COMUNICATO DEL PONTIFICIO CONSIGLIO COR UNUM, ORGANISMI CARITATIVI CATTOLICI ATTIVI NEL CONTESTO DELLA CRISI SIRIANA4-5 GIUGNO 2013
http://attualita.vatican.va/sala-stampa/bollettino/2013/06/06/news/31129.html |
Un milione e mezzo di profughi fuggiti dalla Siria, con 10mila nuovi ingressi al giorno alle frontiere di Turchia, Libano, Giordania, Iraq fino all’Egitto. Fuggono anche i cristiani. Ogni Paese regge da anni una media di mezzo milione di presenze. Un po’ meno in Iraq ed Egitto, ma pur sempre un peso enorme, con tensioni sociali sul punto di esplodere e problemi emergenti come la tratta di persone a scopo di sfruttamento lavorativo e sessuale, i matrimoni forzati. In Libano, ma anche in Turchia, alcune famiglie vendono figlie giovanissime per 5mila dollari. Le donne si prostituiscono per soli 3 dollari. E molti siriani, visto che il conflitto non accenna a placarsi, stanno cercando vie di fuga verso l’Europa. Oggi Caritas internationalis, impegnata per la Siria con progetti pari a circa 15 milioni di euro (destinati alle varie Caritas locali che aiutano complessivamente oltre 100 mila persone), lancia un appello in cinque punti per chiedere la fine delle violenze, la ricerca di una soluzione diplomatica e maggiore solidarietà. Abbiamo raccolto alcune voci al Migramed meeting in corso in questi giorni a Otranto, organizzato da Caritas italiana, con oltre 100 partecipanti dalle Caritas diocesane, europee e del bacino del Mediterraneo.
S.I.R.- Otranto- Giovedì 23 Maggio 2013
L’appello di Caritas internationalis. “Chiediamo alla comunità internazionale di porre fine a ogni forma di violenza e cercare delle soluzioni politiche”, precisa Martina Liebsch, di Caritas internationalis, e di “smettere di finanziare, armare e supportare ulteriormente il conflitto”. Bisogna “aprire vie di dialogo tra i partiti, le religioni e le culture, per rispettare la dignità e i diritti delle persone, comprese le minoranze”. Punto importante è la richiesta di “maggiore solidarietà internazionale, aumentando i finanziamenti per la protezione delle persone in Siria e per i profughi, anche per alleviare il peso sui Paesi limitrofi”. Finora i flussi verso l’Europa sono ancora modesti: 300 siriani in Italia lo scorso anno, 200 dall’inizio del 2013 a oggi. “Le persone tendono a rimanere più vicino possibile a casa - osserva Liebsch -. Ma se il conflitto non finisce potrebbero arrivare anche in Europa. Per questo serve la solidarietà internazionale. So di Paesi come la Germania e la Svezia che hanno accettato un certo numero di persone. Potrebbero essere attuate iniziative simili”. Anche Papa Francesco, incontrando la settimana scorsa i vertici di Caritas internationalis, aveva parlato della Siria come “dimostrazione tragica della sorte dei rifugiati”, invitandoli a riservare loro “la tenerezza della Chiesa”.
In Libano tensioni sociali e matrimoni forzati. Il Libano ha 4 milioni di abitanti. La metà della popolazione è straniera. I rifugiati siriani in tutto il Paese sono ufficialmente 470mila (ma il numero è molto più alto, circa 1 milione e 200mila comprese le famiglie di chi già vi lavorava), oltre ai 150mila palestinesi siriani. Inizia a mancare il lavoro, aumentano la microcriminalità e le ostilità con i locali. Il governo non ha costruito campi. Solo ora comincia a pensarci. I profughi vivono in case abbandonate, edifici in costruzione, tende di fortuna o per strada. La situazione rischia di diventare esplosiva. Ce la descrive Najla Chahda, direttrice di Caritas Libano, che gestisce da 10 anni un centro per migranti a Beirut. Caritas Libano ha assistito finora più di 150mila rifugiati, con cibo, servizi legali, assistenza medica, educazione, prevenzione e attività sociali per i traumatizzati. Tra due settimane apriranno anche un centro di informazione per dare assistenza alle frontiere. “I libanesi stanno perdendo il lavoro perché i siriani vengono pagati meno - spiega Chahda -. Le persone sono frustrate, c’è molta microcriminalità. Secondo il Ministero dell’interno il 75% dei reati sono commessi dai poveri. Questo aumenta le tensioni tra libanesi e siriani. La situazione sta diventando molto difficile”. “Abbiamo anche molti rifugiati cristiani - aggiunge -, si parla di 1500 famiglie. E il numero aumenta di giorno in giorno”. In più emerge il fenomeno della prostituzione e dei matrimoni forzati, con ragazzine vendute dai genitori per 5mila dollari. “Le madri ci raccontano le loro preoccupazioni - dice Chahda -. Per non essere accusati di interferire nella vita delle persone e negli usi delle comunità, possiamo solo lavorare sulla consapevolezza e informarli della possibilità di chiedere aiuto alle ong internazionali”.
In Turchia bombe e paura. In Turchia 190mila profughi siriani vivono nei 18 campi governativi. Altri 200-250mila in case, tende, capannoni e alloggi di fortuna. Visto l’afflusso enorme il governo sta costruendo altri otto campi. Dopo le 52 vittime, la settimana scorsa, a causa di due autobombe a Reyhanli, una cittadina al confine con la Siria dove opera Caritas Turchia con un team di 5 persone, sono aumentati gli episodi di intolleranza da parte della popolazione. “Per il momento abbiamo dovuto sospendere le attività - spiega Chiara Rambaldi, che lavora da 4 anni a Caritas Turchia -. Il contesto è delicato. Le famiglie siriane sono spaventate, non escono più di casa”. Ci sono anche decine di famiglie cristiane: “Sono rifugiate nei monasteri del sud-est, a Midiot Mardin”. Intanto molti siriani sono arrivati perfino a Istanbul: Caritas Turchia assiste lì 180 famiglie, oltre alle altre 1200 di Reyhanli. “Forniamo, cibo, sostegno psicologico, assistenza medica, educazione - dice -. A breve apriremo uno spazio di socializzazione per i bambini”. Anche qui si riscontrano casi di matrimoni forzati e tratta di persone. A tutti i profughi viene concessa una protezione umanitaria temporanea. “Sarebbe meglio - suggerisce - che avessero accesso all’asilo politico”.
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lunedì 10 giugno 2013
Carità per la Siria!
sabato 8 giugno 2013
Il ribelle Dall'Oglio
" E' un anno e mezzo che parliamo della necessità morale o di un intervento diretto come avvenuto in Libia o indiretto, con la scelta di dare le armi giuste.."
Il gesuita Dall'Oglio: "Gli italiani chiedano di prendere una posizione chiara e forte sulla necessità di offrire al popolo siriano la possibilità di difendersi".
Il gesuita Paolo Dall'Oglio: "In Siria un regime mafioso e l'Europa non fa nulla per ignavia"
06/06/2013
Il sacerdote a 24 Mattino parla della guerra civile che nell'ultimo anno e mezzo ha causato circa 100mila morti
Il sacerdote, dopo 30 anni vissuti in Siria, è stato espulso nel 2012 dal governo Assad e oggi a 24 Mattino parla della guerra civile che nell'ultimo anno e mezzo ha causato circa 100mila morti: "I cittadini italiani - ha detto Dall'Oglio -prendano iniziative civili sul nostro ministro degli Esteri Emma Bonino che è alla testa dell'ignavia europea, una ignavia irresponsabile nei confronti della rivolta del popolo siriano. Gli italiani chiedano di prendere una posizione chiara e forte sulla necessità di offrire al popolo siriano la possibilità di difendersi concretamente e militarmente dal regime Assad.
Bonino - ha continuato nella sua critica il gesuita - è tra quelli che esercitano l'irresponsabilità europea per motivi ideologici di islamofobia cordiale. Vediamo se la sua anima civile e democratica vincerà la sua irritabilità nei confronti dell'Islam politico. E' un anno e mezzo che parliamo della necessità morale o di un intervento diretto come avvenuto in Libia o indiretto, con la scelta di dare le armi giuste per bloccare il bombardamentio sistematico del regime siriano, che è un regime mafioso".
http://www.radio24.ilsole24ore.com/notizie/24mattino/2013-06-06/gesuita-paolo-oglio-siria-102128.php
A me sembra proprio lui il mafioso pentito. Perché finché era in Siria ha goduto di tutto ciò che egli oggi rinnega. Non si ricorda dei giorni in cui ha fatto quello che ha voluto in Siria? Come mai oggi tanto livore contro il Paese che l'ha ospitato per 32 anni dandogli la possibilità di fare ciò che voleva e per giunta con i soldi che gli passava l'Italia, quell'Italia ch'egli oggi mette tra gli ignavi se non alla loro testa?A mio parere, Dall'Oglio dovrebbe solo vergognarsi di quanto asserisce: oppure Dall'Oglio non sa che oggi in Siria non è più il popolo siriano che combatte contro l'esercito regolare, ma sono le squadre di terroristi salafiti qui riversatisi da tutto il mondo? Lo sa Dall'Oglio che oggi in Siria vi sono Ceceni, Pakistani, Afgani, Libici, Egiziani, e quant'altri dell'Europa, che sono qua per combattere la guerra santa, per diventare martiri per poter raggiungere le loro Houryé nel paradiso islamico (le Houryé sono le vergini che li attendono nel loro paradiso).Ma soprattutto il Dall'Oglio si deve vergognare perchè non fa altro che sputare nel piatto dove ha mangiato, e abbondantemente, per 32 anni.
l'osservatore siriano da Aleppo
venerdì 7 giugno 2013
L'Europa finisce a Damasco?
Il Sussidiario - mercoledì 29 maggio 2013
di Robi Ronza
L’altro ieri i ministri degli Esteri dell’Unione europea non
sono riusciti a giungere a Bruxelles a una posizione comune riguardo alla
sospensione o meno dell’embargo a forniture militari alle formazioni armate
scese in campo in Siria contro il regime di Bashar Al Assad. Ciò equivale alla sua sospensione, dal momento che da adesso in poi ogni Paese può fare come vuole.
Gran Bretagna e Francia, che decise a far cadere Assad a viva forza già
stavano mandando armi agli insorti sotto banco, ora potranno farlo apertamente.
Alla notizia la Russia, che invece sostiene l’embargo, ha subito annunciato
l’invio a Damasco di missili anti-aerei, utili secondo il suo ministro degli
Esteri a dissuadere “certe teste calde” da un’internazionalizzazione del
conflitto.
Tutto questo rende più difficili le prospettive di
un’imminente conferenza per la pace in Siria in programma a Ginevra sotto l’égida degli
Stati Uniti e della stessa Russia. In sede di Consiglio europeo di ministri
degli Esteri l’iniziativa di opporsi ai propositi bellicosi di Parigi e
di Londra sembra sia venuta dall’Austria, ma a lavori conclusi anche il ministro
degli Esteri italiano, Emma Bonino, ha dichiarato ai giornalisti presenti
di essere personalmente contraria all’invio di armi agli insorti in
Siria. Dovrà in proposito consultarsi con i suoi colleghi di governo ma ha
aggiunto – a nostro avviso lodevolmente - che per quanto la riguarda agli
insorti contro Assad non giungeranno armi dall’Italia (anche se poi ciò sarà vero
soltanto nella misura in cui la Farnesina ha in mano tutti i rubinetti di tutti
gli oscuri canali che percorrono le forniture di questo genere di merci, il che
non è scontato).
Al di là di ogni più specifico aspetto la vicenda conferma,
se mai ce ne fosse stato bisogno, che una politica estera comune dell’Unione
europea non si può improvvisare sotto la spinta estemporanea di questa o di
quella crisi. O si apre un vero dibattito politico, non solo nel chiuso del
Consiglio ma prima di tutto in sede di Parlamento europeo, nel quale emergano e si
confrontino le varie linee di gravitazione geo-politica che caratterizzano le
grandi aree in cui si articola l’Unione e si giunga a farne un’equilibrata
sintesi, oppure ogni volta andrà a finire come lunedì scorso è accaduto, ossia che
ognuno se ne va per la propria strada.
In tale quadro il nostro Paese ha il diritto e il dovere di far valere il proprio legittimo interesse mediterraneo. Quindi il suo
interesse a quella pace del Vicino Oriente che al Nord Europa sta a cuore poco o
nulla. E quindi anche il suo interesse a che la Siria non venga sacrificata
sull’altare di una transizione catastrofica dal regime di Assad a qualcosa che
di certo sarebbe molto peggio.
Benché molto della sua storia politica e della sua cultura
ci faccia rabbrividire, dobbiamo riconoscere che Emma Bonino è
consapevole più di tutti i suoi recenti predecessori del ruolo primario e
potenzialmente positivo che la storia e la geografia
assegnano al nostro Paese nel Mediterraneo. Se dunque il governo Letta volesse sorprenderci facendo nel Levante una
politica attiva a misura dell’interesse legittimo del nostro Paese, con questo
ministro degli Esteri potrebbe anche provarci con una certa possibilità di
successo. E ciò tanto più considerando che l’Italia può muoversi nell’area
avvalendosi non solo dei canali diplomatici, ma anche di una fitta rete di
positive relazioni culturali ed economiche di cui nessun altro Paese europeo ed
occidentale dispone.
Di nodi intricati che la forza militare non riesce mai a
sciogliere, e che spesso la diplomazia non può sciogliere da sola, talvolta si
trova il bandolo grazie a un uso combinato di leve diverse appartenenti a
tutte queste sfere.
Ogni giorno che passa senza che la pace torni in Siria
aggiunge nuove morti, nuove distruzioni, nuovi dolori, nuova miseria, come ci ha
di recente ricordato tra gli altri un nuovo appello del Custode di Terra Santa, i
cui frati sono presenti anche nel martoriato Paese a fianco di popolazioni
sfinite da ormai due anni di guerra civile.
Tutto ciò che si può ragionevolmente
tentare per porre fine a questa follia va tentato.
© Riproduzione Riservata.
giovedì 6 giugno 2013
Alla vigilia della seconda conferenza di Ginevra sulla Siria. Appello di Sua Beatitudine Gregorios III
Possa la strada per Ginevra essere il cammino per la pace della Siria!
"Venite a una parola comune." (Surat aal ʿ Im'ran
3: 64)
Il Concilio Vaticano
II afferma: "Le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli
uomini d'oggi, soprattutto quelli che sono poveri o in qualsiasi modo soffrono,
sono pure le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dei discepoli di
Cristo. "(Gaudium et Spes, Prefazione).
San Paolo dice, "se un membro soffre, tutte le membra
soffrono insieme; se un membro è onorato, tutte le membra gioiscono con
lui." (I Corinzi 12: 26) San Paolo dice anche: "Dio ... ci ha dato il ministero della riconciliazione. "(2 Cor 5, 18). Il Corano dice:" Venite a una parola
comune ". Un hadith dice anche: "I credenti sono come una sola
persona, se la testa fa male, tutto il corpo soffre con febbre e
insonnia." (Sahih Muslim 6260)
A partire da questi venerabili versi e gli insegnamenti sublimi, esprimiamo il nostro ottimismo per
lo svolgimento di questa seconda Conferenza di Ginevra. Domandiamo la partecipazione a questa conferenza, in nome
delle migliaia di vittime che sono cadute sul suolo della cara Siria, le
vedove, gli orfani, gli handicappati, i malati, le persone in lutto, i rapiti,
gli scomparsi, gli studenti, i giovani, quelli pieni di dubbi, feriti nella
coscienza e nei sentimenti ... e ogni persona che soffre in Siria.
A nome di tutti loro,
e sulla base della nostra responsabilità pastorale, e come presidente
dell'Assemblea della Gerarchia Cattolica in Siria, rivolgiamo questo appello alla Federazione
Russa e agli Stati Uniti d'America che hanno convocato questa conferenza, e a tutti
coloro che parteciperanno: Stati sovrani, organismi, figli e figlie della
Siria, in patria e all'estero, alleati e avversari. Tutti voi, lavorate con
fiducia, in spirito di riconciliazione, di dialogo e di cittadinanza sincera
... Mettete tutti i vostri sforzi nel far sì che questa conferenza abbia successo. Questa è una
opportunità molto importante, in una fase decisiva centrale, e dentro la morsa di
una storica, sanguinosa, distruttiva crisi, la più grave nella storia della
Siria.
Che la richiesta di
riconciliazione, del dialogo, della solidarietà e della pace, sia più forte del
frastuono di armi e armamenti.
Noi domandiamo a voce altissima: "Siriani, arriviamo a una parola comune tra tutti noi!"
Chiediamo soprattutto ai nostri fedeli, i figli e le figlie
delle nostre parrocchie, di innalzare preghiere e suppliche in chiese,
monasteri, confraternite, associazioni parrocchiali, case e famiglie per il
successo di questa conferenza, e per la sicurezza, la calma, la pace, la
riconciliazione, il dialogo, la solidarietà e l'amore tra i cuori di tutti i
cittadini.
Preghiamo:
Signore! Donaci la
pace! Giacché ci hai dato tutte le cose! "Beati gli operatori di pace,
perché saranno chiamati figli di Dio". (Mt 5, 9)
Possa la strada per Ginevra
essere il cammino per la pace della Siria!
+ Gregorios
III
Patriarca di Antiochia e di tutto l'Oriente
Di Alessandria e di
Gerusalemme
mercoledì 5 giugno 2013
Papa Francesco: "CHE TACCIANO LE ARMI! RINNOVO CON FORZA IL MIO APPELLO ALLA PACE. GUARDIAMO GESU' SOFFERENTE NEGLI ABITANTI DELL'AMATA SIRIA "
UDIENZA DEL SANTO PADRE AI PARTECIPANTI ALL’INCONTRO DI COORDINAMENTO TRA GLI ORGANISMI CARITATIVI CATTOLICI CHE OPERANO NEL CONTESTO DELLA CRISI IN SIRIA, PROMOSSO DAL PONTIFICIO CONSIGLIO "COR UNUM" (5 GIUGNO 2013)
DISCORSO DEL SANTO PADRE
La preoccupazione della Santa Sede per la crisi siriana e in modo più specifico per la popolazione, spesso inerme, che soffre le conseguenze del conflitto, è ben nota. Benedetto XVI ha ripetutamente chiesto che tacciano le armi e che si possa trovare una soluzione nel dialogo per giungere ad una profonda riconciliazione tra le parti. Che tacciano le armi! Inoltre, egli aveva voluto esprimere la sua personale vicinanza lo scorso novembre, inviando il Cardinale Sarah in quelle zone, accompagnando tale gesto con la richiesta di "non risparmiare alcuno sforzo nella ricerca della pace" e manifestando la sua concreta e paterna sollecitudine con un dono a cui hanno contribuito pure i Padri Sinodali lo scorso ottobre.
Anche a me personalmente la sorte della popolazione siriana sta particolarmente a cuore. Il giorno di Pasqua ho chiesto pace «soprattutto per l’amata Siria, ho detto, per la sua popolazione ferita dal conflitto, e per i numerosi profughi che attendono aiuto e consolazione. Quanto sangue è stato versato! E quante sofferenze dovranno essere ancora inflitte prima che si riesca a trovare una soluzione politica alla crisi?».
Di fronte al perdurare di violenze e sopraffazioni rinnovo con forza il mio appello alla pace. Nelle ultime settimane la comunità internazionale ha ribadito l’intenzione di promuovere iniziative concrete per avviare un dialogo fruttuoso con lo scopo di mettere fine alla guerra. Sono tentativi che vanno sostenuti e che si spera possano condurre alla pace.
La Chiesa si sente chiamata a dare la testimonianza umile, ma concreta ed efficace, della carità che ha imparato da Cristo, Buon Samaritano. Sappiamo che dove qualcuno soffre, Cristo è presente. Non possiamo tirarci indietro, proprio nelle situazioni di maggiore dolore!
La vostra presenza alla riunione di coordinamento manifesta la volontà di continuare con fedeltà la preziosa opera di assistenza umanitaria, nella Siria e nei Paesi vicini che generosamente ospitano chi fugge dalla guerra. La vostra azione sia puntuale e coordinata, espressione di quella comunione che è essa stessa testimonianza, come ha suggerito il recente Sinodo sul Medio Oriente.
Alla Comunità internazionale, accanto alla ricerca di una soluzione negoziale del conflitto, chiedo di favorire l’aiuto umanitario per i profughi e i rifugiati siriani, mirando in primo luogo al bene della persona e alla tutela della sua dignità.
Per la Santa Sede l’opera delle Agenzie di carità cattoliche è estremamente significativa: aiutare la popolazione siriana, al di là delle appartenenze etniche o religiose, è il modo più diretto per offrire un contributo alla pacificazione e alla edificazione di una società aperta a tutte le diverse componenti. A questo tende anche lo sforzo della Santa Sede: costruire un futuro di pace per la Siria, in cui tutti possano vivere liberamente ed esprimersi nella loro peculiarità.
Il pensiero del Papa va in questo momento anche alle comunità cristiane che abitano la Siria e tutto il Medio Oriente. La Chiesa sostiene quelle sue membra che oggi sono particolarmente in difficoltà. Esse hanno il grande compito di continuare a rendere presente il Cristianesimo nella regione in cui è nato. Ed è un nostro impegno favorire la permanenza di questa testimonianza. La partecipazione di tutta la comunità cristiana a questa grande opera di assistenza e di aiuto è un imperativo nel momento presente. E pensiamo tutti, tutti pensiamo alla Siria.
Quanta sofferenza, quanta povertà, quanto dolore di Gesù che soffre, che è povero, che è cacciato via dalla sua Patria. E’ Gesù! Quello è un mistero, ma è il nostro mistero cristiano. Guardiamo Gesù sofferente negli abitanti dell’amata Siria.
Vi ringrazio ancora per questa iniziativa e invoco su ciascuno di voi la benedizione divina. Essa si estende in particolare ai cari fedeli che vivono in Siria e a tutti quei siriani che attualmente sono costretti a lasciare le loro case a motivo della guerra. Voi qui presenti siate lo strumento per dire al caro popolo siriano e del Medio Oriente che il Papa li accompagna ed è loro vicino. La Chiesa non li abbandona!
http://press.catholica.va/news_services/bulletin/news/31112.php?index=31112&lang=it
martedì 4 giugno 2013
Pulizia etnica religiosa pianificata: ma l'Occidente non vuol vedere
Marco Tosatti - Blog San Pietro e dintorni
L’Associazione di Studiosi musulmani, un’organizzazione di Ulema islamici con sezioni in vari Paesi, ha emanato una lunga dichiarazione di appoggio alla “Jihad” religiosa contro il governo di Damasco, in particolare per quanto riguarda la battaglia di Qusayr, un nodo strategico importante fra Libano e Siria.
E’ in pratica una dichiarazione ufficiale del fatto che la guerra in Siria – alimentata da alcune potenze occidentali e dalla Turchia – sta assumendo sempre di più i contorni di un tentativo di pulizia etnica religiosa da parte dei fondamentalisti sunniti sostenuti dall’Arabia Saudita e dal Qatar contro i cristiani e soprattutto contro gli sciiti (indicati come Rafiditi, nel comunicato, un termine spregiativo) e contro gli alauiti, anch’essi definiti in maniera spregiativa come “Nusayris”.
E non mancano naturalmente attacchi agli ebrei – si parla di cospirazione ebraica – e di incitamenti a liberare la Palestina. E’ interessante notare che fra i firmatari non c’è nessun siriano; ci sono persone dell’Arabia Saudita, dello Yemen, del Sudan e anche del Kosovo. Una presenza inquietante, in un documento del genere, riferita ai Balcani.
http://www.lastampa.it/Page/Id/1.0.2226306817
distruzione di una moschea sciita da parte delle milizie sunnite
Qualche giorno fa una bomba è stata lanciata in pieno centro di Aleppo, non lontano dalla Cattedrale Siro cattolica. Ha colpito l'Ospedale Salloum. Un giovane cristiano stava per essere dimesso quando l’esplosione l’ha ucciso. Sempre ad Aleppo, un Sacerdote Siro cattolico che accompagnava un funerale è stato fermato dalle squadre dei comitati popolari e gli è stato impedito di continuare ad adempiere il suo dovere sacerdotale. . Questa masnada ha preteso bloccare il corteo funebre perché dovevano passare loro: spesso si tratta di quattro o cinque ragazzotti su un pick up, fuori da ogni controllo, che col mitra in mano si fanno largo tra la gente sparando in aria all'impazzata.. Alle proteste del Sacerdote hanno iniziato a picchiare l'autista, poi si sono accaniti contro di lui e ora rischia di perdere la vista.
Nei villaggi cristiani della zona dell'Oronte (Gisser Choughour) le milizie Giamaat Al-Nousrah hanno rubato le campane della Chiesa parrocchiale latina del Villaggio di Ghassanieh. Questo villaggio fu occupato da queste masnade che entrando in villaggio minacciarono gli abitanti che li avrebbero sgozzati tutti, così scapparono lasciando loro libero il campo. Fino a poco tempo fa nel villaggio erano rimasti soltanto 18 fedeli cattolici, tra questi due religiosi latini e le tre Suore del Rosario. Oggi sono stati costretti a scappare pure loro. Giamaat Al-Nousrah detta legge incontrastata in quei villaggi. Le chiese sono state profanate, ridotte a stalle, e peggio ancora.
Gli altri villaggi cristiani della zona Knayé, Jacoubié, Jedeideh non stanno meglio. Gli episodi di violenza e di devastazione gratuita non sono più sporadici. Nel villaggio di Jedeideh il parroco ortodosso è stato costretto ad abbandonare il villaggio e successivamente la chiesa è stata profanata e distrutta.
Nei villaggi occupati si vive nel terrore. Le milizie ribelli mettono in atto una precisa strategia: si terrorizza la gente per costringerla ad abbondonare le case per poi impossessarsene. Le abitazioni e le proprietà con una "fatwa" vengono dichiarate islamiche e così i cristiani all’improvviso sono senza nulla, in strada per tutta la loro vita.
A questo punto c'è da chiedersi: L'Occidente si rende realmente conto di quel che sta favorendo in Siria? Ormai non si tratta di defenestrare il Presidente, ma si tratta di distruggere la comunità cristiana. Questo è quanto sta facendo l'Occidente: non vuol comprendere che con il suo modo di agire dà man forte ai salafiti, alle Giamaat Al-Nousrah ... ad applicare quanto a metà degli anni 80 gli Ulema radunati a Lahore dichiararono : " entro il 2020-25 non vi dovranno più essere cristiani nel Medio Oriente".
Ecco cosa sta favorendo e facendo l'incoscienza occidentale. Non solo, ma sta mettendo tutte le premesse per una islamizzazione dell'Europa.
Ma domani i "Signori della Guerra" di oggi saranno giudicati come degli ottusi e soprattutto degli incoscienti, perché hanno chiuso occhi ed orecchi mettendo in pratica il detto: non vi è peggior sordo di chi non vuole ascoltare, non vi è peggior cieco di chi non vuol vedere.
l'osservatore siriano da Aleppo
domenica 2 giugno 2013
Le parole del Papa per la Siria all'Angelus di questa domenica
Oggi in occasione del consueto appuntamento per l'Angelus in Piazza San Pietro, il Santo Padre ha ricordato la vicenda siriana con le seguenti accorate parole:
Cari fratelli e sorelle, sempre viva e sofferta è la mia preoccupazione per il persistere del conflitto che ormai da più di due anni infiamma la Siria e colpisce specialmente la popolazione inerme, che aspira ad una pace nella giustizia e nella comprensione. Questa tormentata situazione di guerra porta con sé tragiche conseguenze: morte, distruzione, ingenti danni economici e ambientali, come anche la piaga dei sequestri di persona. Nel deplorare questi fatti, desidero assicurare la mia preghiera e la mia solidarietà per le persone rapite e per i loro familiari, e faccio appello all'umanità dei sequestratori affinché liberino le vittime. Preghiamo sempre per la nostra amata Siria!
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Proponiamo di seguito anche l' appello della Chiesa siro-ortodossa: “C’è speranza: fate di più per liberare i nostri Vescovi”
Damasco (Agenzia Fides) – “C’è uno sprazzo di speranza per la sorte dei due Vescovi di Aleppo rapiti in Siria un mese fa. Chiediamo che vengano diffuse foto o filmati recenti dei due e che la Coalizione Nazionale dell’opposizione siriana faccia ogni sforzo possibile per liberarli”: lo dice all’Agenzia Fides il Vescovo metropolita Timoteo Matta Fadil Alkhouri, Assistente Patriarcale nel Patriarcato Siro-Ortodosso di Antiochia, confratello del Vescovo siro-ortodosso Gregorio Yohanna Ibrahim, tuttora nelle mani dei rapitori con il vescovo greco-ortodosso Boulos al-Yazigi. Due giorni fa, a Istanbul, Abdul Ahad Steipho dirigente della Coalizione Nazionale dell'opposizione siriana, a margine di un incontro ha detto ai cronisti che “due o tre giorni fa un medico ha visitato i due vescovi: stanno bene”, senza fornire altri dettagli sui sequestratori.
“Abbiamo appreso con gioia e trepidazione questa notizia, anche se non abbiamo alcuna conferma o certezza. Ora sappiamo che c’è qualcuno che ha avuto contatti diretti con i Vescovi. Questo ci dà rinnovata speranza, questi voci ci confortano, ma bisogna fare di più”, spiega il Vescovo a Fides.
“Non sappiamo bene da chi e da dove provengano queste informazioni. I leader della Coalizione nazionale dell’Opposizione – prosegue – ci hanno detto di avere delle notizie ma di non avere il controllo della situazione. Secondo quanto affermano i governo di Siria, Turchia e Libano, i vescovi si troverebbero nell’area fra Aleppo e la Turchia, nella zona di confine, in territorio siriano. Quest’area è fuori dal controllo del governo siriano e di quello turco. Ci sono altri gruppi armati a controllarlo”. La Chiesa siro-ortodossa auspica una svolta reale: “Oggi lanciamo un appello perché possiamo capire cosa vogliono i gruppi che li hanno presi, e perché pubblichino prove certe, come foto e filmati, per confermare che sono vivi. Siamo pronti a fare qualsiasi cosa per loro: vogliamo intavolare contatti con i rapitori. Ancora non sappiamo nulla di preciso, non ci sono giunte richieste. Per questo continuiamo a tenere stretti contatti con i governi, con l’opposizione siriana, con i capi islamici. Ma non basta”, dice il Metropolita.
“Questa notizia – ribadisce il Vescovo – dà speranza al popolo siriano. Noi ci preoccupiamo per i Vescovi e per i sacerdoti rapiti, ma anche per tutta la popolazione: i nostri fedeli cristiani stanno lasciando il paese, l’emorragia continua ed molto dolorosa per noi”.
La solidarietà espressa dalle Chiese in tutto il mondo “è un prezioso conforto”: “Ogni domenica si continua a pregare per i vescovi, a celebrare Sante messe, in Siria, in medio Oriente e in altri paesi del mondo. Ringraziamo tutti e confidiamo in Dio. Chiediamo a Papa Francesco di pregare per noi”.
sabato 1 giugno 2013
Nessun commento, solo dolore
venerdì 31 maggio 2013
Mentre i Paesi occidentali e arabi discutono sul futuro della Siria e se inviare armi ai ribelli, la Chiesa continua il suo lavoro discreto e silenzioso fra poveri e sfollati
Intervistato da AsiaNews, mons. Antoine Audo, arcivescovo caldeo di Aleppo e presidente di Caritas Siria racconta la "straordinaria vitalità dei giovani cattolici". Affrontando i rischi della guerra, migliaia di ragazzi lavorano nelle mense e nei centri di raccolta della Caritas locale e hanno grande attenzione anche per le attività spirituali, spesso rivolte anche a membri di altre religioni .
"Ogni giorno - afferma mons. Audo - cerchiamo di compiere la nostra missione ovunque vi sia bisogno. I giovani responsabili che ci seguono sono diverse centinaia. Insieme ai loro coetanei essi sono attivi in molte attività caritatevoli".
Per il prelato questo impegno dei ragazzi siriani è commovente e straordinario "per una città come Aleppo, che sempre di più è descritta dai media come un luogo sull'orlo della distruzione, in preda al caos, agli odi inter-religiosi".
gruppi scout di Aleppo |
Le Chiese cattolica e ortodossa, sono rimaste le uniche realtà autorevoli e neutrali presenti ad Aleppo e in gran parte dei territori siriani. Tale consapevolezza ha spinto sacerdoti e prelati a chiedere con urgenza un sinodo locale della Chiesa cattolica ad Aleppo. "I giovani sacerdoti - spiega - mons. Audo - lo stanno chiedendo da diverso tempo, vogliamo comprendere come essere uniti in questo periodo difficile, per dare una speranza alla popolazione e ai nostri fedeli".
Fino ad ora l'unica organizzazione in grado di distribuire viveri e offrire ospitalità alle migliaia di sfollati della provincia di Aleppo è la Caritas locale, che opera attraverso le parrocchie e i conventi sparsi nelle varie province. Di recente la Chiesa ha organizzato una giornata di formazione per tutti i responsabili dei centri per l'assistenza ai poveri e agli sfollati.
"Vi erano oltre 100 giovani - racconta mons. Audo - e ciò dimostra quante iniziative silenziose e gratuite sono presenti in questa città, dove si sente il pericolo della guerra, di morire, di essere rapiti, derubati, ma si va avanti, con fede e speranza".
http://www.asianews.it/notizie-it/Assad-apre-forse-al-dialogo.-Ad-Aleppo-giovani-cristiani-offrono-la-loro-vita-per-i-poveri-28009.html
giovedì 30 maggio 2013
Appello della Santa Sede: «Far tacere le armi»
Mons. Tomasi: No all'escalation militare in Siria. Sì al dialogo politico
ASIA NEWS- 30/05/2013
Ginevra - Contro "l'inutile e distruttiva tragedia" che sta sbriciolando la Siria e il Medio oriente, la via da seguire non è "l'intensificazione militare del conflitto armato, ma il dialogo e la riconciliazione". È l'appello di mons. Silvano Tomasi, osservatore della Santa Sede all'Onu di Ginevra, lanciato ieri durante l'incontro della Commissione delle Nazioni Unite per i diritti umani, sul tema "Il deterioramento della situazione dei diritti umani nella Repubblica araba siriana e le recenti uccisioni di Al Qusayr".
Proprio nei giorni scorsi l'Unione europea ha cancellato il bando sull'export di mezzi militari all'opposizione siriana. Secondo alcuni osservatori, tale bando non è mai stato attuato: nei quasi due anni di guerra civile in Siria, diversi Paesi europei hanno venduto armi ad Arabia saudita, Qatar e Abu Dhabi, alleati del Free Syrian Army, maggior forza di opposizione al governo siriano.
Per giustificare la fine ufficiale del bando agli aiuti militari, le diplomazie europee - soprattutto Francia e Gran Bretagna - continuano a denunciare la presenza di migliaia di Hezbollah libanesi in Siria, a sostegno di Assad. Nessuna parola sulle altrettante migliaia di combattenti jihadisti che da tutto il Medio oriente (e anche dall'Europa) vanno a combattere contro l'esercito siriano.
Anche Navi Pillai, Alto commissario Onu per i diritti umani, ha denunciato la Siria per la presenza di "truppe straniere" a Qusayr. Il messaggio finale della Commissione Onu è però simile a quello di mons. Tomasi: "Se la situazione attuale persiste, o si deteriora di più, i massacri interetnici diverranno una certezza, invece che un rischio... Il messaggio da tutti noi deve essere lo stesso: noi non sosterremo questo conflitto con armi, munizioni, politica o religione".
Nel suo intervento, l'osservatore della Santa Sede denuncia che "decine di migliaia di vite sono state distrutte; 1,5 milioni di persone sono state forzate a fuggire all'estero come rifugiati; più di 4 milioni hanno perso la loro casa; e i civili sono divenuti l'obbiettivo delle parti in guerra, in totale disprezzo verso le leggi umanitarie".
Mons. Tomasi ricorda le parole di papa Francesco nel suo messaggio pasquale: "Quanto sangue è stato versato! E quante sofferenze dovranno essere ancora inflitte prima che si riesca a trovare una soluzione politica alla crisi?".
Per questo egli domanda che "le armi tacciano" e che si cerchi a tutti i costi una soluzione politica che inizi con negoziati pacifici e porti a un governo partecipato da tutte le rappresentanze civili del Paese.
http://www.asianews.it/notizie-it/Mons.-Tomasi:-No-all'escalation-militare-in-Siria.-Sì-al-dialogo-politico-28064.html
Holy See’s UN Observer warns against a military intensification of Syria’s conflict
(Vatican Radio) Archbishop Silvano Tomasi, the Holy See’s Permanent Observer to the UN in Geneva, has described Syria’s armed conflict as a national tragedy that risks intensifying regional and global conflicts and could melt down the entire country. Please see below the full transcript of Archbishop Tomasi’s statement delivered at the 23rd session of the Human Rights Council.
martedì 28 maggio 2013
SE PREVALGONO I "SIGNORI DELLA GUERRA"
da PICCOLE NOTE
29 maggio 2013
Una buona
parte delle sorti della guerra in Siria la si sta decidendo all’estero, ma i
due fronti contrapposti non sono solo quelli di cui si sente parlare, spesso in
modo un po’ approssimativo: Occidente e paesi del Golfo contro Russia, Cina e
Iran.
C’è chi
lavora a un negoziato, da impostare il mese prossimo a Ginevra, e chi invece
pensa che la guerra andrà decisa prima di tutto sul piano militare, come prova
di forza tra i ribelli e le milizie fedeli a Bashar al Assad.
Di recente
sono apparse alcune testimonianze senza precedenti su come si sta muovendo il
secondo dei due fronti, quello che punta ad “alzare il livello dello scontro”.
A gettare un po’ di luce ci ha pensato l’edizione domenicale del Financial
Times, il 19 maggio scorso, con un lungo reportage sul ruolo del Qatar nella
guerra civile siriana. «Ringalluzzito» dal successo ottenuto in Libia, dove
pure le truppe qatariote hanno giocato un ruolo di primo piano nella ribellione
anti-Gheddafi, il governo del piccolo emirato da più di un anno è diventato il
principale finanziatore dei ribelli siriani.
Il suo
contributo alla “causa” – secondo il quotidiano finanziario di Londra – può
essere stimato tra uno e tre miliardi di dollari: soldi stanziati dalla casa
regnante per fare dell’emiro Hamad bin Khalifa «un nuovo Nasser islamista». Un
leader cioè che aspira a unificare tutti i popoli arabi contro un unico nemico
(come fece Gamal Nasser, autore del colpo di Stato egiziano del 1952),
servendosi però della bandiera dell’islamismo. Non a caso i soldi qatarioti
sono arrivati un po’ a tutte le sigle della ribellione, incluse quelle legate
allo jihadismo internazionale e ad al Qaeda in Iraq. «Il problema – spiega un
ufficiale americano al Financial Times – è che “per il Qatar non importa chi
finanzi, l’importante è abbattere Assad”».
È
interessante che un attacco così duro contro il Qatar arrivi proprio dal giornale
della City di Londra. L’intento “politico” del reportage è stato chiarito
subito, con un editoriale non firmato apparso sul quotidiano del 20 maggio:
l’attivismo qatariota – recita l’articolo – si è andato a scontrare con quello
dell’Arabia saudita, aumentando solo la confusione in un fronte già
estremamente frammentario. Conclusione: «La lotta dei ribelli contro Assad
resterà caotica fino a quando Stati Uniti, Gran Bretagna e Francia non
interverranno in prima persona per fornire armi ai moderati che combattono in
Siria».
L’argomento
non è dei più solidi: per contrastare l’attivismo dei paesi del Golfo il
Financial Times propone un nuovo attivismo dell’Occidente. Ma le intenzioni (e
il tempismo) erano evidenti: dare man forte a chi sosteneva, in ambito di
Unione Europea, la necessità di non rinnovare l’embargo sulla vendita di armi
in Siria. Missione compiuta: lunedì scorso, per il veto posto dal britannico
William Hague e dal francese Laurent Fabius (uno dei “falchi” del governo
Hollande), i ministri degli Esteri dell’Ue non sono riusciti a prolungare il
divieto. Ora anche gli europei sono autorizzati ad armare ai ribelli.
Com’era
prevedibile, la Russia non ha mancato di rispondere alla mossa “minacciosa” di
Gran Bretagna e Francia, confermando che consegnerà alla Siria una batteria di
missili contraerei S-300: «I missili sono un fattore di stabilità, – ha
spiegato il viceministro degli Esteri Sergei Ryabkov – evitano che qualche
testa calda possa provocare un’escalation del conflitto sul piano regionale».
Non è
difficile immaginare che la scelta europea di non prolungare l’embargo abbia
causato qualche mal di pancia alla Casa Bianca. Il segretario di Stato
americano John Kerry è tuttora impegnato in un giro del mondo finalizzato a
organizzare, d’accordo con Mosca, una conferenza di pace che coinvolga sia il
governo di Assad sia i ribelli, insieme ai rispettivi sponsor internazionali
(Iran incluso). Ma la strada verso “Ginevra 2″ «è ancora lunga», per usare le
parole del ministro degli Esteri italiano Emma Bonino, che il 9 maggio scorso,
alla Farnesina, si era confrontata proprio con Kerry sui passi necessari a
chiudere la crisi siriana.
La fine
dell’embargo – ha detto oggi la Bonino – segna un «momento non glorioso» per la
politica estera dei Ventisette. Che ora dovranno scegliere se inseguire il
Qatar nella corsa agli armamenti o lavorare, insieme a russi e americani, per
il successo dell’incontro di Ginevra.
MOSCA RISPONDE ALLA UE: ECCO I MISSILI PER ASSAD
La decisione
della Ue di lasciar liberi gli Stati membri sulla possibilità di fornire armi
alle forze anti-Assad, prima in regime di embargo, si è rivelata devastante.
Nonostante sia stata giustificata come mezzo di pressione contro Assad perché
prenda sul serio i negoziati promossi da Russia e Usa (la tecnica del bastone e
della carota), è tutt’altro: un ordigno gettato contro il processo di pace.
La Russia ha
annunciato che darà seguito all’invio degli S 300, micidiali nella difesa
aerea, allo scopo di dissuadere alcune “teste calde” dall’intervenire nel conflitto.
Decisione che, a sua volta, ha allarmato Israele, che lancia oscure minacce.
L’arrivo degli S 300, oltre a rendere più complesso un intervento Nato o Onu,
perché obbligherebbe i belligeranti a una guerra vera, impedirebbe
all’aviazione di tsahal ulteriori raid in territorio siriano: opzione che
Israele vuole conservare.
Il clima
surriscaldato non giova alla preparazione della conferenza di pace in programma
a Ginevra a giugno.
Dopo due anni di conflitto, novantamila morti, questo è il
primo tentativo serio di uscire da una sanguinosa impasse. La Ue si presenta
all’appuntamento divisa e, soprattutto, con opzioni altre e più inquietanti.
Una buona parte delle sorti della guerra in Siria la si sta decidendo all’estero, ma i due fronti contrapposti non sono solo quelli di cui si sente parlare, spesso in modo un po’ approssimativo: Occidente e paesi del Golfo contro Russia, Cina e Iran. C’è chi lavora a un negoziato, da impostare il mese prossimo a Ginevra, e chi invece pensa che la guerra andrà decisa prima di tutto sul piano militare, come prova di forza tra i ribelli e le milizie fedeli a Bashar al Assad.
Una buona parte delle sorti della guerra in Siria la si sta decidendo all’estero, ma i due fronti contrapposti non sono solo quelli di cui si sente parlare, spesso in modo un po’ approssimativo: Occidente e paesi del Golfo contro Russia, Cina e Iran. C’è chi lavora a un negoziato, da impostare il mese prossimo a Ginevra, e chi invece pensa che la guerra andrà decisa prima di tutto sul piano militare, come prova di forza tra i ribelli e le milizie fedeli a Bashar al Assad.
Di recente sono apparse alcune testimonianze senza precedenti su come si sta muovendo il secondo dei due fronti, quello che punta ad “alzare il livello dello scontro”. A gettare un po’ di luce ci ha pensato l’edizione domenicale del Financial Times, il 19 maggio scorso, con un lungo reportage sul ruolo del Qatar nella guerra civile siriana. «Ringalluzzito» dal successo ottenuto in Libia, dove pure le truppe qatariote hanno giocato un ruolo di primo piano nella ribellione anti-Gheddafi, il governo del piccolo emirato da più di un anno è diventato il principale finanziatore dei ribelli siriani.
Il suo contributo alla “causa” – secondo il quotidiano finanziario di Londra – può essere stimato tra uno e tre miliardi di dollari: soldi stanziati dalla casa regnante per fare dell’emiro Hamad bin Khalifa «un nuovo Nasser islamista». Un leader cioè che aspira a unificare tutti i popoli arabi contro un unico nemico (come fece Gamal Nasser, autore del colpo di Stato egiziano del 1952), servendosi però della bandiera dell’islamismo. Non a caso i soldi qatarioti sono arrivati un po’ a tutte le sigle della ribellione, incluse quelle legate allo jihadismo internazionale e ad al Qaeda in Iraq. «Il problema – spiega un ufficiale americano al Financial Times – è che “per il Qatar non importa chi finanzi, l’importante è abbattere Assad”».
È interessante che un attacco così duro contro il Qatar arrivi proprio dal giornale della City di Londra. L’intento “politico” del reportage è stato chiarito subito, con un editoriale non firmato apparso sul quotidiano del 20 maggio: l’attivismo qatariota – recita l’articolo – si è andato a scontrare con quello dell’Arabia saudita, aumentando solo la confusione in un fronte già estremamente frammentario. Conclusione: «La lotta dei ribelli contro Assad resterà caotica fino a quando Stati Uniti, Gran Bretagna e Francia non interverranno in prima persona per fornire armi ai moderati che combattono in Siria».
L’argomento non è dei più solidi: per contrastare l’attivismo dei paesi del Golfo il Financial Times propone un nuovo attivismo dell’Occidente. Ma le intenzioni (e il tempismo) erano evidenti: dare man forte a chi sosteneva, in ambito di Unione europea, la necessità di non rinnovare l’embargo sulla vendita di armi in Siria. Missione compiuta: lunedì scorso, per il veto posto dal britannico William Hague e dal francese Laurent Fabius (uno dei “falchi” del governo Hollande), i ministri degli Esteri dell’Ue non sono riusciti a prolungare il divieto. Ora anche gli europei sono autorizzati ad armare ai ribelli.
Com’era prevedibile, la Russia non ha mancato di rispondere alla mossa “minacciosa” di Gran Bretagna e Francia, confermando che consegnerà alla Siria una batteria di missili contraerei S-300: «I missili sono un fattore di stabilità, – ha spiegato il viceministro degli Esteri Sergei Ryabkov – evitano che qualche testa calda possa provocare un’escalation del conflitto sul piano regionale».
Non è difficile immaginare che la scelta europea di non prolungare l’embargo abbia causato qualche mal di pancia alla Casa Bianca. Il segretario di Stato americano John Kerry è tuttora impegnato in un giro del mondo finalizzato a organizzare, d’accordo con Mosca, una conferenza di pace che coinvolga sia il governo di Assad sia i ribelli, insieme ai rispettivi sponsor internazionali (Iran incluso). Ma la strada verso “Ginevra 2″ «è ancora lunga», per usare le parole del ministro degli Esteri italiano Emma Bonino, che il 9 maggio scorso, alla Farnesina, si era confrontata proprio con Kerry sui passi necessari a chiudere la crisi siriana.
La fine dell’embargo – ha detto oggi la Bonino – segna un «momento non glorioso» per la politica estera dei Ventisette. Che ora dovranno scegliere se inseguire il Qatar nella corsa agli armamenti o lavorare, insieme a russi e americani, per il successo dell’incontro di Ginevra.
Di recente sono apparse alcune testimonianze senza precedenti su come si sta muovendo il secondo dei due fronti, quello che punta ad “alzare il livello dello scontro”. A gettare un po’ di luce ci ha pensato l’edizione domenicale del Financial Times, il 19 maggio scorso, con un lungo reportage sul ruolo del Qatar nella guerra civile siriana. «Ringalluzzito» dal successo ottenuto in Libia, dove pure le truppe qatariote hanno giocato un ruolo di primo piano nella ribellione anti-Gheddafi, il governo del piccolo emirato da più di un anno è diventato il principale finanziatore dei ribelli siriani.
Il suo contributo alla “causa” – secondo il quotidiano finanziario di Londra – può essere stimato tra uno e tre miliardi di dollari: soldi stanziati dalla casa regnante per fare dell’emiro Hamad bin Khalifa «un nuovo Nasser islamista». Un leader cioè che aspira a unificare tutti i popoli arabi contro un unico nemico (come fece Gamal Nasser, autore del colpo di Stato egiziano del 1952), servendosi però della bandiera dell’islamismo. Non a caso i soldi qatarioti sono arrivati un po’ a tutte le sigle della ribellione, incluse quelle legate allo jihadismo internazionale e ad al Qaeda in Iraq. «Il problema – spiega un ufficiale americano al Financial Times – è che “per il Qatar non importa chi finanzi, l’importante è abbattere Assad”».
È interessante che un attacco così duro contro il Qatar arrivi proprio dal giornale della City di Londra. L’intento “politico” del reportage è stato chiarito subito, con un editoriale non firmato apparso sul quotidiano del 20 maggio: l’attivismo qatariota – recita l’articolo – si è andato a scontrare con quello dell’Arabia saudita, aumentando solo la confusione in un fronte già estremamente frammentario. Conclusione: «La lotta dei ribelli contro Assad resterà caotica fino a quando Stati Uniti, Gran Bretagna e Francia non interverranno in prima persona per fornire armi ai moderati che combattono in Siria».
L’argomento non è dei più solidi: per contrastare l’attivismo dei paesi del Golfo il Financial Times propone un nuovo attivismo dell’Occidente. Ma le intenzioni (e il tempismo) erano evidenti: dare man forte a chi sosteneva, in ambito di Unione europea, la necessità di non rinnovare l’embargo sulla vendita di armi in Siria. Missione compiuta: lunedì scorso, per il veto posto dal britannico William Hague e dal francese Laurent Fabius (uno dei “falchi” del governo Hollande), i ministri degli Esteri dell’Ue non sono riusciti a prolungare il divieto. Ora anche gli europei sono autorizzati ad armare ai ribelli.
Com’era prevedibile, la Russia non ha mancato di rispondere alla mossa “minacciosa” di Gran Bretagna e Francia, confermando che consegnerà alla Siria una batteria di missili contraerei S-300: «I missili sono un fattore di stabilità, – ha spiegato il viceministro degli Esteri Sergei Ryabkov – evitano che qualche testa calda possa provocare un’escalation del conflitto sul piano regionale».
Non è difficile immaginare che la scelta europea di non prolungare l’embargo abbia causato qualche mal di pancia alla Casa Bianca. Il segretario di Stato americano John Kerry è tuttora impegnato in un giro del mondo finalizzato a organizzare, d’accordo con Mosca, una conferenza di pace che coinvolga sia il governo di Assad sia i ribelli, insieme ai rispettivi sponsor internazionali (Iran incluso). Ma la strada verso “Ginevra 2″ «è ancora lunga», per usare le parole del ministro degli Esteri italiano Emma Bonino, che il 9 maggio scorso, alla Farnesina, si era confrontata proprio con Kerry sui passi necessari a chiudere la crisi siriana.
La fine dell’embargo – ha detto oggi la Bonino – segna un «momento non glorioso» per la politica estera dei Ventisette. Che ora dovranno scegliere se inseguire il Qatar nella corsa agli armamenti o lavorare, insieme a russi e americani, per il successo dell’incontro di Ginevra.
Una buona parte delle sorti della guerra in Siria la si sta decidendo all’estero, ma i due fronti contrapposti non sono solo quelli di cui si sente parlare, spesso in modo un po’ approssimativo: Occidente e paesi del Golfo contro Russia, Cina e Iran. C’è chi lavora a un negoziato, da impostare il mese prossimo a Ginevra, e chi invece pensa che la guerra andrà decisa prima di tutto sul piano militare, come prova di forza tra i ribelli e le milizie fedeli a Bashar al Assad.
Di recente sono apparse alcune testimonianze senza precedenti su come si sta muovendo il secondo dei due fronti, quello che punta ad “alzare il livello dello scontro”. A gettare un po’ di luce ci ha pensato l’edizione domenicale del Financial Times, il 19 maggio scorso, con un lungo reportage sul ruolo del Qatar nella guerra civile siriana. «Ringalluzzito» dal successo ottenuto in Libia, dove pure le truppe qatariote hanno giocato un ruolo di primo piano nella ribellione anti-Gheddafi, il governo del piccolo emirato da più di un anno è diventato il principale finanziatore dei ribelli siriani.
Il suo contributo alla “causa” – secondo il quotidiano finanziario di Londra – può essere stimato tra uno e tre miliardi di dollari: soldi stanziati dalla casa regnante per fare dell’emiro Hamad bin Khalifa «un nuovo Nasser islamista». Un leader cioè che aspira a unificare tutti i popoli arabi contro un unico nemico (come fece Gamal Nasser, autore del colpo di Stato egiziano del 1952), servendosi però della bandiera dell’islamismo. Non a caso i soldi qatarioti sono arrivati un po’ a tutte le sigle della ribellione, incluse quelle legate allo jihadismo internazionale e ad al Qaeda in Iraq. «Il problema – spiega un ufficiale americano al Financial Times – è che “per il Qatar non importa chi finanzi, l’importante è abbattere Assad”».
È interessante che un attacco così duro contro il Qatar arrivi proprio dal giornale della City di Londra. L’intento “politico” del reportage è stato chiarito subito, con un editoriale non firmato apparso sul quotidiano del 20 maggio: l’attivismo qatariota – recita l’articolo – si è andato a scontrare con quello dell’Arabia saudita, aumentando solo la confusione in un fronte già estremamente frammentario. Conclusione: «La lotta dei ribelli contro Assad resterà caotica fino a quando Stati Uniti, Gran Bretagna e Francia non interverranno in prima persona per fornire armi ai moderati che combattono in Siria».
L’argomento non è dei più solidi: per contrastare l’attivismo dei paesi del Golfo il Financial Times propone un nuovo attivismo dell’Occidente. Ma le intenzioni (e il tempismo) erano evidenti: dare man forte a chi sosteneva, in ambito di Unione europea, la necessità di non rinnovare l’embargo sulla vendita di armi in Siria. Missione compiuta: lunedì scorso, per il veto posto dal britannico William Hague e dal francese Laurent Fabius (uno dei “falchi” del governo Hollande), i ministri degli Esteri dell’Ue non sono riusciti a prolungare il divieto. Ora anche gli europei sono autorizzati ad armare ai ribelli.
Com’era prevedibile, la Russia non ha mancato di rispondere alla mossa “minacciosa” di Gran Bretagna e Francia, confermando che consegnerà alla Siria una batteria di missili contraerei S-300: «I missili sono un fattore di stabilità, – ha spiegato il viceministro degli Esteri Sergei Ryabkov – evitano che qualche testa calda possa provocare un’escalation del conflitto sul piano regionale».
Non è difficile immaginare che la scelta europea di non prolungare l’embargo abbia causato qualche mal di pancia alla Casa Bianca. Il segretario di Stato americano John Kerry è tuttora impegnato in un giro del mondo finalizzato a organizzare, d’accordo con Mosca, una conferenza di pace che coinvolga sia il governo di Assad sia i ribelli, insieme ai rispettivi sponsor internazionali (Iran incluso). Ma la strada verso “Ginevra 2″ «è ancora lunga», per usare le parole del ministro degli Esteri italiano Emma Bonino, che il 9 maggio scorso, alla Farnesina, si era confrontata proprio con Kerry sui passi necessari a chiudere la crisi siriana.
La fine dell’embargo – ha detto oggi la Bonino – segna un «momento non glorioso» per la politica estera dei Ventisette. Che ora dovranno scegliere se inseguire il Qatar nella corsa agli armamenti o lavorare, insieme a russi e americani, per il successo dell’incontro di Ginevra.
Di recente sono apparse alcune testimonianze senza precedenti su come si sta muovendo il secondo dei due fronti, quello che punta ad “alzare il livello dello scontro”. A gettare un po’ di luce ci ha pensato l’edizione domenicale del Financial Times, il 19 maggio scorso, con un lungo reportage sul ruolo del Qatar nella guerra civile siriana. «Ringalluzzito» dal successo ottenuto in Libia, dove pure le truppe qatariote hanno giocato un ruolo di primo piano nella ribellione anti-Gheddafi, il governo del piccolo emirato da più di un anno è diventato il principale finanziatore dei ribelli siriani.
Il suo contributo alla “causa” – secondo il quotidiano finanziario di Londra – può essere stimato tra uno e tre miliardi di dollari: soldi stanziati dalla casa regnante per fare dell’emiro Hamad bin Khalifa «un nuovo Nasser islamista». Un leader cioè che aspira a unificare tutti i popoli arabi contro un unico nemico (come fece Gamal Nasser, autore del colpo di Stato egiziano del 1952), servendosi però della bandiera dell’islamismo. Non a caso i soldi qatarioti sono arrivati un po’ a tutte le sigle della ribellione, incluse quelle legate allo jihadismo internazionale e ad al Qaeda in Iraq. «Il problema – spiega un ufficiale americano al Financial Times – è che “per il Qatar non importa chi finanzi, l’importante è abbattere Assad”».
È interessante che un attacco così duro contro il Qatar arrivi proprio dal giornale della City di Londra. L’intento “politico” del reportage è stato chiarito subito, con un editoriale non firmato apparso sul quotidiano del 20 maggio: l’attivismo qatariota – recita l’articolo – si è andato a scontrare con quello dell’Arabia saudita, aumentando solo la confusione in un fronte già estremamente frammentario. Conclusione: «La lotta dei ribelli contro Assad resterà caotica fino a quando Stati Uniti, Gran Bretagna e Francia non interverranno in prima persona per fornire armi ai moderati che combattono in Siria».
L’argomento non è dei più solidi: per contrastare l’attivismo dei paesi del Golfo il Financial Times propone un nuovo attivismo dell’Occidente. Ma le intenzioni (e il tempismo) erano evidenti: dare man forte a chi sosteneva, in ambito di Unione europea, la necessità di non rinnovare l’embargo sulla vendita di armi in Siria. Missione compiuta: lunedì scorso, per il veto posto dal britannico William Hague e dal francese Laurent Fabius (uno dei “falchi” del governo Hollande), i ministri degli Esteri dell’Ue non sono riusciti a prolungare il divieto. Ora anche gli europei sono autorizzati ad armare ai ribelli.
Com’era prevedibile, la Russia non ha mancato di rispondere alla mossa “minacciosa” di Gran Bretagna e Francia, confermando che consegnerà alla Siria una batteria di missili contraerei S-300: «I missili sono un fattore di stabilità, – ha spiegato il viceministro degli Esteri Sergei Ryabkov – evitano che qualche testa calda possa provocare un’escalation del conflitto sul piano regionale».
Non è difficile immaginare che la scelta europea di non prolungare l’embargo abbia causato qualche mal di pancia alla Casa Bianca. Il segretario di Stato americano John Kerry è tuttora impegnato in un giro del mondo finalizzato a organizzare, d’accordo con Mosca, una conferenza di pace che coinvolga sia il governo di Assad sia i ribelli, insieme ai rispettivi sponsor internazionali (Iran incluso). Ma la strada verso “Ginevra 2″ «è ancora lunga», per usare le parole del ministro degli Esteri italiano Emma Bonino, che il 9 maggio scorso, alla Farnesina, si era confrontata proprio con Kerry sui passi necessari a chiudere la crisi siriana.
La fine dell’embargo – ha detto oggi la Bonino – segna un «momento non glorioso» per la politica estera dei Ventisette. Che ora dovranno scegliere se inseguire il Qatar nella corsa agli armamenti o lavorare, insieme a russi e americani, per il successo dell’incontro di Ginevra.
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