L'infernale illusione delle armi
di ADONIS
(L'autore, considerato il massimo poeta arabo contemporaneo, è candidato al Nobel. Vive a Parigi, esule dalla Siria dagli Anni Cinquanta)
da La Repubblica - 05 settembre 2013
L'intervento americano in Siria nasce nell'illusione di una "guerra lampo", di "colpi limitati, chirurgici, mirati". Rischia invece di sfuggire di mano, di aizzare il conflitto e di ripetere il peccato mortale in cui sono scivolati sia l'opposizione armata sia il regime siriano. Potrebbe involontariamente trasformarsi in una forma di sterminio simile a quello dei nativi del continente nordamericano.
Continente chiamato ora "Stati Uniti d'America". O allo sterminio perpetrato dalla Turchia all'inizio del ventesimo secolo contro il popolo armeno e le altre minoranze storiche di cristiani, siriaci, caldei ed assiri. Infatti, l'operazione militare avviene in un contesto complesso, confuso, anzi, cieco.
1. Se si trattasse davvero di una questione umanitaria e di difesa dei diritti fondamentali degli arabi, il mandato di chi se ne fa carico dovrebbe estendersi al di là della sola Siria. L'America dovrebbe fare i conti con la violazione di quei diritti, sia da parte degli Stati arabi alleati, sia da parte del suo principale alleato Israele.
2. Il conflitto siriano si consuma in un clima caotico, ambiguo, ingarbugliato. È indispensabile considerarne la dimensione religiosa, prima di un intervento militare. Gli Stati Uniti conoscono il significato delle guerre di religione oggi ed è evidente che non entrano nel conflitto come arbitri imparziali, bensì come partecipanti. Schierarsi a tal punto serve forse al progresso o all'uomo e ai suoi diritti? Serve alla pace e alla libertà?
In realtà, l'America, con questo intervento, viola i diritti umani in nome della loro difesa. Qui non si tratta di difendere il regime che, ho detto e ribadisco, deve cambiare, ma di difendere la Siria dell'Alfabeto, della Storia antica, del popolo siriano e dei grandi principi umani.
3. Ricordiamoci che gli Stati Uniti nel 2003 hanno dichiarato guerra all'Iraq. Quali sono state le conseguenze per lo Stato iracheno? Che ne è delle centinaia di migliaia di vittime innocenti, dell'avvelenamento ambientale? E dove sono le armi di distruzione di massa? È probabile che molti dei perseguitati da Saddam Hussein ora rimpiangano il regime che non c'è più. Naturalmente quel regime doveva finire, ma con altri mezzi.
Gli Stati Uniti sanno (o forse no) che la storia arabo-islamica è intrisa di sangue fin dal primo Stato islamico. La maggior parte delle pagine di questa storia sono state scritte dai conflitti confessionali mescolati alla lotta per il potere. Alimentare questo conflitto e entrare a farne parte serve forse alla pace, alla giustizia, alla libertà e ai diritti umani?
Chi conosce la storia sa che le più lunghe mediazioni sono più corte di qualsiasi guerra. Parlare di una guerra lampo e di colpi limitati "chirurgici, mirati" è un'illusione fuorviante. Quando comincia una guerra, il campo, le sue trasformazioni, le sue sorprese ne decidono le sorti.
4. Gli Stati Uniti continuano a ignorare gli oppositori democratici pacifici siriani, nonostante questi siano numerosi sia dentro, sia fuori dalla Siria. L'America ascolta i gruppi che parlano di violenza e non ascolta gli esponenti dell'opposizione pacifica neppure per scoprire quel che hanno da dire, per capirne il punto di vista. Chissà: potrebbero avere soluzioni più umane e quindi più efficaci a causare meno vittime e distruzioni.
Il rifiuto di trattare con l'opposizione pacifica è sorprendente, e io chiedo al presidente Obama, non come presidente ma come uomo di pensiero, se egli rispetta davvero una rivoluzione nazionale i cui leader - come nel caso dell'opposizione all'estero sostenuta dall'America - chiedono un intervento militare di forze straniere per colpire il proprio Paese e consegnarlo loro.
Fin dall'antichità, il pensiero e i valori attinenti alla guerra e al combattimento - cioè uccidere - non si sono evoluti. La guerra è ancora considerata una pozione magica per risolvere i problemi e registrare gesta eroiche. La guerra si combatte e così si uccide anche per la pace. Uccidere! Questa è la cura magica per tutti.
Come è assetata di sangue la pace!
L'antica saggezza araba dice "curami con ciò che ha causato il male": è una saggezza fatale in guerra. Ma com'è contorta una logica che scivola verso quella attrazione demoniaca: la guerra! Forse diremo anche: com'è assetata di sangue la giustizia.
Per esempio, il presidente Obama, nonostante le sue buone intenzioni, è riuscito a controllare l'uso delle armi in America? Le armi sono diventate parte della tradizione americana moderna.
Infatti, come dice un nostro adagio, "la gente segue la religione del suo re". Uccidere non è forse diventato un "mito" dei nostri tempi (innanzitutto in America), non soltanto nei film, ma nella vita quotidiana?
5. Sembra quindi che il pensiero umano riguardo alla soluzione dei conflitti non si sia evoluto. Annientare le parti in lotta è ancora la via concretamente seguita per spianare i contrasti. Non v'è stato alcun progresso, tranne lo sviluppo delle armi e la loro capacità sempre maggiore di distruggere e avvelenare il pianeta Terra, nostra unica casa. Le armi si sono enormemente evolute. Ancora le definizioni di eroismo più raffinate e onorevoli hanno nomi riferiti all'uccisione e al combattimento, non alla saggezza e alla virtù del dialogo, alla creazione di soluzioni pacifiche e alla salvezza degli uomini e della loro sacra Terra.
Più un guerriero è "campione" nelle arti di uccidere, più è coperto di gloria e di medaglie e entra nella storia.
L'America ricordi, e lo ricordino i suoi alleati, che ha dichiarato guerra all'Iraq per eliminare il presidente baathista e la sua squadra al governo: ma, così facendo, ha fomentato il conflitto confessionale (che ancora provoca morti quotidianamente), conflitto che ha sconvolto gli equilibri e le intese religiose in una direzione che fa comodo al suo nuovo antagonista (l'Iran) e che contraddice gli interessi degli alleati. I calcoli della guerra spesso non producono i risultati voluti da chi la dichiara.
Ricordi l'America, e lo ricordi il presidente venuto in nome della pace e della concordia, che la guerra che non uccide innocenti non esiste nella storia. Quanti innocenti hanno ucciso quei colpi limitati, programmati, chirurgici inferti in Iraq o contro al Qaida in Afghanistan?
Il discorso utopistico non cambia la realtà infernale.
6. Quindi domando al presidente Obama "ambasciatore" di esperienze storiche amare, non soltanto vittoriose, portatore di promesse a favore dei diseredati, come farà a combattere in nome della giustizia e della pace in Siria senza vedere, allo stesso tempo, l'aggressione storica quotidiana contro i palestinesi, la terra palestinese e contro le leggi e il diritto internazionale? Non vede Obama la violazione dei diritti umani nei Paesi suoi alleati?
Preferire un'azione militare contro la Siria anziché un negoziato politico a Ginevra favorisce una soluzione di forza e fa cadere il principio che dovrebbe essere adottato, in base alle regole delle Nazioni Unite, tramite il Consiglio di sicurezza. Anzi, è l'affermazione del principio delle soluzioni militari.
L'opzione bellica è il peccato mortale in cui sono scivolati sia l'opposizione armata, sia il regime siriano.
La verità è che i grandi Stati, e per primi gli Stati Uniti, benedicono e promuovono la scelta militare, ignorano l'esistenza dell'opposizione democratica pacifica siriana o non la prendono neppure in considerazione, mentre sostenendo l'opposizione armata si invischiano in un ginepraio militare.
7. È comprensibile che l'America difenda alcuni regimi arabi, in quanto Paesi di importanza vitale per le risorse energetiche. Però, come comprendere che la grande nazione americana accetti, e faccia propri, i progetti di regimi tribali, familiari, sempre pronti a combattere con le armi chiunque sia considerato un nemico? Come può l'America accettare di essere a fianco di questi regimi nelle loro guerre?
Così facendo l'America apparirà parte del gioco politico, tribale, confessionale in Medio Oriente: complice fondamentale nell'ostacolarne la liberazione, nell'impedire la costruzione di una società moderna, di un uomo moderno, di una cultura moderna. In altre parole, la più importante forza mondiale verrà considerata come
il paese che fonda e difende tirannia e schiavitù, intento a proteggere i regimi che su tirannia e schiavitù si reggono, a cominciare dai regimi arabi islamici. Se non ne prendono coscienza, gli Stati Uniti diventeranno uno strumento al servizio dei tiranni in Medio Oriente.
Continente chiamato ora "Stati Uniti d'America". O allo sterminio perpetrato dalla Turchia all'inizio del ventesimo secolo contro il popolo armeno e le altre minoranze storiche di cristiani, siriaci, caldei ed assiri. Infatti, l'operazione militare avviene in un contesto complesso, confuso, anzi, cieco.
1. Se si trattasse davvero di una questione umanitaria e di difesa dei diritti fondamentali degli arabi, il mandato di chi se ne fa carico dovrebbe estendersi al di là della sola Siria. L'America dovrebbe fare i conti con la violazione di quei diritti, sia da parte degli Stati arabi alleati, sia da parte del suo principale alleato Israele.
2. Il conflitto siriano si consuma in un clima caotico, ambiguo, ingarbugliato. È indispensabile considerarne la dimensione religiosa, prima di un intervento militare. Gli Stati Uniti conoscono il significato delle guerre di religione oggi ed è evidente che non entrano nel conflitto come arbitri imparziali, bensì come partecipanti. Schierarsi a tal punto serve forse al progresso o all'uomo e ai suoi diritti? Serve alla pace e alla libertà?
In realtà, l'America, con questo intervento, viola i diritti umani in nome della loro difesa. Qui non si tratta di difendere il regime che, ho detto e ribadisco, deve cambiare, ma di difendere la Siria dell'Alfabeto, della Storia antica, del popolo siriano e dei grandi principi umani.
3. Ricordiamoci che gli Stati Uniti nel 2003 hanno dichiarato guerra all'Iraq. Quali sono state le conseguenze per lo Stato iracheno? Che ne è delle centinaia di migliaia di vittime innocenti, dell'avvelenamento ambientale? E dove sono le armi di distruzione di massa? È probabile che molti dei perseguitati da Saddam Hussein ora rimpiangano il regime che non c'è più. Naturalmente quel regime doveva finire, ma con altri mezzi.
Gli Stati Uniti sanno (o forse no) che la storia arabo-islamica è intrisa di sangue fin dal primo Stato islamico. La maggior parte delle pagine di questa storia sono state scritte dai conflitti confessionali mescolati alla lotta per il potere. Alimentare questo conflitto e entrare a farne parte serve forse alla pace, alla giustizia, alla libertà e ai diritti umani?
Chi conosce la storia sa che le più lunghe mediazioni sono più corte di qualsiasi guerra. Parlare di una guerra lampo e di colpi limitati "chirurgici, mirati" è un'illusione fuorviante. Quando comincia una guerra, il campo, le sue trasformazioni, le sue sorprese ne decidono le sorti.
4. Gli Stati Uniti continuano a ignorare gli oppositori democratici pacifici siriani, nonostante questi siano numerosi sia dentro, sia fuori dalla Siria. L'America ascolta i gruppi che parlano di violenza e non ascolta gli esponenti dell'opposizione pacifica neppure per scoprire quel che hanno da dire, per capirne il punto di vista. Chissà: potrebbero avere soluzioni più umane e quindi più efficaci a causare meno vittime e distruzioni.
Il rifiuto di trattare con l'opposizione pacifica è sorprendente, e io chiedo al presidente Obama, non come presidente ma come uomo di pensiero, se egli rispetta davvero una rivoluzione nazionale i cui leader - come nel caso dell'opposizione all'estero sostenuta dall'America - chiedono un intervento militare di forze straniere per colpire il proprio Paese e consegnarlo loro.
Fin dall'antichità, il pensiero e i valori attinenti alla guerra e al combattimento - cioè uccidere - non si sono evoluti. La guerra è ancora considerata una pozione magica per risolvere i problemi e registrare gesta eroiche. La guerra si combatte e così si uccide anche per la pace. Uccidere! Questa è la cura magica per tutti.
Come è assetata di sangue la pace!
L'antica saggezza araba dice "curami con ciò che ha causato il male": è una saggezza fatale in guerra. Ma com'è contorta una logica che scivola verso quella attrazione demoniaca: la guerra! Forse diremo anche: com'è assetata di sangue la giustizia.
Per esempio, il presidente Obama, nonostante le sue buone intenzioni, è riuscito a controllare l'uso delle armi in America? Le armi sono diventate parte della tradizione americana moderna.
Infatti, come dice un nostro adagio, "la gente segue la religione del suo re". Uccidere non è forse diventato un "mito" dei nostri tempi (innanzitutto in America), non soltanto nei film, ma nella vita quotidiana?
5. Sembra quindi che il pensiero umano riguardo alla soluzione dei conflitti non si sia evoluto. Annientare le parti in lotta è ancora la via concretamente seguita per spianare i contrasti. Non v'è stato alcun progresso, tranne lo sviluppo delle armi e la loro capacità sempre maggiore di distruggere e avvelenare il pianeta Terra, nostra unica casa. Le armi si sono enormemente evolute. Ancora le definizioni di eroismo più raffinate e onorevoli hanno nomi riferiti all'uccisione e al combattimento, non alla saggezza e alla virtù del dialogo, alla creazione di soluzioni pacifiche e alla salvezza degli uomini e della loro sacra Terra.
Più un guerriero è "campione" nelle arti di uccidere, più è coperto di gloria e di medaglie e entra nella storia.
L'America ricordi, e lo ricordino i suoi alleati, che ha dichiarato guerra all'Iraq per eliminare il presidente baathista e la sua squadra al governo: ma, così facendo, ha fomentato il conflitto confessionale (che ancora provoca morti quotidianamente), conflitto che ha sconvolto gli equilibri e le intese religiose in una direzione che fa comodo al suo nuovo antagonista (l'Iran) e che contraddice gli interessi degli alleati. I calcoli della guerra spesso non producono i risultati voluti da chi la dichiara.
Ricordi l'America, e lo ricordi il presidente venuto in nome della pace e della concordia, che la guerra che non uccide innocenti non esiste nella storia. Quanti innocenti hanno ucciso quei colpi limitati, programmati, chirurgici inferti in Iraq o contro al Qaida in Afghanistan?
Il discorso utopistico non cambia la realtà infernale.
6. Quindi domando al presidente Obama "ambasciatore" di esperienze storiche amare, non soltanto vittoriose, portatore di promesse a favore dei diseredati, come farà a combattere in nome della giustizia e della pace in Siria senza vedere, allo stesso tempo, l'aggressione storica quotidiana contro i palestinesi, la terra palestinese e contro le leggi e il diritto internazionale? Non vede Obama la violazione dei diritti umani nei Paesi suoi alleati?
Preferire un'azione militare contro la Siria anziché un negoziato politico a Ginevra favorisce una soluzione di forza e fa cadere il principio che dovrebbe essere adottato, in base alle regole delle Nazioni Unite, tramite il Consiglio di sicurezza. Anzi, è l'affermazione del principio delle soluzioni militari.
L'opzione bellica è il peccato mortale in cui sono scivolati sia l'opposizione armata, sia il regime siriano.
La verità è che i grandi Stati, e per primi gli Stati Uniti, benedicono e promuovono la scelta militare, ignorano l'esistenza dell'opposizione democratica pacifica siriana o non la prendono neppure in considerazione, mentre sostenendo l'opposizione armata si invischiano in un ginepraio militare.
7. È comprensibile che l'America difenda alcuni regimi arabi, in quanto Paesi di importanza vitale per le risorse energetiche. Però, come comprendere che la grande nazione americana accetti, e faccia propri, i progetti di regimi tribali, familiari, sempre pronti a combattere con le armi chiunque sia considerato un nemico? Come può l'America accettare di essere a fianco di questi regimi nelle loro guerre?
Così facendo l'America apparirà parte del gioco politico, tribale, confessionale in Medio Oriente: complice fondamentale nell'ostacolarne la liberazione, nell'impedire la costruzione di una società moderna, di un uomo moderno, di una cultura moderna. In altre parole, la più importante forza mondiale verrà considerata come
il paese che fonda e difende tirannia e schiavitù, intento a proteggere i regimi che su tirannia e schiavitù si reggono, a cominciare dai regimi arabi islamici. Se non ne prendono coscienza, gli Stati Uniti diventeranno uno strumento al servizio dei tiranni in Medio Oriente.
Siria, il calcolo dei cinici
Gli interessi degli attori in campo
di Riccardo Redaelli
Impossibile negare l’orrore dinanzi a quelle immagini
strazianti di corpi ammucchiati: donne, uomini e bambini uccisi silenziosamente
dai gas. Come sempre davanti a ogni morte violenta, a ogni strage, vi è un moto
di ribellione e un senso di impotenza. Ma la realtà della politica
internazionale è molto più cinica e complicata dei sentimenti immediati;
l’orrore per la strage chimica nei pressi di Damasco – sulla quale ancora non si
sono pronunciati gli ispettori dell’Onu – fa velo a considerazioni più prosaiche
e meno nobili.
Perché la sorte dei milioni di civili e dei profughi intrappolati fra le opposte violenze sembra meno rilevante nelle cancellerie internazionali rispetto alla vera posta in gioco: che non è solo l’abbattimento o la difesa di Assad, ma la frantumazione dell’asse geopolitico iraniano e l’indebolimento dell’arco sciita, cresciuto come visibilità e potere negli ultimi decenni. Questo è l’obiettivo in Siria dei Paesi a maggioranza sunnita, in particolare quelli del Golfo: isolare l’Iran, evitare la stabilizzazione dell’Iraq a guida sciita, far crollare il principale alleato di Teheran, ossia la Siria, e indebolire la libanese Hezbollah. Da parte iraniana, vi è la volontà di resistere all’attacco, incuneandosi fra le divisioni politiche dei sunniti, indeboliti dal disastro della transizione politica post primavera araba.
È uno scontro sistemico che prescinde dalla realtà del singolo Paese e che rischia di durare molto a lungo, trascinando nel gorgo dell’instabilità tutto l’assetto del Medio Oriente post-1918. Come avvenuto per le guerre di religione europee, alla fine del conflitto geopolitico fra sciismo e sunnismo, l’intero panorama politico regionale potrà mutare fortemente.
Non vi è molto che la comunità internazionale possa fare per bloccare questa deriva di polarizzazione interna all’islam. E molto poco possono fare anche gli Stati Uniti, la cui perdita di prestigio e di influenza nella regione è avvenuta con una rapidità impressionante. Ma certamente, un attacco limitato e abborracciato come quello che si propone Washington non porterà alcun miglioramento. Il sospetto è che ci si stia orientando a "tirare un colpo" contro la forza militare di Assad perché le cose sul campo non vanno affatto bene per gli insorti. Dopo due anni di guerra civile, infatti, il regime bathista di Damasco non solo non è crollato, ma ha ripreso l’iniziativa militare.
Un attacco contro le sue basi aeree servirebbe a "ribilanciare le forze sul terreno". E, con tutta probabilità, a rendere ancora più devastante e brutale il conflitto. Del resto, diversi analisti americani e israeliani lo hanno detto senza giri di parole che nascondessero il loro feroce cinismo: più a lungo in Siria si scontrano senza prevalere Assad, l’Iran e Hezbollah, da una parte, e i fanatici islamisti e qaedisti, dall’altra, tanto meglio sarà per noi. Certo, non meglio per la popolazione siriana, né per quella libanese – il cui fragile Stato rischia sempre più di essere trascinato nel gorgo del conflitto – o per tutti gli abitanti della regione, seduti sull’orlo del vulcano.
Ma il preannunciato bombardamento franco-statunitense rischia di fare un’altra "vittima collaterale": la speranza di una ripresa dei negoziati sul nucleare con l’Iran. Il neo-presidente Rohani si sta muovendo con prudenza per superare i tanti ostacoli interni che impediscono un compromesso con l’Occidente sul programma atomico. Sono già partiti i segnali sotto traccia di questa disponibilità; ma un bombardamento Usa della Siria spazzerebbe via ogni canale di dialogo. E forse, a qualcuno, interessa soprattutto questo.
Dinanzi a questo scenario, allora, l’unica via sensata e possibile è quella di una ripresa dell’iniziativa politica internazionale. E l’avvio di negoziati sulla Siria che includano tutti gli attori. Senza preclusioni. Ciò aiuterebbe molto di più la popolazione siriana di quanto non possano fare i missili "intelligenti" – ma privi di ogni credibile strategia politica – che Washington promette di lanciare.
Perché la sorte dei milioni di civili e dei profughi intrappolati fra le opposte violenze sembra meno rilevante nelle cancellerie internazionali rispetto alla vera posta in gioco: che non è solo l’abbattimento o la difesa di Assad, ma la frantumazione dell’asse geopolitico iraniano e l’indebolimento dell’arco sciita, cresciuto come visibilità e potere negli ultimi decenni. Questo è l’obiettivo in Siria dei Paesi a maggioranza sunnita, in particolare quelli del Golfo: isolare l’Iran, evitare la stabilizzazione dell’Iraq a guida sciita, far crollare il principale alleato di Teheran, ossia la Siria, e indebolire la libanese Hezbollah. Da parte iraniana, vi è la volontà di resistere all’attacco, incuneandosi fra le divisioni politiche dei sunniti, indeboliti dal disastro della transizione politica post primavera araba.
È uno scontro sistemico che prescinde dalla realtà del singolo Paese e che rischia di durare molto a lungo, trascinando nel gorgo dell’instabilità tutto l’assetto del Medio Oriente post-1918. Come avvenuto per le guerre di religione europee, alla fine del conflitto geopolitico fra sciismo e sunnismo, l’intero panorama politico regionale potrà mutare fortemente.
Non vi è molto che la comunità internazionale possa fare per bloccare questa deriva di polarizzazione interna all’islam. E molto poco possono fare anche gli Stati Uniti, la cui perdita di prestigio e di influenza nella regione è avvenuta con una rapidità impressionante. Ma certamente, un attacco limitato e abborracciato come quello che si propone Washington non porterà alcun miglioramento. Il sospetto è che ci si stia orientando a "tirare un colpo" contro la forza militare di Assad perché le cose sul campo non vanno affatto bene per gli insorti. Dopo due anni di guerra civile, infatti, il regime bathista di Damasco non solo non è crollato, ma ha ripreso l’iniziativa militare.
Un attacco contro le sue basi aeree servirebbe a "ribilanciare le forze sul terreno". E, con tutta probabilità, a rendere ancora più devastante e brutale il conflitto. Del resto, diversi analisti americani e israeliani lo hanno detto senza giri di parole che nascondessero il loro feroce cinismo: più a lungo in Siria si scontrano senza prevalere Assad, l’Iran e Hezbollah, da una parte, e i fanatici islamisti e qaedisti, dall’altra, tanto meglio sarà per noi. Certo, non meglio per la popolazione siriana, né per quella libanese – il cui fragile Stato rischia sempre più di essere trascinato nel gorgo del conflitto – o per tutti gli abitanti della regione, seduti sull’orlo del vulcano.
Ma il preannunciato bombardamento franco-statunitense rischia di fare un’altra "vittima collaterale": la speranza di una ripresa dei negoziati sul nucleare con l’Iran. Il neo-presidente Rohani si sta muovendo con prudenza per superare i tanti ostacoli interni che impediscono un compromesso con l’Occidente sul programma atomico. Sono già partiti i segnali sotto traccia di questa disponibilità; ma un bombardamento Usa della Siria spazzerebbe via ogni canale di dialogo. E forse, a qualcuno, interessa soprattutto questo.
Dinanzi a questo scenario, allora, l’unica via sensata e possibile è quella di una ripresa dell’iniziativa politica internazionale. E l’avvio di negoziati sulla Siria che includano tutti gli attori. Senza preclusioni. Ciò aiuterebbe molto di più la popolazione siriana di quanto non possano fare i missili "intelligenti" – ma privi di ogni credibile strategia politica – che Washington promette di lanciare.
http://www.avvenire.it/Commenti/Pagine/siria-il-calcolo-dei-cinici.aspx
TEMPI, 6 settembre 2013
Signore e signori,
permetteteci di farvi sapere quanto avvenuto oggi nella nostra città di Maloula, prima di ricordarvi dell’importanza di questa città. Alle quattro del mattino, ora di Damasco, i gruppi armati del cosiddetto “Esercito siriano libero”, i terroristi di Jabhat al-Nusra e gli assassini dello Stato islamico dell’Iraq e del Levante hanno attaccato la nostra città, pacificamente situata nella provincia di Qalamoun. Poi hanno saccheggiato monasteri, chiese, trafugando le loro icone storiche, prima di esigere da tutti gli abitanti di convertirsi all’islam.
Sì, ecco cosa è successo all’alba di questo giorno nella nostra piccola città di Maloula. I gruppi armati si sono diffusi dappertutto, esponendo tutta la loro artiglieria in piazza dopo aver bloccato tutti gli accessi ai luoghi santi.
Questi atti criminali, questi saccheggi sistematici delle città cristiane, questo terrorismo che colpisce gli abitanti fa parte di un piano globale che ha lo scopo di cacciare i cristiani dalle loro terre d’origine. Ecco cosa stiamo vivendo ora che lo Stato è ancora forte. Cosa succederà quando non sarà più così, una volta che l’esercito degli Stati Uniti ci avrà bombardato?
Quello che attende i cristiani delle nostre città e villaggi, nelle mani di organizzazioni terroriste come Jabhat al-Nusra, è semplicemente terrificante. Possiamo forse sperare che tutte le terribili aggressioni subite dai monasteri e dalle chiese dalla cristianità – come a Ghassanieh, a San Simeone, a Homs – finiranno per risvegliare la coscienza del mondo perché riconosca il crimine terrorista commesso ai danni della Siria?
Noi non elencheremo neanche i massacri perpetrati in tutte le città e i villaggi dove abitano quelle che voi chiamate “minoranze”, perché li conoscete già nei dettagli!
Signore e signori, permettete che vi ricordiamo la storia di Maloula, che risale a migliaia di anni fa: all’epoca armena, quando dipendeva dal regno di Homs, all’epoca romana, quando si chiamava Celeokoboles, all’epoca bizantina, quando a partire dal IV secolo è diventata il centro di un episcopato di prima importanza durato fino al XVII secolo.
Permetteteci di parlarvi del Monastero di San Sergio , costruito nel VI secolo d.C. secondo la semplice architettura dell’epoca dei primi martiri. San Sergio era uno dei cavalieri di origine siriana giustiziato sotto il regno di re Maximanus nell’anno 297 d.C. Questo è una monastero che è rimasto intatto fino ad oggi!
Permetteteci di parlarvi del Monastero di Santa Tecla, dove sono conservati i resti della santa, figlia di un principe seleucide e cresciuta da san Paolo. Un luogo ben visibile da tutta la piccola città e dove l’acqua sarà per sempre “acqua benedetta”. Un luogo sorto davanti alla caverna dove lei si è rifugiata dopo essere sfuggita alla persecuzione dei romani. Un luogo che da allora è rimasto un simbolo della spiritualità e una testimonianza della vita dei santi. Qui i religiosi si prendono anche cura di tutti i pellegrini che vengono da ogni parte del mondo. Da lì si possono contemplare i rifugi rudimentali dove i primi cristiani hanno digiunato, meditato e pregato. Questo a riprova che Maloula è una città monastica dove si prega Dio il giorno come la notte.
Tutto questo è Maloula. Un luogo celebre meta di pellegrinaggi, dove una spaccatura nella montagna si riempie e si svuota dell’acqua in funzione delle stagioni, e dove i pellegrini sono venuti a cercare la benedizione, la guarigione e la purezza fin dalla notte dei tempi.
Gli abitanti di Maloula
http://www.tempi.it/siria-lettera-maloula-terroristi-islam
testo originale : Al-tayyar
Lettera degli abitanti di Maloula: «I terroristi esigono che ci convertiamo all’Islam»
Gli abitanti di Maloula, villaggio a prevalenza cristiano conquistato ieri dalle forze ribelli, scrivono al Congresso Usa: «Quello che attende i cristiani delle nostre città nelle mani di terroristi come al-Nusra è terrificante»TEMPI, 6 settembre 2013
Signore e signori,
permetteteci di farvi sapere quanto avvenuto oggi nella nostra città di Maloula, prima di ricordarvi dell’importanza di questa città. Alle quattro del mattino, ora di Damasco, i gruppi armati del cosiddetto “Esercito siriano libero”, i terroristi di Jabhat al-Nusra e gli assassini dello Stato islamico dell’Iraq e del Levante hanno attaccato la nostra città, pacificamente situata nella provincia di Qalamoun. Poi hanno saccheggiato monasteri, chiese, trafugando le loro icone storiche, prima di esigere da tutti gli abitanti di convertirsi all’islam.
Sì, ecco cosa è successo all’alba di questo giorno nella nostra piccola città di Maloula. I gruppi armati si sono diffusi dappertutto, esponendo tutta la loro artiglieria in piazza dopo aver bloccato tutti gli accessi ai luoghi santi.
Questi atti criminali, questi saccheggi sistematici delle città cristiane, questo terrorismo che colpisce gli abitanti fa parte di un piano globale che ha lo scopo di cacciare i cristiani dalle loro terre d’origine. Ecco cosa stiamo vivendo ora che lo Stato è ancora forte. Cosa succederà quando non sarà più così, una volta che l’esercito degli Stati Uniti ci avrà bombardato?
Quello che attende i cristiani delle nostre città e villaggi, nelle mani di organizzazioni terroriste come Jabhat al-Nusra, è semplicemente terrificante. Possiamo forse sperare che tutte le terribili aggressioni subite dai monasteri e dalle chiese dalla cristianità – come a Ghassanieh, a San Simeone, a Homs – finiranno per risvegliare la coscienza del mondo perché riconosca il crimine terrorista commesso ai danni della Siria?
Noi non elencheremo neanche i massacri perpetrati in tutte le città e i villaggi dove abitano quelle che voi chiamate “minoranze”, perché li conoscete già nei dettagli!
Signore e signori, permettete che vi ricordiamo la storia di Maloula, che risale a migliaia di anni fa: all’epoca armena, quando dipendeva dal regno di Homs, all’epoca romana, quando si chiamava Celeokoboles, all’epoca bizantina, quando a partire dal IV secolo è diventata il centro di un episcopato di prima importanza durato fino al XVII secolo.
Permetteteci di parlarvi del Monastero di San Sergio , costruito nel VI secolo d.C. secondo la semplice architettura dell’epoca dei primi martiri. San Sergio era uno dei cavalieri di origine siriana giustiziato sotto il regno di re Maximanus nell’anno 297 d.C. Questo è una monastero che è rimasto intatto fino ad oggi!
Permetteteci di parlarvi del Monastero di Santa Tecla, dove sono conservati i resti della santa, figlia di un principe seleucide e cresciuta da san Paolo. Un luogo ben visibile da tutta la piccola città e dove l’acqua sarà per sempre “acqua benedetta”. Un luogo sorto davanti alla caverna dove lei si è rifugiata dopo essere sfuggita alla persecuzione dei romani. Un luogo che da allora è rimasto un simbolo della spiritualità e una testimonianza della vita dei santi. Qui i religiosi si prendono anche cura di tutti i pellegrini che vengono da ogni parte del mondo. Da lì si possono contemplare i rifugi rudimentali dove i primi cristiani hanno digiunato, meditato e pregato. Questo a riprova che Maloula è una città monastica dove si prega Dio il giorno come la notte.
Tutto questo è Maloula. Un luogo celebre meta di pellegrinaggi, dove una spaccatura nella montagna si riempie e si svuota dell’acqua in funzione delle stagioni, e dove i pellegrini sono venuti a cercare la benedizione, la guarigione e la purezza fin dalla notte dei tempi.
Gli abitanti di Maloula
http://www.tempi.it/siria-lettera-maloula-terroristi-islam
testo originale : Al-tayyar
Rinnoviamo l’invito a firmare l’appello per fermare
l’intervento.