Intervista a mons. Georges
Noradounguian Dankaye :
Obiettivo (purtroppo) raggiunto
RADICI CRISTIANE N°105 - GIUGNO 2015
Secondo mons. Georges
Noradounguian Dankaye, rettore del Pontificio Collegio Armeno di
Roma, il vero obiettivo della guerra in Siria è già stato
conseguito: mandare in frantumi l’equilibrio qui un tempo maturato
che spingeva cristiani e musulmani a collaborare. Il proposito di
eliminare Assad ha piegato il Paese agli interessi della comunità
internazionale. Ma frustrare il più debole può renderlo Caino…
Al quarto anno di guerra
in Siria il Paese è ormai allo stremo, senza una prospettiva
concreta di pace per il futuro e con il rischio di veder scomparire
per sempre l’importante comunità cristiana, da secoli presente sul
territorio. Quale scenario e quali dolori devono affrontare i fedeli?
Ne abbiamo parlato con mons. Georges Dankaye Noradounguian, Rettore
del Pontificio Collegio Armeno di Roma ed Amministratore Apostolico
dell’Esarcato Patriarcale armeno cattolico di Gerusalemme ed Amman.
Ci può descrivere
l’attuale situazione in Siria ed in particolare della Chiesa
Cattolica in Siria?
Le dichiarazioni del Papa
sul genocidio armeno hanno provocato un accanimento dei bombardamenti
nelle zone a maggior presenza armena, quasi si trattasse di una
rappresaglia alle parole del Pontefice. La Chiesa Cattolica ha sempre
incoraggiato la popolazione a pazientare ed a resistere nella
speranza di una conclusione veloce del conflitto, purtroppo invece si
è arrivati ad un punto in cui anche il clero comprende ed accetta il
desiderio di molti di andare lontano da questa terra martoriata; una
scelta dolorosa con l’auspicio di trovare un luogo di pace e di
libertà. Certamente la guerra ha sempre le sue conseguenze, ma in
Siria tali conseguenze hanno avuto un effetto maggiore. La Siria
negli ultimi decenni ha avuto una certa stabilità economica,
politica e finanziaria e si è distinta da altri Paesi per il livello
di istruzione offerta ed i servizi nel campo della sanità. Con la
guerra tutto ciò è svanito determinando una situazione tragica più
di quanto si possa immaginare. I motivi che hanno scatenato la guerra
sono essenzialmente politici, è una guerra nella guerra, ma quella
più falsa è quella mediatica. All’inizio si è fatto credere nel
bisogno di libertà e democrazia del popolo siriano e mi chiedo come
si possa concepire un intervento di circa 80 Nazioni per liberare un
popolo dal suo dittatore, laddove vi sono Paesi al mondo con
dittatori ben più feroci di Assad e le cui genti sono ben più
oppresse, per i quali però la comunità internazionale non riesce a
coordinare due Stati per organizzare un intervento. Per quanto
riguarda le minoranze poi, gli effetti della guerra sono uguali per
tutti coloro che condividono la sorte del dolore, ancor più
accentuati dalla disgregazione di famiglie, separate o spezzate nei
loro legami affettivi.
Secondo Lei, come
dovrebbe agire la comunità internazionale?
La comunità
internazionale ha sbagliato i suoi calcoli a livello geopolitico e
solo adesso lo sta ammettendo in maniera discreta, anche se il
silenzio della comunità internazionale è complice per quanto sta
accadendo in Siria così come in Egitto, Libia ed altri Paesi.
Innanzi tutto, sarebbe necessario fermare l’afflusso di combattenti
provenienti da altri Stati, che non c’entrano nulla con la Siria;
la politica non ha una religione, ma ha i suoi interessi, vi sono
Nazioni, che inviano combattenti per sostenere le proprie
motivazioni. I Paesi del Golfo non si esprimono mai ma ritengono di
essere esportatori di democrazia, anche se al loro interno vi sono
evidenti limitazioni, ad esempio per quanto concerne i diritti delle
donne.
Non sarebbe stato più
opportuno, per aiutare la popolazione siriana, favorire le purtroppo
poche organizzazioni o i tanti istituti missionari da sempre presenti
sul posto, anche ad Aleppo, impegnati a distribuire aiuti in modo
competente e imparziale alla popolazione?
La cosa migliore sarebbe
stata certamente quella di evitare la guerra: è uno scandalo prima
vender le armi e poi pensare di inviare aiuti umanitari. Il popolo
siriano non aveva bisogno di aiuto, ma si è dovuto sottomettere agli
interessi della politica internazionale. Se fosse stato speso per
esso solo il 20% di quanto investito in armi, lo si sarebbe potuto
aiutare a fare passi da gigante in molti campi, compiendo notevoli
passi in avanti. Ma questo, evidentemente, alla politica
internazionale non interessava…
Come in Libia, anche in
Siria, le potenze occidentali hanno sostenuto le cause dei cosiddetti
ribelli con il risultato di generare un caos politico e sociale.
Quale soluzione potrebbe portare finalmente ad un cessate il fuoco e
ad un minimo di stabilità?
Gli obiettivi di questa
guerra sono già stati raggiunti, la laicità siriana è andata a
pezzi e ci vorranno decenni per riportare la situazione ad un livello
di normalità, in grado cioè di porre un cristiano ed un musulmano
sullo stesso livello. Quello che mi domando è: è mai possibile
punire una Nazione per un’antipatia verso una sola persona?
Ritiene verosimile la
possibilità della definitiva scomparsa dei cristiani dalla Siria e
dall’Iraq?
Se la guerra continuerà,
certamente non rimarranno molti cristiani, anche se bisogna
distinguere fra giovani e anziani: i primi sono demotivati e dunque
più facilmente disposti ad andare altrove, mentre i secondi sono
ormai legati affettivamente e troverebbero difficile l’idea di
spostarsi in un altro Paese.
La comunità cristiana è
molto attiva, ma dover ricominciare da zero dopo ogni guerra ha
determinato una frustrazione che li ha spinti ad emigrare all’estero.
La Chiesa continua la sua opera ove possibile ossia lì ove il
governo garantisca il proprio controllo.
Cosa pensa dei giovani
provenienti dall’Europa, che si arruolano nell’ISIS ?
Purtroppo anche noi, come comunità internazionale, ci siamo lasciati
sopraffare dalla nostra presunzione di onnipotenza, lamentandoci
della dittatura degli altri senza vedere quella che noi cerchiamo di
imporre con le nostre risorse finanziarie. Frustrare il più debole,
frustrare una popolazione per molti anni, un giorno potrebbe
risvegliare il Caino che ha in sé e spingerla a compiere del male
inimmaginabile. Tanti kamikaze sono nati per questo motivo e sono
disposti in un certo senso a compiere, dal loro punto di vista, un
martirio per vendicarsi della frustrazione subita per tutto questo
tempo.
Secondo mons. Georges Noradounguian Dankaye, rettore del Pontificio Collegio Armeno di Roma, il vero obiettivo della guerra in Siria è già stato conseguito: mandare in frantumi l’equilibrio qui un tempo maturato che spingeva cristiani e musulmani a collaborare. Il proposito di eliminare Assad ha piegato il Paese agli interessi della comunità internazionale. Ma frustrare il più debole può renderlo Caino…
Al quarto anno di guerra
in Siria il Paese è ormai allo stremo, senza una prospettiva
concreta di pace per il futuro e con il rischio di veder scomparire
per sempre l’importante comunità cristiana, da secoli presente sul
territorio. Quale scenario e quali dolori devono affrontare i fedeli?
Ne abbiamo parlato con mons. Georges Dankaye Noradounguian, Rettore
del Pontificio Collegio Armeno di Roma ed Amministratore Apostolico
dell’Esarcato Patriarcale armeno cattolico di Gerusalemme ed Amman.
Ci può descrivere
l’attuale situazione in Siria ed in particolare della Chiesa
Cattolica in Siria?
Le dichiarazioni del Papa
sul genocidio armeno hanno provocato un accanimento dei bombardamenti
nelle zone a maggior presenza armena, quasi si trattasse di una
rappresaglia alle parole del Pontefice. La Chiesa Cattolica ha sempre
incoraggiato la popolazione a pazientare ed a resistere nella
speranza di una conclusione veloce del conflitto, purtroppo invece si
è arrivati ad un punto in cui anche il clero comprende ed accetta il
desiderio di molti di andare lontano da questa terra martoriata; una
scelta dolorosa con l’auspicio di trovare un luogo di pace e di
libertà. Certamente la guerra ha sempre le sue conseguenze, ma in
Siria tali conseguenze hanno avuto un effetto maggiore. La Siria
negli ultimi decenni ha avuto una certa stabilità economica,
politica e finanziaria e si è distinta da altri Paesi per il livello
di istruzione offerta ed i servizi nel campo della sanità. Con la
guerra tutto ciò è svanito determinando una situazione tragica più
di quanto si possa immaginare. I motivi che hanno scatenato la guerra
sono essenzialmente politici, è una guerra nella guerra, ma quella
più falsa è quella mediatica. All’inizio si è fatto credere nel
bisogno di libertà e democrazia del popolo siriano e mi chiedo come
si possa concepire un intervento di circa 80 Nazioni per liberare un
popolo dal suo dittatore, laddove vi sono Paesi al mondo con
dittatori ben più feroci di Assad e le cui genti sono ben più
oppresse, per i quali però la comunità internazionale non riesce a
coordinare due Stati per organizzare un intervento. Per quanto
riguarda le minoranze poi, gli effetti della guerra sono uguali per
tutti coloro che condividono la sorte del dolore, ancor più
accentuati dalla disgregazione di famiglie, separate o spezzate nei
loro legami affettivi.
Secondo Lei, come
dovrebbe agire la comunità internazionale?
La comunità
internazionale ha sbagliato i suoi calcoli a livello geopolitico e
solo adesso lo sta ammettendo in maniera discreta, anche se il
silenzio della comunità internazionale è complice per quanto sta
accadendo in Siria così come in Egitto, Libia ed altri Paesi.
Innanzi tutto, sarebbe necessario fermare l’afflusso di combattenti
provenienti da altri Stati, che non c’entrano nulla con la Siria;
la politica non ha una religione, ma ha i suoi interessi, vi sono
Nazioni, che inviano combattenti per sostenere le proprie
motivazioni. I Paesi del Golfo non si esprimono mai ma ritengono di
essere esportatori di democrazia, anche se al loro interno vi sono
evidenti limitazioni, ad esempio per quanto concerne i diritti delle
donne.
Non sarebbe stato più
opportuno, per aiutare la popolazione siriana, favorire le purtroppo
poche organizzazioni o i tanti istituti missionari da sempre presenti
sul posto, anche ad Aleppo, impegnati a distribuire aiuti in modo
competente e imparziale alla popolazione?
La cosa migliore sarebbe
stata certamente quella di evitare la guerra: è uno scandalo prima
vender le armi e poi pensare di inviare aiuti umanitari. Il popolo
siriano non aveva bisogno di aiuto, ma si è dovuto sottomettere agli
interessi della politica internazionale. Se fosse stato speso per
esso solo il 20% di quanto investito in armi, lo si sarebbe potuto
aiutare a fare passi da gigante in molti campi, compiendo notevoli
passi in avanti. Ma questo, evidentemente, alla politica
internazionale non interessava…
Come in Libia, anche in
Siria, le potenze occidentali hanno sostenuto le cause dei cosiddetti
ribelli con il risultato di generare un caos politico e sociale.
Quale soluzione potrebbe portare finalmente ad un cessate il fuoco e
ad un minimo di stabilità?
Gli obiettivi di questa
guerra sono già stati raggiunti, la laicità siriana è andata a
pezzi e ci vorranno decenni per riportare la situazione ad un livello
di normalità, in grado cioè di porre un cristiano ed un musulmano
sullo stesso livello. Quello che mi domando è: è mai possibile
punire una Nazione per un’antipatia verso una sola persona?
Ritiene verosimile la
possibilità della definitiva scomparsa dei cristiani dalla Siria e
dall’Iraq?
Se la guerra continuerà,
certamente non rimarranno molti cristiani, anche se bisogna
distinguere fra giovani e anziani: i primi sono demotivati e dunque
più facilmente disposti ad andare altrove, mentre i secondi sono
ormai legati affettivamente e troverebbero difficile l’idea di
spostarsi in un altro Paese.
La comunità cristiana è
molto attiva, ma dover ricominciare da zero dopo ogni guerra ha
determinato una frustrazione che li ha spinti ad emigrare all’estero.
La Chiesa continua la sua opera ove possibile ossia lì ove il
governo garantisca il proprio controllo.
Cosa pensa dei giovani
provenienti dall’Europa, che si arruolano nell’ISIS ?
Purtroppo anche noi, come comunità internazionale, ci siamo lasciati
sopraffare dalla nostra presunzione di onnipotenza, lamentandoci
della dittatura degli altri senza vedere quella che noi cerchiamo di
imporre con le nostre risorse finanziarie. Frustrare il più debole,
frustrare una popolazione per molti anni, un giorno potrebbe
risvegliare il Caino che ha in sé e spingerla a compiere del male
inimmaginabile. Tanti kamikaze sono nati per questo motivo e sono
disposti in un certo senso a compiere, dal loro punto di vista, un
martirio per vendicarsi della frustrazione subita per tutto questo
tempo.