"MENTRE I MOVIMENTI ISLAMICI RADICALI SONO INDAFFARATI CON LA LORO PRIMAVERA POLITICA, I CRISTIANI DEL MONDO ARABO SONO ALLE PRESE CON UN INVERNO BURRASCOSO CHE RISCHIA DI DECIMARLI. CIO’ A CAUSA DI UN PROGETTO NEO-COLONIALE CHE PUNTA A ISOLARE L'IRAN"
da Nigrizia - febbraio 2013
di MOSTAFA EL AYOUBI
In passato non sono mancati conflitti e tensioni tra
musulmani e cristiani d'Oriente, spesso a causa di strumentalizzazioni politiche
interne (Egitto) e ingerenze esterne per scopi geopolitici (Libano). Tuttavia
la situazione delle minoranze cristiane arabe non è mai stata cosi preoccupante
come lo è oggi, in seguito all'affermazione degli islamisti come la più grande
forza politica in quasi tutti i paesi arabi. Gli islamisti hanno "vinto
l'appalto" per un ri-modellamento geopolitico del mondo arabo, nato
dall'urgente necessità di arginare la crescente influenza dell'Iran nel Medio
Oriente e in altre parti del mondo islamico, a scapito degli Usa e dei loro
alleati. Diversi sono stati i tentativi per destabilizzare il regime sciita
iraniano: dalle sanzioni e dagli embarghi che durano dal 1979 alla guerra
affidata a Saddam (1980-1988), alla rivoluzione verde del 2009 per far cadere
il regime. Tentativi non riusciti.
Si è passati quindi al piano B, ossia innescare un conflitto
interconfessionale tra la maggioranza sunnita e la minoranza sciita: la logica
di tale piano è la creazione di una regione con una forte connotazione
confessionale sunnita in tutto il mondo arabo per isolare il regime sciita di
Teheran. Il piano si basa su un fattore determinante, ovvero l'odio che i
sunniti nutrono nei confronti degli sciiti considerati eretici. Il baricentro
di questo conflitto oggi è la Siria.
Questo scontro intra-musulmano, studiato ad arte, ha gravi
conseguenze sul presente e sul futuro delle storiche minoranze cristiane - ciò
vale anche per altri gruppi di minoranza - sia in termini di sicurezza che di
diritti. Si pensi agli attentati contro le chiese copte prima e dopo la
"Rivoluzione del 25 gennaio" in Egitto o alla distruzione dei luoghi
di culto cristiani in Siria negli ultimi due anni.
I jihadisti sunniti in Siria, oltre a voler gettare gli
alawiti (sciiti) nelle bare, vogliono cacciare i cristiani verso Beirut. Interi
quartieri cristiani a Homs e in altre città siriane sono stati occupati e
devastati dai jihadisti. Tantissimi cristiani hanno dovuto lasciare le loro
città per rifugiarsi all'interno o fuori dal paese. La violenza contro i
cristiani in questa fase di trasformazione geopolitica araba ha raggiunto
livelli inauditi: persino nella Libia "liberata" una chiesa copta
egiziana vicino a Misurata è stata distrutta dai jihadisti il 29 dicembre scorso;
l'attentato in cui sono morte due persone è passato sotto il silenzio
assordante dei media mainstream.
Morsi, che si è dichiarato il presidente di tutti gli egiziani,
non ha partecipato alla cerimonia di insediamento del nuovo patriarca copto
ortodosso, Tawadros II, il quale, prima della sua nomina, aveva criticato la
nuova costituzione egiziana, scritta in sostanza dai Fratelli musulmani e dai
salatiti.
Di fronte a questo nuovo clima di insicurezza e di esclusione
di cui sono oggetto i cristiani d'Oriente, qual è la posizione delle
istituzioni cristiane d'Occidente? Diverse autorità religiose cristiane, come
il patriarca di Mosca Kirill I, il patriarca maronita libanese Bechara Rai, il
cardinale Filoni, ex nunzio a Baghdad, hanno spesso messo in guardia contro il
rischio di un Medio Oriente che si sta svuotando della sua componente cristiana
a causa della politica neo-coloniale dell'Occidente nella regione. A questo
grido d'allarme il governo francese, sin dall'inizio della crisi in Siria, aveva
risposto che «bisogna incoraggiare i cristiani d'Oriente a venire a insediarsi
in Europa».
Dopo l'invasione dell'Iraq nel 2003, dei due milioni di cristiani
arabi ne sono rimasti solo 800.000. Negli ultimi anni più di 100.000 copti
hanno lasciato l'Egitto e oggi numerosi cristiani di altri paesi arabi stanno
abbandonando la loro terra.
Le autorità religiose di cui sopra, insieme ad altre, come
il patriarca di Antiochia, Gregorio III Laham, e il patriarca di Gerusalemme,
Fouad Twal, chiedono con insistenza di fermare la guerra alla Siria per
risparmiare la vita di cristiani, musulmani, drusi e altri ….
Una nuova Jalta, per superare la crisi siriana e poi le riforme
Se non fosse per il rispetto che si deve agli Stati e, soprattutto alle vittime della tremenda guerra in corso in Siria, potremmo affermare che l’accordo di Roma promosso da John Kerry con alcuni paesi europei – fra i quali l’Italia – appare come un accordo fra clown. Per vari motivi. Primo perché 60 milioni di dollari sono davvero un ruscello in quel mare di desolazione e se ne perderà una buona parte per strada prima di arrivare alla gente. Gli stessi ribelli siriani hanno deriso questo impegno: si aspettavano un contributo fattivo con armi e addestratori, invece verranno accontentati solo i mediatori che si incaricheranno di portare le provviste. Secondo aspetto: John Kerry aveva un mandato limitato. Gli USA infatti non vogliono innervosire la Russia e hanno proposto solo di dare un contentino ai ribelli al fine di far emergere la fazione meno integralista dell’opposizione. Inoltre, in vista della chiusura di un accordo fra il governo di Assad e i ribelli, era necessario far aumentare il peso dell’opposizione nella prossima e imminente trattativa. Terzo aspetto: gli Stati europei sulla vicenda siriana hanno grande interesse: il pericolo è vicino geograficamente e l’integralismo alle porte del vecchio continente fa molta paura. Sotto il profilo economico, c’è da segnalare la chiusura dei mercati arabi, un danno enorme per le aziende europee.
Di diverso segno è la posizione degli Stati Uniti per i quali il caos in Siria è tutt’altro che un problema. La crisi siriana, secondo Washington, è un’occasione irripetibile per indebolire il “nemico” Iran e consentire ad Israele di controllare militarmente l’area mediorientale, anche in virtù dell’attuale pochezza del regime egiziano di Morsi. La parola che in questi giorni si pronuncia di più qui a Beirut – e anche a Damasco – è “accordo”. Oramai non è più solo un auspicio ma una certezza. Bisogna solo definire i termini e gli attori di questa nuova fase. Quasi certamente ci sarà una Yalta siriana.
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