del
Generale Amine Mohamed Htaite - Professore universitario e
ricercatore strategico – Beirut
Traduzione:
Gb.P.
L'approccio
all'argomento dei rifugiati siriani è uno dei più sensibili e
delicati per la sua natura e il suo aspetto primario di questione
umanitaria il cui oggetto è la sofferenza di popolazioni costrette a
lasciare le loro case per sfuggire agli orrori della guerra, come in
tutte le guerre e come molti popoli, incluso il popolo libanese.
Alcune popolazioni sono diventate sfollate internamente al proprio
Paese e alcune, non trovando rifugio nel loro Paese, sono state
costrette all'emigrazione. L'emigrazione forzata dei popoli dalla
terra è ciò che molti Siriani attualmente stanno vivendo sia
all'interno che all'esterno della loro patria.
Tuttavia,
l'aspetto umanitario evocato dal massiccio spostamento del popolo
siriano durante i sette anni di conflitto ha lentamente ceduto il
passo all'aspetto politico legato, in un modo o nell'altro, agli
obiettivi primari di coloro che hanno guidato la guerra mondiale
contro la Siria. Prendiamo atto con sgomento che coloro che
sostengono di preoccuparsi degli sfollati e dei rifugiati, invece di
adoperarsi per spegnere il conflitto e riportare a casa i rifugiati,
non fanno che alimentare il fuoco. Infatti, dopo il fallimento dei
suoi progetti in Siria, l'Occidente, che versa lacrime di coccodrillo
sul destino dei rifugiati e la loro sicurezza, si fissa sulla
strategia del prolungamento del conflitto e impedisce in tutti i modi
il ritorno dei rifugiati nonostante il fatto che l'85% dei territori
liberati dall'Esercito Arabo Siriano (SAA) siano sicuri e le aree
controllate e stabilizzate dallo Stato siriano siano in grado di
ospitare quattro milioni di rifugiati. Il governo siriano ha fatto
valere le sue capacità di sicurezza e logistiche di ospitare e
prendersi cura di questi rifugiati come aveva già fatto con successo
per quattro milioni di sfollati interni ai quali aveva fornito riparo
e opportunità di lavoro.
Questo
comportamento occidentale, contrario ad ogni logica, basato sul
principio dello spostamento e dell'insediamento al di fuori della
Siria, ci pone di fronte alla verità nascosta dietro la maschera
dell'umanitario. La verità è che lo spostamento forzato stesso è,
fin dall'inizio, parte del piano di aggressione. Altrimenti, come si
spiegano le tende nei campi della Turchia per migliaia di rifugiati
quando non veniva sparato un solo colpo sui suoi confini? Come
spiegare la prontezza delle Nazioni Unite nello stabilire un regime
speciale per i rifugiati siriani, suggerendo che questa situazione
sarebbe durata molto a lungo? Secondo le dichiarazioni di alcuni
funzionari di questa organizzazione, si prevedeva addirittura che "la
maggior parte delle popolazioni sfollate non tornerà in Siria e che
sarà stabilita altrove".
Per
quanto riguarda l'Europa, che presta particolare attenzione alla
questione, si può presumere che si stia assicurando che i rifugiati
siano sistemati proprio nei luoghi in cui già si trovano in Turchia,
in Libano e in Giordania, per timore del loro afflusso nel
continente, che potrebbe compromettere la sua sicurezza e stabilità.
Questa argomentazione o semplificazione del problema è una
giustificazione, certamente meritoria per alcuni aspetti, ma non
convincente. In che modo un rifugiato siriano che torna a casa e
riprende una vita normale, come è avvenuto con i siriani di Beit
Jinn che hanno scelto volontariamente e dignitosamente di tornare
alle proprie case, potrebbero danneggiare l'Europa?
Vediamo
in questo irrazionale comportamento occidentale solo la tendenza a
continuare l'aggressione e il rifiuto di ammettere il fallimento dei
suoi progetti in terra siriana. L'Occidente considera i rifugiati
come un'arma usata contro la Siria in primo luogo e contro la regione
più in generale, per raggiungere obiettivi sotto l'apparenza
dell'aspetto umanitario della questione. I più importanti tra questi
obiettivi sono:
1)
Impedire alla Siria di investire nelle sue vittorie sul terreno: il
controllo di oltre l'85% delle aree popolate, il ritorno alla vita
normale, la ripresa dell'attività quotidiana, sono la prova
materiale della sconfitta degli aggressori.
2)
Mantenere alcuni dei Siriani sotto il controllo occidentale e alla
sua mercé, per reclutarli contro il loro Paese: l'Occidente,
incapace di fornire unità militari per perpetrare la sua aggressione
e occupazione della Siria, e per paura delle immancabili perdite
contro la Resistenza che se ne occuperà dopo aver completato la
liberazione e la pulizia delle aree centrali e intermedie, vuole
addestrare unità di combattimento siriane all'estero, sotto il suo
comando, che alleggerirebbero il peso di perdite umane e materiali,
soprattutto perché i paesi del Golfo sono obbligati a finanziarne i
costi.
3)
Servire la strategia del prolungamento del conflitto su cui gli Stati
Uniti si appoggiano dopo la loro sconfitta in Siria: questo elemento
è chiaramente e pubblicamente dichiarato e riconosciuto dagli Stati
Uniti e dai suoi agenti occidentali, ritenendo che la fine del
conflitto in Siria rappresenti una sconfitta strategica importante
che potrebbe ridurre drasticamente la loro influenza in Medio Oriente
e persino sloggiarli.
4)
Causare un cambiamento demografico in tutti i paesi della regione che
aprirebbe la strada a uno spostamento delle frontiere e alla
revisione dei confini voluta da Israele: e noi ricordiamo qui la
strategia degli Stati Uniti del "caos costruttivo" adottata
per ridisegnare un nuovo Medio Oriente basato sulla creazione di
stati etnici, comunitaristi, confessionali, settari e razziali; stati
deboli che potrebbero essere creati solo attraverso una
riconfigurazione demografica derivante dapprima da massicci
spostamenti forzati e dalla successiva pianificata implementazione.
Ed è proprio su questo punto che la questione dei profughi è un
pericolo per la Siria, che diventa anche un pericolo per il Libano e
la Giordania. Per quanto riguarda la Turchia, è chiaro che fa parte
del piano occidentale che le dà l'opportunità di spostare i suoi
confini annettendo territorio siriano; è la sua attuale ambizione
per Afrin e sono le sue aspirazioni per l'area di Aleppo da Tell
Rifaat a Manbij fino a Jarablus. È per questo motivo che l'Occidente
insiste nel collegare la questione dei rifugiati alla soluzione globale.
I più accorti comprenderanno questo aspetto.
Per
tutti questi motivi, riteniamo che la soluzione del problema degli
sfollati vada al di là dei soli interessi siriani e comprenda
l'intera regione, in particolare il Libano. Questo problema di
spostamento e reinsediamento rappresenta un pericolo per l'unità
della Siria, ma anche per l'unità e la sicurezza dei Paesi vicini.
Pertanto, il grido che il Libano ha levato contro la dichiarazione di Bruxelles, emanata dall'Unione Europea e dalle Nazioni Unite, è un
atto difensivo che deve essere seguito e deve unire i Libanesi nel
suo rifiuto. Nessuno ha il diritto di rimanere in silenzio perché il
silenzio è inaccettabile ed è un segno di tacita approvazione e
persino di tradimento contro il Libano.
Riteniamo
inoltre che il coordinamento siriano-libanese per risolvere il
problema dei rifugiati sia un dovere nazionale che incide
direttamente sulla sicurezza e sulla stabilità del Libano. Qualsiasi
individuo o entità o stato che rifiuti questo coordinamento,
ostacoli qualsiasi soluzione e impedisca il ritorno dei rifugiati
siriani nella loro terra natia, è semplicemente un nemico del
Libano. Infine, affermiamo che la risoluzione del problema dei
rifugiati, non solo in Libano ma negli altri Paesi ospitanti, e il
loro rimpatrio nel loro Paese, è una parte essenziale della
battaglia difensiva condotta dal campo dalla Resistenza contro
l'aggressione americano-sionista sostenuta dai Paesi arabi della
regione. Qualsiasi indulgenza su questo argomento è solo un servizio
reso a facilitare l'aggressione contro la regione.
https://reseauinternational.net/comment-loccident-utilise-t-il-les-refugies-comme-arme-contre-la-syrie-et-la-region/