I quattro anni rubati ai bambini della Siria
AVVENIRE, 27 marzo 2015
di Marco Perini
In quattro anni un neonato si stacca dal seno della mamma, inizia a camminare, parla ed è pronto ad andare a scuola. In quattro anni un bambino ha quasi completato il suo ciclo di scuola primaria, ha imparato tante cose e Peppa Pig inizia ad essere noiosa. In quattro anni un ragazzo forma il suo carattere, gioca tanto con i suoi amici e usa il cellulare meglio dei suoi genitori.
Ma questa è più o meno la vita normale, cioè proprio quella che non hanno vissuto le decine di migliaia di bambini profughi che in questi anni AVSI ha assistito nel sud del Libano.
Loro, scappati dalla guerra in Syria, sono rimasti senza scuola e libri; hanno sofferto nei freddi inverni sotto a una tenda che è diventata casa loro; hanno contratto almeno una malattia della pelle, dovuta al fatto che l’acqua è un lusso sovente troppo caro anche per lavarsi; hanno sofferto della mancanza del papà rimasto a combattere o ucciso; non fanno sogni d’oro, ma piuttosto sono svegliati dagli incubi di un mortaio che scoppia; giocano a calcio senza scarpe perchè quelle che hanno, al posto dei tacchetti, hanno i buchi dell’usato o sono ciabatte in gomma; non programmano il futuro perche’ il presente è sufficientemente difficile da affrontare che non c’è più tempo per pensare al domani, bisogna sopravvivere oggi.
Ormai più di quattro anni son passati da quando qualche ragazzo di Daraa manifesto’ per una Siria più libera e da quando immediatamente i soliti noti presero in possesso le loro giovani speranze trasformando una rondine che non fece mai primavera (araba) in un lungo e mortifero inverno dell’uomo. Oggi i morti si sommano oltre i 200mila e le persone che tecnicamente si definiscono bisognose di assistenza umanitaria sono 12 milioni. Tutto questo solo a causa della guerra in Siria, ma se aggiungiamo l’Iraq e il Kurdistan questo raccapricciante conteggio non può che salire.
Il mondo ha ricordato questo triste compleanno più per la paura dello spietato Stato Islamico che per i bisogni di innocenti in fuga verso una destinazione senza futuro. Ma lo Stato Islamico non è nato dal nulla, senza un dollaro e formato da quattro accattoni: esiste da prima che i riflettori lo inquadrassero ed è stato addestrato e foraggiato anche da chi oggi vorrebbe combatterlo.
Dopodichè contro di loro potremo vincere delle battaglie, ma mai la guerra e la ragione e’ tanto crudele quanto semplice: fino a quando questo nostro sistema continuerà a produrre guerre e miseria, di ragazzi senza futuro sarà pieno il mondo. Neonati sofferenti, bambini analfabeti, ragazzi rifugiati, giovani senza lavoro, padri morti, mamme disperate: un incredibile terreno fertile per chi propone loro una 'guerra santa' per un mondo migliore, tanto uno peggio di quello che stanno vivendo oggi non riescono ad immaginarlo.
Ecco perche’ solo attraverso l’aiuto a queste persone, che da quattro anni sopravvivono in un campo profughi lontane da casa, si può immaginare un futuro diverso dal presente: un bambino che va a scuola, una mamma che lo aspetta con il pranzo fumante o una medicina in caso di malattia e un padre che porta a casa un salario, difficilmente vorranno diventare carne da macello per una “guerra santa”. Ma se manca anche quel minimo di normalità che ognuno di noi cerca, allora continueremo a chiederci senza trovare risposta perchè le periferie del mondo continuano a produrre tanta disperazione.
Monsignor Antoine Audo, presidente di Caritas Syria scrive: “…In questo momento non c’è né sicurezza né lavoro. I ricchi hanno lasciato la Siria e la regione, la classe media è diventata povera e i poveri sono nella miseria”. Il quarto compleanno non è un bel giorno, però ognuno di noi può fare qualcosa perche’ il prossimo sia migliore.
Gregorio III Laham: Il Libano chiude le frontiere e cresce il dramma dei cristiani siriani
Il patriarca melchita racconta ad AsiaNews di “moltissimi” sfollati interni in Siria, un problema “ancor più grande” dei rifugiati oltreconfine. Oggi i varchi restano aperti per i cristiani di Hassakeh, vittime dell’offensiva dello Stato islamico. La guerra "origine di tutti i mali". In Quaresima chiese di Damasco gremite di fedeli che pregano per la pace.
AsiaNews
La decisione del Libano di chiudere le frontiere "ha reso ancor più grave e drammatico" il problema dei rifugiati cristiani. Oltre a quelli che vivono nei campi profughi oltreconfine, adesso vi sono "moltissimi sfollati interni" in Siria ed essi rappresentano "un problema ancora più grande".
È quanto afferma ad AsiaNews il Patriarca melchita Gregorio III Laham, il quale chiede con forza "la fine della guerra" perché "è solo da essa" che derivano tutti i mali non solo della Siria, ma di tutta la regione mediorientale.
Intanto i cristiani siriani e irakeni fuggiti nei mesi scorsi in Libano lanciano un appello per "ulteriori aiuti dalla comunità internazionale": vi è un bisogno crescente di nuove abitazioni per accogliere gli esuli e garantire loro un tetto sotto il quale vivere.
La decisione del Libano di chiudere le frontiere "ha reso ancor più grave e drammatico" il problema dei rifugiati cristiani. Oltre a quelli che vivono nei campi profughi oltreconfine, adesso vi sono "moltissimi sfollati interni" in Siria ed essi rappresentano "un problema ancora più grande".
È quanto afferma ad AsiaNews il Patriarca melchita Gregorio III Laham, il quale chiede con forza "la fine della guerra" perché "è solo da essa" che derivano tutti i mali non solo della Siria, ma di tutta la regione mediorientale.
Intanto i cristiani siriani e irakeni fuggiti nei mesi scorsi in Libano lanciano un appello per "ulteriori aiuti dalla comunità internazionale": vi è un bisogno crescente di nuove abitazioni per accogliere gli esuli e garantire loro un tetto sotto il quale vivere.
Dall'inizio della rivolta contro il presidente Bashar al Assad, nel 2011, oltre 3,2 milioni di persone hanno abbandonato la Siria e altri 7,6 milioni sono sfollati interni. Almeno 200mila le vittime del conflitto, molte delle quali civili per i quali il 2014 è stato l'anno peggiore. Proprio nel contesto del conflitto siriano è emerso per la prima volta, nella primavera del 2013, in tutta la sua violenza e brutalità lo Stato islamico, che ha strappato ampie porzioni di territorio a Damasco e Baghdad.
In questi giorni migliaia di persone hanno affollato due chiese di Beirut, per ricevere scorte alimentari e altri generi di aiuti distribuiti da organizzazioni attiviste internazionali che operano a favore dei rifugiati.
Iman Chamoun, 42enne cristiana originaria di Mosul, in Iraq, prima grande città a cadere nelle mani dei jihadisti, da nove mesi vive nel campo profughi: "Ci hanno preso tutto, casa, libri, persino le porte. Il lavoro di 25 anni - piange - perso in un minuto".
Iman Chamoun, 42enne cristiana originaria di Mosul, in Iraq, prima grande città a cadere nelle mani dei jihadisti, da nove mesi vive nel campo profughi: "Ci hanno preso tutto, casa, libri, persino le porte. Il lavoro di 25 anni - piange - perso in un minuto".
Una donna del villaggio di Tel Nasri, a maggioranza cristiana assira nella provincia nord-orientale di Hassakeh, sottolinea che "vivevamo come re nella nostra terra, i nostri figli potevano andare a scuola. Avevamo tutto, e guardate ora in che condizioni siamo". Accanto a lei due materassi e un cesto di cibo, appena ricevuti. Due settimane fa ha lasciato il villaggio di origine con i figli, mentre il marito è rimasto a guardia della casa.
Nelle ultime settimane il Libano ha chiuso le frontiere con la Siria, perché non è più in grado di accogliere altre ondate di profughi. Resta valido l'ingresso per i cristiani della provincia di Hassakeh, teatro di recente di un'offensiva dello SI che ha sequestrato centinaia di fedeli, molti dei quali tuttora nelle loro mani.
Per i cristiani siriani è "più facile" la scelta del Libano, spiega il patriarca Gregorio III Laham, perché "da lì resta viva la speranza di tornare nelle proprie case, un giorno" e di "non svuotare la regione della presenza cristiana". Ora però Beirut "ha chiuso le frontiere" e "non accetta più nessuno, se non quanti sono fuggiti dai villaggi di Hassakeh", perché "non è più in grado di ricevere altra gente, altri profughi, mancano gli aiuti, mancano le scuole per far studiare i bambini".
Per il patriarca melchita si tratta di un "duplice dramma", perché oggi lo Stato e le organizzazioni internazionali "non bastano più" per rispondere ai bisogni dei profughi e "la portata della tragedia si fa sempre più ampia". Per questo, sottolinea, "sono sì importanti gli aiuti, ma quello che davvero serve è la fine della guerra".
Egli lancia un appello "per la fine dei conflitti" e si rivolge ai governi stranieri "perché la smettano di dare denaro e armi", elementi che favoriscono l'inasprirsi delle tensione e delle violenze. "La guerra, ecco il vero, grande e unico problema - accusa - per questo preghiamo per la fine degli scontri".
Egli lancia un appello "per la fine dei conflitti" e si rivolge ai governi stranieri "perché la smettano di dare denaro e armi", elementi che favoriscono l'inasprirsi delle tensione e delle violenze. "La guerra, ecco il vero, grande e unico problema - accusa - per questo preghiamo per la fine degli scontri".
In questi giorni di Quaresima, conclude il patriarca, le chiese di Damasco "sono gremite di fedeli" che chiedono la pace, "che pregano con rinnovato vigore per un futuro di pace" in Siria e in tutto il Medio oriente.