L'incontro – testimonianza di Mons. Giuseppe Nazzaro, Vescovo di Aleppo, avrà luogo presso la “Palazzina Azzurra” di S. Benedetto del Tronto, sabato 3 agosto '13, ore 21.00, sul tema: La Siria dal 1966 AL 2013: “Il prezzo della Pace”.
Intervista all’ex vicario apostolico di Aleppo, monsignor Giuseppe Nazzaro
TEMPI - 31 luglio, 2013
di Leone Grotti
Giuseppe Nazzaro, vescovo dell’ordine dei francescani, è stato vicario apostolico di Aleppo dal 2002 fino a metà di quest’anno. Prima di arrivare nella seconda città più grande della Siria – oggi dilaniata e divisa tra l’est comandato dai ribelli jihadisti e l’ovest assediato, ancora sotto il controllo del governo – monsignor Nazzaro è stato custode di Terra Santa dal 1992 al 1998, ha conosciuto da vicino il Cairo e Alessandria, dove è stato parroco, e ha mantenuto dal 1986 al 1992 la segreteria della Conferenza dei ministri provinciali del Medio Oriente e Nord Africa.
A tempi.it parla della situazione «quasi di assedio» in cui si ritrovano i cittadini di Aleppo ovest, di una «guerra guidata dall’esterno» e delle poche speranze che nutre sulla sorte dei due vescovi rapiti da ormai tre mesi: «Temo che siano morti».
Qual è la situazione nella sua città di Aleppo? La gente è quasi sotto assedio, non si può muovere e soffre molto. Quando l’esercito è riuscito a creare un passaggio per dare possibilità alla gente di scappare dalla città, i ribelli hanno assalito i pullman che li trasportavano, sparando sui civili. Alcune delle donne che viaggiavano sopra quei mezzi sembra che siano sparite.
Ieri i ribelli hanno aperto al dialogo promosso dagli Stati Uniti per porre fine alla guerra. Ci sono due problemi per cui ritengo quasi impossibile la buona riuscita del dialogo. La prima è che i ribelli non vogliono discutere senza preclusioni. Loro pongono come precondizione al dialogo la cacciata del presidente Assad. Come si può discutere con queste basi? Che diritto hanno di chiederlo?
E il secondo problema? L’Occidente ormai è impotente, ha causato tutto e ora non riesce più a controllare niente. Non sono più i siriani come popolo a combattere contro un governo, sono masnade di guerriglieri di tutte le estrazioni di fanatismo che si sono riversate nel paese. Questa gente non vuole liberare la Siria, vuole costruire la grande patria araba. Sa cosa dicevano i ribelli ai cristiani? “Questa non è più la Siria, questa è la grande patria araba”, la Umma.
Non è esagerato dire che la guerra in Siria è stata causata dall’Occidente No, perché l’Occidente ha interessi economici enormi. Fornire le armi a un popolo in rivolta è come dire: autodistruggetevi pure, poi verremo noi a ricostruire tutto, dietro adeguato compenso.
Ma a sostenere i ribelli materialmente sono Arabia Saudita e Qatar.
E i governi occidentali hanno deciso di appoggiare l’azione di questi due paesi. Sauditi e Qatar hanno interessi religiosi in Siria: vogliono spezzare l’asse sciita che si era creato tra Iraq, Iran e Siria. Per questo è nata la guerra. L’Occidente ha deciso di appoggiarli, ma non si rende conto di che cosa significhino il Corano e la religione in Medio oriente.
Cioè? In Arabia Saudita, meno di un mese fa, il Gran Muftì ha detto: «Merita la morte chi va contro il sacro Corano affermando che sia la terra a girare intorno al sole e non il sole a girare intorno alla terra». Ci rendiamo conto di che cosa significa questo? L’Occidente non riesce a capire. Come con le brioches.
Cosa c’entrano le brioches? È l’ultima fatwa emessa dal Muftì di Aleppo, che ha messo al bando le brioches [perché rappresentano lo Stato islamico, ndr]. Noi non capiamo queste cose, al massimo ci ridiamo sopra, ma i cristiani siriani sanno quali sono le conseguenze pratiche.
I cristiani sono spaventati da una possibile vittoria dei ribelli?
Come non esserlo? A marzo, ad esempio, sapendo che il Santo Padre avrebbe accettato le mie dimissioni [per raggiunto limite di età, ndr], sono andato a salutare personalmente tutti i miei parroci. Sono stato anche nel villaggio dove poi è stato ucciso padre Murad: lì erano tutti cristiani, quando sono andato io ne erano rimasti meno di venti, compresi due sacerdoti e tre suore. Tutte le case erano state occupate da masnade di ribelli, la chiesa greco-ortodossa ridotta ad una stalla. Quella cattolica latina, invece, poiché c’era ancora il parroco, è stata risparmiata. Ma gli avevano già rubato le campane. Il problema sta tutto nella mentalità.
Cioè? Già quando è iniziata la “Primavera araba” al Cairo, i capi religiosi dicevano che se i cristiani volevano restare in Egitto avrebbero dovuto pagare la Gizia, una tassa obbligatoria per i non musulmani. È così che storicamente il mondo arabo è diventato islamico: perché i poveri, pur di non pagare più, si sono convertiti. I cristiani temono i ribelli perché la loro mentalità è semplice: o te ne vai, o passi dalla nostra parte. Ma la Siria non è mai stata così.
Da Vicario apostolico non ha mai sentito l’ostilità di un paese a maggioranza islamica? Io posso dirle questo: ho abitato in questi paesi quasi tutta la mia vita. Se in coscienza devo dire dove sono stato libero di esercitare la mia fede, la mia religione, in piena tranquillità, questo posto è la Siria, soprattutto sotto l’attuale presidente. Un rispetto così grande io non l’ho mai trovato neanche in Italia, e non esagero: libertà di culto, processioni per le strade, rispetto da parte dei musulmani, dialogo inter-religioso.
Ora questo rispetto sembra sparito: da più di tre mesi non si sa niente dei vescovi siro-ortodosso di Aleppo, Youhanna Ibrahim, e greco-ortodosso di Aleppo e Iskanderun, Boulos al-Yazij, rapiti il 22 aprile scorso. Ha notizie di loro? Da tempo non si parla più di loro. Il sabato precedente al loro rapimento tutti noi vescovi cattolici e ortodossi ci siamo riuniti. Davanti a noi il vescovo siro-ortodosso di Aleppo si è messo in contatto con alcune persone, che sembravano suoi amici, per parlare del rilascio di due sacerdoti rapiti. Al telefono gli hanno risposto che stavano bene, ma di non muoversi per liberarli perché era ancora pericoloso. Avrebbero richiamato loro. Poi ha telefonato al vescovo greco-ortodosso che si trovava in Turchia ma voleva rientrare. Si sono dati appuntamento alla frontiera e poi sappiamo come è andata, sono stati rapiti. È chiaro che i telefoni erano controllati, ma non è chiaro da chi siano stati sequestrati.
Si sa almeno se sono ancora vivi? Io non ho più speranze in questo senso, temo che siano morti. Il cristianesimo è già stato decimato in Siria e non tanto perché i musulmani li cacciano ma perché l’Occidente ha messo gli uni contro gli altri.
In che senso? Appoggiando una fazione contro l’altra con la scusa di esportare la democrazia. Ma io mi chiedo: l’Occidente che si allea con l’Arabia Saudita lo sa che là i diritti umani non esistono? Che cosa ne sa il Qatar di democrazia?
Neanche Assad è un campione dei diritti umani. La Siria è un regime e ci sono molte cose da correggere nella gestione del potere. Ma questo non si può fare con l’imposizione o esportando un modello occidentale o facendo esplodere le caserme a Damasco nei quartieri cristiani. Non si può agire senza considerare la storia e la psicologia di un popolo. Oggi la Siria è uno sfacelo e l’Occidente dovrebbe farsi solo una domanda.
Quale? Siamo soddisfatti dell’Iraq, dell’Egitto, della Libia e della Siria? Questi paesi erano governati da regimi e non dico di certo che fossero ottimi, ma non c’erano tutti i morti di adesso, non c’erano le bombe dappertutto.
Quali speranze sono rimaste per la Siria? Poco tempo fa ho avuto la possibilità di incontrare papa Francesco solo per pochi minuti: l’unica cosa che gli ho chiesto è di proclamare una giornata di preghiera mondiale per la pace e la riconciliazione in Siria. Mi ha detto che era una buona idea.
A tempi.it parla della situazione «quasi di assedio» in cui si ritrovano i cittadini di Aleppo ovest, di una «guerra guidata dall’esterno» e delle poche speranze che nutre sulla sorte dei due vescovi rapiti da ormai tre mesi: «Temo che siano morti».
Qual è la situazione nella sua città di Aleppo? La gente è quasi sotto assedio, non si può muovere e soffre molto. Quando l’esercito è riuscito a creare un passaggio per dare possibilità alla gente di scappare dalla città, i ribelli hanno assalito i pullman che li trasportavano, sparando sui civili. Alcune delle donne che viaggiavano sopra quei mezzi sembra che siano sparite.
Ieri i ribelli hanno aperto al dialogo promosso dagli Stati Uniti per porre fine alla guerra. Ci sono due problemi per cui ritengo quasi impossibile la buona riuscita del dialogo. La prima è che i ribelli non vogliono discutere senza preclusioni. Loro pongono come precondizione al dialogo la cacciata del presidente Assad. Come si può discutere con queste basi? Che diritto hanno di chiederlo?
E il secondo problema? L’Occidente ormai è impotente, ha causato tutto e ora non riesce più a controllare niente. Non sono più i siriani come popolo a combattere contro un governo, sono masnade di guerriglieri di tutte le estrazioni di fanatismo che si sono riversate nel paese. Questa gente non vuole liberare la Siria, vuole costruire la grande patria araba. Sa cosa dicevano i ribelli ai cristiani? “Questa non è più la Siria, questa è la grande patria araba”, la Umma.
Non è esagerato dire che la guerra in Siria è stata causata dall’Occidente No, perché l’Occidente ha interessi economici enormi. Fornire le armi a un popolo in rivolta è come dire: autodistruggetevi pure, poi verremo noi a ricostruire tutto, dietro adeguato compenso.
Ma a sostenere i ribelli materialmente sono Arabia Saudita e Qatar.
E i governi occidentali hanno deciso di appoggiare l’azione di questi due paesi. Sauditi e Qatar hanno interessi religiosi in Siria: vogliono spezzare l’asse sciita che si era creato tra Iraq, Iran e Siria. Per questo è nata la guerra. L’Occidente ha deciso di appoggiarli, ma non si rende conto di che cosa significhino il Corano e la religione in Medio oriente.
Cioè? In Arabia Saudita, meno di un mese fa, il Gran Muftì ha detto: «Merita la morte chi va contro il sacro Corano affermando che sia la terra a girare intorno al sole e non il sole a girare intorno alla terra». Ci rendiamo conto di che cosa significa questo? L’Occidente non riesce a capire. Come con le brioches.
Cosa c’entrano le brioches? È l’ultima fatwa emessa dal Muftì di Aleppo, che ha messo al bando le brioches [perché rappresentano lo Stato islamico, ndr]. Noi non capiamo queste cose, al massimo ci ridiamo sopra, ma i cristiani siriani sanno quali sono le conseguenze pratiche.
I cristiani sono spaventati da una possibile vittoria dei ribelli?
Come non esserlo? A marzo, ad esempio, sapendo che il Santo Padre avrebbe accettato le mie dimissioni [per raggiunto limite di età, ndr], sono andato a salutare personalmente tutti i miei parroci. Sono stato anche nel villaggio dove poi è stato ucciso padre Murad: lì erano tutti cristiani, quando sono andato io ne erano rimasti meno di venti, compresi due sacerdoti e tre suore. Tutte le case erano state occupate da masnade di ribelli, la chiesa greco-ortodossa ridotta ad una stalla. Quella cattolica latina, invece, poiché c’era ancora il parroco, è stata risparmiata. Ma gli avevano già rubato le campane. Il problema sta tutto nella mentalità.
Cioè? Già quando è iniziata la “Primavera araba” al Cairo, i capi religiosi dicevano che se i cristiani volevano restare in Egitto avrebbero dovuto pagare la Gizia, una tassa obbligatoria per i non musulmani. È così che storicamente il mondo arabo è diventato islamico: perché i poveri, pur di non pagare più, si sono convertiti. I cristiani temono i ribelli perché la loro mentalità è semplice: o te ne vai, o passi dalla nostra parte. Ma la Siria non è mai stata così.
Da Vicario apostolico non ha mai sentito l’ostilità di un paese a maggioranza islamica? Io posso dirle questo: ho abitato in questi paesi quasi tutta la mia vita. Se in coscienza devo dire dove sono stato libero di esercitare la mia fede, la mia religione, in piena tranquillità, questo posto è la Siria, soprattutto sotto l’attuale presidente. Un rispetto così grande io non l’ho mai trovato neanche in Italia, e non esagero: libertà di culto, processioni per le strade, rispetto da parte dei musulmani, dialogo inter-religioso.
Ora questo rispetto sembra sparito: da più di tre mesi non si sa niente dei vescovi siro-ortodosso di Aleppo, Youhanna Ibrahim, e greco-ortodosso di Aleppo e Iskanderun, Boulos al-Yazij, rapiti il 22 aprile scorso. Ha notizie di loro? Da tempo non si parla più di loro. Il sabato precedente al loro rapimento tutti noi vescovi cattolici e ortodossi ci siamo riuniti. Davanti a noi il vescovo siro-ortodosso di Aleppo si è messo in contatto con alcune persone, che sembravano suoi amici, per parlare del rilascio di due sacerdoti rapiti. Al telefono gli hanno risposto che stavano bene, ma di non muoversi per liberarli perché era ancora pericoloso. Avrebbero richiamato loro. Poi ha telefonato al vescovo greco-ortodosso che si trovava in Turchia ma voleva rientrare. Si sono dati appuntamento alla frontiera e poi sappiamo come è andata, sono stati rapiti. È chiaro che i telefoni erano controllati, ma non è chiaro da chi siano stati sequestrati.
Si sa almeno se sono ancora vivi? Io non ho più speranze in questo senso, temo che siano morti. Il cristianesimo è già stato decimato in Siria e non tanto perché i musulmani li cacciano ma perché l’Occidente ha messo gli uni contro gli altri.
In che senso? Appoggiando una fazione contro l’altra con la scusa di esportare la democrazia. Ma io mi chiedo: l’Occidente che si allea con l’Arabia Saudita lo sa che là i diritti umani non esistono? Che cosa ne sa il Qatar di democrazia?
Neanche Assad è un campione dei diritti umani. La Siria è un regime e ci sono molte cose da correggere nella gestione del potere. Ma questo non si può fare con l’imposizione o esportando un modello occidentale o facendo esplodere le caserme a Damasco nei quartieri cristiani. Non si può agire senza considerare la storia e la psicologia di un popolo. Oggi la Siria è uno sfacelo e l’Occidente dovrebbe farsi solo una domanda.
Quale? Siamo soddisfatti dell’Iraq, dell’Egitto, della Libia e della Siria? Questi paesi erano governati da regimi e non dico di certo che fossero ottimi, ma non c’erano tutti i morti di adesso, non c’erano le bombe dappertutto.
Quali speranze sono rimaste per la Siria? Poco tempo fa ho avuto la possibilità di incontrare papa Francesco solo per pochi minuti: l’unica cosa che gli ho chiesto è di proclamare una giornata di preghiera mondiale per la pace e la riconciliazione in Siria. Mi ha detto che era una buona idea.
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