo del fabbisogno di carburante di EDL, e rifornire il Paese per circa quattro mesi.

Il gas egiziano dovrebbe raggiungere il Libano per far funzionare le centrali elettriche a gas, fuori servizio da 11 anni.

A Washington viene anche chiesto di concedere una licenza separata alla Giordania per distribuire elettricità dalla sua rete elettrica al Libano, che dovrebbe passare attraverso la Siria.

Crisi siriana

Il governo degli Stati Uniti ha sottoposto la Siria a severe sanzioni per il settore petrolifero, che complicano l'accordo AGP Arab Gas Pipeline per tutte le parti interessate regionali.

Attacchi alla pipeline

Nel 2011, quando sono iniziate le violenze della "primavera araba", terroristi armati in Egitto hanno attaccato numerose volte la parte egiziana dell'AGP. L'attacco a un oleodotto non ha lo scopo di cambiare il governo, o di portare libertà e democrazia in Medio Oriente. Questi attacchi avevano lo scopo di ferire e terrorizzare la popolazione civile, e molto probabilmente sono stati compiuti da gente del posto che seguiva l'ideologia politica dei Fratelli Musulmani che giustificava il massacro di musulmani, come loro, per rimuovere un governo laico, nel caso della Siria, e fondare uno Stato Islamico.

La sezione di Homs dell'oleodotto è stata attaccata nel 2012 quando Arwa Damon della CNN si è associato ai terroristi del posto.

Nel 2016 e nel 2020 i terroristi hanno attaccato l'AGP in Siria. La popolazione siriana è venuta presto a sapere che i terroristi la trattavano come un nemico. Questo è il motivo per cui l'Esercito Siriano Libero e i suoi affiliati di Al Qaeda hanno perso la loro guerra contro il popolo siriano, perché non hanno ricevuto il sostegno e la partecipazione della popolazione, che è giunta a disprezzarli.

Storia del gasdotto

L'AGP è lungo 1.200 km ed è un gasdotto transregionale per l'esportazione del gas costruito per trasportare il gas naturale dall'Egitto alla Giordania, alla Siria e al Libano.

Le principali parti interessate all'AGP includono l'Egyptian Natural Gas Holding Company (EGAS), Engineering for the Petroleum and Process Industries (ENPPI), The Petroleum Projects and Technical Consultations Company (PETROJET), l'Egyptian Natural Gas Company (GASCO) e la Compagnia Petrolifera Siriana (SPC).

Il governo egiziano nel 1995 ha permesso alle compagnie petrolifere e del gas nazionali e internazionali di trivellare attivamente per il gas. La domanda interna di gas è stata soddisfatta nel 1999 e il governo ha iniziato a cercare mercati di esportazione per l'eccedenza.

Nel 2001, Egitto e Giordania hanno avviato dialoghi, che in seguito hanno incluso Siria e Libano. Anche Israele, Turchia e Iraq hanno firmato accordi per cooperare nell'AGP.

L'AGP ha quattro sezioni. La prima sezione si estende da Arish in Egitto ad Aqaba in Giordania.
La seconda sezione va da Aqaba a El Rehab, vicino al confine giordano-siriano. La terza sezione si estende dalla Giordania (El Rehab) alla Siria (Jabber).

La quarta sezione è costituita da una rete del gas in Siria ed è operativa dal 2008. Si estende da Jabber (lato siriano dei confini giordano-siriano) ai confini siriano-turco, finendo in Libano. Questa sezione ha quattro segmenti. Il segmento uno va da Jabber a Homs in Siria, mentre il secondo segmento collega le città di Homs e Aleppo, in Siria. Il terzo segmento si estende da Aleppo ai confini siro-turchi. Il quarto segmento collega Homs in Siria con Tripoli in Libano e questa sezione comprende quattro stazioni di distribuzione/ricezione, 12 stazioni di valvola e una stazione di misurazione.

L'AGP può anche collegare la rete del gas irachena per facilitare l'esportazione del gas iracheno verso il mercato europeo.

Nel gennaio 2008 è stato firmato un Memorandum d'Intesa tra Turchia e Siria per l'estensione dell'AGP da Homs, in Siria, alla città di confine turca di Kilis. Dalla Turchia, l'AGP sarà probabilmente collegato al proposto gasdotto Nabucco per la consegna del gas egiziano in Europa. L'Arab Gas Pipeline sarà inoltre collegato alla rete del gas irachena per facilitare l'esportazione del gas iracheno verso il mercato europeo.

Cosa accadrà?

Gli Stati Uniti rinunceranno alle sanzioni per aiutare il popolo siriano e libanese? Il presidente francese Macron ha recentemente partecipato a un incontro regionale a Baghdad e in precedenza ha ospitato un incontro per aiutare il Libano a riprendersi. Macron chiederà a Biden di rinunciare alle sanzioni contro la Siria per realizzare questo accordo, o la Francia continuerà a prendere ordini da Washington? Biden ha il potere politico per far accettare una deroga alle sanzioni dal Congresso degli Stati Uniti?

L'Arab Gas Pipeline è un consorzio di vicini che cercano di lavorare insieme per risolvere i propri problemi, eppure sono gli Stati Uniti che tengono il dito sull'interruttore della luce.

https://www.mideastdiscourse.com/2021/09/09/electricity-for-syria-and-lebanon-depends-on-the-us/

lunedì 6 settembre 2021

Per salvare il Paese dal collasso, 39 camion cisterna diretti in Libano entrano in Siria attraverso l'Iraq

Dopo l'annuncio dell'accordo di Hezbollah per importare dall'Iran in Libano il carburante tanto necessario, gli Stati Uniti - nel tentativo di osteggiare le spedizioni di carburante iraniano - si sono adoperati per facilitare l'importazione di carburante ed elettricità dall'Egitto e dalla Giordania, attraverso il territorio siriano.   
Ciò implica che gli Stati Uniti erano disposti a rinunciare alle proprie sanzioni che vietano qualsiasi transazione ufficiale con il governo siriano. "La parte siriana ha accolto con favore la richiesta e ha assicurato alla delegazione che era pronta a soddisfarla", ha dichiarato il capo portavoce libanese dopo l'incontro 
L'analista Elijah Magnier riferisce: "Israele vuole che gli Stati Uniti facciano l'impossibile: spingere il Libano a disarmare Hezbollah e  riprendere i  colloqui sul conteso confine del Mar Mediterraneo per l'estrazione del gas. Funzionari libanesi stanno contestando una vasta area considerata parte del giacimento di gas del  Karish  dove Israele ha, illegalmente, concesso i diritti di esplorazione a una società greca."

The Cradle, 5 settembre 2021

Il 5 settembre, l'Osservatorio siriano per i diritti umani (SOHR) ha riferito che un convoglio di 39 autocisterne di carburante erano entrate in Siria dall'Iraq utilizzando valichi di frontiera controllati da milizie sostenute dall'Iran.

Secondo il rapporto, il convoglio è stato avvistato entrare in Siria attraverso i valichi di frontiera di Al-Mayadin e Albu Kamal nella campagna orientale di Deir Ezzor. Da qui, secondo quanto riferito, le petroliere hanno preso la strada per il Governatorato di Homs, situato vicino al confine libanese.

Si ritiene che queste cisterne siano in viaggio verso il Libano con il tanto atteso carburante iraniano assicurato dal movimento di resistenza libanese Hezbollah il mese scorso.

Dall'annuncio dell'acquisizione, almeno tre navi sono salpate dall'Iran trasportando il carburante, ma per eludere le sanzioni statunitensi ci si aspettava che attraccassero in Siria prima di trasferire il carburante su autocisterne che lo avrebbero trasportato in Libano.

Secondo il SOHR, il convoglio di domenica è stato il secondo ad entrare in Siria utilizzando la stessa rotta negli ultimi sette giorni. Il 29 agosto, l'organizzazione con sede nel Regno Unito ha anche riferito che “circa 50 petroliere cariche di benzina dall'Iraq sono entrate in Siria attraverso il valico di Albu Kamal nella campagna di Deir Ezzor sotto la protezione delle forze della 4a Divisione e, secondo fonti, le petroliere erano diretto verso il Libano».

La notizia arriva pochi giorni dopo che una delegazione di alto livello di funzionari libanesi ha visitato la Siria per discutere dell'importazione di gas ed elettricità dall'Egitto e dalla Giordania utilizzando le infrastrutture siriane, come parte di un piano promosso dagli Stati Uniti per contrastare l'opzione del carburante iraniano di Hezbollah.

Il Libano sta attraversando una grave crisi energetica che ha lasciato la maggior parte del paese senza accesso al carburante e ha causato gravi blackout che possono durare fino a 22 ore al giorno.

venerdì 30 luglio 2021

"Jocelyne Khoueiry, intercedi per il tuo amato Libano! "

Un anno fa, 31/07/2020, si spense a Biblos, all'età di 64 anni, Jocelyne Khoueiry.

 

In questo filmato, girato in Vaticano nella Giornata Internazionale della Donna dell'8 marzo 2014, la nostra indimenticabile amica racconta come abbracciò le armi, per la salvaguardia della comunità cristiana in Libano, impegnandosi nel partito Kataeb alla guida del battaglione femminile .


Jocelyne abbandonò poi la lotta armata per dedicarsi all'apostolato della famiglia e della donna . A lei, eroina dapprima della Resistenza Libanese e poi dell'amore alla Patria attraverso la verità della testimonianza cristiana, chiediamo che dal Cielo, insieme a San Charbel , a Padre Romano Bottegal e ai luminosi Santi libanesi, interceda per la salvezza del Libano.

Per comprendere la situazione drammatica in cui versa in questi giorni il Paese, riportiamo l'articolo di Steven Sahiounie in nostra traduzione.


Emergenza in Libano: incendi senza precedenti divorano il “Paesi dei cedri”



Il Libano è sull'orlo dell'esplosione e del crollo sociale 

Najib Mikati ha ricevuto 73 voti dal parlamento libanese, diventando il nuovo primo ministro eletto. Ha dichiarato che non avrebbe accettato la posizione se non avesse avuto il sostegno internazionale ed ha concordato con il presidente Michel Aoun di formare un governo utilizzando il modello francese.

Le Nazioni Unite ospiteranno insieme alla Francia una conferenza internazionale prevista per il 4 agosto. I diplomatici ritengono che i temi saranno sul come costringere le élite politiche libanesi a concordare le riforme e come affrontare la crisi umanitaria in corso. Anche il destino dell'esercito libanese è minacciato e sicuramente attirerà l'attenzione.

Il Libano è senza governo da nove mesi, il che ha ulteriormente acuito il tracollo economico.

La Banca Mondiale ha pubblicato un rapporto scioccante che classifica quella del Libano come una delle tre peggiori crisi finanziarie del mondo in più di 150 anni. La valuta libanese ha perso oltre il 90% del suo valore dalla fine del 2019 e il suo PIL è diminuito di circa il 40% dal 2018, con una caduta libera dell'economia. Il rapporto incolpa in gran parte le élite politiche settarie del Paese per la crisi.

Il costo del cibo è aumentato del 700% negli ultimi due anni con aumenti che si sono accelerati. "Il prezzo di un paniere alimentare di base è aumentato di oltre il 50 percento in meno di un mese", ha detto Nasser Yassin all'AFP mercoledì.

La sterlina libanese è circa 15 volte il tasso ufficiale, sul mercato nero scambiata a 22.000 £. per dollaro.

Il governo ha quasi esaurito la valuta pregiata, il che significa che non possono acquistare articoli di base come medicinali e benzina. File lunghe chilometri di automobilisti arrabbiati aspettano alle stazioni di servizio di fare il pieno. Anche i più grandi ospedali si lamentano di aver esaurito certe medicine.

Acqua

L'acqua è vita e il sistema idrico libanese è funzionale al supporto vitale. In qualsiasi momento l'intero sistema potrebbe crollare, lasciando milioni di persone a rischio immediato di non avere acqua. Il Fondo delle Nazioni Unite per l'infanzia, l'UNICEF, avverte di un imminente disastro.

Nelle prossime quattro-sei settimane, la maggior parte delle stazioni di pompaggio dell'acqua cesserà di funzionare a causa della crisi economica che ha causato carenze di risorse finanziarie, di cloro e pezzi di ricambio.

Dopo il crollo, i prezzi dell'acqua aumenteranno del 200% al mese mentre i residenti si affrettano a trovare fornitori privati alternativi.

Il settore idrico è stato schiacciato fino alla distruzione dall'attuale crisi economica in Libano, incapace di funzionare a causa dei costi di manutenzione dollarizzati, delle perdite idriche causate dalla mancanza di manutenzione, del crollo parallelo della rete elettrica e della minaccia dell'aumento dei costi del carburante ", ha affermato Yukie Mokuo, rappresentante dell'UNICEF nel paese. "Una perdita di accesso alla rete idrica pubblica potrebbe costringere le famiglie a prendere decisioni estremamente difficili in merito alle loro esigenze di base in materia di acqua, servizi igienico-sanitari e igiene", ha aggiunto.

Quasi 2 milioni di persone hanno accesso a soli 35 litri al giorno, rispetto alla media nazionale di 165 litri prima del 2020. Il prezzo dell'acqua potabile in bottiglia è raddoppiato nell'ultimo anno.

"Al culmine dei mesi estivi, con i casi di COVID-19 che iniziano a salire di nuovo a causa della variante "Delta", il prezioso sistema idrico pubblico del Libano indispensabile alla vita potrebbe crollare in qualsiasi momento", ha affermato Mokuo.

Il Libano è sul punto di rimanere senza olio combustibile per alimentare i suoi generatori di energia elettrica, anche se l'Iraq è intervenuto con un accordo interessante, ma complicato.

Accordo sull'olio combustibile

L'Iraq fornirà al Libano olio combustibile per le sue centrali elettriche in cambio di servizi medici, con la carenza di elettricità che colpirà gli ospedali.

Il ministro libanese dell'Energia, Raymond Ghajar, ha affermato che l'accordo consentirà “l'acquisto di un milione di tonnellate di olio combustibile statale iracheno per conto di Electricite' du Liban (EDL)” nel corso di un anno.

Il petrolio iracheno (grezzo) non può essere utilizzato direttamente dalle centrali elettriche, quindi il Libano scambierà il petrolio iracheno con olio combustibile di altri fornitori.

L'infrastruttura sanitaria dell'Iraq è in rovina e non si è mai ripresa dopo l'attacco, l'invasione e l'occupazione degli Stati Uniti. La corruzione nel governo iracheno ha impedito gli investimenti nei servizi pubblici. Il Libano offrirà all'Iraq assistenza medica in cambio del petrolio.

Ospedali e COVID

I servizi sanitari libanesi lottano contro la mancanza di medicinali, medici e personale che partono per lavorare all'estero, ed ora non hanno quasi più nemmeno l'elettricità.

"Tutti gli ospedali... sono ora meno preparati di quanto non fossero durante l'ondata di inizio anno", ha affermato Firass Abiad, il manager del più grande ospedale pubblico del paese che sta combattendo contro il COVID-19. "Abbiamo solo due o tre ore di elettricità dalla rete, e per il resto del tempo tocca ai generatori", ha detto Abiad.

Durante la primavera, i casi di COVID sono diminuiti, ma ora stanno aumentando mentre i libanesi all'estero si riversano a casa per le visite estive, portando con sé il virus. Solo giovedì, 98 persone sono risultate positive al COVID-19 all'arrivo all'aeroporto di Beirut, ha affermato il ministero della salute.

"Potrebbe essere catastrofico se questo aumento dei numeri del coronavirus portasse a un picco come quello che abbiamo visto all'inizio dell'anno", ha detto Abiad.

L'anniversario del Porto

Il Libano segnerà il primo anniversario dell'orribile esplosione nel porto di Beirut, che ha ucciso più di 200 persone, ferito più di 7.500 e lasciato circa 300 persone senza casa.

La maggior parte delle vittime non si è ancora completamente ripresa. L'esplosione è stata come un piccolo scoppio nucleare, ma ciò che è seguito nel corso dell'anno è stato un graduale tracollo verso la miseria e la disperazione. Molti incolpano i funzionari libanesi di aver immagazzinato centinaia di tonnellate di nitrato di ammonio altamente esplosivo nel porto, che ha preso fuoco, causando l'esplosione.

Molti libanesi sono affamati, arrabbiati e distrutti. Vogliono vedere un segno di miglioramento, un motivo di speranza. Forse il nuovo governo e l'incontro internazionale offriranno qualche segnale per un nuovo inizio per il Libano. Per questo, possiamo sperare.

Steven Sahiounie è un giornalista pluripremiato

https://www.mideastdiscourse.com/2021/07/26/lebanon-is-on-the-brink-of-social-explosion-and-breakdown/

venerdì 2 luglio 2021

“Il Signore Dio ha progetti di pace. Insieme per il Libano” : le dichiarazioni dei Patriarchi Ortodossi e il discorso del Papa

 Statement of the Syriac Orthodox Patriarchate of Antioch and All the East

June 30, 2021
We ask the Vatican to work on lifting the sanctions of the Syrian People
On June 30, 2021, His Holiness Patriarch Mor Ignatius Aphrem II, Syriac Orthodox Patriarch of Antioch and All the East, met His Holiness Pope Francis at his residence in the Vatican.
His Holiness was accompanied by their Eminences Archbishops: Mor Justinos Boulos Safar, Patriarchal Vicar in Zahleh and Beqaa, and Mor Joseph Bali, Patriarchal Secretary.
During the meeting, His Holiness the Patriarch spoke about the situation of Christians in Syria and about the suffering of the Syrian people due to the sanctions imposed on Syria. He asked from His Holiness Pope Francis to help in lifting the sanctions using the Vatican’s international relations to this end.
His Holiness the Patriarch also requested that the Holy See to continue their efforts to help in the case of the abducted Archbishops of Aleppo Boulos Yaziji and Mor Gregorius Youhanna Ibrahim.
Their Holinesses discussed in length the issue of the date of the celebration of Easter where His Holiness the Patriarch renewed his call to intensify the serious work in this regard. He also affirmed the stand of the Syriac Orthodox Church to proceed forward in this issue because of its importance to the unity of Christians and their common witness.
At the end of the meeting, their Holinesses prayed for the Christians in the Middle East.

Patriarch John X meets Pope Francis
Vatican, June 30, 2021
HB John X, the Greek Orthodox Patriarch of Antioch and All the East met Pope Francis at the Apostolic Palace in the Vatican City.
The private meeting between His Holiness and His Beatitude touched upon the day of prayer for Lebanon to be held tomorrow in the Vatican, at the invitation of His Holiness to all the heads of Christian communities in Lebanon. The meeting also touched on the Christian situation in the Middle East in all its aspects.
His Beatitude expressed to His Holiness the Antiochian point of view: tolerance, refusing introversion and exclusion, and building bridges of inclusion to all components.
His Beatitude commended the role entrusted to the Holy See to save Lebanon by exerting pressure for establishing a Lebanese government and by supporting the combined proposals and consensus to determine the fate of one united Lebanon in coexistence and citizenship.
His Beatitude also presented the situation in Syria, noting the necessity to lifting sanctions on Syria and Lebanon, as they affect the citizen's livelihood.
The meeting also touched on the issue of the kidnapped bishops of Aleppo, Paul Yazigi and Yohanna Ibrahim, as it is necessary to reach the desired end of this file, which is still disregarded by the international community.
For his part, His Holiness appraised the pioneer role of the Church of Antioch in the region and affirmed the continuous endeavor of the Holy See's towards all that is for the good of Lebanon and the region.
The Antiochian delegation which accompanied His Beatitude was formed of Metropolitan Silouan Moussa (of Mount Lebanon) and Archimandrite Parthenios Al-Latti.

DISCORSO DEL SANTO PADRE FRANCESCO
A CONCLUSIONE DELLA PREGHIERA ECUMENICA

“IL SIGNORE DIO HA PROGETTI DI PACE. 
INSIEME PER IL LIBANO"

Basilica di San Pietro  Giovedì, 1 luglio 2021

Cari fratelli e sorelle,

ci siamo riuniti oggi per pregare e riflettere, spinti dalla preoccupazione per il Libano, preoccupazione forte, nel vedere questo Paese, che porto nel cuore e che ho il desiderio di visitare, precipitato in una grave crisi. Sono grato a tutti i partecipanti per aver accolto prontamente l’invito e per la condivisione fraterna. Noi Pastori, sostenuti dalla preghiera del Popolo santo di Dio, in questo frangente buio abbiamo cercato insieme di orientarci alla luce di Dio. E alla sua luce abbiamo visto anzitutto le nostre opacità: gli sbagli commessi quando non abbiamo testimoniato il Vangelo con coerenza e fino in fondo, le occasioni perse sulla via della fraternità, della riconciliazione e della piena unità. Di questo chiediamo perdono e con il cuore contrito diciamo: «Pietà, Signore!» (Mt 15,22).

Era questo il grido di una donna, che proprio dalle parti di Tiro e di Sidone incontrò Gesù e, in preda all’angoscia, lo implorò con insistenza: «Signore, aiutami!» (v. 25). Questo grido è diventato oggi quello di un intero popolo, il popolo libanese deluso e spossato, bisognoso di certezze, di speranza, di pace. Con la nostra preghiera abbiamo voluto accompagnare questo grido. Non desistiamo, non stanchiamoci di implorare dal Cielo quella pace che gli uomini faticano a costruire in terra. Chiediamola insistentemente per il Medio Oriente e per il Libano. Questo caro Paese, tesoro di civiltà e di spiritualità, che ha irradiato nei secoli saggezza e cultura, che testimonia un’esperienza unica di pacifica convivenza, non può essere lasciato in balia della sorte o di chi persegue senza scrupoli i propri interessi. Perché il Libano è un piccolo-grande Paese, ma è di più: è un messaggio universale di pace e di fratellanza che si leva dal Medio Oriente.

Una frase che il Signore pronuncia nella Scrittura è risuonata oggi tra noi, quasi in risposta al grido della nostra preghiera. Sono poche parole, con le quali Dio dichiara di avere «progetti di pace e non di sventura» (Ger 29,11). Progetti di pace e non di sventura. In questi tempi di sventura vogliamo affermare con tutte le forze che il Libano è, e deve restare, un progetto di pace. La sua vocazione è quella di essere una terra di tolleranza e di pluralismo, un’oasi di fraternità dove religioni e confessioni differenti si incontrano, dove comunità diverse convivono anteponendo il bene comune ai vantaggi particolari. È perciò essenziale – desidero ribadirlo – «che chi detiene il potere si ponga finalmente e decisamente al vero servizio della pace e non dei propri interessi. Basta ai tornaconti di pochi sulla pelle di molti! Basta al prevalere delle verità di parte sulle speranze della gente!» (Parole a conclusione del dialogoBari, 7 luglio 2018). Basta usare il Libano e il Medio Oriente per interessi e profitti estranei! Occorre dare ai Libanesi la possibilità di essere protagonisti di un futuro migliore, nella loro terra e senza indebite interferenze.

Progetti di pace e non di sventura. Voi, cari Libanesi, vi siete distinti nel corso dei secoli, anche nei momenti più difficili, per intraprendenza e operosità. I vostri alti cedri, simbolo del Paese, evocano la florida ricchezza di una storia unica. E ricordano pure che rami grandi nascono solo da radici profonde. Vi ispirino gli esempi di chi ha saputo costruire fondamenta condivise, vedendo nelle diversità non ostacoli, ma possibilità. Radicatevi nei sogni di pace dei vostri anziani. Mai, come in questi mesi, abbiamo compreso che da soli non possiamo salvarci e che i problemi degli uni non possono essere estranei agli altri. Perciò, facciamo appello a tutti voi. A voi, cittadini: non vi scoraggiate, non perdetevi d’animo, ritrovate nelle radici della vostra storia la speranza di germogliare nuovamente. A voi, dirigenti politici: perché, secondo le vostre responsabilità, troviate soluzioni urgenti e stabili alla crisi economica, sociale e politica attuale, ricordando che non c’è pace senza giustizia. A voi, cari Libanesi della diaspora: perché mettiate a servizio della vostra patria le energie e le risorse migliori di cui disponete. A voi, membri della Comunità internazionale: con uno sforzo congiunto, siano poste le condizioni affinché il Paese non sprofondi, ma avvii un cammino di ripresa. Sarà un bene per tutti.

Progetti di pace e non di sventura. Come cristiani, oggi vogliamo rinnovare il nostro impegno a edificare un futuro insieme, perché l’avvenire sarà pacifico solo se sarà comune. I rapporti tra gli uomini non possono basarsi sulla ricerca di interessi, privilegi e guadagni di parte. No, la visione cristiana della società viene dalle Beatitudini, scaturisce dalla mitezza e dalla misericordia, porta a imitare nel mondo l’agire di Dio, che è Padre e vuole la concordia tra i figli. Noi cristiani siamo chiamati a essere seminatori di pace e artigiani di fraternità, a non vivere di rancori e rimorsi passati, a non fuggire le responsabilità del presente, a coltivare uno sguardo di speranza sul futuro. Crediamo che Dio indichi una sola via al nostro cammino: quella della pace. Assicuriamo perciò ai fratelli e alle sorelle musulmani e di altre religioni apertura e disponibilità a collaborare per edificare la fraternità e promuovere la pace. Essa «non chiede vincitori né vinti, ma fratelli e sorelle che, nonostante le incomprensioni e le ferite del passato, camminino dal conflitto all’unità» (Discorso, Incontro interreligiosoPiana di Ur, 6 marzo 2021). In tal senso, auspico che a questa giornata seguano iniziative concrete nel segno del dialogo, dell’impegno educativo e della solidarietà.

Progetti di pace e non di sventura. Oggi abbiamo fatto nostre le parole piene di speranza del poeta Gibran: Oltre la nera cortina della notte c’è un’alba che ci aspetta. Alcuni giovani ci hanno appena consegnato delle lampade accese. Proprio loro, i giovani, sono lampade che ardono in quest’ora buia. Sui loro volti brilla la speranza dell’avvenire. Ricevano ascolto e attenzione, perché da loro passa la rinascita del Paese. E tutti noi, prima di intraprendere decisioni importanti, guardiamo alle speranze e ai sogni dei giovani. E guardiamo ai bambini: i loro occhi luminosi, ma rigati da troppe lacrime, scuotano le coscienze e indirizzino le scelte. Altre luci risplendono sull’orizzonte del Libano: sono le donne. Viene alla mente la Madre di tutti, che, dalla collina di Harissa, abbraccia con lo sguardo quanti dal Mediterraneo raggiungono il Paese. Le sue mani aperte sono rivolte verso il mare e verso la capitale Beirut, ad accogliere le speranze di tutti. Le donne sono generatrici di vita, generatrici di speranza per tutti; siano rispettate, valorizzate e coinvolte nei processi decisionali del Libano. E anche i vecchi, che sono le radici, i nostri anziani: guardiamoli, ascoltiamoli. Che ci diano la mistica della storia, che ci diano le fondamenta del Paese per portare avanti. Loro hanno voglia di tornare a sognare: ascoltiamoli, perché in noi quei sogni si trasformino in profezia.

Parafrasando ancora il poeta, riconosciamo che per giungere all’alba non c’è altra via se non la notte. E nella notte della crisi occorre restare uniti. Insieme, attraverso l’onestà del dialogo e la sincerità delle intenzioni, si può portare luce nelle zone buie. Affidiamo ogni sforzo e impegno a Cristo, Principe della Pace, perché, come abbiamo pregato, “quando si levano i raggi privi d’ombre della sua misericordia fuggono le tenebre, termina il crepuscolo, si dilegua l’oscurità e se ne va la notte” (cfr S. Gregorio di Narek, Libro della Lamentazione, 41). Fratelli e sorelle, si dilegui la notte dei conflitti e risorga un’alba di speranza. Cessino le animosità, tramontino i dissidi, e il Libano torni a irradiare la luce della pace.


lunedì 28 giugno 2021

Appello all’Europa per il Libano, preghiera insieme a papa Francesco

Il 1° luglio Papa Francesco accoglierà i principali leader cristiani del Libano per affrontare quella che ha definito la “preoccupante crisi" che sta attraversando il Paese e pregare per la pace e la stabilità del Paese.
 

Accogliendo l’invito di Papa Francesco a pregare per il Libano, la Presidenza del CCEE, a nome dei vescovi del Continente, si unisce “ai fratelli e alle sorelle di fede e di umanità che vivono in Libano” e invoca il dono della pace e della stabilità insieme a un rinnovato impegno a sostegno del Paese dei Cedri.

All’Europa ci rivolgiamo dando voce ai Vescovi del Continente.

Come Presidenza del Consiglio delle Conferenze Episcopali d’Europa, ci uniamo ai fratelli e alle sorelle di fede e di umanità che vivono in Libano.

Facciamo nostre le istanze dell’Assemblea dei Patriarchi e dei Vescovi Cattolici di quel martoriato e nobile Paese: le loro sono le parole non solo della comunità cristiana, ma di tutto un popolo che soffre duramente nella paura e nell’incertezza del futuro: situazione nella quale nessuno – popoli o singoli – dovrebbe vivere nel mondo. Anche il Santo Padre Francesco, nei Suoi accorati Messaggi, ha espresso la sua paterna vicinanza e ha invocato dai potenti della terra attenzione e un rinnovato impegno a sostegno del Libano, affinché possa proseguire nella sua vocazione ad essere una terra di incontro, convivenza e pluralismo.

La storia del Libano è nota e nessuno la può dimenticare: storia di dignità e di cultura, di accoglienza e solidarietà, anche oggi, verso tanti sofferenti che provengono dalla Siria e dalla Palestina. È una storia di libertà, di dialogo, e di pacifica convivenza nel segno dei diritti fondamentali.

Perché tanto dolore? Perché il rischio della disgregazione e di una implosione che sarebbe danno per l’area e vergogna per l’umanità? La storia dovrà forse aggiungere un’altra pagina buia? Nessuno lo deve volere, e certamente il popolo libanese non lo vuole! Nulla è perduto se si vuole e si agisce con onestà tempestiva. Nulla è fatale, tutto è nelle mani degli uomini con l’aiuto del Dio misericordioso e giusto: Egli vede le opere degli uomini e scruta le intenzioni dei cuori.

Per queste ragioni facciamo appello alla coscienza delle Nazioni e dei Responsabili, affinché il mondo non dimentichi la tragedia in atto e non sia sordo al grido dei poveri e dei sofferenti. Affinché si ristabilisca la giustizia, si riconosca l’identità individuale, collettiva e nazionale, si rispettino i valori religiosi e civili della loro Tradizione, si sostenga la ripresa dell’economia e la ricostruzione di un tessuto sociale fatto di dialogo e di collaborativa coesistenza delle diversità religiose, culturali e sociali. Tutto questo senza condizionamenti esterni.

In questa ottica di ricostruzione, la Chiesa è presente con il messaggio evangelico e con le sue istituzioni educative, sanitarie e sociali: esse sono conosciute da tutti e a disposizione del bene comune. Il sostegno, pertanto, anche di queste presenze operative rappresenta l’interesse concreto per rafforzare il tessuto sociale e per intravvedere un futuro migliore. È noto che il futuro di un Paese è un bene non solo particolare ma per l’umanità. Questo vale in modo speciale per il Libano e per il suo contributo ad un Medio Oriente plurale, tollerante e diversificato.

Ci uniamo all’accorato appello del Santo Padre e preghiamo il Signore della pace affinché i piccoli siano confortati e soccorsi, e i responsabili si lascino illuminare per essere saggi e onesti davanti a Dio, ai sofferenti e alla storia.

Presidenza del CCEE

https://www.ccee.eu/wp-content/uploads/sites/2/2021/05/Appello-Libano-IT.pdf


I PARTECIPANTI ALL'INCONTRO DEL 1 LUGLIO

Il tavolo dell’incontro sarà rotondo, ed intorno ad esso siederanno insieme a Francesco, il nunzio in Libano, mons. Joseph Spiteri, che fungerà da moderatore, e i dieci Capi delle comunità cristiane: per parte cattolica, il Patriarca maronita card. Bechara Boutros Raï, quello Siro-cattolico Ignace Youssef III Younan, quello Melkita Youssef Absi, il vescovo Caldeo Michel Kassarj e il vicario apostolico latino mons. Cesar Essayan.

Per i non cattolici ci saranno: la Chiesa greco-ortodossa del Patriarcato di Antiochia, di tradizione bizantina, guidata dal patriarca Youhanna X Yazigi. 

Ci sarà il Catholicossato della Chiesa Armena Apostolica di Cilicia, guidata dal Catholicos Aram I. “Sostanzialmente, la presenza della comunità armena in Libano risale al tempo del genocidio armeno agli inizi del XX secolo”. 

Attesa la Chiesa Siro-ortodossa, con a capo, dal 2014, il Patriarca Ignazio Aphrem II. 

Gli evangelici, ossia The Supreme Council of the Evangelical Community in Syria and Lebanon, sarà rappresentato dal suo presidente, il rev.do Joseph Kassabhas. “La comunità evangelica in Libano trae origine dal risveglio intellettuale avvenuto nella parte dell‘Impero Ottomano di lingua araba nel 19.mo secolo; esso porta avanti oggi in Libano un intenso impegno nel campo educativo”.

http://www.asianews.it/notizie-it/%E2%80%8BIl-primo-luglio-in-Vaticano-il-grido-del-popolo-libanese-53505.html


Un’altra bomba a orologeria in riva al Mediterraneo

Il logo della Giornata di preghiera e riflessione per il Libano

di Fulvio Scaglione

Situato in posizione strategica, c’è un Paese del Medio Oriente che attraversa una crisi politica profondissima (il premier incaricato tenta invano di formare un governo dall’ottobre 2020). È in totale bancarotta (dal 2019 i conti correnti sono bloccati e al mercato nero la valuta locale ha perso il 90 per cento del suo valore sul dollaro; nel solo 2020 il Pil nazionale è crollato di quasi il 20 per cento) e ha visto crescere il numero dei poveri in misura impressionante: su meno di 7 milioni di abitanti, 1,7 milioni sono in povertà e quasi 850 mila incapaci di soddisfare da soli i propri bisogni alimentari. In più, c’è un milione e mezzo di profughi siriani che, nella loro incolpevole disperazione, costituiscono un problema di enormi proporzioni. Questo Paese è il Libano, una realtà che i vari consessi politici internazionali (il recente G7, per esempio) faticano anche solo a nominare.

A dire il vero ha tentato di occuparsene la Francia. Dopo l’esplosione nel porto del 4 agosto 2020, che fece più di 200 morti e fece definitivamente cadere la maschera che ancora celava la crisi libanese, il presidente Emmanuel Macron fu il primo a presentarsi a Beirut. Da allora, le massime autorità francesi si sono avvicendate nelle visite, senza però dare l’impressione di aver trovato il bandolo della matassa. L’Eliseo continua a puntare su Saad Hariri, che ha finora incontrato 18 volte il capo dello Stato Michel Aoun senza arrivare alla formazione di un Governo purchessia. Va dato atto a Macron e Hariri, però, che non abbondano le figure alternative. Tanto che persino il patriarca maronita, il cardinale Beshara Rai, ha proposto un «governo dei leader» pur di dare una scossa alla situazione.

Eppure, è proprio il perpetuarsi delle vecchie abitudini e dei vecchi personaggi a inchiodare il Paese al proprio fallimento. L’accurata spartizione per gruppi etnico-religiosi delle cariche pubbliche ha dato stabilità al sistema finché ha conservato la sua carica, per così dire, innovativa. Di certo particolare rispetto a una regione dove i gruppi, invece di cercare il compromesso, erano piuttosto abituati a scannarsi per la supremazia totale. Quando si è sclerotizzato, l’accordo spartitorio è diventato una specie di saccheggio istituzionalizzato. E quando si è allargato alla società (perché, per esempio, l’aeroporto di Beirut deve essere controllato dagli sciiti? Perché il commercio dei farmaci deve essere appannaggio dei cristiani ortodossi?) è diventato fattore di disgregazione.

Servirebbe un cambiamento radicale. Ma chi potrebbe guidarlo? E ancor prima: chi potrebbe avere il coraggio di volerlo? Perché, come si diceva, incastrato tra Israele e la Siria, il Libano è da sempre un ordigno da maneggiare con cura. Adesso è diventato una bomba a tempo.

https://www.terrasanta.net/2021/06/unaltra-bomba-a-orologeria-in-riva-al-mediterraneo/

In Libano, una crisi segue l'altra

Il Libano è sull'orlo della bancarotta nazionale. Il paese sta esaurendo la valuta estera e con essa il carburante, le medicine e l'elettricità. Questo ha avuto un impatto enorme anche sull'istruzione. Molte aule in Libano restano chiuse in questi giorni, e ciò non ha nulla a che fare con il coronavirus. "Sta diventando più difficile per noi insegnanti andare al lavoro a causa della mancanza di benzina".....

 articolo completo qui : https://www.dw.com/en/lebanon-protesters-demand-new-government-to-tackle-crisis/a-53799365


Rimandiamo inoltre al precedente articolo sulla situazione libanese pubblicato su Ora pro Siria: 

 https://oraprosiria.blogspot.com/2021/03/il-libano-sullorlo-dellabisso.html


venerdì 4 giugno 2021

Attese e domande intorno all’incontro con i Capi delle Chiese del Libano convocato dal Papa


 In Libano stanno suscitando sorpresa, speranze, attese e anche domande, le brevi parole con cui domenica 30 maggio, dopo la preghiera dell’Angelus, Papa Francesco ha annunciato dalla finestra del Palazzo apostolico affacciata su Piazza San Pietro, che il prossimo 1° luglio si incontrerà in Vaticano “con i principali Responsabili delle comunità cristiane presenti in Libano, per una giornata di riflessione sulla preoccupante situazione del Paese e per pregare insieme per il dono della pace e della stabilità”. Il Papa ha affidato l’intenzione che ispira la convocazione di tale incontro “all’intercessione della Madre Dio, tanto venerata al Santuario di Harissa”, chiedendo a tutti di accompagnare la preparazione di questo evento con la preghiera solidale, invocando per quell’amato Paese un futuro più sereno”.

L’iniziativa del Papa prende forma mentre il Libano appare ormai da tempo risucchiato da una crisi sistemica che sembra mettere in crisi la stessa sussistenza della compagine nazionale libanese. Secondo fonti locali contattate dall’Agenzia Fides, l’annuncio del Papa sta suscitando nelle diverse compagini ecclesiali anche domande e riflessioni volte a chiarire meglio la portata e i criteri ispiratori del prossimo summit convocato dal Papa. 

In primis, in Libano ci si chiede quali e quanti saranno i "principali Responsabili delle comunità cristiane presenti in Libano” attesi dal Papa in Vaticano il prossimo 1° luglio. I media libanesi danno per scontata la presenza all’incontro del Patriarca maronita Béchara Boutros Raï, del Patriarca siro cattolico Ignace Youssif III Younan, del Patriarca siro ortodosso Mor Ignatius Aphrem II e del Patriarca il Catholicos di Cilicia degli armeni apostolici Aram I e del Patriarca greco cattolico melchita Youssef Absi. Anche il Patriarca di Antiochia dei greco-ortodossi Yohanna X Yazigi, o un suo rappresentante, potrebbe partecipare all’incontro, insieme al reverendo Joseph Kassab, Presidente del Consiglio supremo delle Comunità evangeliche in Libano e Siria. 

Appare esclusa la possibilità di vedere invitati al summit leader politici cristiani, sparpagliati in partiti schierati su fronti contrapposti. Inoltre rimane ancora da capire se l’incontro fornirà l’occasione per condividere considerazioni generali sull’attuale condizione del Paese e delle comunità cristiane libanesi, o se l’attenzione del summit si concentrerà su punti specifici.
Ripercussioni indirette sui contenuti dell’incontro convocato in Vaticano potrebbero arrivare anche da eventuali sviluppi del quadro politico nel Paese dei Cedri, dove potrebbe sbloccarsi la paralisi che ormai dallo scorso ottobre impedisce al Premier incaricato, il sunnita Saad Hariri, di formare un nuovo governo. 

Infine l’incontro potrebbe fornire l’occasione per delineare in maniera più precisa l’auspicio già espresso da Papa Francesco di compiere una visita apostolica in Libano. 

http://www.fides.org/it/news/70226-ASIA_LIBANO_Attese_e_domande_intorno_all_incontro_con_i_Capi_delle_Chiese_convocato_dal_Papa

martedì 23 marzo 2021

Il Libano sull'orlo dell'abisso

distribuzione e composizione confessionale della popolazione libanese. 
fonte: https://twitter.com/DelamartinoJ/
status/1373324488117485575

Elijah J. Magnier , corrispondente di guerra ed analista politico specializzato su Medio Oriente, ci dà la sua visione della odierna preoccupante situazione del Paese dei Cedri, dal punto di vista del 'Partito di Dio' 

Tradotto da A.C. 

Non ha particolarmente stupito la notizia che il presidente israeliano Reuven Rivlin e il capo di stato maggiore delle forze armate Aviv Kochavi abbiano bussato alle porte dell’Eliseo (la residenza del presidente francese) per esprimere le loro critiche nei confronti di Hezbollah e ovviamente anche dell’Iran. Indubbiamente Israele non sarà mai in grado di accettare la presenza sui suoi confini di una forza militare molto potente, dotata di centinaia di missili di precisione in grado di coprire tutta la Palestina. Non solo, Hezbollah possiede anche decine di migliaia di missili modificati di precisione sebbene con un raggio più corto. Israele già nel 2006, quando l’organizzazione libanese possedeva molti meno missili e non aveva l’esperienza di oggi, non era riuscito a sconfiggerla. Per cui oggi un eventuale scontro avrebbe un prezzo altissimo e Israele non avrebbe affatto la garanzia di poterne uscire vittorioso. Così in seguito al tentativo fallito di dividere la Siria nel 2011 e l’Iraq nel 2014 e dopo aver cercato di piegare l’Iran attraverso sanzioni sempre più dure che gli Stati Uniti continuano a imporre alla “Repubblica Islamica” fin da quando è nata, le prospettive di debellare Hezbollah si riducono sempre più. 

Gli Stati Uniti e Israele hanno cercato di appoggiare la “rivoluzione libanese“, le ONG presenti nel paese, e hanno investito più di 10 miliardi di dollari per riuscire a paralizzare Hezbollah, senza risultati. Non restano a questo punto che due opzioni: fomentare un conflitto settario oppure ridurre alla fame la popolazione accusando Hezbollah e le sue forze armate e di sicurezza. Riusciranno nell’intento? Come si sta organizzando Hezbollah e che opzioni ha? 

Le recenti guerre in Siria, Iraq e Yemen hanno fornito a Hezbollah, uno dei principali partecipanti, un’esperienza bellica senza precedenti. Ha infatti combattuto insieme ad un esercito classico e a quello di una superpotenza, rispettivamente l’esercito siriano e quello russo. Ha usato carri armati, missili che si è costruito e droni armati e tra le tante operazioni che l’hanno visto protagonista ha condotto anche azioni di sabotaggio dietro le linee nemiche. Subito dopo il suo insediamento alla Casa Bianca, il presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, ha definito la Russia un avversario e la Cina un concorrente pericoloso, una presa di posizione che ha avuto come risultato quello di favorire un inedito riavvicinamento tra questi due paesi e i nemici dell’amministrazione americana in Medio Oriente, soprattutto l’Iran e Hezbollah. 

Una delegazione del partito comunista cinese si è recata in Libano e ha incontrato la leadership di Hezbollah a cui ha proposto dei progetti del valore di 12 miliardi di dollari mirati a rimettere in sesto la rete elettrica, le comunicazioni, i trasporti e tutte quelle infrastrutture di cui il paese ha un impellente bisogno. E la Russia da parte sua ha invitato a Mosca una delegazione guidata da Haj  Mohamad Raad che ha incontrato il ministro degli esteri Sergei Lavrov e altre autorità del paese. 

E’ importante sottolineare che Hezbollah in Siria è schierato in 131 punti strategici, l’Iran in 115 e la Russia in 95 escludendo l’aeroporto militare di Hmaymeem e la base navale di Tartus (sotto il controllo russo). In conseguenza è d’obbligo un coordinamento strategico tra Hezbollah e la Russia soprattutto dopo che i servizi di intelligence americani riconoscono e prendono atto che Hezbollah è una potenza regionale senza contare che la accusano anche di essere in grado di interferire nelle elezioni presidenziali degli Stati Uniti. Ma la catastrofica situazione economica del Libano ha colpito duramente la maggior parte dei libanesi, Hezbollah incluso. E le sanzioni imposte dagli Stati Uniti all’Iran (a partire dal 1979) che hanno raggiunto il livello più alto nel 2020 e che Biden non ha revocato, hanno impedito a Teheran di essere generosa con i suoi alleati anche se non ha mai smesso di finanziarli regolarmente. L’Iran considera i suoi alleati una componente  essenziale della sua sicurezza nazionale. Sebbene il loro benessere sia fondamentale, tutti gli extra sono stati tagliati e i finanziamenti ridotti al minimo necessario. I salari di Hezbollah restano gli stessi e vengono regolarmente pagati. Ma solo un 20, 25% riceve lo stipendio in dollari americani e mentre prima a un dollaro corrispondevano 1.500 lire libanesi oggi il cambio è salito a 13.000. Una gran parte dei membri di Hezbollah non riceve alcun salario oppure viene pagata in moneta locale. La leadership dell’organizzazione ha creato un ente di beneficienza interno chiamato “Muwasat” (fondo di consolazione). I membri di Hezbollah pagati in dollari potranno sostenere economicamente i membri non pagati e le famiglie in stato di bisogno. 

Il deterioramento della situazione economica in Libano è dovuto a una serie di motivi. Lunghi decenni segnati dalla corruzione a partire dagli anni 90 hanno portato alla “dollarizzazione” delle importazioni libanesi e inferto un duro colpo alla produzione locale. Negli anni passati la guerra fatta dagli Stati Uniti al governo di Damasco e le sanzioni americane e europee alla vicina Siria (Caesar Act) hanno giocato decisamente a sfavore dell’economia libanese. A livello interno il prosciugarsi dei dollari nel   mercato libanese avvenuto in seguito alla cattiva gestione, voluta, del Governatore della Banca Centrale, personaggio controllato dagli Stati Uniti, e l’influenza esercitata dagli Stati Uniti sui paesi ricchi del Golfo che li ha indotti a non sostenere finanziariamente il Libano, sono stati l’ennesimo colpo letale inferto all’economia libanese.Tutte queste cose messe insieme hanno iniziato a ridurre la popolazione alla fame, le medicine sono praticamente introvabili, mancano i generi alimentari, il crollo della moneta locale ha creato un’inflazione galoppante e così per una grossa fetta di popolazione sopravvivere sta diventando un’impresa quasi impossibile. 

La mancanza di cibo e medicine non necessariamente costituisce un motivo per scatenare un conflitto a livello militare. L’Iran potrebbe rifornire il Libano di medicine necessarie, di cibo (lo sta già facendo) e l’Iraq si è impegnato a consegnare al Libano il carburante necessario a far funzionare la rete elettrica e i trasporti. Ma il problema della sicurezza è quello più critico dato che molti gruppi schierati con gli Stati Uniti stanno chiudendo le strade più importanti in varie città, impedendo in questo modo le comunicazioni tra gli sciiti nella capitale e nelle periferie, nella valle della Bekaa e nel sud del Libano. Il blocco delle strade viene chiamato disturbo della “via dei rifornimenti” della resistenza, un’azione imperdonabile e pericolosissima che Hezbollah potrebbe considerare come una dichiarazione di guerra. 

E’ ancora vivo nel paese il ricordo del 7 maggio 2008 (il giorno in cui Hezbollah prese il controllo di un’area di Beirut in mano al governo filo-americano). Il governo filo-statunitense aveva deciso di chiudere la rete di telecomunicazioni di Hezbollah, un’azione che l’organizzazione interpretò come una dichiarazione di guerra. Lo scopo era quello di bloccare il circuito di Hezbollah e il suo sistema di comunicazione (fibra ottica) essenziale per permettere al comando dell’organizzazione di dirigere le  battaglie se ci fosse stato un conflitto. Durante la guerra del 2006 gli ordini di attacco erano coordinati e non furono mai interrotti anche quando Israele cercò di distruggere la rete senza riuscirci. La decisione era stata presa dal governo dell’ex primo ministro Fouad Siniora un politico nemico di Hezbollah e amico degli Stati Uniti e dei sauditi, accusato di corruzione ma salvato dall’intervento dell’ex primo ministro Rafic Hariri che lo nominò ministro delle finanze per proteggerlo da un procedimento legale ( succede solo in Libano). 

Secondo fonti libanesi ben informate, nelle manifestazioni delle ultime settimane i sostenitori del primo ministro Saad Hariri con la scusa della fame e della svalutazione della lira hanno chiuso la strada di Saadnayel che collega gli sciiti della valle della Bekaa a Beirut. Anche la strada di Alay è stata chiusa dai sostenitori del leader druso filo-americano Walid Jumblatt per impedire agli sciiti di raggiungere la periferia di Beirut. E pure  la strada di Jiyeh che porta nel sud del Libano veniva chiusa dai sostenitori di Hariri e di Jumblatt. Erano tutti movimenti coordinati che fanno capire  come lo scenario servisse a preparare il paese a qualcosa di più grosso e a  verificare la reazione di Hezbollah. 

Sta di fatto che anche la leadership dell’esercito libanese ha contribuito a peggiorare la situazione poiché il comandante in capo, il generale Joseph Aoun si rifiutava di obbedire ai ripetuti ordini del presidente Michel Aoun di riaprire le strade permettendo però ai dimostranti di manifestare a lato delle stesse. Il generale Joseph Aoun è candidato alla presidenza e probabilmente crede (ma si sbaglia) che l’appoggio degli Stati Uniti sia sufficiente a soddisfare le sue ambizioni politiche. 

Più di sei mesi fa successe la stessa cosa, vennero chiuse tutte le strade usate dall’ “Asse della Resistenza” che vanno nella valle della Bekaa e nel sud del Libano. Dopo ripetuti e inutili avvertimenti Hezbollah convocava più di 1.000 uomini delle forze di mobilitazione che vivono nella zona dove i dimostranti avevano bloccato le strade affinché si preparassero a sgombrarle con la forza. All’ultimo minuto l’esercito libanese, la cui leadership era stata informata, interveniva e allontanava i dimostranti chiaramente manipolati dai partiti filo-americani. 

Si sta prospettando uno scenario simile ma chiudere la via dei rifornimenti della resistenza non verrà permesso. L’ “Asse della Resistenza” ritiene che questa dichiarazione di guerra non sia nient’altro che un chiaro appoggio a Israele. Si pensa che ci vogliano dalle 24 alle 48 ore per liberare tutte le strade indipendentemente dal numero dei dimostranti e da quanto siano ben armati. 

Al Libano non è permesso di poter vivere in pace a meno che i suoi leader non siano pronti a concedere una parte dei loro  confini marittimi a Israele e Hezbollah venga disarmato, sempre, ovviamente, per far piacere a Israele. Gli Stati Uniti stanno portando il Libano al fallimento, non permettono che riceva gli aiuti dell’Iraq, della Cina e della Russia mentre  loro non sono intenzionati a sostenerlo. Più voci all’interno del paese , soprattutto la Forze Libanesi schierate con gli Stati Uniti e Israele, insistono sul disarmo di Hezbollah e descrivono Sayyed Hassan Nasrallah come la “testa del serpente” ( c’è un video sui social media).

Ma Hezbollah non darà via le sue armi e cercherà di evitare la guerra civile ma non una battaglia se fosse necessaria. Hezbollah consolida la sua organizzazione che fa parte della società e continuerà a prepararsi militarmente per qualunque possibile scenario di guerra, in Libano o al confine. Ha spostato molte delle sue operazioni sottoterra dove stanno nascendo delle città proprio per affrontare in futuro le minacce americane e israeliane. 

Le forze statunitensi continueranno a collaborare con Israele per paralizzare Hezbollah. Il comandante del Comando Centrale degli Stati Uniti (CENTCOM), il generale Kenneth McKenzie è stato in Libano più volte nell’ ultimo anno. La sua visita più recente , avvenuta la scorsa settimana, è di fatto quella più importante: scortato da sei elicotteri dell’esercito libanese ha esplorato la zona di  Ghazzee-Mazraat Deir al-Ashayer con una squadra di ufficiali dell’intelligence e di esperti di topografia. Ha anche fatto visita al generale Joseph Aoun (capo dell’esercito) ma non ha incontrato il presidente e neppure altri leader politici o membri del governo.

Le fonti pensano che gli Stati Uniti stiano esplorando la zona strategica che sta al confine tra la Siria e il Libano che dista solo decine di chilometri da Damasco e potrebbe essere utilizzata come base dell’esercito libanese (una soluzione di facciata) controllata dagli Stati Uniti. E’ oltretutto la zona che collega la valle della Bekaa con il sud del Libano, molto vicina al Monte Hermon dove si pensa che Hezbollah abbia le sue basi e i suoi missili strategici. L’ambasciata americana a Beirut ha comunicato che il comandante del CENTCOM ha “inaugurato un impianto di pompaggio dell’acqua finanziato dall’Agenzia degli Stati Uniti per lo Sviluppo Internazionale -USAID” già in uso negli ultimi due anni per fornire acqua ad un villaggio quasi disabitato. Non è chiaro se inaugurare una pompa per l’acqua finanziata dagli Stati Uniti faccia parte delle competenze del generale McKenzie anche se l’ USCENTCOM è uno dei due comandi combattenti il cui quartier generale non si trova nella sua zona di responsabilità ma in Florida. 

Non si intravede nel breve periodo una soluzione per il Libano, un paese che cammina sull’orlo dell’abisso. I paesi del Golfo, gli Stati Uniti e Israele hanno deciso di spezzare il Libano e di far cadere il presidente Michel Aoun e il suo alleato Hezbollah. Ma saranno in grado insieme di far pendere la bilancia in loro favore? Non ci sono riusciti in Siria, in Yemen e in Iraq. Per Israele la guerra del 2006 è stata un fallimento e i  10 miliardi di dollari americani investiti per contrastare Hezbollah non hanno dato il via ad una rivoluzione e neppure ad una guerra civile. Hezbollah ha imposto un equilibrio della dissuasione in Libano e con Israele. E non ha nessuna intenzione di essere quello che comanda lo stato ma vive in un paese dove i politici hanno paura di far arrabbiare gli Stati Uniti. Il governo del Libano e i politici pro-Stati Uniti hanno timore a chiedere l’appoggio all’Oriente. Dipendono dalle esitazioni del nuovo presidente americano e della sua amministrazione che sta mantenendo inalterato lo status-quo di quella precedente (Trump). L’immobilismo e le minacce degli Stati Uniti stanno spingendo sempre più il Libano verso il precipizio.

https://ejmagnier.com/2021/03/23/il-libano-sullorlo-dellabisso/