Crack des Chevaliers
“La tregua è rotta da entrambe le parti in quelli che sono ormai i tradizionali luoghi di confronto armato – prosegue la fonte della MISNA – ma a Damasco e Aleppo sembra quasi che il conflitto non arrivi. Almeno in apparenza. Poi però bisogna fare i conti con le decine di migliaia di sfollati interni (stime correnti indicano almeno 500.000 persone tra sfollati e profughi riparati oltreconfine, ndr) che in Siria si sono trasferiti in particolare nelle prime due città del paese, Damasco e Aleppo appunto, dove vivono in appartamenti presi in affitto o ospiti di parenti”.
Sono famiglie numerose quelle in fuga, e spesso costrette in due stanze possono vivere anche 15 persone. “Dai loro racconti – aggiunge la fonte – emerge la paura di quanto visto, il timore che il conflitto possa estendersi. Racconti a volte drammatici, di parenti uccisi da cecchini, di bombardamenti, di vendette, di minacce a intere comunità come quella che ha costretto alla fuga 5000 cristiani della città di Qusayr. La Siria è stata un esempio di tolleranza religiosa e Qusayr è un caso isolato, il conflitto rischia però di trasformarsi in aperta guerra civile e di travolgere questo antico equilibrio”.
“La parte di popolazione più impaurita, contrariamente a quanto si potrebbe pensare, non è la comunità cristiana” dice la fonte della MISNA raggiunta in Siria. “Sono gli iracheni, centinaia di migliaia di persone, fuggiti dal conflitto nel loro paese e che in Siria avevano trovato un rifugio ideale, migliore di quello che avrebbero trovato in Turchia o in altri paesi della regione”.
Gli iracheni in Siria vivono soprattutto nelle grandi città e si erano ben integrati con la popolazione locale: “Adesso sono loro per primi che si sentono in trappola – prosegue l’interlocutore della MISNA – che rivedono i fantasmi del passato, che temono una recrudescenza dei combattimenti. Pur in un contesto diverso, loro hanno esperienza di cosa significhi una guerra e delle devastazioni che arreca. Ma sono pur sempre stranieri in un paese che li ha accolti e che ora vedono crollare anche sotto i colpi di una massiccia campagna mediatica”.
Rileggendo le notizie diffuse dalla stampa internazionale, le ricostruzioni di noti canali satellitari finanziati dai paesi del Golfo, i bilanci di un conflitto dati da una parte e poi ‘ufficializzati’ dall’Onu, la fonte della MISNA si interroga sulla verità dei fatti che arrivano all’opinione pubblica internazionale. “In Siria non c’è democrazia – sottolinea – ma non c’è nemmeno una situazione in cui l’intera popolazione è contro il regime. C’è, è vero, un generale desiderio di maggiore libertà in tutti i campi della vita sociale e politica, il bisogno di una crescita economica e di una più equa redistribuzione della ricchezza e delle risorse. Ma tutto questo non sta portando a un sostegno unanime dell’iniziativa armata e d’altra parte il regime ha dimostrato di essere in grado, almeno fino a questo punto, di resistere alle pressioni. Il flusso di armi diretto sia all’opposizione sia al regime non aiuterà però chi sta cercando di lavorare per la pace. E questo gli iracheni che in Siria avevano trovato una nuova casa lo sanno molto bene”.
http://www.misna.org/economia-e-politica/per-le-strade-di-2-il-fantasma-iracheno-27-04-2012-813.html
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venerdì 27 aprile 2012
PER LE STRADE DI DAMASCO E ALEPPO ... IL FANTASMA IRACHENO
Alla MISNA, a cui chiede di mantenere l’anonimato per motivi di sicurezza, una fonte ben informata raggiunta in Siria racconta le vicende del paese mediorientale dove la comunità internazionale sta cercando di far rispettare un fragile cessate-il-fuoco, passo iniziale per una possibile soluzione politica della crisi. E parla “della strana sensazione di trovarsi in un paese in guerra dove i combattimenti sono circoscritti, appaiono a volte lontani, e dove la gente a fatica affronta un argomento che pure la riguarda”.
martedì 24 aprile 2012
Il Papa in Libano per la missione dei cristiani e la Primavera araba: continuiamo la riflessione
Il 16 aprile su questo Blog abbiamo ripreso la riflessione di Padre Samir Khalil Samir pubblicata su Asia News. Continuiamo il confronto sulla Primavera Araba attraverso questo interessante articolo
utti ci chiediamo perché la rivolta popolare
egiziana e tunisina sono state non violente, a differenza di quella libica e
ora di quella siriana, così segnate da atti di violenza efferata e da
distruzioni. In realtà, per poter rispondere a questa domanda, bisogna guardare
ai modelli della “rivoluzione” dal punto di vista delle potenze internazionali,
cioè il blocco dei Paesi amici degli USA (Egitto, Marocco, Giordania, Arabia
Saudita e paesi del Golfo) e il blocco dei Paesi definiti dai primi come “poteri
del male” (Iran, Siria, Hezballah libanese).
da IL Margine, 32, (2012) n° 4
Primavera Araba: modelli, conseguenze, attualità
di Amer Al Sabaileh
T
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Dopo la rivolta
egiziana, sembrava che gli USA si liberassero dei loro vecchi amici. I paesi alleati degli Stati Uniti, in
particolare l’Arabia Saudita e il Qatar, hanno capito che poteva verificarsi
anche il rovesciamento del loro regime. Si sono verificati, infatti, tentativi
di rivolta nell’est dell’Arabia, soffocati immediatamente con la forza. Poi,
davanti agli occhi di tutto il mondo, che assiste passivamente, i Sauditi hanno
mandato le loro truppe in Bahrain per opprimere il grande movimento popolare del
Paese. Come si può allora credere alla sincerità delle affermazioni di questi
regimi che si ergono ora a sostenitori delle rivendicazioni del popolo siriano
alla libertà e alla democrazia?
Oggi non si può parlare, nel caso della Siria,
di una sollevazione popolare contro un regime dittatoriale corrotto, come è
stato in Tunisia prima e in Egitto poi. L’impressione che si ricava dalle poche
immagini che giungono dalla Siria è piuttosto di una situazione di caos e di
violenza organizzata da bande armate che vogliono destabilizzare il Paese, confermata
dal fatto che questa violenza si dirige soprattutto contro la popolazione
civile. La rivolta siriana infatti non appare simile ai modelli precedenti, ma
sembra piuttosto creata dall’esterno, così che non è possibile parlare di una
rivoluzione popolare come quella che ci mostravano le immagini di piazza Tahrir
in Egitto.
Non difendo sicuramente il regime siriano,
tant’è vero che in Siria ci sarebbero stati tutti gli elementi per giustificare
una rivolta popolare: tuttavia si ritiene che la crisi siriana attuale non
presenti i caratteri di una lotta per i diritti umani e la libertà. Inoltre la
pressione esercitata fin da subito sul regime siriano sarebbe stata sufficiente
per permettere un transito verso una fase di maggiore democrazia nel Paese: in
realtà non c’è la volontà di cogliere i segnali positivi che vengono dal regime
siriano in vista di una soluzione, ma anzi si vuole spingere la Siria nel caos
e nella violenza con il rischio di trascinare nella catastrofe anche i paesi
confinanti (Libano, Giordania, Iraq e Turchia). Le forze usate per questo piano
di destabilizzazione della Siria sono quelle dell’islam radicale, salafita, già
utilizzate in Afganistan, al tempo della guerra contro i Russi, poi in Iraq e
anche in Libia nella recente guerra fatta passare come guerra di liberazione
dal regime di Gheddafi. L’utilizzo di queste forze è veramente rischioso perché
si è già visto come poi siano difficilmente gestibili.
Chi utilizza queste forze per i propri
interessi (storicamente l’Arabia Saudita e attualmente anche il Qatar), lo fa soprattutto
per dare stabilità al proprio regime, in quanto gli elementi principali per
fare scoppiare una rivoluzione esistono manifestamente anche nei Paesi “moderati”
che hanno in comune tre fattori: (1) sono amici dichiarati di Israele e
dell’America, (2) esiste al loro interno un legame molto stretto tra business e
potere e (3) vi svolgono un ruolo particolare le mogli dei dittatori, implicate
pesantemente nella corruzione nel campo della finanza.
“La rivoluzione”: dagli amici dell’America ai suoi nemici
Il regime siriano, pur destinato a finire
perché basato sulla paura e sull’assenza di un vero dialogo politico, non
presenta nessuna delle tre costanti dette prima: di conseguenza una rivolta
avrebbe richiesto tempi lunghi di maturazione. Allora, per far precipitare la
situazione, si è ideata la guerra libica, che non appartiene al modello della
primavera araba ma che ha determinato subito l’intervento militare della NATO e
dei paesi arabi alleati, quali Giordania e Qatar. Intervento facile, perché la
Libia non ha importanza dal punto di vista geopolitico: è in gran parte deserto
e procura vantaggi enormi (è un mare di petrolio). Mentre l’attenzione della
gente è concentrata sulla Libia, viene creata la figura del cugino di Baschār
El-Asad, l’uomo che coniuga business e autorità: è il cugino corrotto che ha in
mano la finanza del Paese, prima sconosciuto al mondo arabo ora improvvisamente
noto. Poi iniziano gli scontri armati nella località di Dara‘a, causati
all’inizio da un fatto forse non rilevante: l’incapacità del governatore di
risolvere un problema locale legato a una crisi momentanea.
In realtà la decisione di far cadere il
regime siriano era già stata presa da tempo, negli anni novanta, ma l’astuzia politica
di Asad padre era riuscita sempre a contrastare questo progetto. Anche la
guerra nel sud del Libano e poi la guerra di Gaza avevano l’obiettivo di
colpire la Siria.
Dopo la prima fase della crisi siriana,
quando i media non avevano ancora attaccato Baschār, si comincia a fare il nome
del fratello, Maher, descrivendolo come un pericoloso assassino. Mentre Baschar
è riformista ma debole, il fratello è autoritario e sanguinario. Infine si fa
comparire la figura di Asma, la moglie corrotta di Baschār El Asad.
Progressivamente si creano cioè le tre costanti secondo il modello descritto
sopra. D’altronde l’America sa di non potere intervenire militarmente in Siria
per non mettere a rischio la sicurezza di Israele e allora cerca di indebolire
il regime, come fece a suo tempo con Saddam in Iraq, creando punti di
instabilità e di conflitto in varie direzioni. Gli integralisti islamici
utilizzati come strumento di destabilizzazione della Siria sono gli stessi
creati in Libia con l’avallo delle potenze occidentali.
Credo
che nessuno possa immaginare le disastrose conseguenze che la caduta della
Siria potrebbe originare, ben peggiori dello scenario iracheno. Il pericolo è
legato agli strumenti utilizzati per rovesciare il regime, già introdotto in
Libia: le forze radicali (salafite) sponsorizzate dal Qatar. Il Qatar ha
manifestato di essere lo sponsor ufficiale di tutti i gruppi radicali
inaugurando la moschea più grande della regione, sotto il nome del fondatore
del wahabismo Mohammad Bin Abd al Wahab, e inoltre con l’istituzione di un
ufficio di rappresentanza per i Taliban a Doha, la capitale del Qatar. Anche i fratelli musulmani
ora dichiarano che con l’America si può trattare, con questa nuova America che
difende i diritti degli stati alla libertà e alla democrazia. Gli americani, ad
esempio, favoriscono il ritorno di Hamas in Giordania: ma di un Hamas nuovo,
pragmatico, politico. Questo spiega perché certi Paesi debbano servirsi ora,
per realizzare i loro piani, di forze islamiche estremiste, prima messe al
bando e combattute con tutti i mezzi. E spiega il ruolo ambiguo
giocato dal Qatar in Libia, e il suo sforzo attuale per avere lo stesso ruolo
in Siria. L’esportazione di questi gruppi sarebbe controllabile dopo? Temo che
la risposta sia assolutamente negativa: dunque dobbiamo temere già da ora le
conseguenze catastrofiche di questa politica.
Il
ruolo del Qatar nell’appoggio ai Fratelli musulmani dovunque in Medio Oriente
ormai è chiaro. A dire il vero, pare che il progetto di islamizzare i paesi
arabi abbia avuto il consenso americano con la supervisione del Qatar. Questo è
ormai confermato dalla generosità del Qatar nell’offrire tutti i mezzi
possibili per attuare il progetto dei “Fratelli musulmani”, dal sostegno
economico a quello dei media (Al Jazeera). Anche Hamas ha abbandonato la Siria,
preferendo l’alleanza con il Qatar, il quale l’ha accolto a braccia aperte
trovando un’altra carta vincente da giocare. Recentemente, il Qatar è riuscito
a far ritornare i leader di Hamas in Giordania da cui erano stati espulsi nel
1999. Ciò solleva molte domande riguardanti il futuro di questo movimento e il
futuro della Giordania.
La
Nuova Hamas è definita una Hamas politicamente più matura, addomesticata,
pronta ad adottare la resistenza popolare. In realtà il suo ritorno rappresenta
l’inserimento degli interessi di molti giocatori. Per i “Fratelli Musulmani”
sarebbe la forza necessaria per poter arrivare al potere. La presenza di Hamas
come forza politica darà ai “Fratelli Musulmani” quello che ancora gli è
necessario: la popolarità per ottenere un numero maggiore di consensi. La
popolarità di Hamas è concentrata e fortemente presente nei campi profughi
palestinesi in Giordania.
L’alleanza
tra Qatar, Hamas e “Fratelli Musulmani” oggi corrisponde al desiderio americano-israeliano
di mettere fine alla questione palestinese. In realtà, l’ingovernabilità
siriana potrebbe portare a un caos regionale, con prezzi da pagare altissimi. Giocare
alla trasformazione della regione è un fatto gravissimo: la Giordania è il
paese cruciale della zona, è il garante della stabilità e una qualsiasi
imprudenza volta a cambiare la sua faccia potrebbe generare risultati
catastrofici.
È importante notare qui che molti di questi
islamisti sono stati scarcerati recentemente. Anche in Giordania ne sono stati
rilasciati recentemente 222. La Gran Bretagna ha appena deciso la liberazione
di uno dei più pericolosi salafiti e pretende che la Giordania lo accolga e
rispetti i suoi diritti. In poco tempo questi nemici di un tempo stanno
diventando tutti ricchi. Molti di loro entrano in politica e hanno rapporti con
Israele. La televisione israeliana, ad esempio, ha dato spazio su un suo canale
al rappresentante dei salafiti egiziani (il partito An-Nur). In Egitto gli
integralisti sono riusciti a emergere nelle elezioni, ottenendo i voti delle
masse povere e ignoranti alle quali danno soldi forniti dall’Arabia Saudita. È
noto che l’Arabia Saudita è storicamente quella che appoggia i salafiti mentre
il Qatar, attraverso l’emittente Al Jazeera, finanzia e sostiene i fratelli
musulmani. Se questi sono gli strumenti per attuare il piano, ci si deve
chiedere da dove essi entrano in Siria.
Non può essere l’Iraq a farli entrare, dal
momento che si è dichiarato contrario a una alleanza contro la Siria; la
Turchia ha minacciato l’ingresso di truppe turche sul suolo siriano per la
protezione dei civili ma poi ha desistito da questa sua intenzione, perché in
Turchia ci sono 17 milioni di alawiti che hanno immediatamente attaccato il
governo di Erdogan; tant’è vero che recentemente il ministro degli esteri
turco, in una sua visita in Iran, ha dichiarato che non può essere la Turchia a
tenere sotto controllo la Siria. In Libano ci sono stati scontri armati a
Tripoli, per opera di milizie finanziate dall’uomo politico libanese, Hariri,
con il denaro dell’Arabia Saudita ma l’esercito libanese ha bloccato queste
truppe al confine con la Siria. Non resta che la Giordania, nella quale vi sono
attualmente 43 mila libici con la scusa della necessità di ricevere le cure
mediche; ma di essi solo 15 mila sono negli ospedali. Perché questi libici si
trovano in Giordania? Probabilmente sono gli stessi che hanno fatto la guerra
in Libia e che sappiamo essere stati finanziati dal Qatar.
Il regime siriano dunque si trova a
combattere contro queste bande di salafiti, non contro il popolo siriano come
si vuole fare credere. Come mai questi combattenti sono muniti di armi
anti-missile di fabbricazione francese? Proprio questo modello di armi è stato
acquistato recentemente dal Qatar dalla Francia.
Questo gioco è estremamente pericoloso. La
lezione afgana dovrebbe avere insegnato che queste forze, una volta create, non
sono altrettanto facilmente eliminabili. La posizione della Giordania poi è
particolarmente delicata perché essa, non avendo risorse e ricchezze proprie, è
costretta a dipendere dagli aiuti che le vengono dall’esterno, rendendosi così
soggetta ai ricatti degli Stati più forti e ricchi.
Inoltre, sembra che la Giordania sia
progressivamente sottoposta a una pressione pesante che la sta mettendo in
ginocchio. Occorre essere molto attenti per non cadere nella trappola delle
falsificazione mediatica, creata da canali satellitari quali Al Jazeera e El
Arabiya e riprodotta fedelmente dai media occidentali che danno una visione
falsata della crisi siriana.
Tutto
questo rappresenta la contraddizione più forte oggi: i Paesi del Golfo, che non
hanno mai conosciuto la democrazia, chiamano altri Paesi ad adottare un
processo democratico volto a concedere più libertà ai popoli, mentre loro stessi
non hanno mai sperimentato neppure le elezioni.
Tutti i
sostenitori della pace devono almeno preoccuparsi per questo piano di
islamizzazione della zona medio-orientale in senso radicale. Il timore è che
questa regione venga frantumata in tanti staterelli confessionali, tanti
piccoli Stati deboli che giustificherebbero la presenza di Israele come Stato
ebraico e garantirebbero la sua sicurezza secondo un piano antico ma ancora
attuale, che rischia ora di vedere la sua realizzazione. Questo porterebbe a far
perdere al Medio Oriente quel carattere di incontro di civiltà, religioni e
culture che rappresenta una ricchezza che ha caratterizzato l’Impero Ottomano.
Qui mi sento
costretto a fare un appello ai tutti gli amici cristiani e alle Chiese perché
siano lucide e presenti nel decidere il futuro di questi popoli. Bisogna, in
tutti modi, salvare l’identità religiosa e il tessuto culturale dell’Oriente
perche non è ragionevole che il destino dei Paesi che rappresentano la culla
storica della civiltà come Giordania, Siria, Libano e Egitto venga deciso
dall’enorme ricchezza economica posseduta da alcuni piccoli stati privi di
qualsiasi cultura, storia, religione e umanità. Infine, è rilevante osservare l’ultima
fatwa rilasciata recentemente dal
Mufti dell’Arabia Saudita, in cui ha chiamato alla distruzione di tutte le
chiese in Arabia.
lunedì 23 aprile 2012
23 aprile: in Siria si fa memoria di San Giorgio
Indomito testimone, fortissimo difensore dei cristiani nella prova
Monastery of Saint George |
Siria, cristiani vessati dai ribelli
L’opposizione al regime impone la tassa islamica ai fedeli di Homs
di Marco Tosatti - da Vatican Insider 21/04/2012
Da Homs, una delle città più travagliate dei mesi e nelle settimane passate dagli scontri fra l’esercito siriano e i ribelli giungono notizie che non fanno sperare in un futuro meno tragico per i cristiani di quel Paese, il giorno in cui la lunga dittatura del partito Baath, controllato dalla minoranza alawita del clan Assad dovesse finire. “L’esercito dell’opposizione impone la tassa islamica sui cristiani di Homs”; la notizia ha cominciato a circolare una settimana fa, e ha trovato conferma nei giorni scorsi.
continua la lettura su http://vaticaninsider.lastampa.it/homepage/inchieste-ed-interviste/dettaglio-articolo/articolo/siria-syria-homs-14488/
Allarme per i cristiani sotto tiro
“Il pericolo è che il fondamentalismo islamico, foraggiato da paesi esteri, si impadronisca della rivoluzione siriana"
21 -04-2012 da AGENZIA FIDES gravi notizie
La situazione è tragica nella città di Qusayr, nel Nord della Siria, nel distretto di Homs: bande di miliziani, nelle file dell’opposizione sirana, hanno completamente distrutto un'intera strada cristiana vicino alla chiesa cattolica. Il parroco è fuggito e “non c’è nemmeno la possibilità di seppellire i cadaveri” nota un fonte di Fides.
Si consumano terribili vendette contro chi prova a denunciare la situazione: il cristiano André Arbache, padre di famiglia di 30 anni, nel gennaio scorso è stato rapito perché suo fratello ha denunciato apertamente in tv le violenze delle bande armate. André è stato costretto ad arruolarsi nell’Esercito di Liberazione Siriano. Due giorni fa il suo cadavere è stato ritrovato a Qusayr, decapitato e abbandonato, straziato dai cani.
I cristiani sono vittime di sequestri: tre fedeli rapiti, Sate Semaan, Oussama Semaan e Assaad Nakhlé, sono stati lasciti dopo il pagamento di un pesante riscatto. Episodi simili sono registrati anche a Yabrud e Deir Atieh, nei pressi di Qara. “Nessuno sa bene chi sono questi miliziani: sappiamo solo che non hanno nessuno gerarchia e che sono divisi in bande armate, che cercano denaro e che non esitano compiere violenze e ruberie sui civili”, continua la fonte di Fides.
“Circolano notizie terribili di famiglie intere massacrate, e vi sono quanti istigano alla guerra confessionale”, prosegue. Il canale Tv salafita “Channel TV Safa Cheikh Arour” ha invitato l'Esercito di Liberazione siriano “ad attaccare i cristiani infedeli” a Saydnaya e Maaloula e a “perseguire i cristiani alleati con il regime”. In località come Qalamoun la coesistenza tra le diverse comunità, fino a ieri garantita, è fortemente minacciata e alcuni estremisti invitano a “tagliare qualsiasi rapporto con i cristiani”.
A circa un anno dall’inizio delle sollevazioni popolari, come confermano fonti di Fides in Siria, la militanza islamica sta prendendo sempre più corpo: nella scelta del titolo per la manifestazione del 13 aprile scorso, operata tramite un sondaggio sul social network “Facebook”, nelle oltre 30mila risposte degli attivisti, il titolo più gettonato è stato a lungo “Venerdì delle armate dell’islam: salvezza della Siria”. Un chiaro segno di come, dalla base, stia crescendo una ideologia islamica che preoccupa tutte le minoranze religiose, inclusi i cristiani. Solo “sul filo di lana”, grazie all’intervento dei leader del “Consiglio della Rivoluzione Siriana”, la scelta è poi caduta sul nome “Una rivoluzione per tutti i siriani”.
“La vicenda e l’inneggiare alle armate dell’islam da parte di tanti attivisti è segno evidente che l’opposizione siriana è divisa e che l’anima islamica whahabita e salafita, incoraggiata da forze esterne, sta prendendo piede”, commenta allarmata un fonte di Fides nella comunità cristiana in Siria. “Il pericolo è che il fondamentalismo islamico, foraggiato da paesi esteri, si impadronisca della rivoluzione siriana: allora sarebbe la fine per le minoranze etniche e religiose, che già stanno soffrendo molto in Siria, nochè per il pluralismo culturale e religioso che caratterizza la nazione siriana”.
http://www.fides.org/aree/news/newsdet.php?idnews=38926&lan=ita
21 -04-2012 da AGENZIA FIDES gravi notizie
Imperversano bande armate senza controllo: cristiani sotto tiro
Qusayr (Agenzia Fides) – Bande di miliziani islamici, senza controllo, imperversano nel conflitto in corso in Siria, uccidendo civili innocenti e prendendo di mira i cristiani. Lo confermano fonti dirette dell’Agenzia Fides in diverse località della Siria, che lanciano un allarme per il prosieguo della cosiddetta “rivoluzione siriana”. La situazione è tragica nella città di Qusayr, nel Nord della Siria, nel distretto di Homs: bande di miliziani, nelle file dell’opposizione sirana, hanno completamente distrutto un'intera strada cristiana vicino alla chiesa cattolica. Il parroco è fuggito e “non c’è nemmeno la possibilità di seppellire i cadaveri” nota un fonte di Fides.
Si consumano terribili vendette contro chi prova a denunciare la situazione: il cristiano André Arbache, padre di famiglia di 30 anni, nel gennaio scorso è stato rapito perché suo fratello ha denunciato apertamente in tv le violenze delle bande armate. André è stato costretto ad arruolarsi nell’Esercito di Liberazione Siriano. Due giorni fa il suo cadavere è stato ritrovato a Qusayr, decapitato e abbandonato, straziato dai cani.
I cristiani sono vittime di sequestri: tre fedeli rapiti, Sate Semaan, Oussama Semaan e Assaad Nakhlé, sono stati lasciti dopo il pagamento di un pesante riscatto. Episodi simili sono registrati anche a Yabrud e Deir Atieh, nei pressi di Qara. “Nessuno sa bene chi sono questi miliziani: sappiamo solo che non hanno nessuno gerarchia e che sono divisi in bande armate, che cercano denaro e che non esitano compiere violenze e ruberie sui civili”, continua la fonte di Fides.
“Circolano notizie terribili di famiglie intere massacrate, e vi sono quanti istigano alla guerra confessionale”, prosegue. Il canale Tv salafita “Channel TV Safa Cheikh Arour” ha invitato l'Esercito di Liberazione siriano “ad attaccare i cristiani infedeli” a Saydnaya e Maaloula e a “perseguire i cristiani alleati con il regime”. In località come Qalamoun la coesistenza tra le diverse comunità, fino a ieri garantita, è fortemente minacciata e alcuni estremisti invitano a “tagliare qualsiasi rapporto con i cristiani”.
Si fa strada la militanza islamica nell’opposizione siriana
Dal “Giorno della dignità” al “Venerdì delle Armate dell’Islam”:sta tutto in questi due titoli, scelti per le manifestazioni dell’opposizione siriana, il sintomo di come la militanza islamica, wahabita e salafita, si sta facendo strada nelle file dei ribelli siriani. Come successo nelle esperienze della “Primavera araba” in Yemen, i dissidenti hanno scelto dare un titolo, ogni volta differente, alle manifestazioni di protesta di ogni venerdì. La prima giornata di protesta pubblica, nel marzo 2011, che inaugurò la rivolta, venne chiamata “Giorno della dignità” e indicava il desiderio di rinascita, di dignità, diritti e democrazia che c’è nei rivoluzionari. A circa un anno dall’inizio delle sollevazioni popolari, come confermano fonti di Fides in Siria, la militanza islamica sta prendendo sempre più corpo: nella scelta del titolo per la manifestazione del 13 aprile scorso, operata tramite un sondaggio sul social network “Facebook”, nelle oltre 30mila risposte degli attivisti, il titolo più gettonato è stato a lungo “Venerdì delle armate dell’islam: salvezza della Siria”. Un chiaro segno di come, dalla base, stia crescendo una ideologia islamica che preoccupa tutte le minoranze religiose, inclusi i cristiani. Solo “sul filo di lana”, grazie all’intervento dei leader del “Consiglio della Rivoluzione Siriana”, la scelta è poi caduta sul nome “Una rivoluzione per tutti i siriani”.
“La vicenda e l’inneggiare alle armate dell’islam da parte di tanti attivisti è segno evidente che l’opposizione siriana è divisa e che l’anima islamica whahabita e salafita, incoraggiata da forze esterne, sta prendendo piede”, commenta allarmata un fonte di Fides nella comunità cristiana in Siria. “Il pericolo è che il fondamentalismo islamico, foraggiato da paesi esteri, si impadronisca della rivoluzione siriana: allora sarebbe la fine per le minoranze etniche e religiose, che già stanno soffrendo molto in Siria, nochè per il pluralismo culturale e religioso che caratterizza la nazione siriana”.
http://www.fides.org/aree/news/newsdet.php?idnews=38926&lan=ita
mercoledì 18 aprile 2012
La Chiesa ortodossa: a Homs nessuna celebrazione di Pasqua, chiediamo la fine della violenza
Agenzia Fides 18/4/2012
A Homs la Pasqua ortodossa, che cadeva il 15 aprile scorso, non è stata celebrata: come riferito all’Agenzia Fides, esponenti della Chiesa ortodossa in Homs hanno riferito che non si sono tenute liturgie pasquali.
I pochi cristiani rimasti in città, infatti, (meno di un migliaio) sono intrappolati dai bombardamenti prolungati e non hanno avuto alcuna possibilità di raggiungere le chiese, molte delle quali, fra l’altro, sono state distrutte o danneggiate dai combattimenti. La mancata celebrazione della Pasqua ad Homs, nota una fonte di Fides, “è un fatto doloroso che dovrebbe sensibilizzare le parti in lotta e la comunità internazionale perché si ponga fine alla violenza”.
A Homs anche la Pasqua dei cristiani latini, l’8 aprile scorso, ha coinciso con un periodo di intensi bombardamenti ed è stata celebrata nel nascondimento. La comunità dei gesuiti ha tenuto una piccola celebrazione con pochi fedeli, mentre la chiesa di “Nostra Signora della Pace”, dei greco cattolici, gravemente danneggiata è rimasta e rimarrà chiusa.
Attualmente a Homs truppe e artiglieria pesante del governo siriano occupano il centro urbano e, nonostante l’accettazione del piano di pace Onu e del cessate il fuoco, nella città continuano gli scontri a fuoco con le forze di opposizione.
Le famiglie cristiane in città, strette dal fuoco incrociato, “pensano solo a rimanere in vita e pregano perché questo incubo finisca presto” nota la fonte di Fides. La popolazione siriana è frustrata dalla lunga crisi e l’esodo dei profughi verso Giordania, Libano e Turchia continua.
La condizione dei fedeli cristiani è a rischio, spiega la fonte di Fides, perché “sotto l'attuale regime essi sono stati protetti, e dunque alcuni li considerano allineati con il regime. Questo li rende vulnerabili agli attacchi dei rivoluzionari o di forze non ben identificate”. I cristiani in Siria sono anche preoccupati dalla situazione dei cristiani in paesi come Iraq e Egitto dove, all’indomani dei cambi di regime, i fedeli sono vittime di attacchi. In Siria il cristianesimo è presente da duemila anni. Nel paese, prima dell’inizio del conflitto, vivevano circa 1,2 milioni di cristiani, di diverse confessioni.
http://www.fides.org/aree/news/newsdet.php?idnews=38899&lan=ita
A Homs la Pasqua ortodossa, che cadeva il 15 aprile scorso, non è stata celebrata: come riferito all’Agenzia Fides, esponenti della Chiesa ortodossa in Homs hanno riferito che non si sono tenute liturgie pasquali.
I pochi cristiani rimasti in città, infatti, (meno di un migliaio) sono intrappolati dai bombardamenti prolungati e non hanno avuto alcuna possibilità di raggiungere le chiese, molte delle quali, fra l’altro, sono state distrutte o danneggiate dai combattimenti. La mancata celebrazione della Pasqua ad Homs, nota una fonte di Fides, “è un fatto doloroso che dovrebbe sensibilizzare le parti in lotta e la comunità internazionale perché si ponga fine alla violenza”.
A Homs anche la Pasqua dei cristiani latini, l’8 aprile scorso, ha coinciso con un periodo di intensi bombardamenti ed è stata celebrata nel nascondimento. La comunità dei gesuiti ha tenuto una piccola celebrazione con pochi fedeli, mentre la chiesa di “Nostra Signora della Pace”, dei greco cattolici, gravemente danneggiata è rimasta e rimarrà chiusa.
Attualmente a Homs truppe e artiglieria pesante del governo siriano occupano il centro urbano e, nonostante l’accettazione del piano di pace Onu e del cessate il fuoco, nella città continuano gli scontri a fuoco con le forze di opposizione.
Le famiglie cristiane in città, strette dal fuoco incrociato, “pensano solo a rimanere in vita e pregano perché questo incubo finisca presto” nota la fonte di Fides. La popolazione siriana è frustrata dalla lunga crisi e l’esodo dei profughi verso Giordania, Libano e Turchia continua.
La condizione dei fedeli cristiani è a rischio, spiega la fonte di Fides, perché “sotto l'attuale regime essi sono stati protetti, e dunque alcuni li considerano allineati con il regime. Questo li rende vulnerabili agli attacchi dei rivoluzionari o di forze non ben identificate”. I cristiani in Siria sono anche preoccupati dalla situazione dei cristiani in paesi come Iraq e Egitto dove, all’indomani dei cambi di regime, i fedeli sono vittime di attacchi. In Siria il cristianesimo è presente da duemila anni. Nel paese, prima dell’inizio del conflitto, vivevano circa 1,2 milioni di cristiani, di diverse confessioni.
http://www.fides.org/aree/news/newsdet.php?idnews=38899&lan=ita
martedì 17 aprile 2012
Nonostante il piano Annan sia stato presentato come un estremo tentativo fatto dalla comunità internazionale per trovare una soluzione pacifica, ora esso appare come una nuova tappa per giungere ad un intervento armato esterno in Siria
Damasco, ribelli e regime violano il cessate il
fuoco.
17-04-2012
Fonti di AsiaNews descrivono la situazione caotica, instabile e pericolosa. Opposizione composta da gruppi estremisti giunti in Siria solo per uccidere. Al via la missione degli osservatori di Onu e Lega Araba.
Damasco (AsiaNews) - "Il cessate il fuoco di Kofi Annan è fallito. Nei primi due giorni vi è stata una diminuzione dei morti, ma ora si è iniziato di nuovo a sparare. Ieri oltre 50 persone sono morte negli scontri fra esercito e bande ribelli". È quanto affermano fonti di AsiaNews, che descrivono la situazione in Siria "caotica, instabile e pericolosa". "Un funzionario del governo di Assad - sottolineano - mi ha confessato che nessuna delle due parti vuole fermare le violenze. La guerra durerà a lungo".
Ieri, il primo gruppo di sei osservatori della missione Onu-Lega Araba è giunto in Sira per controllare il rispetto del cessate il fuoco, in vigore dal 12 aprile, e attuare il piano di Kofi Annan. Oggi, i funzionari hanno allestito la loro sede operativa e iniziato a contattare membri del regime e leader ribelli. In totale, il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite invierà in Siria un team di 250 osservatori.
Il piano di Kofi Annan prevede: la fine delle violenze, l'applicazione progressiva di un cessate il fuoco, la fornitura di aiuti umanitari, il rilascio delle persone detenute senza processo, la libera circolazione ai giornalisti, l'avvio di un dialogo politico fra governo e opposizione.
Nonostante l'impegno del delegato di Onu e Lega araba per un dialogo fra governo Assad e ribelli, le fonti sottolineano che la popolazione è pessimista sul futuro del Paese. Esplosioni, scontri e violenze si stanno verificando anche a Damasco. "L'opposizione di cui parlano i media non esiste - continuano - i ribelli sono formati da varie fazioni molto divise fra loro. Per il Paese circolano gruppi di semplici criminali e terroristi stranieri, giunti in Siria solo per uccidere". "A tutt'oggi - aggiungono le fonti - il Free Syrian Army (Fsa) è considerato il rappresentante ufficiale dell'opposizione, ma in realtà esso è uno dei tanti eserciti che combattono contro il regime. La violazione del cessate il fuoco è da entrambe le parti". (S.C.)
http://www.asianews.it/notizie-it/Damasco,-ribelli-e-regime-violano-il-cessate-il-fuoco.-Fallisce-il-piano-di-Kofi-Annan-24524.html
17-04-2012
Fonti di AsiaNews descrivono la situazione caotica, instabile e pericolosa. Opposizione composta da gruppi estremisti giunti in Siria solo per uccidere. Al via la missione degli osservatori di Onu e Lega Araba.
Damasco (AsiaNews) - "Il cessate il fuoco di Kofi Annan è fallito. Nei primi due giorni vi è stata una diminuzione dei morti, ma ora si è iniziato di nuovo a sparare. Ieri oltre 50 persone sono morte negli scontri fra esercito e bande ribelli". È quanto affermano fonti di AsiaNews, che descrivono la situazione in Siria "caotica, instabile e pericolosa". "Un funzionario del governo di Assad - sottolineano - mi ha confessato che nessuna delle due parti vuole fermare le violenze. La guerra durerà a lungo".
Ieri, il primo gruppo di sei osservatori della missione Onu-Lega Araba è giunto in Sira per controllare il rispetto del cessate il fuoco, in vigore dal 12 aprile, e attuare il piano di Kofi Annan. Oggi, i funzionari hanno allestito la loro sede operativa e iniziato a contattare membri del regime e leader ribelli. In totale, il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite invierà in Siria un team di 250 osservatori.
Il piano di Kofi Annan prevede: la fine delle violenze, l'applicazione progressiva di un cessate il fuoco, la fornitura di aiuti umanitari, il rilascio delle persone detenute senza processo, la libera circolazione ai giornalisti, l'avvio di un dialogo politico fra governo e opposizione.
Nonostante l'impegno del delegato di Onu e Lega araba per un dialogo fra governo Assad e ribelli, le fonti sottolineano che la popolazione è pessimista sul futuro del Paese. Esplosioni, scontri e violenze si stanno verificando anche a Damasco. "L'opposizione di cui parlano i media non esiste - continuano - i ribelli sono formati da varie fazioni molto divise fra loro. Per il Paese circolano gruppi di semplici criminali e terroristi stranieri, giunti in Siria solo per uccidere". "A tutt'oggi - aggiungono le fonti - il Free Syrian Army (Fsa) è considerato il rappresentante ufficiale dell'opposizione, ma in realtà esso è uno dei tanti eserciti che combattono contro il regime. La violazione del cessate il fuoco è da entrambe le parti". (S.C.)
http://www.asianews.it/notizie-it/Damasco,-ribelli-e-regime-violano-il-cessate-il-fuoco.-Fallisce-il-piano-di-Kofi-Annan-24524.html
lunedì 16 aprile 2012
La verità non usa mai le autostrade, ma va ricercata e passa per "la pietra scartata dai costruttori"
Da :VIETATO PARLARE
Durante il programma di Rai 1 A SUA IMMAGINE che segue l’Angelus del Papa, un commentatore, ha detto che il Papa ha recentemente rimproverato i Vescovi della Siria perché troppo pro-Assad.
Che il Papa abbia rimproverato che i Vescovi fossero troppo pro Assad non mi risulta , ma il punto non è questo: il punto è essere o non essere a favore della guerriglia armata in atto (che rifiuta ogni mediazione e compromesso), che si serve della mistificazione dei mass media per distorcere ciò che sta succedendo. Qui in questo blog si dice solo questo e che invece la sola rivoluzione a cui credo come cattolico e come uomo, è un’altra.
Invece, il ragionamento che ci hanno messo dentro, la logica di cui siamo intrisi, la logica che sembrano seguire la maggior parte dei mezzi di comunicazione è anticristiana : Pro o contro. Riducono la realtà a essere PRO O CONTRO. E’ un modo semplicistico e anticristiano di giudicare. L’informazione è contrassegnata dalla partigianeria o dal livore per il mancato intervento dell’occidente stile-Libia. Forti di questi altissimi pensieri, questi illustri pensatori della REALTA’ PENSATA, poi mi vogliono insegnare che la realtà non si può capire perché è complicata…
La risposta è l’idea di bene a cui apparteniamo. Domandarmi cosa io cerco in ogni cosa. E’ l’apertura al reale e non il conformarmi a delle opinioni sulla realtà.
Invece “pro o contro” o il sogno di un paradiso in terra non è l’idea che ho della giustizia e del benessere, della libertà. E l’ha ricordato Gregorio III patriarca cattolico siriano, di non pensare come questo mondo. Come dice il Vangelo stesso.
continua a leggere qui: http://www.vietatoparlare.it/2012/04/15/la-verita-usa-mai-le-grandi-autostrade-ma-va-ricercata-passa-sentieri-la-pietra-scartata-dai-costruttori/
Durante il programma di Rai 1 A SUA IMMAGINE che segue l’Angelus del Papa, un commentatore, ha detto che il Papa ha recentemente rimproverato i Vescovi della Siria perché troppo pro-Assad.
Che il Papa abbia rimproverato che i Vescovi fossero troppo pro Assad non mi risulta , ma il punto non è questo: il punto è essere o non essere a favore della guerriglia armata in atto (che rifiuta ogni mediazione e compromesso), che si serve della mistificazione dei mass media per distorcere ciò che sta succedendo. Qui in questo blog si dice solo questo e che invece la sola rivoluzione a cui credo come cattolico e come uomo, è un’altra.
Invece, il ragionamento che ci hanno messo dentro, la logica di cui siamo intrisi, la logica che sembrano seguire la maggior parte dei mezzi di comunicazione è anticristiana : Pro o contro. Riducono la realtà a essere PRO O CONTRO. E’ un modo semplicistico e anticristiano di giudicare. L’informazione è contrassegnata dalla partigianeria o dal livore per il mancato intervento dell’occidente stile-Libia. Forti di questi altissimi pensieri, questi illustri pensatori della REALTA’ PENSATA, poi mi vogliono insegnare che la realtà non si può capire perché è complicata…
La risposta è l’idea di bene a cui apparteniamo. Domandarmi cosa io cerco in ogni cosa. E’ l’apertura al reale e non il conformarmi a delle opinioni sulla realtà.
Invece “pro o contro” o il sogno di un paradiso in terra non è l’idea che ho della giustizia e del benessere, della libertà. E l’ha ricordato Gregorio III patriarca cattolico siriano, di non pensare come questo mondo. Come dice il Vangelo stesso.
continua a leggere qui: http://www.vietatoparlare.it/2012/04/15/la-verita-usa-mai-le-grandi-autostrade-ma-va-ricercata-passa-sentieri-la-pietra-scartata-dai-costruttori/
«Questa è la guerra del mondo arabo. Diviso dai tanti interessi stranieri».
Parla il patriarca Gregorio III Laham
intervista di Antonio Picasso
A una anno dallo scoppio della guerra civile in Siria, la visione di Gregorio III Laham, Patriarca della Chiesa melchita, non cambia. «Il mondo avrebbe dovuto aiutare il regime a cambiare. Invece è rimasto immobile e continua a osservarci mentre sprofondiamo nel disordine». Abbiamo incontrato Sua Beatitudine pochi giorni fa, mentre era a Piacenza, dopo che aveva compiuto una lunga visita in Europa, per incontrare i confratelli di rito greco cattolico e, al tempo stesso, percepire il pensiero occidentale di quel che sta accadendo a Damasco.
Patriarca Laham, la Siria è famosa per essere il Paese dei misteri. Adesso, anche in questa guerra civile, sono molte le ombre che gravano sul regime e anche sul fronte dell’opposizione. La domanda è molto diretta: chi spara a chi?
La Siria è caduta nel caos. Tutto il Medioriente è stato attraversato da questo tsunami rivoluzionario. Ora il terrorismo straniero sta prendendo il sopravvento. Qualche giorno fa, quand’ero in Germania, mi sono messo a leggere i giornali europei, un po’ di tutte le lingue, e mi sono accorto della visione assolutamente parziale che voi avete delle cose. È sbagliato dire che il governo siriano sta uccidendo civili innocenti. Anche i manifestanti hanno le loro armi. Anzi, sono molto più organizzati di quanto si possa credere.
Lei pensa che siano sostenuti da governi stranieri?
Ne sono convinto! Sappiamo che le armi circolavano nel Paese prima dell’inizio delle manifestazioni. Come pure che la Siria è piena di depositi di armi illegali che ormai la polizia non riesce più a scovare. Del resto, siamo in una posizione di passaggio tra da sempre: fra la Turchia e la Penisola arabica. Un punto di transito inevitabile. E poi intendiamoci, un poliziotto lo sanno pagare tutti.
Anche prima? Anche quando Assad aveva ben saldo il potere?
Anche prima. Anche quando gli alawiti controllavano il territorio, con i loro clan e gli apparati di sicurezza. Una mazzetta la accettano tutti anche se si è alawiti. Certo, adesso è tutto molto più semplice. Nessuno sta più di guardia alle frontiere. I gruppi di criminali comuni, o di terroristi, o ancora di oppositori stranieri penetrano indisturbati nel Paese e arrivano a nutrire di nuove idee e soprattutto di forze fisiche chi già combatte contro il regime. È questa la situazione. Non come si legge sui vostri giornali. Le faccio l’esempio di un recente corteo che si è svolto nella mia città natale, Darayya. In piazza c’erano poche persone, circa trecento. A un certo punto un gruppo di questi ha preso d’assalto una stazione della polizia. Ma non limitandosi a scagliare pietre. Bensì sparando. Gli agenti hanno risposto al fuoco e nello scontro ci sono stati tre morti. La stampa occidentale si è limitata a dire che i poliziotti hanno ucciso tre persone. È diverso da come la sto raccontando io. Le aggiungo che poi, proprio in occasione dei funerali di quei tre morti, c’erano diecimila persone. E tutto si è svolto in pace. Un po’ strano per la commemorazione di tre oppositori assassinati dalla polizia. Possibile che un corteo di appena tre centinaia di partecipanti finisca nel peggiore dei modi e poi, quando ci sono diecimila persone, non succeda nulla? Vuole un altro esempio?
La prego…
Un nostro fedele – un cristiano stia ben attento! – era Dubai per affari. Camminando per strada ha sentito una persona vicina lui parlare al cellulare: «Sono a Homs! Stanno sparando! È pieno di morti!» Ma questo non era a Homs. Bensì a Dubai. È possibile che dall’altra parte del cellulare ci fosse un giornalista che ha creduto nel racconto farsa di questo bugiardo. Mi spiego quando le dico che i media occidentali sono vittime di una manipolazione studiata a tavolino, da parte di arabi di altri Paesi? Tra armi vendute sottobanco e notizie false, stanno strumentalizzando la nostra sofferenza.
Ma questo perché?
Per il caos. C’è molta gente che vuole spera di guadagnare da questa situazione. Senza rendersi conto dei rischi però. Il mondo ha già emesso la sua sentenza su Damasco: «Delenda Cartago» Poi a quel che verrà dopo, ci si penserà.
Quindi non crede che Assad si stia macchiando di una strage e che l’opposizione abbia il diritto di essere ascoltata?
L’opposizione è troppo divisa. Non può pretendere di essere l’alternativa valida a un regime che ha garantito stabilità per oltre quarant’anni. E poi non ha un vero esercito che l’appoggi.
Molti militari hanno disertato.
Non più di 1.500. Nulla in confronto alla fedeltà riscossa da Assad tra le fila delle Forze armate. Peraltro, e con questo rispondo alla prima parte della sua domanda, l’esercito ha ricevuto l’ordine di non sparare se non perché attaccato. L’Occidente lo deve capire: il regime non ha interesse a essere messo dalla parte del torto. E a nessuno piace questa situazione. Certo, prima le cose non erano facili. Perché il servizio segreto era terribile. Mentre l’economia stentava a decollare. Tuttavia, la Siria aveva imboccato la giusta strada. Laicismo, convivenza etnico-religiosa e sicurezza. Tre pilastri sui quali Bashar el-Assad stava costruendo le riforme. Si ricordi che a Damasco, a dispetto di tutte le critiche, c’erano le università straniere. Le stesse che adesso sono chiuse. Commercio e turismo erano due opportunità su cui non solo noi cristiani intendevamo affermare un futuro di progresso. Erano fonte di speranza per tutti. Ora il Paese è fermo.
Qual è stato l’errore?
L’errore è stato non permettere al regime di cambiare. Lo sbaglio lo si sta commettendo ancora adesso. Il referendum sulla Costituzione e le elezioni amministrative fissate per il 7 maggio sono un gesto di riconciliazione che Assad sta compiendo verso tutti gli avversari. Nazionali quanto stranieri. Eppure non lo si vuole capire. È dall’estero che ci si ostina a negare il dialogo con il governo.
Dall’estero da dove?
Dai Paesi arabi, ma soprattutto dall’Europa. E forse anche dagli Stati Uniti. Si pensa che il regime sia il peggiore dei mali. Senza rendersi conto che senza Assad si rischia davvero tanto.
Lei cosa prevede?
Il caos totale. Né più né meno. Con il pericolo di coinvolgere Israele, Libano e Giordania. Perché non credo che, dall’altra parte del confine Netanyahu sia tranquillo. Nel frattempo a Tripoli, in Libano, ci sono stati degli scontri tra alawiti del posto e (pare) gente scappata dalla Siria. Un incidente che ha coinvolto anche gli uomini di Hezbollah. E poi pensi alla Giordania: prima della guerra, era la Siria il suo primo partner commerciale. Come può notare, le ripercussioni negative sono già in atto. E francamente penso che sia difficile mettervi un freno. La chiesa greco cattolica ripone le speranze nel grembo di Kofi Annan e di monsignor Tomasi (l’osservatore permanente della Santa Sede presso l’Onu, ndr).
Ecco, a proposito della Chiesa. Voi cristiani, che in Siria avete una così lunga tradizione, vi sentite in pericolo?
Finora la guerra non ha assunto dei risvolti confessionali. Questo però non significa che ci possiamo sentire tranquilli. A Qusayr sono morti sette melchiti. Molti altri sono scappati dai luoghi più colpiti. La nostra fortuna è di convivere con una maggioranza musulmana che sa di avere di fronte una chiesa solida e amica. In un Paese dove la libertà religiosa è un punto di merito per tutti, il cristianesimo si sente a casa. Del resto, la Siria è casa nostra! Così come lo sono il Libano, la Giordania e ovviamente la Terra Santa. Un mondo afflitto da turbolenze politiche, ma nel quale l’intervento della Croce è stata sempre un’iniezione positiva di dialogo. Tutto questo può crollare se prevarrà la violenza salafita.
http://www.linkiesta.it/blogs/multitalians/siria-parla-il-patriarca-gregorio-iii-laham
intervista di Antonio Picasso
A una anno dallo scoppio della guerra civile in Siria, la visione di Gregorio III Laham, Patriarca della Chiesa melchita, non cambia. «Il mondo avrebbe dovuto aiutare il regime a cambiare. Invece è rimasto immobile e continua a osservarci mentre sprofondiamo nel disordine». Abbiamo incontrato Sua Beatitudine pochi giorni fa, mentre era a Piacenza, dopo che aveva compiuto una lunga visita in Europa, per incontrare i confratelli di rito greco cattolico e, al tempo stesso, percepire il pensiero occidentale di quel che sta accadendo a Damasco.
Patriarca Laham, la Siria è famosa per essere il Paese dei misteri. Adesso, anche in questa guerra civile, sono molte le ombre che gravano sul regime e anche sul fronte dell’opposizione. La domanda è molto diretta: chi spara a chi?
La Siria è caduta nel caos. Tutto il Medioriente è stato attraversato da questo tsunami rivoluzionario. Ora il terrorismo straniero sta prendendo il sopravvento. Qualche giorno fa, quand’ero in Germania, mi sono messo a leggere i giornali europei, un po’ di tutte le lingue, e mi sono accorto della visione assolutamente parziale che voi avete delle cose. È sbagliato dire che il governo siriano sta uccidendo civili innocenti. Anche i manifestanti hanno le loro armi. Anzi, sono molto più organizzati di quanto si possa credere.
Lei pensa che siano sostenuti da governi stranieri?
Ne sono convinto! Sappiamo che le armi circolavano nel Paese prima dell’inizio delle manifestazioni. Come pure che la Siria è piena di depositi di armi illegali che ormai la polizia non riesce più a scovare. Del resto, siamo in una posizione di passaggio tra da sempre: fra la Turchia e la Penisola arabica. Un punto di transito inevitabile. E poi intendiamoci, un poliziotto lo sanno pagare tutti.
Anche prima? Anche quando Assad aveva ben saldo il potere?
Anche prima. Anche quando gli alawiti controllavano il territorio, con i loro clan e gli apparati di sicurezza. Una mazzetta la accettano tutti anche se si è alawiti. Certo, adesso è tutto molto più semplice. Nessuno sta più di guardia alle frontiere. I gruppi di criminali comuni, o di terroristi, o ancora di oppositori stranieri penetrano indisturbati nel Paese e arrivano a nutrire di nuove idee e soprattutto di forze fisiche chi già combatte contro il regime. È questa la situazione. Non come si legge sui vostri giornali. Le faccio l’esempio di un recente corteo che si è svolto nella mia città natale, Darayya. In piazza c’erano poche persone, circa trecento. A un certo punto un gruppo di questi ha preso d’assalto una stazione della polizia. Ma non limitandosi a scagliare pietre. Bensì sparando. Gli agenti hanno risposto al fuoco e nello scontro ci sono stati tre morti. La stampa occidentale si è limitata a dire che i poliziotti hanno ucciso tre persone. È diverso da come la sto raccontando io. Le aggiungo che poi, proprio in occasione dei funerali di quei tre morti, c’erano diecimila persone. E tutto si è svolto in pace. Un po’ strano per la commemorazione di tre oppositori assassinati dalla polizia. Possibile che un corteo di appena tre centinaia di partecipanti finisca nel peggiore dei modi e poi, quando ci sono diecimila persone, non succeda nulla? Vuole un altro esempio?
La prego…
Un nostro fedele – un cristiano stia ben attento! – era Dubai per affari. Camminando per strada ha sentito una persona vicina lui parlare al cellulare: «Sono a Homs! Stanno sparando! È pieno di morti!» Ma questo non era a Homs. Bensì a Dubai. È possibile che dall’altra parte del cellulare ci fosse un giornalista che ha creduto nel racconto farsa di questo bugiardo. Mi spiego quando le dico che i media occidentali sono vittime di una manipolazione studiata a tavolino, da parte di arabi di altri Paesi? Tra armi vendute sottobanco e notizie false, stanno strumentalizzando la nostra sofferenza.
Ma questo perché?
Per il caos. C’è molta gente che vuole spera di guadagnare da questa situazione. Senza rendersi conto dei rischi però. Il mondo ha già emesso la sua sentenza su Damasco: «Delenda Cartago» Poi a quel che verrà dopo, ci si penserà.
Quindi non crede che Assad si stia macchiando di una strage e che l’opposizione abbia il diritto di essere ascoltata?
L’opposizione è troppo divisa. Non può pretendere di essere l’alternativa valida a un regime che ha garantito stabilità per oltre quarant’anni. E poi non ha un vero esercito che l’appoggi.
Molti militari hanno disertato.
Non più di 1.500. Nulla in confronto alla fedeltà riscossa da Assad tra le fila delle Forze armate. Peraltro, e con questo rispondo alla prima parte della sua domanda, l’esercito ha ricevuto l’ordine di non sparare se non perché attaccato. L’Occidente lo deve capire: il regime non ha interesse a essere messo dalla parte del torto. E a nessuno piace questa situazione. Certo, prima le cose non erano facili. Perché il servizio segreto era terribile. Mentre l’economia stentava a decollare. Tuttavia, la Siria aveva imboccato la giusta strada. Laicismo, convivenza etnico-religiosa e sicurezza. Tre pilastri sui quali Bashar el-Assad stava costruendo le riforme. Si ricordi che a Damasco, a dispetto di tutte le critiche, c’erano le università straniere. Le stesse che adesso sono chiuse. Commercio e turismo erano due opportunità su cui non solo noi cristiani intendevamo affermare un futuro di progresso. Erano fonte di speranza per tutti. Ora il Paese è fermo.
Qual è stato l’errore?
L’errore è stato non permettere al regime di cambiare. Lo sbaglio lo si sta commettendo ancora adesso. Il referendum sulla Costituzione e le elezioni amministrative fissate per il 7 maggio sono un gesto di riconciliazione che Assad sta compiendo verso tutti gli avversari. Nazionali quanto stranieri. Eppure non lo si vuole capire. È dall’estero che ci si ostina a negare il dialogo con il governo.
Dall’estero da dove?
Dai Paesi arabi, ma soprattutto dall’Europa. E forse anche dagli Stati Uniti. Si pensa che il regime sia il peggiore dei mali. Senza rendersi conto che senza Assad si rischia davvero tanto.
Lei cosa prevede?
Il caos totale. Né più né meno. Con il pericolo di coinvolgere Israele, Libano e Giordania. Perché non credo che, dall’altra parte del confine Netanyahu sia tranquillo. Nel frattempo a Tripoli, in Libano, ci sono stati degli scontri tra alawiti del posto e (pare) gente scappata dalla Siria. Un incidente che ha coinvolto anche gli uomini di Hezbollah. E poi pensi alla Giordania: prima della guerra, era la Siria il suo primo partner commerciale. Come può notare, le ripercussioni negative sono già in atto. E francamente penso che sia difficile mettervi un freno. La chiesa greco cattolica ripone le speranze nel grembo di Kofi Annan e di monsignor Tomasi (l’osservatore permanente della Santa Sede presso l’Onu, ndr).
Ecco, a proposito della Chiesa. Voi cristiani, che in Siria avete una così lunga tradizione, vi sentite in pericolo?
Finora la guerra non ha assunto dei risvolti confessionali. Questo però non significa che ci possiamo sentire tranquilli. A Qusayr sono morti sette melchiti. Molti altri sono scappati dai luoghi più colpiti. La nostra fortuna è di convivere con una maggioranza musulmana che sa di avere di fronte una chiesa solida e amica. In un Paese dove la libertà religiosa è un punto di merito per tutti, il cristianesimo si sente a casa. Del resto, la Siria è casa nostra! Così come lo sono il Libano, la Giordania e ovviamente la Terra Santa. Un mondo afflitto da turbolenze politiche, ma nel quale l’intervento della Croce è stata sempre un’iniezione positiva di dialogo. Tutto questo può crollare se prevarrà la violenza salafita.
http://www.linkiesta.it/blogs/multitalians/siria-parla-il-patriarca-gregorio-iii-laham
Un importante intervento su cui confrontarci per riflettere: Il papa in Libano per la missione dei cristiani e la Primavera araba, con l'occhio alla Siria
di Samir Khalil
Samir
La presidenza libanese e la Chiesa cattolica in Libano hanno annunciato che Benedetto XVI visiterà il Paese dei Cedri dal 14 al 16 settembre prossimo. L'occasione è la consegna dell'Esortazione apostolica che segue al Sinodo sul Medio oriente, celebrato nell'ottobre 2010. A P. Samir Khalil AsiaNews ha chiesto un commento sul senso di questo viaggio. P. Samir è stato uno degli esperti che hanno lavorato a stretto contatto col papa prima, durante e dopo il Sinodo.
Beirut (AsiaNews) - L'annunciato viaggio di Benedetto XVI in Libano (14-16 settembre 2012) ha una sua particolare urgenza per i rivolgimenti in cui è in preda la regione. Certo, il motivo evidente è anzitutto quello di diffondere l'Esortazione apostolica che lui ha scritto in base a tutti i suggerimenti venuti dal Sinodo. Ma un motivo più profondo è quello di domandare ai cristiani di ridare alle loro società il senso profondo della Primavera araba, spesso snaturato dai politici e dai movimenti estremisti.
Il Sinodo delle Chiese del Medio oriente è avvenuto nell'ottobre 2010. Nel dicembre 2010 e nel gennaio 2011 è cominciata la cosiddetta "Primavera araba". Da allora tutto il mondo arabo è in piena ebollizione. Qualcuno ha detto che il Sinodo aveva pre-sentito tutti i cambiamenti che si stanno verificando oggi. Ma le crogiolanti trasformazioni di cui è oggetto il mondo arabo stanno cambiando il suo volto in modo radicale e costringe al cambiamento anche la vita dei cristiani.
La ‟Primavera araba" e la sua evoluzione
continua a leggere su Asia News
http://www.asianews.it/notizie-it/Il-papa-in-Libano-per-la-missione-dei-cristiani-e-la-Primavera-araba-24507.html
La presidenza libanese e la Chiesa cattolica in Libano hanno annunciato che Benedetto XVI visiterà il Paese dei Cedri dal 14 al 16 settembre prossimo. L'occasione è la consegna dell'Esortazione apostolica che segue al Sinodo sul Medio oriente, celebrato nell'ottobre 2010. A P. Samir Khalil AsiaNews ha chiesto un commento sul senso di questo viaggio. P. Samir è stato uno degli esperti che hanno lavorato a stretto contatto col papa prima, durante e dopo il Sinodo.
Beirut (AsiaNews) - L'annunciato viaggio di Benedetto XVI in Libano (14-16 settembre 2012) ha una sua particolare urgenza per i rivolgimenti in cui è in preda la regione. Certo, il motivo evidente è anzitutto quello di diffondere l'Esortazione apostolica che lui ha scritto in base a tutti i suggerimenti venuti dal Sinodo. Ma un motivo più profondo è quello di domandare ai cristiani di ridare alle loro società il senso profondo della Primavera araba, spesso snaturato dai politici e dai movimenti estremisti.
Il Sinodo delle Chiese del Medio oriente è avvenuto nell'ottobre 2010. Nel dicembre 2010 e nel gennaio 2011 è cominciata la cosiddetta "Primavera araba". Da allora tutto il mondo arabo è in piena ebollizione. Qualcuno ha detto che il Sinodo aveva pre-sentito tutti i cambiamenti che si stanno verificando oggi. Ma le crogiolanti trasformazioni di cui è oggetto il mondo arabo stanno cambiando il suo volto in modo radicale e costringe al cambiamento anche la vita dei cristiani.
La ‟Primavera araba" e la sua evoluzione
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Un Arcivescovo fra i rifugiati: “Su di loro lo sguardo di Cristo sofferente”
Agenzia Fides 16/4/2012
“I rifugiati siriani sono sotto shock, non riescono a rendersi conto della portata della tragedia che stanno vivendo. La loro dolorosa situazione è un'anticamera sulla strada per l'esodo. Vederli, incontrare i loro sguardi, è fonte di grande sofferenza per noi” racconta all’Agenzia Fides Sua Ecc. Mons. Samir Nassar, Arcivescovo Maronita di Damasco, che nei giorni scorsi ha visitato numerose famiglie di sfollati interni, molte proventi da Homs. I profughi del conflitto siriano sono assistiti dalla Caritas Siria che ha ricevuto anche l’aiuto del Pontifico Consiglio “Cor Unum”.
L’Arcivescovo racconta a Fides le sue impressioni: “Ci sentiamo impotenti di fronte al dramma che vive la nostra popolazione. La vita degli sfollati trova speranza solo se incrociano lo sguardo tenero di Cristo Salvatore sulla Croce. Accanto a loro abbiamo vissuto la Settimana Santa e la Pasqua”.
Mons. Nassar spiega che “lo sguardo di questi rifugiati esprime il loro stato d’animo, più delle parole. Alcuni sprofondano nel silenzio, in uno sguardo perso. I loro occhi dicono: perchè questo dramma su di noi, vittime innocenti? Qual è la nostra colpa, perché ha colpito la nostra famiglia e la nostra casa? Altri hanno uno sguardo di riconoscenza verso chi li aiuta, pur non perdendo la loro fierezza. Negli occhi di altri ci sono l’accusa, la rabbia, lo sconforto”. Sui visi dei profughi cristiani Mons. Nassar legge anche l’affidamento e la speranza. Con i loro occhi dicono: “Sia fatta la tua volontà, Signore! Preghiamo per gli altri, sopportiamo la sofferenza come una Croce salvifica. Non abbiamo paura. Ricominceremo una nuova vita: il Signore non ci abbandonerà”.
http://www.fides.org/aree/news/newsdet.php?idnews=38879&lan=ita
L’Arcivescovo racconta a Fides le sue impressioni: “Ci sentiamo impotenti di fronte al dramma che vive la nostra popolazione. La vita degli sfollati trova speranza solo se incrociano lo sguardo tenero di Cristo Salvatore sulla Croce. Accanto a loro abbiamo vissuto la Settimana Santa e la Pasqua”.
Mons. Nassar spiega che “lo sguardo di questi rifugiati esprime il loro stato d’animo, più delle parole. Alcuni sprofondano nel silenzio, in uno sguardo perso. I loro occhi dicono: perchè questo dramma su di noi, vittime innocenti? Qual è la nostra colpa, perché ha colpito la nostra famiglia e la nostra casa? Altri hanno uno sguardo di riconoscenza verso chi li aiuta, pur non perdendo la loro fierezza. Negli occhi di altri ci sono l’accusa, la rabbia, lo sconforto”. Sui visi dei profughi cristiani Mons. Nassar legge anche l’affidamento e la speranza. Con i loro occhi dicono: “Sia fatta la tua volontà, Signore! Preghiamo per gli altri, sopportiamo la sofferenza come una Croce salvifica. Non abbiamo paura. Ricominceremo una nuova vita: il Signore non ci abbandonerà”.
http://www.fides.org/aree/news/newsdet.php?idnews=38879&lan=ita
sabato 14 aprile 2012
Festa della Divina Misericordia: invito alla preghiera per la Siria
http://www.gloria.tv/?media=149641 |
Gesù a Santa Faustina: "Desidero concedere grazie inimmaginabili alle anime che hanno fiducia nella Mia Misericordia.
La mia Misericordia è più grande delle tue miserie e di quelle del mondo intero."
La Misericordia Divina è davvero come l’ultimo grido di allarme della sentinella che veglia sulla città, “l’ultima tavola di salvezza”, appunto. In questo giorno, ha promesso Gesù, infinite saranno le grazie concesse, e non bisogna aver timore di chiederne tante.
"Noi
preghiamo affinchè la Siria esca purificata e pacificata da questa terribile
prova e perchè la voce della maggioranza schiacciante del popolo siriano, di
tutte le confessioni, sia ascoltata: avviare le riforme necessarie senza rompere
il patto nazionale né cadere nella guerra
confessionale.
Preghiamo
che, in questo glorioso tempo pasquale, il Signore vincitore della morte, ci
visiti come ha fatto con sua Madre e i suoi Apostoli e ci evangelizzi con la sua
pace basata sulla distruzione del muro dell'odio attraverso il suo corpo
sacrificato per noi. Lui solo ci insegna ad amare il prossimo fino a
sacrificarsi per lui. Questo è il messaggio che noi ameremmo far capire sulla
Siria a quelli che sono vicini e a quelli che sono lontani."
(dalla testimonianza di Madre Agnes Mariam de la Croix, pubblicata su questo Blog venerdì 6 aprile 2012)
venerdì 13 aprile 2012
Ora spazio al dialogo
Entrato in vigore il ''cessate il
fuoco'', previsto dal Piano Annan
Mons. Jeanbart (arcivescovo di Aleppo):
“Le violenze dei mesi scorsi hanno reso la vita impossibile alla popolazione.
Ora è tempo di dialogare e pensare a ricostruire questo Paese. Gli spazi di
dialogo esistono e sono ampi, garantiti dalla recente riforma della Costituzione
che stabilisce, tra le varie cose, il pluralismo politico, la libertà di
manifestare pacificamente e la libertà di stampa”.
mercoledì 11 aprile 2012
«I ribelli ci uccidono. L’esercito deve restare»
da "Avvenire" - TESTIMONIANZE - 11 aprile 2012
Viviamo in Siria da più di sette anni, amiamo questo Paese e il suo popolo. Ci sentiamo indignati e impotenti di fronte al tipo di informazioni che circolano in Europa e fanno opinione, sostenendo le sanzioni internazionali, una delle armi più inique che l’Occidente usa per tenersi le mani pulite e dirigere comunque la storia di altri popoli. Pulite fino a un certo punto: si moltiplicano le segnalazioni della presenza di personale militare inglese, francese (e di altri Paesi) a fianco degli insorti per organizzare le azioni di guerriglia, grave violazione internazionale che passa sotto silenzio.
Sono state raccolte firme e fondi per aiutare la “primavera” del popolo siriano.
Ma chi ha dato – in perfetta buona fede – offerte e sostegno della “liberazione” della Siria deve sapere che ha finanziato assassini inumani, procurando loro armi, contribuito alla manipolazione dell’informazione, fomentato una instabilità civile che richiederà anni per essere risolta. Sconvolgendo l’equilibrio in un Paese dove la convivenza era pane quotidiano. Perché intervenendo senza conoscere la realtà non siamo più liberi, ma funzionali ad altri interessi che ci manipolano.
Non è nostro compito fornire una lettura socio-politica globale della vicenda siriana, altri lo stanno facendo meglio di noi. E chi lo vuole davvero può trovare informazioni alternative. Noi ci limitiamo a raccontare solo ciò che i nostri occhi vedono, qui nel piccolo villaggio di campagna dove viviamo. E dove, quasi ogni notte, i soldati presenti nella piccola guarnigione che lo presidia sono attaccati. Sia dagli insorti presenti nella zona, sia da bande mercenarie che passano il confine siriano nel tentativo di sopraffare l’esercito e aprire un varco per il flusso di armi e combattenti. I militari rispondono? Certo, e la gente ne è contenta perché di armi e mercenari il Paese è già pieno.
Sta per scadere l’ultimatum per il ritiro dell’esercito, che qui nessuno – nel senso letterale del termine – vuole. La gente si sente sicura solo quando i militari sono presenti. Ormai le violenze compiute dai cosiddetti liberatori nelle città, nei villaggi, sulle strade, sono tante e così brutali che la gente desidera solo vederli sconfitti. Gli abusi sono continui: uccisioni, case e beni requisiti o incendiati, persone, bambini usati come scudi umani. Sono i ribelli a bloccare le strade, a sparare sulle auto dei civili, a stuprare, a massacrare e rapire per estorcere denaro alle vittime. Invenzioni? La notte del Venerdì Santo, non lontano da dove abitiamo, hanno ucciso un ragazzo e ne hanno feriti altri due: tornavano alle loro case per celebrare la Pasqua. Il ragazzo morto aveva 30 anni ed era del nostro villaggio. Non sono i primi tra la nostra gente a pagare di persona. Ormai prima di spostarsi a fare la spesa o anche solo per andare a lavorare ci si assicura che l’esercito controlli la zona. Anche a noi è capitato di trovarci bloccati dalle sparatorie per tre ore in un tratto di autostrada e siamo riusciti a ripartire solo quando si è formato un corridoio di carri armati che proteggevano gli automobilisti in transito dai tiri dei rivoltosi.
Perché di tutto questo non si parla? Perché non si parla dei tanti militari assassinati in vari agguati, gli ultimi ieri ad Aleppo? Sono tanti i drammatici esempi che potremmo citare. Il fratello di un nostro operaio, tenuto prigioniero a Homs dai ribelli insieme ad altri civili, è ormai considerato morto, due padri di famiglia del nostro villaggio sono stati sempre a Homs dai rivoltosi perché compravano e distribuivano pane a chi era rimasto isolato. La questione che qui, però, ci preme sottolineare e per la quale invitiamo tutti a mobilitarsi è quella delle sanzioni internazionali. Chi sta pagando e pagherà ancora di più fra poco, è la gente povera.
Non c’è lavoro, non ci sono le materie prime e le esportazioni di prodotti locali, come bestiame e uova, sono ferme. Quel poco che c’è, poi, si vende a prezzi esorbitanti.
Tra le principali urgenze c’è quella del latte per i bambini. I prezzi dei cartoni sono raddoppiati, passando da 250 lire siriane a 500 (la paga giornaliera di un operaio è di 7-800 lire). Scarseggia il mangime per il bestiame: le poche confezioni disponibili sono passate da 650 a 1850 lire. Mancano i medicinali specialistici, scarseggia l’elettricità perché i ribelli hanno fatto saltare più volte le centrali e le linee di conduzione. Non c’è gasolio (e l’inverno è stato molto freddo quest’anno), perché la Siria non può più esportare il suo greggio in cambio di petrolio raffinato. I trattori quindi sono fermi e non si può lavorare la terra. Sono bloccati perfino i camion che prelevano la spazzatura. Ci sono problemi con l’acqua perché le pompe funzionano col gasolio. Il nostro villaggio e quello vicino – che condividono lo stesso pozzo – hanno acqua un unico giorno alla settimana e solo per 3-4 ore. Si rischia una vera carestia per l’avvenire: presto mancherà il grano e quindi anche il pane, il solo alimento che, per ora, il governo riesce a distribuire a un prezzo calmierato, anche ai più poveri. E poi si protesta perché la Croce Rossa non può portare aiuti. È possibile arrivare a sanzionare addirittura l’importazione di pannolini per i lattanti?
Tutto questo è profondamente ingiusto. Non si è riusciti a rovesciare il governo con le armi, lo si vuole fare esasperando la gente. Certo, è proprio questa la logica delle sanzioni. Quando, però, una grande maggioranza della popolazione – che piaccia o meno – non vuole un cambiamento violento della situazione, tale sistema diventa una vera sopraffazione. Chiediamo con forza a chi può fare qualcosa di sospendere le sanzioni e di intervenire. Che la nostra tanto osannata democrazia si dimostri capace di servire il vero bene del popolo.
Ci sentiamo indignati e impotenti di fronte al tipo di informazioni che circolano in Europa e fanno opinione, sostenendo le sanzioni internazionali
da "Avvenire" - TESTIMONIANZE - 11 aprile 2012
Maalula, Monastero S. Tecla |
Viviamo in Siria da più di sette anni, amiamo questo Paese e il suo popolo. Ci sentiamo indignati e impotenti di fronte al tipo di informazioni che circolano in Europa e fanno opinione, sostenendo le sanzioni internazionali, una delle armi più inique che l’Occidente usa per tenersi le mani pulite e dirigere comunque la storia di altri popoli. Pulite fino a un certo punto: si moltiplicano le segnalazioni della presenza di personale militare inglese, francese (e di altri Paesi) a fianco degli insorti per organizzare le azioni di guerriglia, grave violazione internazionale che passa sotto silenzio.
Sono state raccolte firme e fondi per aiutare la “primavera” del popolo siriano.
Ma chi ha dato – in perfetta buona fede – offerte e sostegno della “liberazione” della Siria deve sapere che ha finanziato assassini inumani, procurando loro armi, contribuito alla manipolazione dell’informazione, fomentato una instabilità civile che richiederà anni per essere risolta. Sconvolgendo l’equilibrio in un Paese dove la convivenza era pane quotidiano. Perché intervenendo senza conoscere la realtà non siamo più liberi, ma funzionali ad altri interessi che ci manipolano.
Non è nostro compito fornire una lettura socio-politica globale della vicenda siriana, altri lo stanno facendo meglio di noi. E chi lo vuole davvero può trovare informazioni alternative. Noi ci limitiamo a raccontare solo ciò che i nostri occhi vedono, qui nel piccolo villaggio di campagna dove viviamo. E dove, quasi ogni notte, i soldati presenti nella piccola guarnigione che lo presidia sono attaccati. Sia dagli insorti presenti nella zona, sia da bande mercenarie che passano il confine siriano nel tentativo di sopraffare l’esercito e aprire un varco per il flusso di armi e combattenti. I militari rispondono? Certo, e la gente ne è contenta perché di armi e mercenari il Paese è già pieno.
Sta per scadere l’ultimatum per il ritiro dell’esercito, che qui nessuno – nel senso letterale del termine – vuole. La gente si sente sicura solo quando i militari sono presenti. Ormai le violenze compiute dai cosiddetti liberatori nelle città, nei villaggi, sulle strade, sono tante e così brutali che la gente desidera solo vederli sconfitti. Gli abusi sono continui: uccisioni, case e beni requisiti o incendiati, persone, bambini usati come scudi umani. Sono i ribelli a bloccare le strade, a sparare sulle auto dei civili, a stuprare, a massacrare e rapire per estorcere denaro alle vittime. Invenzioni? La notte del Venerdì Santo, non lontano da dove abitiamo, hanno ucciso un ragazzo e ne hanno feriti altri due: tornavano alle loro case per celebrare la Pasqua. Il ragazzo morto aveva 30 anni ed era del nostro villaggio. Non sono i primi tra la nostra gente a pagare di persona. Ormai prima di spostarsi a fare la spesa o anche solo per andare a lavorare ci si assicura che l’esercito controlli la zona. Anche a noi è capitato di trovarci bloccati dalle sparatorie per tre ore in un tratto di autostrada e siamo riusciti a ripartire solo quando si è formato un corridoio di carri armati che proteggevano gli automobilisti in transito dai tiri dei rivoltosi.
Perché di tutto questo non si parla? Perché non si parla dei tanti militari assassinati in vari agguati, gli ultimi ieri ad Aleppo? Sono tanti i drammatici esempi che potremmo citare. Il fratello di un nostro operaio, tenuto prigioniero a Homs dai ribelli insieme ad altri civili, è ormai considerato morto, due padri di famiglia del nostro villaggio sono stati sempre a Homs dai rivoltosi perché compravano e distribuivano pane a chi era rimasto isolato. La questione che qui, però, ci preme sottolineare e per la quale invitiamo tutti a mobilitarsi è quella delle sanzioni internazionali. Chi sta pagando e pagherà ancora di più fra poco, è la gente povera.
Non c’è lavoro, non ci sono le materie prime e le esportazioni di prodotti locali, come bestiame e uova, sono ferme. Quel poco che c’è, poi, si vende a prezzi esorbitanti.
Tra le principali urgenze c’è quella del latte per i bambini. I prezzi dei cartoni sono raddoppiati, passando da 250 lire siriane a 500 (la paga giornaliera di un operaio è di 7-800 lire). Scarseggia il mangime per il bestiame: le poche confezioni disponibili sono passate da 650 a 1850 lire. Mancano i medicinali specialistici, scarseggia l’elettricità perché i ribelli hanno fatto saltare più volte le centrali e le linee di conduzione. Non c’è gasolio (e l’inverno è stato molto freddo quest’anno), perché la Siria non può più esportare il suo greggio in cambio di petrolio raffinato. I trattori quindi sono fermi e non si può lavorare la terra. Sono bloccati perfino i camion che prelevano la spazzatura. Ci sono problemi con l’acqua perché le pompe funzionano col gasolio. Il nostro villaggio e quello vicino – che condividono lo stesso pozzo – hanno acqua un unico giorno alla settimana e solo per 3-4 ore. Si rischia una vera carestia per l’avvenire: presto mancherà il grano e quindi anche il pane, il solo alimento che, per ora, il governo riesce a distribuire a un prezzo calmierato, anche ai più poveri. E poi si protesta perché la Croce Rossa non può portare aiuti. È possibile arrivare a sanzionare addirittura l’importazione di pannolini per i lattanti?
Tutto questo è profondamente ingiusto. Non si è riusciti a rovesciare il governo con le armi, lo si vuole fare esasperando la gente. Certo, è proprio questa la logica delle sanzioni. Quando, però, una grande maggioranza della popolazione – che piaccia o meno – non vuole un cambiamento violento della situazione, tale sistema diventa una vera sopraffazione. Chiediamo con forza a chi può fare qualcosa di sospendere le sanzioni e di intervenire. Che la nostra tanto osannata democrazia si dimostri capace di servire il vero bene del popolo.
Un gruppo di italiani che vive in Siria (Testo
raccolto da Giorgio Paolucci)
Custode di Terra Santa: no all'intervento internazionale in Siria
«Abbiamo visto cosa è successo in Iraq e in Afghanistan».
da A.C.S.
da A.C.S.
10 aprile 2012
«Politica comprensibile. Ma senza alcuna possibilità di riuscita.
Perché – che piaccia o no – in Siria il regime non ha futuro». Il
custode di Terra Santa, padre Pierbattista Pizzaballa, commenta così ad
Aiuto alla Chiesa che Soffre la decisione di alcuni leader della Chiesa siriana
– non ultimo il patriarca greco-melchita di Antiochia, Gregorio III Laham – di
preservare lo status quo continuando a sostenere Assad.
«Anche se non la chiamiamo così, quella in Siria è una guerra civile
- continua - e i cristiani sono stretti in una morsa tra il governo,
che li ha sempre sostenuti, e l’opposizione». Per i fedeli la paura che il
Paese si trasformi in un nuovo Iraq è forte e del tutto comprensibile. Ma il
francescano spiega che la mentalità siriana è diversa da quella irachena:
«frutto di una maggiore varietà etnica e religiosa». Intanto i
cristiani hanno lasciato Homs. Ed è questa l’unica certezza per il ministro
provinciale dei Frati minori, dal momento che «è praticamente impossibile
ricevere notizie affidabili e oggettive dal Paese arabo».
Padre Pizzaballa è contrario a un possibile intervento esterno e ritiene
che la collocazione della Siria nel cuore del Medio Oriente renda improbabile
un’eventuale azione militare internazionale. «Non è come in Libia. Stavolta
l’intervento avrebbe conseguenze sull’intera regione mediorientale». I
Paesi occidentali devono scendere in campo, ma con la sola pressione politica e
diplomatica. Altrimenti, «abbiamo visto cosa è successo in Iraq e in
Afghanistan».
“Aiuto alla Chiesa che Soffre” (ACS), Fondazione di diritto pontificio
fondata nel 1947 da padre Werenfried van Straaten, si contraddistingue come
l’unica organizzazione che realizza progetti per sostenere la pastorale della
Chiesa laddove essa è perseguitata o priva di mezzi per adempiere la sua
missione. Nel 2010 ha raccolto oltre 65 milioni di dollari nei 17 Paesi dove è
presente con Sedi Nazionali e ha realizzato oltre 5.500 progetti in 153
nazioni.
martedì 10 aprile 2012
In Siria ultime speranze per il piano Annan
Funzionerà il piano di pace di Kofi Annan, inviato speciale dell'Onu e della Lega araba? Lo sapremo alla mezzanotte di quest’oggi, ma le premesse non ci sono. Il calendario previsto dal piano indica che, entro il 10 aprile, il governo siriano ritiri truppe e armamento pesante da città e villaggi del Paese. Nelle successive 48 ore, poi, bisognerà che il cessate il fuoco bilaterale - sia da parte dell'opposizione che dei governativi - si stabilizzi in tutto il Paese.
continua la lettura qui;
http://www.terrasanta.net/tsx/articolo.jsp?wi_number=3835&wi_codseq=SI001 &language=it
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http://www.terrasanta.net/tsx/articolo.jsp?wi_number=3835&wi_codseq=SI001 &language=it
domenica 8 aprile 2012
Papa: Cristo risorto dia pace e speranza ai cristiani perseguitati e al Medio Oriente
Il messaggio pasquale di Benedetto XVI
07/04/2012
"Cristo Risorto doni speranza al Medio Oriente,
affinché tutte le componenti etniche, culturali e religiose di quella Regione
collaborino per il bene comune ed il rispetto dei diritti umani. In Siria, in
particolare, cessi lo spargimento di sangue e si intraprenda senza indugio la
via del rispetto, del dialogo e della riconciliazione, come è auspicato pure
dalla comunità internazionale. I numerosi profughi, provenienti da quel Paese e
bisognosi di assistenza umanitaria, trovino l'accoglienza e la solidarietà che
possano alleviare le loro penose sofferenze. La vittoria pasquale incoraggi il
popolo iracheno a non risparmiare alcuno sforzo per avanzare nel cammino della
stabilità e dello sviluppo. In Terra Santa, Israeliani e Palestinesi riprendano
con coraggio il processo di pace".
venerdì 6 aprile 2012
Drammatica testimonianza di Madre Agnes Mariam de la Croix
Ultime
notizie da Homs e Kusayr
Da
Madre Agnese Maria della Croce
traduzione dal francese di Mario Villani , redattore di "Appunti Attualità Politica Cultura"testo francese in ; http://www.maryakub.org/Article_dernieres_nouvelles_de_Homs_et_Qousseir_1_avril_2012.html
Alla
vigilia della Settimana Santa, quando noi contempliamo l'Agnello di Dio
vergognosamente tradito dal peccato del mondo accettato per la nostra salvezza,
vengo a inviarvi notizie recenti sulla nostra Diocesi. E' nostro dovere
informarvi sui veri sviluppi della conflitto in Siria. Lo facciamo affinchè
l'opinione pubblica faccia ogni pressione per risparmiare sofferenze al popolo
siriano.
Notizie
da Qara
Più
di trecento famiglie sunnite di Bab Amro sono rifugiate nel villaggio ed
aiutate dai membri locali dell'opposizione. Anche noi facciamo quello che
possiamo per aiutarli. Io sono intervenuta personalmente per la liberazione di
70 militanti incarcerati dopo il passaggio dell'esercito siriano dal nostro
villaggio. Ho espresso alta e forte la mia disapprovazione per i metodi
impiegati contro certi prigionieri che sono stati maltrattati per far loro
confessare dei presunti crimini legati al terrorismo delle bande armate. Noi
abbiamo dichiarato il nostro monastero aperto per ricevere i profughi ed i
sinistrati. Ci è stato riferito di un centinaio di bambini tra i 2 e i 10 anni
che sono stati raccolti tra le macerie di Bab Amro e che non hanno ancora
ritrovato i loro genitori. Noi cerchiamo di aiutarli e forse, una volta
completati i documenti, ne riceveremo qualcuno tra di noi. Questo dipenderà dal
Ministero degli Affari Sociali. Per questo scopo i vostri aiuti sono i
benvenuti.
Notizie
da Homs
A
Homs, città di un milione di abitanti, i due terzi della popolazione sono
fuggiti. Più del 90% dei Cristiani sono fuggiti, spesso senza avere il tempo di
portare nulla con sé. Centinaia di famiglie cristiane hanno abbandonato Homs e
la sua provincia per rifugiarsi nella Valle dei Cristiani, a Damasco o nella
sua provincia. I vostri aiuti sono arrivati e sono già stati distribuiti.
Tantissime grazie! Quando potremo raggiungere il parroco di Bab Sbah, a Homs,
ci darà la lista delle famiglie che ne hanno beneficiato. Questo perchè
possiate continuare ad aiutare serenamente, i vostri doni arriveranno tutti a
destinazione.
Alcune
famiglie sono ritornate per sorvegliare i loro beni. Una di loro racconta
questo episodio: “Abbiamo aperto la porta ed ecco!, il salone era pieno di
gente. Ci hanno portato i nostri pigiami e hanno mangiato insieme a noi. Gli
abbiamo chiesto cosa volessero. Imbarazzato il loro capo ci ha detto: quando
volete vi renderemo la vostra casa. Ma la realtà si impone, siamo costretti a
lasciarli fare ed arrenderci all'evidenza. La nostra casa non è più nostra.”Perchè diciamo che la gente è stata “costretta” a partire? Perchè progressivamente, ma efficacemente le fazioni armate dell'opposizione siriana hanno operato quella che può essere definita una “redistribuzione demografica”. Grazie ai franchi tiratori e ad atti di aggressione criminale hanno terrorizzato la popolazione civile non gradita: le minoranze alauita, cristiana, sciita ed anche molti sunniti moderati che non hanno voluto partecipare alle attività dei ribelli. Non è un genocidio massiccio, ma una liquidazione lenta.
A partire da agosto 2011 e più particolarmente da novembre, quando abbiamo potuto verificare la situazione con i nostri occhi, visitando Homs e Kusayr, noi abbiamo informazioni sicure e verificate di atti di barbarie contro la popolazione civile per obbligarla a desistere dalla normale vita civica e paralizzare le Istituzioni e lo Stato.
Dall'inizio dell'anno si sono registrati ripetuti atti di sabotaggio contro gli edifici scolastici, rapimenti di insegnanti e professori, minacce agli studenti e incendi e bombardamenti contro le scuole. Questo ha portato alla progressiva chiusura di tutte le scuole di ogni ordine e grado.
Le minoranze che vivono nei quartieri dove agiscono le bande affiliate all'opposizione siriana sono il bersaglio permanente di ogni vessazione: i loro beni sono saccheggiati, le vetture requisite, molti di loro sono presi in ostaggio solo per il fatto di appartenere ad una minoranza religiosa e non vengono rilasciati se non con il pagamento di un riscatto (fatto che ha provocato il fenomeno dei contro-rapimenti, con trattative per la liberazione degli ostaggi).
In particolare tutti i protagonisti della vita civile sono diventati un bersaglio privilegiato del terrorismo camuffato da resistenza armata: conducenti di taxi, mercanti ambulanti, portalettere, e soprattutto funzionari dell'amministrazione civile sono le vittime innocenti di atti che hanno superato il semplice assassinio per assumere gli aspetti più barbari del crimine gratuito: persone sgozzate, mutilate, sventrate, fatte a pezzi e gettate agli angoli delle strade o nell'immondizia. Non si è esitato a sparare su dei bambini per diffondere la disperazione come è stato nel caso del piccolo Sari, nipote del nostro tagliatore di pietre. Questi atti atroci sono stati sfruttati mediaticamente per attribuirne la responsabilità alle forze del Governo.
Noi stessi abbiamo potuto vedere come funziona questo stratagemma in occasione di una visita a Homs. Quel giorno abbiamo potuto contare almeno cento cadaveri arrivati all'ospedale, vittime dell'accanimento gratuito delle bande armate affiliate all'opposizione. Passando per via Wadi Sayeh abbiamo notato una vettura bruciata. Un uomo era stato appena preso di mira dalle bande armate perchè si era rifiutato di chiudere il suo negozio. La sua autovettura era stata fatta esplodere e lui letteralmente fatto a pezzi e gettato davanti alla saracinesca del suo negozio. Nel momento in cui noi siamo passati si erano radunati dei passanti. Ne abbiamo visti molti riprendere la scena con i loro telefonini. Mentre filmavano ne abbiamo sentito uno registrare queste parole indirizzate ad una catena satellitare: “ecco cosa devono sopportare i cittadini siriani da parte degli squadroni della morte di Bashar Assad”. Abbiamo fotografato tutto l'avvenimento e seguito le povere spoglie della vittima fino all'ospedale.
Con
la caduta di Baba Amro i combattenti si sono introdotti a Nazihin e Ashiri ed
hanno investito i quartieri cristiani di Warcheh e Salibi. Le case dei Cristani
sono state requisite. Da Hamidiyeh e dintorni fino a Wadi Sayeh, e più oltre
Bustan Diwan, si è ripetuto il medesimo scenario: le bande armate costringono i
Cristiani a partire, spesso con la forza, e saccheggiano le loro case, poi le
utilizzano per installarvi delle famiglie sunnite profughe o per scopi
militari. Ci hanno raccontato che le bande armate hanno bucato i muri divisori
che separano le abitazioni per poter circolare attraverso il quartiere senza
uscire nella strada. Dei quartieri interi si sono così trasformati in
casematte.
ULTIME
NOTIZIE DEL 30 MARZO 2012
I
quartieri di Bab Sbah, Warcheh e parte di quello di Hamdiyeh sono stati
svuotati dei loro abitanti. Bande di islamisti invadono i luoghi e si
introducono nelle abitazioni, le saccheggiano e poi le bruciano, facendo
credere che le forze governative le hanno bombardate. I terroristi, prima di
introdursi nei quartieri abitati dalle minoranze confessionali, li hanno
colpiti con mortai, razzi e missili LAU di fabbricazione israeliana. Se la
prendono con la popolazione civile non armata e nelle zone dove non c'è la
presenza dell'esercito regolare.
E'
falso dire che la popolazione civile è presa tra due fuochi. La verità è che in
molte zone i quartieri cristiani sono stati il bersaglio di un bombardamento
sistematico delle bande armate che hanno voluto vendicarsi perchè i Cristiani
non hanno aderito all'opposizione. Ma se l'avessero fatto avrebbero potuto
evitare di essere colpiti? Ne dubitiamo.
Secondo
l'agenzia cattolica Fides, la manovra delle bande armate è quella di investire
i quartieri a maggioranza cristiana per trincerarvisi. Si sta preparando un
terribile dramma: le bande armate hanno riempito il quartiere di esplosivo e
minacciano di far saltare tutto se l'esercito avanza.Dobbiamo dire che vi è molta confusione sugli obbiettivi delle fazioni armate dell'opposizione. Essendo divise tra di loro e agendo in modo indipendente, le loro azioni hanno differenti motivazioni. Non bisogna affrettarsi a gettare discredito sulle testimonianze dei Cristiani che, avendo avuto a che fare con queste bande armate, sono stati oggetto di una vera persecuzione. Non è più un mistero per nessuno che dei salafiti sono attivi a Homs in particolare ed in Siria in generale; è tuttavia vero che i Cristiani non sono sotto una persecuzione sistematica e generale in tutto il paese perchè i salafiti non sono dappertutto.
Sto
traducendo un articolo che chiarisce molte cose sulla presenza salafita in
Siria e Libano.
Notizie
dell'ultima ora: il famoso ”curato di Bab Sbah” che era
rimasto eroicamente sul posto per servire i suoi parrocchiani a rischio della
sua vita si è visto obbligato a partire. La sua automobile è stata rubata, la
casa, così come quelle dei suoi parenti, è stata occupata dei miliziani che
hanno rubato tutto. Perfino i pacchi di aiuti umanitari destinati dalla Caritas
alle famiglie sinistrate sono stati requisiti dei miliziani. Il padre ha
raccolto dei video impressionanti di ciò che resta dei quartieri cristiani.
Sembrerebbe di essere a Beirut nei peggiori momenti della guerra dei due anni.
Inoltre abbiamo appena saputo che i padri gesuiti hanno posto dei giovani
armati per difendere i loro conventi e i loro beni. Speriamo che questo sia
sufficiente per conservarli sani e salvi.
E
infine, una notizia delle peggiori: la ragazzina R. S., una greca - ortodossa
che era stata rapita da tre settimane da Bustan Diwan, nel quartiere cristiano
di Homs è stata restituita ai suoi genitori in uno stato allarmante. Ella
racconta che è stata condotta da uomini armati in una fattoria oltre lo
svincolo di Palmira nell'entrata sud di Homs e là una trentina di uomini
l'hanno violata. Ella si trova attualmente in un ospedale di Damasco. Le sue
condizioni sono terribili ed è in stato di choc. Ella ha sentito gli uomini
dirle che lei era stata loro concessa dallo Sceicco Arour come bottino di
guerra.
Il
fratello del curato greco- ortodosso di Doueir, il padre Tohmeh Haddad, è stato
rapito dai ribelli. Essi chiedono un riscatto di € 200.000.
SITUAZIONE
A KUSAYR
Kusayr
è un grosso centro nei dintorni di Homs, vicino al Libano. La situazione è
drammatica. Le minoranze sono il bersaglio di terribili soprusi. Molte persone
innocenti sono morte, abbattute a sangue freddo. Andrè Arbache, un giovane
marito di trenta anni è stato rapito oggi e non si sa nulla di lui. Alcuni
terroristi arrestati dalle forze di sicurezza hanno confessato che sarebbe già
stato sgozzato seguendo il rituale “Nahar” che Al Qaeda applica ai rinnegati.
La
famiglia cristiana Kasouha, maggioritaria a Kusayr, ha perso molti dei suoi
membri, uccisi a sangue freddo. Si parla di vecchi rancori. Bisogna però sapere
che molti Cristiani sono stati massacrati dopo aver subito per mesi le angherie
di miliziani armati che, tuttavia, sono stati presentati al mondo come
combattenti valorosi che cercano di instaurare la democrazia. In realtà queste
bande armate hanno applicato la legge della giungla: sia quando hanno cercato
di far resuscitare i demoni di vecchi rancori tra comunità, sia quando, come ad
Homs, hanno cercato di provocare una guerra confessionale.
Molti
Cristiani di Kusayr sono stati assassinati, talvolta fatti a pezzi, per
spingere la popolazione alla fuga. Come se questo non bastasse, per sgomberare
Kusayr dei Cristiani, i terroristi hanno cominciato ad attaccare apertamente i
loro quartieri. Li hanno bombardati con i mortai e i lanciarazzi, poi li hanno invasi, scacciando
gli abitanti e uccidendo quelli che non volevano andarsene. Molte case dei
Cristiani sono state bruciate dopo essere state saccheggiate. Nei quartieri più
lontani che non sono ancora stati investiti dai terroristi molti Cristiani si
sono rifugiati presso dei parenti, ma le loro case sono sotto il tiro dei
mortai. Persino la casa del nostro parroco Padre George Louis è stata colpita
da quattro proiettili che l'hanno completamente distrutta. E' necessario ricordare
che questi bombardamenti non entrano nel quadro di combattimenti con l'esercito
regolare, ma costituiscono un'aggressione gratuita contro una popolazione non
armata. I Cristiani di Kusayr hanno sentito islamisti affermare a più riprese
che i comitati di coordinamento locali hanno già distribuito i beni mobili e
immobili dei Cristiani alle famiglie sunnite. Questo progetto è ormai in fase
di esecuzione. Un dirigente dell'esposizione a Kusayr , Oum Zahreddine
Zhouri, ha appena annunciato che “i beni
dei cristiani erano distribuiti ai musulmani come bottino di guerra” ed in
effetti è ciò che sta avvenendo, almeno nelle case e magazzini del quartiere
del Suk orientale che è stato interamente investito dalle bande armate. I cristiani
sono tutti stati gettati fuori, le loro case sono state spogliate e interamente
bruciate. Confermiamo la notizia data dall'agenzia Fides: la maggior parte dei
10.000 cristiani di Kusayr è stata costretta a lasciare le loro case e i loro
beni. Essi si sono rifugiati nei dintorni o sono fuggiti verso Damasco, la
Valle dei cristiani o verso il Libano dove ci si informa che molti alauiti e
cristiani hanno trovato casa nelle città costiere o nella montagna e dove più
di 60 famiglie cristiane di Kusayr si sono rifugiate nella città di Zahlè.
QUALCHE
ESEMPIO SIGNIFICATIVO DI ATTI SELVAGGI PERPETRATI DALLE BANDE ARMATE AFFILIATE
ALL'OPPOSIZIONE
Quando
l'esercito regolare è entrato a Baba Amro i terroristi hanno radunato tutti i
loro ostaggi alauiti e cristiani in un immobile di Khalidiyeh che hanno fatto
saltare con l'esplosivo, commettendo un terribile massacro, che hanno
attribuito alle forze regolari. Malgrado che di questo atto siano state
accusate le forze governative persino dalla Lega Araba, le prove e le
testimonianze sono inconfutabili: si tratta di una manovra delle bande armate
affiliate all'opposizione.
La
famiglia Al Amoura, del villaggio di Al Durdak, nei dintorni di Homs, è stata
sterminata dai terroristi wahabiti. Quarantuno persone d questa famiglia sono
state sgozzate lo stesso giorno. Un altro massacro è stato commesso
dall'esercito libero della Siria in ritirata da Baba Amro: si sono fermati
vicino a Rableh, alla frontiera libanese, e hanno massacrato quattordici membri
di una stessa famiglia alauita a Hasibiyeh.
RETROSPETTIVA
Ecco:
è da un anno che mi dedico allo studio della situazione in Siria per cercare di
comprenderla. Da allora mi sono recata per tre volte sui luoghi caldi della
nostra Diocesi e posso dire di essere diventata una testimone oculare.
Guardando indietro io vedo che non mi sono ingannata nelle mie previsioni. Con
dei giornalisti belgi siamo stati i primi al mondo a fare stato della presenza
di “bande armate non identificate”. Oggi queste bande sono state identificate.
Possiamo dare loro un nome. Esse sono raggruppate sotto l'etichetta di Esercito
Libero della Siria, ma esse sono di matrice salafita o wahabita, vale a dire le
formazioni paramilitari degli islamisti ultra radicali.
Noi
ringraziamo tutte le realtà che durante l'anno trascorso hanno intimato al
regime siriano, anche se spesso a torto e in conseguenza di false informazioni,
di fermare le sue violenze contro la popolazione civile. Ma cosa dire delle
crudeltà dell'opposizione siriana? O meglio, delle fazioni armate che
proclamano di essere l'opposizione? Oggi il male è fatto. Quello che temevamo
sta per succedere: l'esodo dei Cristani dalla Siria è cominciato. E' un dramma
che condividono con i loro fratelli e sorelle di altre confessioni. Questo ci
ricorda l'esodo dei Cristiani dell'Iraq. Speriamo che la tendenza sia arrestata
dalla fine delle ostilità e dall'instaurazione di un dialogo tra tutte le
componenti del popolo siriano.
Noi
siamo tutti per la libertà e la democrazia. Sfortunatamente i nobili obiettivi
indicati dall'opposizione siriana sono stati fagocitati dall'islamismo.
Esaltando l'opposizione -all'inizio poteva essere a giusto titolo- si è creduto
senza verifiche a tutto quello che raccontava l'inattendibile Osservatorio
siriano dei diritti dell'uomo e poi i comitati di coordinamento locale. Ora,
sulla base delle loro necessità, questi organismi hanno fatto più
disinformazione che informazione. Non solo l'informazione fornita è stata
unilaterale e di parte, ma spesso era monca e falsificata. La realtà non era
più conforme alle loro fastidiose dichiarazioni. D'altronde gli avvenimenti mi
hanno dato ragione e, cosa che mi consola, la comunità internazionale stessa
sta accogliendo la tesi di una trasformazione dell'opposizione siriana che è
divenuta, all'insaputa di molti dei suoi sostenitori, un paravento per il
sunnismo radicale. I grandi mezzi di comunicazione cominciano poco a poco a
comprendere la realtà del conflitto in Siria, raccontando alcuni dei suoi
aspetti nascosti da troppo tempo: la presenza di fazioni armate l'obiettivo
delle quali era quello di creare uno scenario di guerra confessionale simile a
quello del Libano. Questo spiega le crudeltà subìte per mesi dagli alauiti da parte
delle bande armate. I Cristiani sono stati vittime anche loro ma in misura
minore. L'obiettivo di questi gruppi armati era spingere le minoranze ad
armarsi per far esplodere una guerra confessionale. Ma questa reazione non c'è
stata. A parte dei casi isolati, le minoranze non si sono armate ed hanno
atteso pazientemente che le forze dell'ordine venissero a proteggerle. Hanno
pagato così un pesante tributo di sangue attendendo la loro liberazione. La
storia renderà omaggio alla maturità del popolo siriano che, in forza della sua
millenaria saggezza, ha evitato fare la scelta peggiore quando tutto era a sua
disposizione per vendicarsi dell'”altro”. E' necessario anche dire che la
maggioranza dei Musulmani in Siria non danno credito ai salafiti e prendono le
distanze dal wahabismo. Dicono che tutto l'estremismo è una deformazione e che
il salafismo, ispirato dal wahabismo, è diventato un'eresia soprattutto quando
è ricorso all'eliminazione dei “kuffar” o “rinnegati”, in pratica di tutte le
persone che non accettano la sua dottrina.
In
definitiva il mondo occidentale, vittima di un'informazione tendenziosa, si
inganna applicando a questi eterogenei gruppi islamisti il titolo di Esercito
Libero di Siria. Bisogna saper distinguere le cose per non favorire il peggio.
Che
dire di più? Human Rights Watch ha scritto una lettera aperta al “Consiglio
Nazionale Siriano” per invitarlo a denunciare gli atti di barbarie contro la
popolazione civile e le forze dell'ordine. Atti contrari alla Carta dei Diritti
dell'Uomo ed alla Convenzione di Ginevra commessi dalle bande armate affiliate
all'opposizione. L'ambasciatore degli Stati Uniti a Damasco si è lamentato
delle violenze inaccettabili delle bande armate che agiscono in nome
dell'opposizione. Le grandi potenze ed i media internazionali parlano
apertamente di una deriva confessionale di certi settori armati affiliati
all'opposizione siriana tra i quali si scoprono fazioni di Al Qaeda, dei
salafiti e dei wahabiti. Pax Christi del Canada ha mandato una lettera a tutti
i responsabili degli Stati per domandare loro di non intervenire più in Medio
Oriente con mezzi militari. La Francia, da parte sua, ha rifiutato l'ingresso
nel suo territorio allo cheikh Qaradawi che incita incessantemente su Al
Jazirah araba ad una guerra confessionale. L'affare Merah a Tolosa contribuirà
ad aprire gli occhi sui pericoli della catena Al Jazirah, i cui locali nella torre Montparnasse sono stati
perquisiti dalla polizia francese.
Nel
momento in cui la comunità internazionale cerca di favorire il dialogo e la
pacificazione è divenuto ormai inaccettabile che dei responsabili e dei
giornalisti continuino a credere ciecamente alle dichiarazioni di una rete di
informazione tendenziosa che copre i crimini di queste bande armate affiliate
all'opposizione siriana con suo grande danno. Ignorando i soprusi e i crimini
di queste bande armate e approvando la loro lotta si incoraggiano i loro
crimini e non si porta aiuto alle persone in pericolo. Solo un'informazione
obiettiva e senza partito preso, fedele alla realtà dei fatti, potrà aiutare a
fermare la violenza e portare tutte le fazioni a dialogare in vista di un vero
processo democratico. Occorre denunciare il male ove di trova, senza
preconcetti. Serve un minimo di verifica e di messa a fuoco nella confusione
che prevale.
CONCLUSIONE
Noi
preghiamo affinchè la Siria esca purificata e pacificata da questa terribile
prova e perchè la voce della maggioranza schiacciante del popolo siriano, di
tutte le confessioni, sia ascoltata: avviare le riforme necessarie senza
rompere il patto nazionale né cadere nella guerra confessionale.
Preghiamo
che, in questo glorioso tempo pasquale, il Signore vincitore della morte, ci
visiti come ha fatto con sua Madre e i suoi Apostoli e ci evangelizzi con la
sua pace basata sulla distruzione del muro dell'odio attraverso il suo corpo
sacrificato per noi. Lui solo ci insegna ad amare il prossimo fino a
sacrificarsi per lui. Questo è il messaggio che noi ameremmo far capire sulla
Siria a quelli che sono vicini e a quelli che sono lontani.
Qara, 1 aprile - domenica degli ulivi - 2012.
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