fra Firas Lutfi: «Un razzo è caduto in un Luna Park causando la morte di molti bambini che si divertivano durante la festa musulmana del sacrificio. L’ospedale davanti al nostro collegio non riusciva a soccorrere tempestivamente tutti i feriti e i mutilati, la maggior parte bambini. Ieri non siamo riusciti a dormire per tutta la notte. Spari e bombardamenti ininterrottamente. Una delle donne impegnate del mio convento ha perso la casa a causa di un missile che ha distrutto praticamente tutto. Abbiamo dovuto sospendere il campo estivo dei nostri ragazzi. Temiamo che questa escalation possa durare lungo tutto questo periodo. Anche il catechismo degli adulti che si tiene ogni lunedì dopo la messa delle ore 18.00 è stato sospeso fino a quando non sarà passato questo periodo di intensi bombardamenti. Insomma, tutto sembra ancora non risolto. Si parla di tregua, ma è un’idea abortita prima che sia stata concepita! Siamo comunque nelle mani del Signore. Pregate per noi affinché il Signore ci conceda la Pace, tanto attesa e sperata». Associazione pro Terra Sancta Intervista al medico di Aleppo Nabil Antaki
Sibialiria, 11 luglio 2016
Decine e decine di morti, per metà bambini. Bambini che erano ammassati, con le loro famiglie, intorno a qualche bancarella di pasticcini o di bevande per festeggiare l' Eid al-Fitr che celebra la fine del Ramaḍan. I “ribelli”, asserragliati nella zona nord di Aleppo, circondati dall’esercito siriano, sapevano benissimo che i loro colpi di mortaio avrebbero provocato una strage di inermi civili; una strage efferata – complici i media di tutto il mondo – da addebitare all’aviazione di Assad , ottenendo così dall’Occidente una qualche No Fly Zone ed evitare la resa subita dai “ribelli” a Homs.
La vendetta dell’opposizione armata contro i civili di Aleppo non si ferma. Jabat al Nusra (al Qaeda in Siria) e l’Esercito siriano libero hanno bersagliato in particolare il quartiere assiro, rileva Al Masdar news. A tal riguardo abbiamo intervistato, via email, Nabil Antaki, medico dei Fratelli maristi, che vive e lavora ad Aleppo. Fra i primi sulla sua pagina Facebook ha documentato (anche con foto) la strage. Qui una sintesi dell’intervista.
Perché c’è silenzio sulla carneficina di civili in questi ultimi giorni, a opera dei gruppi armati dell’opposizione?
Lo vediamo da quattro anni: i media tacciono su quel che accade nella parte di Aleppo che è sotto il controllo dello Stato siriano, e che è la parte più importante per estensione e numero di abitanti. Non parlano delle sofferenze subite dagli abitanti di Aleppo a causa della mancanza di acqua e del bombardamento quotidiano con i mortai, che piovono sui quartieri civili con morti e feriti. Al contrario, riportano copiosamente e spesso con esagerazione quel che accade nei quartieri Est della città sotto il controllo dei gruppi terroristi come Al Nusra. Per questi media e per i loro lettori o spettatori, Aleppo sono solo i quartieri Est.
Quali sono le motivazioni che hanno indotto un certo numero di civili a rimanere nelle aree Est di Aleppo, controllate dagli islamisti?
I civili che vivono nelle zone controllate dai terroristi non sono rimasti là per simpatia con i cosiddetti ribelli. Mezzo milione di aleppini è scappato dai quartieri Est fin dai primi giorni della loro occupazione da parte dei gruppi terroristi. Sono rimasti quelli che o non hanno i mezzi per andar via, e chi teme che quel che ha messo insieme con una vita di lavoro sia saccheggiato e occupato. Ci sono poi i civili che vivono nelle città prese da Daesh (Raqqa, bab, Menbei) : a loro non è consentito andar via (ostaggi o scudi umani ?) e devono, mi hanno raccontato quelli che sono riusciti ad andar via, pagare enormi somme per partire.
I gruppi armati nella parte Est di Aleppo sono dominati da Al Nusra ? In Occidente si parla tuttora di gruppi « moderati »…
Sì, i terroristi che accerchiano Aleppo, la nostra Aleppo fanno parte di Al Nusra e di gruppi affiliati (stessa ideologia, stessi atti barbari), come Ahrar Al Sham o jaish al Islam.
Potrebbero questi gruppi islamisti accettare di essere evacuati come a Homs, dove i ribelli hanno accettato di evacuare sotto la protezione della Croce Rossa Internazionale?
Le due situazioni non sono paragonabili. A Homs occupavano un’area piccola, una specie di fortino al centro della città. Ad Aleppo, non solo interi quartieri ma anche una vasta area intorno alla città la cui perdita significherebbe un’irrimediabile sconfitta militare. E questo organizzazioni come Al Nusra, Ahrar Al Sham o Jaysh Al Islam non se lo possono permettere. Questa opposizione armata è composta al 90% da terroristi islamisti che non vogliono negoziare né prender parte a un governo di transizione. Vogliono rovesciare il governo e instaurare un regime islamico. Bombardando i civili, vogliono creare terrore.
La rinnovata richiesta di « corridoi umanitari » non è per caso un escamotage ?
Sì. Ogni volta che i gruppi armati o i loro alleati occidentali vogliono sabotare i negoziati, invocano i corridoi umanitari.
Che cosa vuol dire il «governo di unità nazionale» di cui si parla?
Un governo di unità nazionale vuol dire rappresentanti del governo attuale (soprattutto il partito Baath), e rappresentanti della maggioranza silenziosa che vive in Siria, subisce la guerra, è contro i terroristi senza necessariamente essere fan del governo, e infine gli oppositori democratici, veramente democratici.
Il Papa nel suo messaggio ha detto che la pace è possibile… ma come? Quali sono le condizioni della pace, che il Papa non ha esplicitato?
Credo che il pontefice abbia enunciato un principio generale. Non penso che abbia informazioni non divulgate che lo inducano a parlare di una pace possibile. Penso che sia indispensabile sradicare i terroristi e tagliare i legami che hanno all’estero. I piromani devono diventare pompieri perché una soluzione politica possa vedere la luce del giorno. La Turchia deve smettere il suo sostegno ai terroristi e impedire il loro passaggio in Siria, Qatar e Arabia saudita devono cessare di elargire denaro e mezzi. I governi occidentali devono collaborare con l’esercito siriano (e l’aviazione russa) per combatterli sul campo. Una volta sbaragliati i terroristi, si potrà avviare un processo democratico. Visto che il conflitto è stato determinato dall’esterno, una soluzione politica non può essere realizzata senza la collaborazione di chi ha messo la Siria a ferro e fuoco. E occorre abolire le sanzioni che da cinque anni stanno affamando la popolazione siriana. Ma non credo a una soluzione militare a favore del governo; gli occidentali non lo permetterebbero. E non vedo per ora l’inizio di una soluzione negoziale. Con la Brexit e le elezioni statunitensi, gli occidentali sono occupati. Temo che la tragedia in Siria diventerà infinita…dura già da cinque anni.
C’è perfino lo scenario della partition della Siria…
…sarebbe uno scenario ottimo per Israele: l’intera regione divisa in Stati confessionali ed etnici. Ma sembra poco possibile perché la Turchia non permetterebbe la creazione di uno Stato kurdo ai suoi confini meridionali, uno Stato che si unirebbe con il Kurdistan iracheno. La Siria era il paese più stabile della regione e coloro i quali ha pianificato questa guerra hanno scatenato un processo del quale nemmeno loro conoscono la fine: l’impantanarsi nel caos? La divisione? Uno Stato islamista? Mons. Abou Khazen: il fronte è altrove, si tratta di attacchi sferrati dai ribelli verso i quartieri governativi “per spirito di vendetta”. Il vicariato ferma le attività e i campi estivi per i ragazzi; resta aperta solo la chiesa per la preghiera e le funzioni.
AsiaNews, 12 luglio 2016
Ormai non si tratta più di una guerra, ma di un terribile “spargimento di sangue” nel contesto di una escalation di violenze “che fa davvero paura”; in città non vi è uno scontro fra due fazioni in lotta, fra due eserciti ma “si assiste solo al bombardamento di civili inermi”. È quanto racconta ad AsiaNews mons. Georges Abou Khazen, vicario apostolico di Aleppo dei Latini, una realtà segnata da anni di guerre e violenze e da qualche tempo diventata l’epicentro del conflitto siriano.
Per tutta la giornata di ieri dal quartiere est in mano ai ribelli sono partiti missili e razzi che hanno colpito in vari punti la zona occidentale, controllata dall’esercito governativo. “Oggi è un po’ più tranquillo - aggiunge il prelato - ma è una situazione di calma apparente. Non vi sono accordi, non vi sono trattative fra le parti e vi saranno presto nuovi bombardamenti”.
Raggiunto da AsiaNews il vicario apostolico di Aleppo parla di “pesanti bombardamenti” che si sono susseguiti “per tutta la giornata di ieri”. I missili “hanno colpito anche il nostro centro pastorale” aggiunge, per fortuna “senza fare vittime, come purtroppo è avvenuto da altre parti”. Per motivi di sicurezza, sottolinea mons. Georges, il vicariato “ha sospeso tutte le attività in programma, a partire dai momenti di gioco e di svago per i ragazze”. Resta aperta, precisa il prelato, “solo la chiesa perché i fedeli possano entrare e pregare o partecipare alle funzioni. Tutto il resto, al momento, è fermo”. “Purtroppo - conclude il vicario di Aleppo - qui non siamo di fronte ad uno scontro fra due eserciti, perché il fronte è da un’altra parte. Qui si tratta di attacchi contro civili inermi per puro spirito di vendetta, con armi sempre più sofisticate”.
|
Traduci
martedì 12 luglio 2016
Testimonianze da Aleppo: «Strage di bambini mentre il mondo tace»
lunedì 11 luglio 2016
Padre Ibrahim Alsabbagh: la guerra in Siria è per il potere in Medio Oriente
La situazione di Aleppo e della Siria nelle parole di fra ibrahim a R. Vaticana:
"Siamo
proprio nel mirino del caos, perché non si trova una via d’uscita
diplomatica e neanche militare."
D.
– Cosa blocca la pace?
R.
– La mancanza di un accordo internazionale. Come diceva il Papa, è
una guerra mondiale a pezzi in Medio Oriente, è più che una guerra
civile. Quindi, per arrivare a una pace bisogna arrivare a un accordo
ed è quello che ci manca oggi.
D.
– Che interessi si confrontano, in Siria?
R.
– Prima di tutto, l’interesse economico, che è molto importante,
perché ci sono questi grandissimi pozzi di petrolio e di gas. Ma
oltre a questo e legato all’elemento economico c’è la posizione
geografica della Siria e il passaggio del gas: è la fonte di quel
passaggio del gas che è argomento di discussione tra diversi Paesi.
Poi, c’è l’elemento religioso: dal mio personale punto di vista
è soltanto secondario. Il primo è l’elemento economico e legato a
questo c’è un altro elemento imponente, che è quello del dominio,
del potere: chi dovrà controllare tutto il Medio Oriente …
D.
– Qual è la situazione sul campo?
R.
– Sempre secondo il mio punto di vista, la Siria si trova divisa,
oggi; divisa in diverse grandi parti. C’è a ovest la forza
dell’esercito regolare, ma poi anche la parte della Russia, mentre
nel nordest c’è la presenza di curdi e la presenza, anche,
dell’Isis. Noi ad Aleppo, con la nostra posizione siamo al centro,
nell’occhio del ciclone, a una distanza di 70 km dalla frontiera
turca, lunga oltre 240 km, da dove passa oggi il 55% di questi gruppi
militari.
D.
– La Turchia, quindi, lascia passare questi gruppi paramilitari?
R.
– Non sappiamo se con intenzione o se ha la difficoltà che ha
dichiarato in passato di controllare tutta questa lunga frontiera. Ma
il dato di fatto è che il 95% di questi gruppi militari organizzati,
armati fino ai denti passano di là ogni volta che l’esercito
regolare vuole fare qualche mossa.
D.
– Chi sono questi gruppi paramilitiari? Chi li arma?
R.
– E’ quella la domanda fa, oggi, a tutto il mondo e insiste molto
su questo elemento. Perché un “mostro” – o diversi “mostri”
di decine di migliaia di persone addestrate e organizzata e armate –
un mostro simile non può essere creato senza un padre e una madre. E
la domanda dell’origine è proprio questa. Oggi tantissimi Paesi
fanno la guerra in delega: alcuni di questi Paesi fanno la delega a
questi gruppi armati.
D.
– Aleppo in che situazione è, in questo momento?
R.
– La città è divisa: da una parte, nella parte est, ci sono
questi gruppi militari e dall’altra parte noi, come comunità
cristiane, viviamo nella parte ovest con le diverse altre comunità,
sia quella sunnita sia quella sciita, sia quella dei curdi, come
abbiamo vissuto una volta. E questa parte ovest è controllata
dall’esercito regolare, però è praticamente circondata da questi
gruppi di militari che di continuo lanciano i missili sulla
popolazione: sulle chiese, sulle moschee, sugli ospedali, sulle
scuole e sulle abitazioni della povera gente e sulle strade.
D.
– Chi ha interesse a cancellare la Siria?
R.
– Direi che ci sono tante parti che hanno interesse. Posso dire
soltanto che chi ha interesse di continuare questa guerra è in
numero maggiore di chi ha interesse a fare la pace. Sono stati spesi
miliardi e miliardi per far avanzare questa guerra. E quelli che
hanno interesse in questa guerra, sono in numero maggiore di quelli
che hanno interesse a far pace.
D.
– Colpisce tutto il popolo siriano, non soltanto la popolazione
cristiana…
R.
– Certamente. Tante volte ci sentiamo bersaglio per esempio dei
colpi di missili come popolo. Qualche volta, però, sentiamo un odio
mirato contro i cristiani.
sabato 9 luglio 2016
Lettera da Aleppo, a ferro e fuoco
8 luglio '16: 24 civili morti tra cui 12 bambini e più di 140 feriti, per i missili lanciati dai miliziani jihadisti sulle zone governative della città. |
La
guerra ci invade.
Si
siede a tavola con noi, entra nei nostri cuori e spiriti. Si invita
nel nostro quotidiano e lo trasforma…
C’è
la guerra
Ci
annuncia la sofferenza e la morte. Ci annuncia che bisogna odiare,
distruggere ponti e relazioni…
C’è
la guerra
I
suoi motori funzionano a pieno regime, i suoi tamburi hanno un suono
forte
Viene
a trasformare le nostre notti in un lampo e il calore dei nostri
giorni in una fornace…
C’è
la guerra
Sporca
le nostre mani…
Obbliga
tanti ragazzi che erano innocenti a prendere le armi, sparare,
bombardare, uccidere e sopprimere l’altro…
C’è
la guerra
Si
è messa alla guida di marchingegni infernali
Viaggia
verso destini di morte
Non
si ferma
Vomita
la morte e continua a marciare blaterando.
C’è
la guerra
Raduna
i giovani in camionette, stretti come scatole di sardine,
ammucchiati, bruciati dalla voglia di uccidere. Non arriverà loro
l’eco delle lacrime delle madri, delle urla dei bambini…
Giocheranno
a fare gli eroi
Alcuni
festeggeranno nelle ambulanze
Altri
faranno festa coricati sulle rovine della non vita.
C’è
la guerra.
Viene a
dirci: «Non vi lascio, vi amo tanto, ho voglia
di voi. Vi invito al mio banchetto, non perdete l’appuntamento.»
Ecco
l’indirizzo: Aleppo, via della Vergogna, palazzo della Miseria,
piano della Sofferenza.
La
guerra è il nostro quotidiano.
Noi
rifiutiamo di partecipare al suo banchetto. Scegliamo la vita.
Scegliamo l’altro, nella sua miseria e nella sua volontà di vivere
e sopravvivere.
Per
ogni bambino, ogni donna e ogni uomo, per tutti coloro che soffrono a
causa di questa guerra, scegliamo di tendere la nostra mano,
costruire un ponte, abbattere un muro di vergogna e di esclusione.
Scegliamo di dare, di darci. Scegliamo di essere strumento del dono
di Dio. Scegliamo il sentiero che porta alla vita.
Mohammed
è un bambino del progetto «Voglio imparare». Dalla fine dell’anno
scolastico, lavora. Come tutti i giorni mi ha appena chiamato per
avere nostre notizie.
Mercoledì 1 giugno 2016 (giornata mondiale di preghiera per i bambini siriani), ho scritto per lui il messaggio che segue.
Mercoledì 1 giugno 2016 (giornata mondiale di preghiera per i bambini siriani), ho scritto per lui il messaggio che segue.
«Ci
hai appena rinfrancati, alla fonte della pace: “Buongiorno, vorrei
parlare con frère George!”. Non dimenticherò mai la tua voce. Mi
chiamavi per chiedere notizie, per sapere se stavamo bene. In realtà,
avrei dovuto farlo io piuttosto. Chiamarti e chiederti: «Come avete
passato la notte? Siete stati in cantina? Per caso è caduto un colpo
di mortaio vicino alla vostra casa? Come stanno Omar e Doha? Hanno
dormito? E tu, piccolo amico di dieci anni, come stai? Hai avuto di
che mangiare oggi? Sei andato a prendere l’acqua per lavarvi e
pulire la casa? Quanti bidoni hai portato? E il pane, chi è andato a
cercarlo? E poi come fate per il gas?
So che
stai lavorando. Non mi scandalizzo per questo. So che lavorando, tu e
tuo fratello, aiutate la mamma. Lavorare tanto. Più di dieci ore al
giorno. Da quando è finito il progetto educativo, tu lavori…Non
oso dire niente. Per provvedere ai bisogni minimi della famiglia,
dovete lavorare. Il tuo sorriso rimane. Illumini la nostra vita.
Vieni a dirci la felicità del mondo. Vieni a rinfrancarci alla fonte
della pace.
Buongiorno
Mohammad, voglio annunciarti la buona novella: oggi sei presente
nella preghiera di tanti amici. Non solo tu, ma tutti i bambini della
Siria. Penso a Georges, il piccolo che è stato appena battezzato, a
Elias che è stato ucciso da un mortaio, a Hussein che è andato via,
lontano dall’inferno di Aleppo. Penso a Israa che era tanto triste
quando ha dovuto lasciare la scuola materna dei maristi. Penso ai
bambini che tutti i giorni vengono a mangiare da noi, a Moufid, sua
mamma mi ha appena confidato che il piccolo ha una fobia che lo
paralizza, penso agli uni o agli altri bambini epilettici e a tanti
altri i cui genitori vengono a chiedere aiuto…Mohammed, tu e tanti
altri, siete il centro del mondo. Molte persone nel mondo stanno
pregando per voi in questo momento.
E noi i
Maristi, che sogniamo con te un mondo di pace e giustizia, vogliamo
dirtelo: per te continueremo il cammino della solidarietà; per te
costruiremo un mondo senza guerre, faremo il possibile perché la tua
vita sia un canto alla pace!»
Per
lui, per i suoi genitori e per tante famiglie, queste scelte si
traducono nei nostri diversi progetti.
I
panieri alimentari sono regolarmente distribuiti. Ogni famiglia
riceve anche un paniere sanitario e 4.000 lire che coprono
l’abbonamento per un mese a un generatore di elettricità.
All’inizio dell’estate ogni membro delle famiglie che seguiamo ha
ricevuto un paio di calzature nuove.
Il
progetto «civili feriti di guerra» ha potuto salvare in
quest’ultimo mese molte persone colpite dai proiettili di mortaio
piovuti in abbondanza.
Malgrado
le difficoltà di approvvigionamento riguardo al latte, soprattutto
quello per i bambini di meno di un anno, siamo riusciti ad
assicurarlo regolarmente ai destinatari del programma «goccia di
latte».
Molte
famiglie vengono a chiederci un sostegno per trovare una casa in
affitto, quando sono obbligate a lasciare il quartiere diventato
troppo rischioso.
La
città ha subito diverse penurie idriche. Le nostre quattro
camionette percorrono i quartieri e distribuiscono periodicamente 500
litri per ogni appartamento.
Dopo un
periodo di sosta per il mese del ramadan, il progetto «Mit» lancia
un nuovo programma di formazione per i mesi di luglio e agosto.
I
bambini di «Voglio imparare» hanno trascorso una settimana di
vacanze in colonia. Per la prima volta.
I
giovani adolescenti hanno ripreso le attività nel quadro del
progetto «Skill School». Una possibilità di «sognare ed essere
creativi».
Il 6
giugno abbiamo inaugurato il nostro nuovo Spazio-Estate dove tutti i
pomeriggi un centinaio di famiglie viene da noi, a rinfrancarsi. I
bambini usano il campo da giochi che abbiamo appena risistemato, gli
adulti si ritrovano per respirare un po’ d’aria fresca, prendere
un caffè e soprattutto stare in un luogo sicuro.
Voglio
terminare con le parole di Frère Emili, il nostro superiore
generale, il quale rivolto ai ragazzi della «Skill School» ha
detto:
«Voi, ragazzi, siete chiamati ad ascoltare i vostri cuori per scoprire quale sia il vostro sogno… Avete bisogno di momenti di silenzio. Non lasciate che i signori della guerra rubino i vostri sogni!»
«Voi, ragazzi, siete chiamati ad ascoltare i vostri cuori per scoprire quale sia il vostro sogno… Avete bisogno di momenti di silenzio. Non lasciate che i signori della guerra rubino i vostri sogni!»
Aleppo, 27 giugno 2016,
Frère Georges SABE
per i Maristi blu
Frère Georges SABE
per i Maristi blu
giovedì 7 luglio 2016
Amnesty International denuncia rapimenti, torture e uccisioni sommarie da parte dei gruppi armati ribelli sostenuti da Occidente
Amnesty International ha denunciato oggi un'agghiacciante ondata di rapimenti, torture e uccisioni sommarie da parte dei gruppi armati che agiscono nelle province di Aleppo, Idlib e in altre zone del nord della Siria.
Alcuni di questi gruppi, nonostante si rendano responsabili di violazioni delle leggi di guerra, sono sostenuti da paesi quali Arabia Saudita, Qatar, Stati Uniti d'America e Turchia.
La denuncia di Amnesty International fornisce una fotografia di come si vive nelle zone controllate dai gruppi armati, in cui sono state create istituzioni amministrative e semi-giudiziarie. "Buona parte della popolazione vive nel terrore di subire rapimenti se vengono espresse critiche verso i gruppi armati o non ci si conforma alle rigide regole da questi imposte" - ha spiegato Philip Luther, direttore del programma Medio Oriente e Africa del Nord di Amnesty International.
"Oggi ad Aleppo e Idlib i gruppi armati sono liberi di commettere crimini di guerra e altre violazioni del diritto internazionale umanitario nella più completa impunità, ricorrendo persino agli stessi metodi di tortura utilizzati abitualmente dal governo siriano" - ha proseguito Luther. "Gli stati che fanno parte del Gruppo internazionale di supporto alla Siria, tra cui Arabia Saudita, Qatar, Stati Uniti d'America e Turchia, devono sollecitare i gruppi armati a porre fine agli abusi e a rispettare le leggi di guerra e devono inoltre cessare di fornire armi o altre forme di sostegno a gruppi implicati in crimini di guerra e altre gravi violazioni dei diritti umani" - ha dichiarato Luther.
Il documento reso pubblico oggi da Amnesty International si concentra sull'operato di cinque gruppi armati che, dal 2012, controllano parti delle province di Aleppo e Idlib: il Movimento Nour al-Dine Zinki, il Fronte al-Shamia, la Divisione 16, il Fronte al-Nusra e il Movimento islamico Ahrar al-Sham di Idlib. Questi gruppi, in diversi momenti del 2015, si sono aggregati alla coalizione Conquista di Aleppo (Fatah Halab).
Alcuni di questi gruppi, come il Fronte al-Nusra, il Fronte al-Shamia e il Movimento islamico Ahrar al-Sham hanno istituito un loro "sistema giudiziario" basato sulla legge islamica (shari'a), che si avvale di uffici della procura, forze di polizia e centri di detenzione. I "giudici", in alcuni casi, non hanno alcun rudimento della shari'a. Il Fronte al-Nusra e il Movimento islamico Ahrar al-Sham, applicando una rigida interpretazione della shari'a, hanno introdotto sanzioni equivalenti a maltrattamenti e torture.
Il documento di Amnesty International descrive i casi di 24 persone rapite tra il 2012 e il 2016 nelle zone di Aleppo e Idlib (tra cui attivisti pacifici, esponenti delle minoranze religiose e persino minorenni) e cinque casi di persone torturate dopo il rapimento, tra il 2014 e il 2015, da parte del Fronte al-Nusra e del Movimento Nour al-Dine Zinki.
Rapimenti e torture
"Ibrahim" (i nomi reali sono celati per motivi di sicurezza), un attivista politico rapito nell'aprile 2015 ad Aleppo dal Fronte al-Nusra, ha raccontato di essere stato torturato per tre giorni di seguito. Ritiene di essere stato preso di mira per aver organizzato manifestazioni pacifiche a sostegno della rivolta del 2011.
"Mi hanno portato nella stanza delle torture. Mi hanno appeso al soffitto per le caviglie, a testa in giù, nella posizione dello 'shabeh' [sospensione] e mi hanno picchiato su ogni parte del corpo. Poi sono passati alla tecnica del 'dulab' [pneumatico]: hanno stretto il mio corpo fino a farlo entrare all'interno di uno pneumatico e mi hanno colpito con bastoni di legno". L'uomo è stato successivamente rilasciato e abbandonato sul bordo di una strada.
"Halim", un operatore umanitario, è stato rapito dal Movimento Nour al-Dine Zinki nel luglio 2014 mentre stava supervisionando un progetto ospedaliero ad Aleppo. Lo hanno tenuto in completo isolamento per circa due mesi e lo hanno costretto a "confessare" sotto tortura: "Ogni volta che rifiutavo di firmare la guardia ordinava di torturarmi con la tecnica del 'bisat ah-rih' [tappeto volante]. Mentre avevo le mani sopra la testa, mi sollevavano le gambe in posizione perpendicolare e poi iniziavano a picchiarmi sulle piante dei piedi. Quando non ce l'ho fatta più, ho deciso di firmare".
Alcuni dei giornalisti e dei media-attivisti locali che raccolgono informazioni sulle violazioni dei diritti umani hanno raccontato di essere stati rapiti perché avevano criticato l'operato dei gruppi armati. Molti di loro sono stati poi rilasciati, a quanto pare a seguito delle proteste della popolazione.
"Issa", un media-attivista di 24 anni, ha cessato di pubblicare post su Facebook dopo aver ricevuto minacce dal Fronte al-Nusra. "Loro controllano quello che possiamo e non possiamo dire. O accetti le loro regole sociali o svanisci nel nulla. Negli ultimi due anni, quelli del Fronte al-Nusra mi hanno minacciato tre volte dopo che li avevo criticati su Facebook".
"Imad", un altro media-attivista, ha descritto il raid compiuto dal Fronte al-Nusra nel gennaio 2016 negli studi di Radio Fresh, nella provincia di Idlib. Due persone che lavoravano nella radio sono state rapite e trattenute per due giorni solo perché avevano mandato in onda musica giudicata offensiva nei confronti dell'Islam. I media-attivisti di Aleppo hanno raccontato di aver ricevuto minacce scritte e a voce da parte del Fronte al-Shamia e del Movimento Nour al-Dine Zinki per aver criticato questi gruppi armati o averli accusati di corruzione su Facebook.
Avvocati, attivisti politici e altre persone sono finite nel mirino del Fronte al-Shamia, del Fronte al-Nusra e del Movimento islamico Ahrar al-Sham a causa delle loro attività, delle opinioni politiche o della fede religiosa.
"Bassel", un avvocato di Idlib, è stato rapito nella sua abitazione nel novembre 2015 dopo che aveva criticato il Fronte al-Nusra. "Ero felice di essere libero dalle ingiustizie del governo siriano ma ora è peggio. Avevo scritto sul mio profilo Facebook un post critico nei confronti del Fronte al-Nusra. La mattina dopo sono venuti a prendermi".
L'avvocato è stato tenuto per 10 giorni in una casa abbandonata ed è stato liberato solo dopo essere stato costretto a lasciare la professione; in caso contrario, non avrebbe più rivisto i suoi familiari.
Un'attivista politica ha raccontato ad Amnesty International di essere stata rapita a un posto di blocco del Movimento islamico Ahrar al-Sham perché non indossava il velo ed era dunque sospettata di essere legata al governo siriano.
Amnesty International ha documentato anche i rapimenti di almeno tre minorenni di 14, 15 e 16 anni da parte del Fronte al-Nusra e del Movimento islamico Ahrar al-Sham, tra il 2012 e il 2015. Al 28 giugno 2016, due di loro risultavano ancora scomparsi.
Curdi del quartiere aleppino di Sheikh Maqsoud e sacerdoti cristiani sono stati rapiti a causa della loro religione. "Tutti i gruppi armati, soprattutto quelli che operano nelle province di Aleppo e Idlib, devono rilasciare immediatamente e senza condizioni tutte le persone trattenute solo a causa delle loro opinioni politiche, della loro religione o della loro etnia" - ha affermato Luther.
"I leader dei gruppi armati che operano nel nord della Siria hanno il dovere di porre fine alle violazioni del diritto internazionale umanitario, compresi i crimini di guerra. Devono condannare pubblicamente queste azioni e rendere noto ai loro subordinati che tali crimini non saranno tollerati" - ha proseguito Luther.
Uccisioni sommarie
Il documento di Amnesty International contiene prove di uccisioni sommarie compiute dal Fronte al-Nusra, dal Fronte al-Shamia, dai "tribunali" affiliati a questi gruppi o dal Consiglio supremo giudiziario, un organismo che ha sede nella provincia di Aleppo e la cui competenza è riconosciuta da svariati gruppi armati come l'unica autorità giudiziaria locale.
L'elenco delle persone uccise comprende un ragazzo di 17 anni accusato di essere omosessuale, una donna accusata di adulterio, soldati dell'esercito siriano o membri delle "shabiha" (le milizie filo-governative), combattenti dello Stato islamico e di altre formazioni armate rivali. In alcuni casi, le uccisioni avvengono in pubblico di fronte alla folla. L'uccisione deliberata di persone fatte prigioniere è vietata dal diritto internazionale umanitario e costituisce un crimine di guerra.
"Saleh", arrestato dal Fronte al-Nusma nel dicembre 2014, ha raccontato di aver incrociato cinque donne accusate di adulterio che, secondo una guardia, sarebbero state "perdonate solo con la morte". In seguito ha visto un video in cui uomini del Fronte al-Nusra mettevano a morte una delle donne in pubblico. Secondo il Codice unico arabo, una serie di norme basate sulla shari'a seguite dal Consiglio supremo giudiziario e dal "tribunale" del Fronte al-Shamia, determinati reati come l'omicidio e l'apostasia sono punibili con la morte.
"Emettere ed eseguire sentenze senza il giudizio di un tribunale regolarmente costituito e in assenza di garanzie giudiziarie è una grave violazione del diritto internazionale umanitario, equivalente a un crimine di guerra" - ha commentato Luther.
Negli ultimi cinque anni, Amnesty International ha ampiamente documentato i crimini di guerra e contro l'umanità commessi su scala massiccia dalle forze governative siriane così come gravi violazioni del diritto internazionale umanitario, crimini di guerra inclusi, ad opera dello Stato islamico e di altri gruppi armati.
"Sebbene alcune parti della popolazione civile nelle aree finite nelle mani dei gruppi armati di opposizione possa aver inizialmente esultato per la fine del brutale dominio del governo siriano, le speranze che quei gruppi armati avrebbero rispettato i diritti umani sono svanite man mano che assumevano il controllo della situazione" - ha spiegato Luther. "Ora è fondamentale che nel corso dei colloqui di Ginevra Russia, Stati Uniti e l'Inviato speciale delle Nazioni Unite in Siria si concentrino sulla situazione delle persone detenute nelle carceri governative e di quelle rapite dai gruppi armati. Da parte sua, il Consiglio di sicurezza dovrebbe imporre sanzioni mirate nei confronti dei capi dei gruppi armati responsabili di crimini di guerra".
FINE DEL COMUNICATO
Roma, 5 luglio 2016
link al rapporto completo: http://www.amnesty.it/flex/cm/pages/ServeAttachment.php/L/IT/D/0%252F8%252F2%252FD.dc86ee198b8d0f062e8a/P/BLOB%3AID%3D8459
Alcuni di questi gruppi, nonostante si rendano responsabili di violazioni delle leggi di guerra, sono sostenuti da paesi quali Arabia Saudita, Qatar, Stati Uniti d'America e Turchia.
La denuncia di Amnesty International fornisce una fotografia di come si vive nelle zone controllate dai gruppi armati, in cui sono state create istituzioni amministrative e semi-giudiziarie. "Buona parte della popolazione vive nel terrore di subire rapimenti se vengono espresse critiche verso i gruppi armati o non ci si conforma alle rigide regole da questi imposte" - ha spiegato Philip Luther, direttore del programma Medio Oriente e Africa del Nord di Amnesty International.
"Oggi ad Aleppo e Idlib i gruppi armati sono liberi di commettere crimini di guerra e altre violazioni del diritto internazionale umanitario nella più completa impunità, ricorrendo persino agli stessi metodi di tortura utilizzati abitualmente dal governo siriano" - ha proseguito Luther. "Gli stati che fanno parte del Gruppo internazionale di supporto alla Siria, tra cui Arabia Saudita, Qatar, Stati Uniti d'America e Turchia, devono sollecitare i gruppi armati a porre fine agli abusi e a rispettare le leggi di guerra e devono inoltre cessare di fornire armi o altre forme di sostegno a gruppi implicati in crimini di guerra e altre gravi violazioni dei diritti umani" - ha dichiarato Luther.
Il documento reso pubblico oggi da Amnesty International si concentra sull'operato di cinque gruppi armati che, dal 2012, controllano parti delle province di Aleppo e Idlib: il Movimento Nour al-Dine Zinki, il Fronte al-Shamia, la Divisione 16, il Fronte al-Nusra e il Movimento islamico Ahrar al-Sham di Idlib. Questi gruppi, in diversi momenti del 2015, si sono aggregati alla coalizione Conquista di Aleppo (Fatah Halab).
Alcuni di questi gruppi, come il Fronte al-Nusra, il Fronte al-Shamia e il Movimento islamico Ahrar al-Sham hanno istituito un loro "sistema giudiziario" basato sulla legge islamica (shari'a), che si avvale di uffici della procura, forze di polizia e centri di detenzione. I "giudici", in alcuni casi, non hanno alcun rudimento della shari'a. Il Fronte al-Nusra e il Movimento islamico Ahrar al-Sham, applicando una rigida interpretazione della shari'a, hanno introdotto sanzioni equivalenti a maltrattamenti e torture.
Il documento di Amnesty International descrive i casi di 24 persone rapite tra il 2012 e il 2016 nelle zone di Aleppo e Idlib (tra cui attivisti pacifici, esponenti delle minoranze religiose e persino minorenni) e cinque casi di persone torturate dopo il rapimento, tra il 2014 e il 2015, da parte del Fronte al-Nusra e del Movimento Nour al-Dine Zinki.
Rapimenti e torture
"Ibrahim" (i nomi reali sono celati per motivi di sicurezza), un attivista politico rapito nell'aprile 2015 ad Aleppo dal Fronte al-Nusra, ha raccontato di essere stato torturato per tre giorni di seguito. Ritiene di essere stato preso di mira per aver organizzato manifestazioni pacifiche a sostegno della rivolta del 2011.
"Mi hanno portato nella stanza delle torture. Mi hanno appeso al soffitto per le caviglie, a testa in giù, nella posizione dello 'shabeh' [sospensione] e mi hanno picchiato su ogni parte del corpo. Poi sono passati alla tecnica del 'dulab' [pneumatico]: hanno stretto il mio corpo fino a farlo entrare all'interno di uno pneumatico e mi hanno colpito con bastoni di legno". L'uomo è stato successivamente rilasciato e abbandonato sul bordo di una strada.
"Halim", un operatore umanitario, è stato rapito dal Movimento Nour al-Dine Zinki nel luglio 2014 mentre stava supervisionando un progetto ospedaliero ad Aleppo. Lo hanno tenuto in completo isolamento per circa due mesi e lo hanno costretto a "confessare" sotto tortura: "Ogni volta che rifiutavo di firmare la guardia ordinava di torturarmi con la tecnica del 'bisat ah-rih' [tappeto volante]. Mentre avevo le mani sopra la testa, mi sollevavano le gambe in posizione perpendicolare e poi iniziavano a picchiarmi sulle piante dei piedi. Quando non ce l'ho fatta più, ho deciso di firmare".
Alcuni dei giornalisti e dei media-attivisti locali che raccolgono informazioni sulle violazioni dei diritti umani hanno raccontato di essere stati rapiti perché avevano criticato l'operato dei gruppi armati. Molti di loro sono stati poi rilasciati, a quanto pare a seguito delle proteste della popolazione.
"Issa", un media-attivista di 24 anni, ha cessato di pubblicare post su Facebook dopo aver ricevuto minacce dal Fronte al-Nusra. "Loro controllano quello che possiamo e non possiamo dire. O accetti le loro regole sociali o svanisci nel nulla. Negli ultimi due anni, quelli del Fronte al-Nusra mi hanno minacciato tre volte dopo che li avevo criticati su Facebook".
"Imad", un altro media-attivista, ha descritto il raid compiuto dal Fronte al-Nusra nel gennaio 2016 negli studi di Radio Fresh, nella provincia di Idlib. Due persone che lavoravano nella radio sono state rapite e trattenute per due giorni solo perché avevano mandato in onda musica giudicata offensiva nei confronti dell'Islam. I media-attivisti di Aleppo hanno raccontato di aver ricevuto minacce scritte e a voce da parte del Fronte al-Shamia e del Movimento Nour al-Dine Zinki per aver criticato questi gruppi armati o averli accusati di corruzione su Facebook.
Avvocati, attivisti politici e altre persone sono finite nel mirino del Fronte al-Shamia, del Fronte al-Nusra e del Movimento islamico Ahrar al-Sham a causa delle loro attività, delle opinioni politiche o della fede religiosa.
"Bassel", un avvocato di Idlib, è stato rapito nella sua abitazione nel novembre 2015 dopo che aveva criticato il Fronte al-Nusra. "Ero felice di essere libero dalle ingiustizie del governo siriano ma ora è peggio. Avevo scritto sul mio profilo Facebook un post critico nei confronti del Fronte al-Nusra. La mattina dopo sono venuti a prendermi".
L'avvocato è stato tenuto per 10 giorni in una casa abbandonata ed è stato liberato solo dopo essere stato costretto a lasciare la professione; in caso contrario, non avrebbe più rivisto i suoi familiari.
Un'attivista politica ha raccontato ad Amnesty International di essere stata rapita a un posto di blocco del Movimento islamico Ahrar al-Sham perché non indossava il velo ed era dunque sospettata di essere legata al governo siriano.
Amnesty International ha documentato anche i rapimenti di almeno tre minorenni di 14, 15 e 16 anni da parte del Fronte al-Nusra e del Movimento islamico Ahrar al-Sham, tra il 2012 e il 2015. Al 28 giugno 2016, due di loro risultavano ancora scomparsi.
Curdi del quartiere aleppino di Sheikh Maqsoud e sacerdoti cristiani sono stati rapiti a causa della loro religione. "Tutti i gruppi armati, soprattutto quelli che operano nelle province di Aleppo e Idlib, devono rilasciare immediatamente e senza condizioni tutte le persone trattenute solo a causa delle loro opinioni politiche, della loro religione o della loro etnia" - ha affermato Luther.
"I leader dei gruppi armati che operano nel nord della Siria hanno il dovere di porre fine alle violazioni del diritto internazionale umanitario, compresi i crimini di guerra. Devono condannare pubblicamente queste azioni e rendere noto ai loro subordinati che tali crimini non saranno tollerati" - ha proseguito Luther.
Uccisioni sommarie
Il documento di Amnesty International contiene prove di uccisioni sommarie compiute dal Fronte al-Nusra, dal Fronte al-Shamia, dai "tribunali" affiliati a questi gruppi o dal Consiglio supremo giudiziario, un organismo che ha sede nella provincia di Aleppo e la cui competenza è riconosciuta da svariati gruppi armati come l'unica autorità giudiziaria locale.
L'elenco delle persone uccise comprende un ragazzo di 17 anni accusato di essere omosessuale, una donna accusata di adulterio, soldati dell'esercito siriano o membri delle "shabiha" (le milizie filo-governative), combattenti dello Stato islamico e di altre formazioni armate rivali. In alcuni casi, le uccisioni avvengono in pubblico di fronte alla folla. L'uccisione deliberata di persone fatte prigioniere è vietata dal diritto internazionale umanitario e costituisce un crimine di guerra.
"Saleh", arrestato dal Fronte al-Nusma nel dicembre 2014, ha raccontato di aver incrociato cinque donne accusate di adulterio che, secondo una guardia, sarebbero state "perdonate solo con la morte". In seguito ha visto un video in cui uomini del Fronte al-Nusra mettevano a morte una delle donne in pubblico. Secondo il Codice unico arabo, una serie di norme basate sulla shari'a seguite dal Consiglio supremo giudiziario e dal "tribunale" del Fronte al-Shamia, determinati reati come l'omicidio e l'apostasia sono punibili con la morte.
"Emettere ed eseguire sentenze senza il giudizio di un tribunale regolarmente costituito e in assenza di garanzie giudiziarie è una grave violazione del diritto internazionale umanitario, equivalente a un crimine di guerra" - ha commentato Luther.
Negli ultimi cinque anni, Amnesty International ha ampiamente documentato i crimini di guerra e contro l'umanità commessi su scala massiccia dalle forze governative siriane così come gravi violazioni del diritto internazionale umanitario, crimini di guerra inclusi, ad opera dello Stato islamico e di altri gruppi armati.
"Sebbene alcune parti della popolazione civile nelle aree finite nelle mani dei gruppi armati di opposizione possa aver inizialmente esultato per la fine del brutale dominio del governo siriano, le speranze che quei gruppi armati avrebbero rispettato i diritti umani sono svanite man mano che assumevano il controllo della situazione" - ha spiegato Luther. "Ora è fondamentale che nel corso dei colloqui di Ginevra Russia, Stati Uniti e l'Inviato speciale delle Nazioni Unite in Siria si concentrino sulla situazione delle persone detenute nelle carceri governative e di quelle rapite dai gruppi armati. Da parte sua, il Consiglio di sicurezza dovrebbe imporre sanzioni mirate nei confronti dei capi dei gruppi armati responsabili di crimini di guerra".
FINE DEL COMUNICATO
Roma, 5 luglio 2016
link al rapporto completo: http://www.amnesty.it/flex/cm/pages/ServeAttachment.php/L/IT/D/0%252F8%252F2%252FD.dc86ee198b8d0f062e8a/P/BLOB%3AID%3D8459
martedì 5 luglio 2016
“La pace in Siria è possibile”: videomessaggio di Papa Francesco #peacepossible4syria
Cari fratelli e sorelle,
oggi desidero parlarvi di qualcosa che rattrista molto il mio cuore: la guerra in Siria, oramai entrata nel suo quinto anno. E’ una situazione di indicibile sofferenza di cui è vittima il popolo siriano, costretto a sopravvivere sotto le bombe o a trovare vie di fuga verso altri paesi o zone della Siria meno dilaniate dalla guerra: lasciare le loro case, tutto...
Penso anche alle comunità cristiane, a cui va tutto il mio sostegno a causa delle discriminazioni che devono sopportare.
Ecco, desidero rivolgermi a tutti i fedeli e a coloro i quali sono impegnati, con Caritas, nella costruzione di una società più giusta.
Mentre il popolo soffre, incredibili quantità di denaro vengono spese per fornire le armi ai combattenti. E alcuni dei paesi fornitori di queste armi, sono anche fra quelli che parlano di pace. Come si può credere a chi con la mano destra ti accarezza e con la sinistra ti colpisce?
Incoraggio tutti, adulti e giovani, a vivere con entusiasmo quest’Anno della Misericordia per vincere l’indifferenza e proclamare con forza che la pace in Siria è possibile! La pace in Siria è possibile!
Per questo, siamo chiamati a incarnare questa Parola di Dio: «Io, infatti, conosco i progetti che ho fatto al vostro riguardo – dice il Signore – progetti di pace e non di sventura, per concedervi un futuro pieno di speranza» (Geremia 29,11).
L’invito è di pregare per la pace in Siria e per il suo popolo in occasione di veglie di preghiera, di iniziative di sensibilizzazione nei gruppi, nelle parrocchie e nelle comunità, per diffondere un messaggio di pace, un messaggio di unità e di speranza.
Alla preghiera, poi, seguano le opere di pace. Vi invito a rivolgervi a coloro i quali sono coinvolti nei negoziati di pace affinché prendano sul serio questi accordi e si impegnino ad agevolare l’accesso agli aiuti umanitari.
Tutti devono riconoscere che non c’è una soluzione militare per la Siria, ma solo una politica. La comunità internazionale deve pertanto sostenere i colloqui di pace verso la costruzione dì un governo di unità nazionale.
Uniamo le forze, a tutti i livelli, per far sì che la pace nell’amata Siria sia possibile.
Questo sì che sarà un grandioso esempio di misericordia e di amore vissuto per il bene di tutta la comunità internazionale!
Che il Signore vi benedica e la Madonna vi custodisca.
Grazie.
Sulla Campagna per la pace e il sostegno del Papa, R V. intervista il segretario generale di Caritas Internationalis, Michel Roy:
R. – Sono più di cinque anni che la guerra continua a distruggere la Siria e il suo popolo. Abbiamo deciso allora di mettere un po’ più di voce, un po’ più di forza in questo impegno per la pace. Il primo punto è che di fronte ad una complessità così grande, crediamo che possa aiutarci il Signore: quindi il primo passo è pregare di più, in tutto il mondo! Non ci può essere indifferenza per ciò che succede in Medio Oriente! Il secondo punto: di fronte a tale sofferenza, manca molto aiuto: l’aiuto umanitario non arriva a tutta la gente che ha bisogno in Siria. Nei campi rifugiati c’è aiuto; ma all’interno della Siria gli sfollati sono molto numerosi – si parla di 7-8 milioni di persone – e c’è una crisi terribile. E la Comunità internazionale non fa fronte a tutto questo. La terza tappa di questa Campagna, che è la più importante: domandare ai governi di tutto il mondo che si impegnino, in un modo o nell’altro, a facilitare, a pressare affinché ci sia la fine di questa guerra. Non si può lasciare tutto solamente ai grandi poteri – come la Russia, gli Stati Uniti o l’Unione Europea: ognuno deve impegnarsi!
D. – A sostegno di questa Campagna di Caritas Internationalis per la Siria c’è il Papa in prima persona, con un videomessaggio, forse anche per far sentire più forte la voce di Caritas Internationalis…
R. – Sì, sicuramente. Siamo molto grati al Santo Padre e questo fa parte della sua visione, che abbiamo il dovere di rendere concreta. Lui ci invita a noi, a Caritas Internationalis, ma anche a tutti i cristiani, a tutta la gente di buona volontà, ad impegnarsi in questa Campagna. Non c’è mai troppo in questo campo! Sono sicuro che questo messaggio di Papa Francesco avrà un potere importante per far sì che qualcosa di nuovo venga fatto per porre fine alla guerra.
http://it.radiovaticana.va/news/2016/07/04/roy_francesco_sostiene_campagna_caritas_per_pace_in_siria/1241904
R. – Sì, sicuramente. Siamo molto grati al Santo Padre e questo fa parte della sua visione, che abbiamo il dovere di rendere concreta. Lui ci invita a noi, a Caritas Internationalis, ma anche a tutti i cristiani, a tutta la gente di buona volontà, ad impegnarsi in questa Campagna. Non c’è mai troppo in questo campo! Sono sicuro che questo messaggio di Papa Francesco avrà un potere importante per far sì che qualcosa di nuovo venga fatto per porre fine alla guerra.
http://it.radiovaticana.va/news/2016/07/04/roy_francesco_sostiene_campagna_caritas_per_pace_in_siria/1241904
sabato 2 luglio 2016
Da Istanbul a Dacca: il sospetto di una regia
di Fulvio Scaglione
AVVENIRE, 2 luglio 2016
L’attacco islamista che ieri ha seminato il terrore a Dacca, capitale del Bangladesh, e ha visto tra gli ostaggi diversi nostri connazionali, fa per istinto sospettare l’esistenza di una regia internazionale del terrore. Troppo ravvicinate e anche troppo simili le operazioni all’aeroporto di Istanbul e nel locale del quartiere diplomatico perché non venga spontaneo pensarlo. Non dobbiamo però dimenticare che il terrorismo islamico è un parassita. Una bestia che, per crescere e svilupparsi, ha bisogno di un organismo “ospite”, di una crisi già aperta.
E’ il caso della Siria, della Libia E dell’Iraq con il Daesh. Della Nigeria con Boko Haram, del Mali con la rivolta tuareg infiltrata da al-Qaeda. Ancor prima della Somalia degli shabaab e dell’Afghanistan dei taleban. Il Bangladesh non fa eccezione. Il Paese, nato poverissimo nel 1971 dopo una guerra che fece milioni di morti e di rifugiati, ha finora compiuto, con l’aiuto della comunità internazionale, una rimonta almeno sorprendente. Il tasso di povertà è sceso da metà della popolazione a un terzo, grandi progressi sono stati fatti anche nel campo della mortalità infantile e della salute delle madri. L’economia è cresciuta per molti anni al ritmo del 6% annuo e l’indipendenza alimentare è ormai acquisita.
A tutto questo, però si è accompagnata una grande instabilità politica. I colpi di Stato militari si sono susseguiti a partire già dal 1975. La democrazia parlamentare è tornata in vigore solo dal 2008 dopo che nel 2007 l’ennesimo regime d’emergenza era stato dichiarato dai generali allo scopo di sradicare la corruzione. I due fattori (rincorsa economica e instabilità politica), combinati, hanno chiesto alla popolazione sacrifici pesantissimi, con un’inquietudine sociale che l’anno scorso si è espressa in una serie di scioperi e in un blocco dei trasporti su scala nazionale durato mesi. In questo quadro ha assunto un valore molto particolare il lungo dibattito sulla natura dello Stato.
Nel 1947, quando India e Pakistan si separarono, il Bengala venne diviso in due: la parte occidentale, a maggioranza induista, rimase all’India; quella orientale, a maggioranza musulmana, rimase al Pakistan per diventare appunto Bangladesh nel 1971. Da allora non si è mai smesso di discutere. Il secolarismo era uno dei quattro principi fondamentali della Costituzione approvata nel 1972 ma nel 1977 fu sostituito, nella stessa Costituzione, da una dichiarazione di «fiducia totale nell’onnipotente Allah». Nel 1988, poi, l’islam fu dichiarato religione di Stato. Finché, nel 2010, la Corte Suprema ha fatto rivivere il principio del secolarismo. In un Paese con tante difficoltà e dove il 90% della popolazione è di fede islamica, è stato facile, per i maestri del terrore, trovare aree di insoddisfazione e sfruttarle. Anche perché il Bangladesh, in virtù dei molti rapporti politici ed economici con l’Arabia Saudita, è uno dei Paesi dell’Asia più infiltrato dalla predicazione radicale wahhabita. Negli anni scorsi marce gigantesche si sono svolte per protestare contro il secolarismo.
A tutto questo, però si è accompagnata una grande instabilità politica. I colpi di Stato militari si sono susseguiti a partire già dal 1975. La democrazia parlamentare è tornata in vigore solo dal 2008 dopo che nel 2007 l’ennesimo regime d’emergenza era stato dichiarato dai generali allo scopo di sradicare la corruzione. I due fattori (rincorsa economica e instabilità politica), combinati, hanno chiesto alla popolazione sacrifici pesantissimi, con un’inquietudine sociale che l’anno scorso si è espressa in una serie di scioperi e in un blocco dei trasporti su scala nazionale durato mesi. In questo quadro ha assunto un valore molto particolare il lungo dibattito sulla natura dello Stato.
Nel 1947, quando India e Pakistan si separarono, il Bengala venne diviso in due: la parte occidentale, a maggioranza induista, rimase all’India; quella orientale, a maggioranza musulmana, rimase al Pakistan per diventare appunto Bangladesh nel 1971. Da allora non si è mai smesso di discutere. Il secolarismo era uno dei quattro principi fondamentali della Costituzione approvata nel 1972 ma nel 1977 fu sostituito, nella stessa Costituzione, da una dichiarazione di «fiducia totale nell’onnipotente Allah». Nel 1988, poi, l’islam fu dichiarato religione di Stato. Finché, nel 2010, la Corte Suprema ha fatto rivivere il principio del secolarismo. In un Paese con tante difficoltà e dove il 90% della popolazione è di fede islamica, è stato facile, per i maestri del terrore, trovare aree di insoddisfazione e sfruttarle. Anche perché il Bangladesh, in virtù dei molti rapporti politici ed economici con l’Arabia Saudita, è uno dei Paesi dell’Asia più infiltrato dalla predicazione radicale wahhabita. Negli anni scorsi marce gigantesche si sono svolte per protestare contro il secolarismo.
Leggi la testimonianza di padre Franco Cagnasso Missionario del PIME in Bangladesh: " Ecco la mia valutazione di 'come vanno le cose'. Decenni di impegno dell’Arabia Saudita e altri Paesi arabi, inteso a “rieducare” i musulmani del Bangladesh ad un islam a loro parere più autentico, depurandolo da tradizioni e da commistioni con culture non islamiche o con la modernità, stanno dando frutti. Migliaia di ‘madrasse’, scuole coraniche gratuite, hanno instillato il loro Islam chiuso e duro in milioni di ragazzi e giovani, che ora rifiutano la tolleranza e l’apertura dei loro padri...." : http://cagnasso.missionline.org/2016/05/24/come-va/
Le durissime condizioni di lavoro nell’industria dei tessuti, che da sola garantisce l’80% delle esportazioni, sono diventate quasi un manifesto dello sfruttamento occidentale, o comunque come tale sono state usate. Almeno tre grandi organizzazioni di estremismo armato si sono sviluppate negli ultimi quindici anni: Jamaat-ul-Mujahidin, Ansar al-Islam Bangla e Arkat-ul-Jihad al Islami, che hanno lanciato una serie di atti terroristici mirati contro gli stranieri, in particolare missionari e operatori delle Ong, ma anche contro giornalisti, blogger e attivisti locali colpevoli, appunto, di “secolarismo”. Il governo del Bangladesh ha sempre smentito l’esistenza sul territorio nazionale di una cellula del Daesh. Ma come sappiamo, ormai poco importa se si tratti di un “pezzo” del gruppo terroristico originale trasportato altrove o di una sua emanazione locale.
Sappiamo qual è il suo stile, da Parigi a Istanbul a Dacca. E soprattutto qual è il suo obiettivo: trasformare un Paese in una serie di brandelli lacerati e ingovernabili. Com’è avvenuto appunto in Libia, Siria, Iraq, Mali, Somalia, Afghanistan.
Sappiamo qual è il suo stile, da Parigi a Istanbul a Dacca. E soprattutto qual è il suo obiettivo: trasformare un Paese in una serie di brandelli lacerati e ingovernabili. Com’è avvenuto appunto in Libia, Siria, Iraq, Mali, Somalia, Afghanistan.
Iscriviti a:
Post (Atom)