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giovedì 7 febbraio 2019

Considerazioni sul Documento firmato ad Abu Dhabi da Papa Francesco e dal Grande Imam di Al-Azhar, Ahmad Al-Tayyeb.

Il documento firmato da Papa Francesco e dal grande imam di Al-Azhar Ahmad Mohamed Al-Tayyib rappresenta una novità importante nel quadro dei rapporti tra Islam e Cristianesimo e tra i musulmani e i cristiani che vivono nei paesi arabi.
Sebbene sia necessario attendere la sua effettiva applicazione da parte non solo delle autorità religiose islamiche ma anche dei molti governi di paesi a maggioranza musulmana, questo documento per la prima volta pone al centro del dialogo interreligioso la questione della libertà personale e della cittadinanza, riconoscendo i cristiani come cittadini dei paesi in cui spesso risiedono da secoli, con gli stessi diritti e doveri dei connazionali musulmani.
Inoltre, la figura dell'imam Al-Tayyib rappresenta il vertice dell'Università di Al-Azhar, da secoli massimo punto di riferimento religioso e culturale dell'Islam sunnita. Per questo motivo, l'eco che tale documento potrà avere nella vastissima umma islamica è particolarmente rilevante. Sarà necessario sostenere, in Europa come nel mondo arabo -musulmano, tra i cristiani come tra i musulmani, l'applicazione dei principi enunciati da questo documento.
Benedetta Panchetti,
dottoressa di ricerca in Diritto Islamico

Abu Dabhi, 4 febbraio 2019

In nome di Dio che ha creato tutti gli esseri umani uguali nei diritti, nei doveri e nella dignità, e li ha chiamati a convivere come fratelli tra di loro, per popolare la terra e diffondere in essa i valori del bene, della carità e della pace.
In nome dell’innocente anima umana che Dio ha proibito di uccidere, affermando che chiunque uccide una persona è come se avesse ucciso tutta l’umanità e chiunque ne salva una è come se avesse salvato l’umanità intera.
In nome dei poveri, dei miseri, dei bisognosi e degli emarginati che Dio ha comandato di soccorrere come un dovere richiesto a tutti gli uomini e in particolar modo a ogni uomo facoltoso e benestante.
In nome degli orfani, delle vedove, dei rifugiati e degli esiliati dalle loro dimore e dai loro paesi; di tutte le vittime delle guerre, delle persecuzioni e delle ingiustizie; dei deboli, di quanti vivono nella paura, dei prigionieri di guerra e dei torturati in qualsiasi parte del mondo, senza distinzione alcuna.
In nome dei popoli che hanno perso la sicurezza, la pace e la comune convivenza, divenendo vittime delle distruzioni, delle rovine e delle guerre.
In nome della «fratellanza umana» che abbraccia tutti gli uomini, li unisce e li rende uguali.
In nome di questa fratellanza lacerata dalle politiche di integralismo e divisione e dai sistemi di guadagno smodato e dalle tendenze ideologiche odiose, che manipolano le azioni e i destini degli uomini.
In nome della libertà, che Dio ha donato a tutti gli esseri umani, creandoli liberi e distinguendoli con essa.
In nome della giustizia e della misericordia, fondamenti della prosperità e cardini della fede.
In nome di tutte le persone di buona volontà, presenti in ogni angolo della terra.
In nome di Dio e di tutto questo, Al-Azhar al-Sharif – con i musulmani d’Oriente e d’Occidente –, insieme alla Chiesa Cattolica – con i cattolici d’Oriente e d’Occidente –, dichiarano di adottare la cultura del dialogo come via; la collaborazione comune come condotta; la conoscenza reciproca come metodo e criterio.
Noi – credenti in Dio, nell’incontro finale con Lui e nel Suo Giudizio –, partendo dalla nostra responsabilità religiosa e morale, e attraverso questo Documento, chiediamo a noi stessi e ai Leader del mondo, agli artefici della politica internazionale e dell’economia mondiale, di impegnarsi seriamente per diffondere la cultura della tolleranza, della convivenza e della pace; di intervenire, quanto prima possibile, per fermare lo spargimento di sangue innocente, e di porre fine alle guerre, ai conflitti, al degrado ambientale e al declino culturale e morale che il mondo attualmente vive.

martedì 5 febbraio 2019

“Agnelli in mezzo ai lupi”: la testimonianza di padre Hanna dalla provincia di Idlib

Knayeh: croci abbattute anche sulle tombe
“Siamo agnelli in mezzo ai lupi. Letteralmente. Ogni sera ci addormentiamo affidando al Signore la nostra vita, perché potremmo essere assaliti sempre. Il mattino dopo ci svegliamo e vediamo che le nostre preghiere sono state esaudite… Allo stesso modo sentiamo la potenza delle vostre preghiere per noi. Il Signore non ci esaudisce facendo scomparire i lupi, quelli ci sono sempre, ma incredibilmente i lupi sono mansueti. Certo ci hanno costretto a togliere tutti i simboli cristiani e non possiamo manifestare la nostra fede pubblicamente; ci minacciano, mandano i ragazzini a lanciare pietre alle porte delle nostre case e delle chiese, ma la nostra vita è salva e continuiamo a vivere la quotidianità con impegno, nella speranza e nella fede”. 
La voce di padre Hanna Jallouf al telefono è serena, limpida, piena di quella speranza di cui ci racconta e che, dice, “vince su tutti i soprusi e le violenze che subiamo ogni giorno”.
Padre Hanna è francescano della Custodia di Terra Santa, uno degli unici due religiosi rimasti insieme alle comunità cristiane di Knayeh e Yacoubieh nella provincia di Idlib, dove si sono rifugiati circa 30.000 ribelli oppositori del governo di Bashar Al Assad. Nei mesi scorsi si era parlato molto di Idlib, l’ultima zona di resistenza dei Jihadisti governati da Jahbat Al-Nusra; inizialmente sembrava non vi fosse altra soluzione per il governo e gli alleati russi, se non quella di invadere l’area causando una carneficina di civili, poi invece si era parlato di un accordo tra Russia e Turchia, per la demilitarizzazione dell’area e il ritiro di tutti i combattenti ; a quel punto pareva si fosse giunti ad una decisione condivisa e si era smesso di parlarne.
Ma la questione è tutt’altro che risolta, la provincia di Idlib è ancora sotto Al-Nusra e le condizioni in cui vivono padre Hanna con il confratello Luai Bsharat e le comunità di Knayehe e Yacoubie sono precarie. 
Qui ATS pro Terra Sancta continua le attività di assistenza, di distribuzione di pacchi alimentari e beni di prima necessità e di accoglienza presso il convento di alcune famiglie senza casa. Queste attività sono “un aiuto fondamentale – ci dice ancora padre Hanna – per la comunità cristiana che senza di noi e senza il vostro sostegno non esisterebbe più qui. Per questo rimaniamo, la gente ha bisogno e guarda costantemente a noi”.
Non ha dubbi su questo padre Hanna, vuole rimanere con la sua comunità, nonostante ci dice, le cose potrebbero peggiorare presto.  “L’inverno è stato molto duro quest’anno – aggiunge – e ci sono state parecchie inondazioni. Ne hanno sofferto soprattutto quelli che vivono nei campi dei rifugiati della zona che non possono ricevere assistenza a causa di questa occupazione… E non migliorerà perché pare che le forze governative si stiano preparando, pensiamo attaccheranno questa primavera, non appena le condizioni climatiche miglioreranno e allora dovremo e dovrete pregare molto”.

domenica 3 febbraio 2019

Lettera aperta di un rifugiato siriano ad Angela Merkel

Il dentista siriano Majd Abboud si è rifugiato in Germania alla fine del 2015.
In una lettera aperta alla Cancelliera Merkel, ringrazia per l'accoglienza ma constata che non esistono le condizioni per l'integrazione. Una ragione di questa situazione è la politica tedesca circa la Siria e l'indulgenza verso gli islamisti.
Il Dr. Abboud aveva già scritto a numerosi altri media su questa materia, ma non ha mai ricevuto una risposta. Dopo che il Saarbrücker Zeitung ha pubblicato un suo contributo l'anno scorso, il dottore 42enne è stato fatto oggetto di numerose minacce ed ostilità, dai suoi compatrioti che sostengono l'Esercito Siriano Libero (Free Syrian Army- FSA).
Di seguito, la lettera aperta del Dr. Majd Abboud ad Angela Merkel pubblicata da RT Deutsch.

Carissima signora Cancelliera Federale,
Mentre la fine del suo mandato si avvicina, vorrei cogliere questa occasione per ringraziarla calorosamente dell'aiuto che ha offerto a me e ai miei connazionali nel bisogno, per aver aperto il suo Paese a persone in fuga dalla guerra e dal terrore. Così Lei ci ha risparmiato molta sofferenza; qui siamo in sicurezza e abbiamo l'opportunità di vivere in pace. Inoltre, ho sempre trovato una grande l'opportunità, per noi siriani, di conoscere una nuova cultura attraverso il contatto con gli Europei, e questo ci apre nuove prospettive e ci consente di ampliare i nostri orizzonti.
Tuttavia, devo constatare che le condizioni per una vera integrazione erano praticamente inesistenti e lo sono ancora adesso, dopo tre anni. In effetti, ho sperimentato la cosiddetta integrazione come una strada a senso unico: la Germania ha accolto i rifugiati in modo molto generoso, ma non ha preteso da loro nulla in cambio. A peggiorare le cose, l'identità tedesca è a malapena riconoscibile dagli immigrati. Sembra che il paese se ne vergogni e quindi abbia difficoltà a comunicare i suoi valori. In netto contrasto, va pure notato che molti rifugiati spesso hanno un eccessivo sentimento di appartenenza all'Islam radicale, che frequentemente causa problemi allo stato e alla società in Siria. Ero pieno di speranza che Lei, signora Merkel, sarebbe riuscita a favorire una convivenza pacifica tra e con gli immigrati, che non siamo riusciti a consolidare in Siria a causa della crescente radicalizzazione favorita dagli investimenti occidentali nell'Islam politico.
C'è sempre stata molta discussione sulle Sue motivazioni, e il più delle volte la risposta è stata che Lei ha agito per umanità e carità cristiana. Ma se si fosse trattato di vera umanità, avrebbe dovuto porre fine alle sanzioni che anche recentemente ha re-imposto alla Siria. Per milioni di persone che non possono o non vogliono lasciare la loro patria questo embargo li fa soffrire da anni. Dopotutto, anche queste persone meritano la sua carità. Anche in una vera democrazia, della quale Lei si fa sempre vanto, queste persone dovrebbero poter avere la loro personale posizione politica senza essere per questo punite.
Tra i beni sanzionati ci sono anche le medicine e gli ausili medici, come le protesi, che sono urgentemente necessarie dopo una guerra. I bambini che muoiono di fame ogni giorno nello Yemen o a motivo dei combattimenti non dovrebbero essere tenuti segreti. E invece di mandare loro cibo o medicine, Lei, coscientemente e volontariamente, fornisce carri armati e granate, ed esperti addestratori tedeschi ai soldati sauditi perché possano uccidere più persone.
Si tratta forse di una politica cristiana che si adatta al nome del Suo partito? Apparentemente, per il governo tedesco, i profitti delle industrie di armamenti tedesche sono più importanti dei valori cristiani, dei quali ambiscono tanto vantarsi.
Alla fine di settembre ho letto con grande interesse che a Dusseldorf un sostenitore dell'Esercito Siriano Libero (FSA) spesso definito dai media occidentali come "moderato", è stato condannato per crimini di guerra. Aveva rapito, torturato e ucciso persone ad Aleppo come membro di una milizia. Sono molto lieto che vengano finalmente prese misure per identificare i terroristi che sono fuggiti in questo paese. Pensa davvero, signora Merkel, che si sia trattato di un caso isolato?
Ho più volte sottolineato che molti criminali con idee radicali sono presenti tra i rifugiati, contro i quali la Germania dovrebbe agire rapidamente. Perché, specialmente quando si parla di incontro interculturale, i fondamentalisti e gli autori di reati rappresentano una seria minaccia per l' integrazione e per il Paese ospitante, danneggiano la reputazione di ogni immigrato, suscitano pregiudizi e complicano la vita dei rifugiati che desiderano integrarsi e vivono qui da più tempo.
Per troppo tempo, il governo tedesco ha chiuso gli occhi e ha minimizzato questa mentalità radicale sia in Germania che in Siria. E ciò ha trasmesso ai radicali il messaggio che possono contare sul sostegno occidentale, che possono commettere qualsiasi crimine in Siria e ricevere comunque protezione in Germania. La Germania è così diventata una destinazione finale anche per i criminali.
E' davvero questo quello che Lei voleva accadesse?
Recentemente, Lei ha espresso preoccupazione per la situazione delle persone in Idlib. Bisogna dire chiaramente che in Idlib ci sono i peggiori jihadisti che non sono disposti a deporre le armi. Tra loro ci sono i combattenti dell'FSA, di Al-Nusra e ISIS, ma anche combattenti e jihadisti dall'Afghanistan, Ceceni e circa 3.000 Uiguri cinesi. E furono proprio questi terroristi che attaccarono i quartieri nord-occidentali di Aleppo con armi chimiche sabato 24 novembre 2018. Secondo dati recenti, almeno 107 persone ne sono risultate ferite e intossicate. A settembre, questi gruppi hanno anche attaccato la cittadina di Mhardeh, prevalentemente abitata dai cristiani, non lontano da Idlib, uccidendo 12 persone.
E invece di aiutare a disarmare questi gruppi, Lei invia loro 50 milioni di euro di denaro dei contribuenti tedeschi per aiutarli a commettere ancora più atrocità. Presumibilmente, il governo federale non ha mai avuto notizia che questi "ribelli" ad Aleppo e Homs hanno distrutto e violato chiese cristiane, che hanno attaccato e conquistato villaggi di altre minoranze (Alawiti) nella provincia di Latakia, e che nella città operaia di Adra nel 2013 hanno decapitato molti uomini e preso le donne come schiave. Già nel 2013, due Vescovi di Aleppo furono rapiti dai "ribelli" e di loro a tutt'oggi non si sa nulla di dove si trovino.
È diventato più che chiaro che il governo tedesco è schierato dalla parte dei "ribelli" islamici in Siria. Questo è ben visibile ad esempio nella copertura dei media. Ramstein ha fornito anche armi ai "ribelli". Questi cosiddetti ribelli non sono combattenti per la libertà e/o la democrazia, ma islamisti che propugnano la legge della Sharia e che non tollerano opinioni e stili di vita alternativi, ma li puniscono severamente. Questi ne sono i perpetratori che si presentano invece come vittime, e così vengono anche rappresentati dall'Occidente.
Il sostegno a questi "gruppi ribelli" è spesso motivato da presunti attacchi o minaccia di attacchi alla popolazione civile, registrazioni video e foto vengono utilizzati come prove. Ma molti casi del passato, così come gli incidenti di Chemnitz, hanno dimostrato che bisogna esaminare e mettere in discussione tutto questo materiale meticolosamente. Per la Siria è quasi sempre la stessa fonte, vale a dire l'Osservatorio siriano per i diritti umani (SOHR). Questo Osservatorio altro non è che una sola persona: un siriano esiliato, che vive a Londra dal 2010, che simpatizza con i Fratelli Musulmani e distribuisce i filmati ai media. Di conseguenza, la società in Siria è stata deliberatamente divisa. Le persone erano settarie e si incolpavano vicendevolmente. Non avrebbe senso invece esaminare criticamente queste "prove" prima di prendere una decisione di vasta portata per poi formare una coalizione internazionale e impegnarsi in una guerra contraria al diritto internazionale?
Anche con le presunte armi di distruzione di massa in Iraq, che secondo Colin Powell e Tony Blair "certamente" esistevano, si potrebbe imparare dalla storia una lezione. È tempo di ammettere che il Governo Federale ha gestito una politica sbagliata in Siria e si è schierato dalla parte sbagliata. La ragione di questa scelta, a vostro modo di vedere, (e questo è davvero triste) è che il Governo Federale è obbligato a rappresentare e difendere gli interessi americani. Che la Germania abbia solo un certo ruolo da svolgere e che non abbia una politica estera indipendente e sicura di sé, io la chiamo la madre di tutti i problemi.
Cara signora Merkel, so che qui io sono solo un rifugiato siriano. La mia presenza qui in Germania è un danno collaterale di una guerra senza senso, la mia voce è tutto ciò che ora mi resta. E non so se queste righe La raggiungeranno mai. Ma se Lei è veramente preoccupata per il benessere dei siriani in patria e all'estero, la prego di revocare le sanzioni contro la Siria. Favorisca accordi per stabilire un'amicizia tra l'Occidente e il Medio Oriente.
Termini la luna di miele con i radicali, con i terroristi, ma anche con il cosiddetto Islam politico, sia dentro che fuori la Germania! Questi sono i partners sbagliati, e questo è completamente ovvio. Fermi la consegna di armi nelle zone di guerra e invii al popolo del Medio Oriente e al mondo, l'amore, l'educazione e la cultura dal cuore dell'Europa, e non conflitti e guerre!
Signora Merkel, il mondo è cambiato; le strutture del potere si sono spostate. Per favore, registri quel cambiamento e si assicuri che la Germania si posizioni correttamente per il futuro.
Cordiali saluti
Dr. Majd Abboud,
Saarbrücken, 10/01/2019

Traduzione: Gb.P.

mercoledì 30 gennaio 2019

La Siria nella Bibbia

La Via Maris (viola), King's Highway (rossa), e altre antiche rotte levantine,  1300 a.C.
(By Briangotts at the English Wikipedia, CC BY-SA 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=2261499)




Traduzione di Gb.P. per Ora pro Siria
Ringraziamo per la segnalazione il professor Riad Matqualoon








Geografia e divisioni politiche, antiche e moderne
Un paese dell'Asia occidentale, che in tempi più recenti comprendeva tutta quella regione delimitata a nord dagli altipiani del Taurus, a sud dall'Egitto, a est dalla Mesopotamia e dal deserto dell'Arabia, e ad ovest dal Mediterraneo; includendo così con la sua area i paesi antichi e moderni di Aram o nord Siria, una parte dei regni Ittiti e Mitanni, la Fenicia, la terra di Canaan o Palestina e persino una parte della Penisola Sinaitica. A rigor di termini, tuttavia, e specialmente dal punto di vista della geografia biblica e classica, che è quella seguita in questo articolo, la Siria è costituita da quella parte di territori sopra menzionati che è delimitata a nord e nord-ovest dal Taurus e Asia minore a sud dalla Palestina, a est l'Eufrate, il deserto siro-arabo e la Mesopotamia, e ad ovest dal Mediterraneo.
La parte settentrionale è elevata, l'est è pianeggiante, estendendosi al deserto siro-arabo; il nord-ovest è coronato dalle montagne Amanus e Taurus, mentre le montagne del Libano e l'Anti-Libano sono fasce parallele a nord della Palestina o a sud della Siria. Tra queste due catene si trova la lunga e stretta valle chiamata Cæle-Syria (Valle Syria). I suoi fiumi principali sono Litâny (Leontes), Oronte (Al-'Asi) e Barad o Abana. La Cæle-Siria varia da tre a quattro miglia a quindici miglia, e in alcuni punti è spezzata dagli speroni sporgenti delle catene del Libano. Alla sua estremità settentrionale si curva a ovest e si apre verso il Mediterraneo. Ha due pendenze, una a nord e una a sud, ed entrambe sono fertili e belle. Questa valle è sempre stata un'importante rotta di viaggio tra la Mesopotamia, la costa mediterranea, l'Arabia e l' Egitto. Tutta la Siria, tuttavia, ha una lunghezza di circa 250 miglia e una larghezza media di 130 miglia, con un'area totale di circa 32.500 miglia quadrate. Le più importanti città della Siria nei tempi antichi erano Damasco, Karkamish, Hama, Baalbec, Palmyra o Tadmur, Ribla, Antiochia, Dafne, Seleucia, Abila, Calcis, Lybo, Laodicea, Aretusa e Apamea, mentre le famose città di Tiro, Sidone, Berito Biblo e Arado appartengono propriamente alla Fenicia. Le città più importanti della più recente Siria erano Alexandretta, Antakia, Beirut, Aleppo, Latakyah, Hamah, Homs, Tripoli, Damasco, Sayda, Akka e Jaffa .

e tu pronuncerai queste parole davanti al Signore tuo Dio: Mio padre era un Arameo errante...” ( Deut. 26,5)
Il nome "Siria" era ritenuto in passato essere abbreviazione di "Assiria" o derivato da Tsur (Tiro), quindi da Tsurya, e che era di origine greca. Ciò, tuttavia, è insostenibile, poiché il nome, con tutta probabilità, deriva dall'antico nome babilonese Suri, applicato originariamente alla porzione nord-orientale dell'attuale Siria. In seguito il nome Siria fu applicato dai Greci e dai Romani a tutta la Siria, o al paese che giaceva tra l'Eufrate, il Mediterraneo, il Taurus e l' Egitto . Dai Babilonesi e dagli Assiri fu chiamato "Amurru" (la terra degli Amorrei) e Martu (la terra occidentale). L'estrema parte settentrionale di essa era anche conosciuta come "Khatti", ovvero la Terra degli Ittiti, mentre la regione più meridionale era conosciuta come "Kena'nu" o "Canaan" (Palestina). In arabo è chiamato "Suriyya" (Siria) o "Al-Sham" (il paese situato a "sinistra"), in opposizione a "El-Yemen", o Arabia del Sud, che si trova alla "destra" . Le divisioni politiche e geografiche della Siria sono state numerose e variate costantemente.
Nel Vecchio Testamento viene generalmente chiamata "Aram", e i suoi abitanti "Aramei". Ma c'erano diversi "Arams" biblici, vale a dire: "Aram-naharaim" o "Aram dei Due Fiumi", cioè Mesopotamia; "Paddon-Aram" (la regione di Haran), nell'estremo nord della Mesopotamia; "Aram-Ma'rak" a nord della Palestina; “Aram-Sobah”, ecc... L'Aram Siriana tuttavia, che corrisponde alla Siria classica, è generalmente chiamata nell'Antivo Testamento "Aram di Damasco" dalla città principale del paese. È di questi Aramei, o Siriani, che occuparono la Siria centrale, con Damasco come capitale, di cui si parla maggiormente nell'Antico Testamento.
Risultati immagini per damasco portico di gioveDurante le dominazioni greca e romana le divisioni politiche della Siria erano indefinite e quasi inintelligibili. Strabone menziona cinque grandi province: 1) Commagene, un piccolo territorio nell'estremo nord, con Samosata per capitale, situata sull'Eufrate; 2) Seleucia, situata a sud del primo, e suddivisa in quattro parti, secondo il numero delle sue città principali, vale a dire: Antiochia Epidafne, Seleucia in Pieria; Apamæa e Laodicea; 3) Cæle-Siria, comprendente Laodicea e Libanum, Chalcia, Abilene, Damasco, Ituræa e altri più a sud, inclusi in Palestina; 4) Phenicia; 5) Judæa. Le divisioni di Plinio sono ancora più numerose di quelle di Strabone. Sembra che ogni città crescente d'importanza abbia dato il nome a un territorio circostante, più grande o più piccolo, e questo nel tempo assunse il rango di provincia. Tolomeo cita tredici province: Cammagene, Pieria, Cyrrhestica, Seleucia, Casiotis, Chalibonitis, Chalcis, Apamene, Laodicea, Phénicia, Cæle-Syria, Palmyrene e Batanea, e dà una lunga lista delle città in esse contenute. 
Sotto i Romani, la Siria divenne una provincia dell'impero. Alcune parti di esso erano autorizzate a rimanere per un periodo sotto l'autorità di piccoli principi, dipendenti dal governo imperiale. Gradualmente, comunque, tutti questi furono incorporati, e Antiochia fu la capitale. Sotto Adriano la provincia era divisa in due parti: la Siria-Maggiore, a nord, e la Siria-Fænicia, a sud.
 Verso la fine del quarto secolo fu creata un'altra partizione della Siria, che costituì la base del suo governo ecclesiastico : 1) Siria Prima, con Antiochia come capitale; 2) Siria Seconda, con Apamæa come capitale; 3) Phœnicia Prima, compresa la maggior parte dell'antica Phenicia, con Tiro come sua capitale; 4) Phœnicia Seconda, detta anche Phœnicia ad Libanum, con capitale Damasco. 
Risultati immagini per damasco dominazione araba

Durante la dominazione araba, cioè dal settimo al quindicesimo secolo, la Siria era generalmente divisa in sei grandi distretti (Giunds), cioè: 1) Filistîn (Palestina), composta da Giudea, Samaria e una porzione del territorio est del Giordano, la sua capitale era a Ramlah, in seguito prese più rango Gerusalemme; 2) Urdun (Giordania) di cui la capitale era Tabaria (Tiberiade), grosso modo costituita dal resto della Palestina fino a Tiro ; 3) Damascus, distretto che comprendeva Baalbeck, Tripoli, Beirut e l'Hauran; 4) Hams, incluso Hamah; 5) Qinnasrin, corrispondente alla Siria settentrionale, di cui dapprima la capitale era Qinnasrin, a sud di Aleppo, dalla quale fu poi soppiantata; 6) il sesto distretto era la frontiera militare ('awâsim) al confine con i domini bizantini in Asia Minore .

domenica 27 gennaio 2019

Sostegno ungherese a “Ospedali Aperti” – il Cardinale Zenari ricevuto a Budapest

È stato il Primo Ministro ungherese Viktor Orbán a consegnare al Cardinale Mario Zenari, Nunzio Apostolico in Siria, il documento ufficiale che riguarda il contributo ungherese di 1.500.000 EUR al Programma “Ospedali Aperti”. La breve cerimonia è avvenuta il 22 gennaio a Budapest, nell’ufficio del Primo Ministro, dove Viktor Orbán ha offerto un pranzo in onore del Cardinale Zenari.
Il primo Ministro Viktor Orbán ha ricevuto a Budapest il Card. Mario Zenari.
Presenti all'incontro anche il Nunzio Michael A. Blume, il Segretario Generale AVSI Giampaolo Silvestri
e il Ministro per le Risorse Umane Miklós Kásler (foto: kormany.hu)
Durante l’incontro il Primo Ministro Orbán ha ricordato che l’Ungheria è impegnata ad aiutare le comunità e le famiglie bisognose del Medio Oriente, contribuendo ad alleviarne le sofferenze causate dalla guerra e dalla catastrofe umanitaria. La posizione del Governo ungherese, infatti, è che invece di importare i problemi in Europa bisogna portare l’aiuto là dove ce n’è bisogno.
Il Card. Zenari all’Università Cattolica Péter Pázmány in compagnia del Nunzio Michael A. Blume
e del Metropolita greco cattolico Fülöp Kocsis (foto: Magyar Kurír)
Il giorno precedente il Card. Zenari ha illustrato la situazione della Siria durante il convegno organizzato nell’aula magna dell’Università Cattolica Péter Pázmány (PPKE) di Budapest, in collaborazione con la Segreteria per l’Aiuto ai Cristiani Perseguitati ed il programma Hungary Helps del Governo ungherese. Tra le autorità presenti al convegno diversi membri della Conferenza Episcopale Ungherese e Mons. Michael August Blume, nunzio apostolico in Ungheria, nonché Tristan Azbej, Segretario di Stato per l’Aiuto ai Cristiani Perseguitati e Balázs Orbán, Segretario di Stato alla Presidenza del Consiglio ungherese.
Il Segretario di Stato Tristan Azbej (foto: Magyar Kurír)
Nel suo saluto iniziale il Segretario di Stato Azbej ha dichiarato: “Ci sono diverse risposte nel mondo alla grande sfida della nostra epoca: la crisi economica, umanitaria e quella delle migrazioni, e noi riteniamo che le soluzioni scelte dai governi occidentali non siano soddisfacenti. Loro hanno scelto di appoggiare le migrazioni, invitando le persone a lasciare la loro terra d’origine, mentre l’Ungheria sostiene, al contrario, che è interesse precipuo di ogni persona poter rimanere nella propria patria”. Nell’aiutare la Siria il Governo ungherese persegue due obiettivi: contribuire a salvare vite e dare un futuro alle persone. È per questo che l’Ungheria già sostiene cinque scuole siriane e adesso, con il contributo di 1,5 milioni di EUR al Programma “Ospedali Aperti”, finanzierà le cure mediche di circa 4500 pazienti nell’arco di un anno.
Il Card. Zenari ha ricordato in particolare l’esodo dei cristiani dalla Siria: dopo la seconda guerra mondiale essi costituivano ancora il 25% della popolazione, prima della guerra attuale erano il 5-6% e attualmente saranno scesi intorno al 2%. Le cause sono l’emigrazione, ma anche la denatalità dei cristiani. Le Chiese del Medio Oriente corrono il rischio di morire non tanto perché sono distrutte le loro chiese ma perché gli uomini se ne vanno al estero, mentre le famiglie miste seguiranno la religione musulmana. Tuttavia – come sottolinea Papa Francesco – il Medio Oriente senza i cristiani non sarebbe più lo stesso Medio Oriente. Il Cardinale ha parlato dell’operato delle varie organizzazioni cristiane che soccorrono la popolazione in Siria. Ha voluto esprimere la sua gratitudine per l’aiuto del Governo ungherese al Progetto “Ospedali Aperti” (Open Hospitals).
Il Card. Mario Zenari e la delegazione della AVSI ricevuti dal Card. Péter Erdő a Budapest
(foto: Magyar Kurír)
Il Segretario Generale della Fondazione AVSI Giampaolo Silvestri, che ha accompagnato il Cardinale Zenari a Budapest, nell’ambito del convegno ha presentato l’operato della Fondazione e, in particolare, il programma “Ospedali Aperti” da essa gestito. Ha voluto ringraziare il Governo ungherese per essere stato il primo a contribuire con fondi pubblici a questo programma umanitario, nella speranza che altri paesi ne seguano l’esempio.
La delegazione è stata ricevuta, inoltre, dal Cardinale Péter Erdő, Arcivescovo di Esztergom-Budapest e dal Vice Primo Ministro Zsolt Semjén.


Incontro con il Vice Primo Ministro Zsolt Semjén,
in presenza dell'On. György Hölvényi (Parlamento Europeo) e del Segretario di Stato Tristan Azbej
(foto: gondola.hu)

http://ungheriasantasede.blogspot.com/2019/01/sostegno-ungherese-ospedali-aperti-il.html

venerdì 25 gennaio 2019

25 gennaio: memoria di Sant' Anania che battezzò San Paolo a Damasco...


.... dove i cristiani vivono dal 30 dopo Cristo









Le poche notizie certe sulla vita di Anania sono desunte dal libro degli Atti, 9,10-19; 12,12-16. In quest'ultimo luogo, che contiene il racconto di Paolo ai Giudei riguardo alla sua conversione, dice l'apostolo: "Un tale Anania, uomo pio secondo la legge, cui rendevano testimonianza tutti gli Ebrei della città Damasco, venne a trovarmi e, standomi vicino, mi disse: "Saulo, fratello, guarda". Ed io subito guardai. Egli disse: "Il Dio dei nostri padri ti ha scelto perché tu conoscessi la sua volontà e vedessi il Giusto ed udissi una parola dalla sua bocca, perché tu sarai teste dinanzi a tutti gli uomini delle cose che hai visto e udito".

Damasco, la Via Recta
Anania fu, dunque, quel giudeo che, essendo andato a trovare Paolo in casa di Giuda, nella "Strada Dritta", gli restituì la vista con l'imposizione delle mani e lo battezzò.

Se pensiamo che la conversione di Saulo avvenne nel 34 o, al più tardi, nel 36, dobbiamo concludere che Anania si convertì al cristianesimo alla prima ora, e da tutto il racconto di Paolo si può rilevare che egli era un cospicuo personaggio della Chiesa di Damasco, anche se non fu proprio vescovo della città. Non esistono prove, infatti, per affermare che già nel 34 gli apostoli avessero consacrato dei vescovi.


Tuttavia, una tardiva tradizione bizantina, annoverando Anania tra i 70 discepoli, ce lo presenta come primo vescovo di Damasco ed evangelizzatore di Eleutheropolis (ora Bet-Djibrin) nella Palestina meridionale, e ci dice che soffrì il martirio, essendo stato prima fustigato e poi lapidato il 10 ott. del 70 per ordine di Licinio (o Luciano). Anche il Martirologio Romano attribuisce ad Anania Io stesso genere di martirio.

Cappella di San Paolo, costruita da Eustache de Lorey, all'interno dell'arco della porta della vecchia cinta muraria della città di Damasco, detta Bab Kisan


Diverse tradizioni affermano che Anania fu il giudeo che convertì Izate, figlio del re di Adiabene, Monobazo , o che fu un laico, o un diacono (Ecumenio), o un sacerdote (s. Agostino).

casa di Anania
La Chiesa latina celebra la festa di Anania al 25 gennaio assieme alla conversione di Paolo, mentre la Chiesa greca, secondo la tradizione orientale, la celebra al 10 ottobre, data del martirio.

A Damasco, presso la porta orientale, esiste una cappella sotterranea, facente parte di una basilica bizantina ora distrutta, che è venerata come la casa di Anania sia dai cristiani che dai musulmani.
Dal 1920 in numerose indagini E. de Lorey ha esplorato questa cappella.

Damasco: odierno Memoriale di San Paolo
















http://www.santiebeati.it/dettaglio/38650

mercoledì 23 gennaio 2019

In Siria, l'educazione religiosa sta 'aiutando a guarire le ferite spirituali della guerra'


Aiuto alla Chiesa che Soffre

LA CHIESA DI ALTIP, nel distretto di Bab Al-Sebaa, appena a sud del Vecchio Quartiere di Homs, in Siria, è un centro di formazione sia sociale che pastorale. "Molti anni fa era una scuola cattolica, ma poi il governo ha vietato tutte le scuole non statali. Da allora lo abbiamo usato come centro di catechesi, dando istruzione religiosa a giovani e adulti; teniamo anche eventi sociali e giornate sportive qui ", dice suor Samia Syiej, che è responsabile del coordinamento della catechesi per un gruppo di bambini che si preparano per la confermazione.

Suor Samia appartiene alle Suore del Sacro Cuore, una congregazione fondata in Siria e guidata dalla spiritualità ignaziana: "Abbiamo 12 case in tutta la Siria. Sono anche coinvolta nel lavoro pastorale con bambini handicappati. La nostra congregazione è molto attiva e perseguiamo una serie di iniziative, sia pastorali che sociali ".
Suor Samia indica il punto esatto in cui sono cadute le bombe. Dice: "Le famiglie locali ci hanno aiutato a riparare due sezioni del tetto della chiesa che sono state distrutte dal bombardamento. Ma oltre al resto, quello che dobbiamo fare ora è aiutare a riparare non solo il danno esterno, ma soprattutto il danno nei cuori delle persone. Sono una religiosa e la mia prima responsabilità è di dare testimonianza spiritualmente e aiutare le persone. Questo è ciò che mi muove. Abbiamo vissuto la guerra e l'abbiamo vista da vicino. La catechesi è importante per aiutare a guarire le ferite spirituali della guerra".

Lavorando al fianco di Suor Samia ci sono un certo numero di studenti universitari che si dividono tra i diversi gruppi di catechesi e aiutano attivamente in questo apostolato.
"Sono molto consapevole che devo la mia vita a Dio e alle preghiere di persone come Suor Samia", dice un giovane che è attualmente disoccupato. Prestava servizio nell'esercito siriano, che è richiesto a tutti gli uomini abili. Durante un'imboscata fu catturato da un gruppo ribelle e tenuto prigioniero per mesi. Tutti presumevano che fosse morto, ma miracolosamente riuscì a fuggire. "Ringrazio Dio e ringrazio le suore per non aver mai rinunciato a pregare per me. Sono così grato a loro oggi e così ora le sto aiutando come catechista ".
"Non abbiamo mai smesso di offrire il nostro aiuto e le nostre preghiere. Tutto viene fatto attraverso la collaborazione di sacerdoti, religiosi e laici. Lavoriamo tutti insieme per organizzare queste attività e, grazie a Dio, abbiamo alcuni giovani molto attivi ", dice suor Samia.
In Siria, la Chiesa è viva, nonostante più di 7 anni di guerra. I sacerdoti e i religiosi presenti nel Paese sono diventati motivo di speranza.  Suor Samia lavora anche in una casa per bambini con handicap mentali. Dice: "Abbiamo sempre realizzato progetti con l'aiuto di ACS, anche durante i momenti più sanguinosi della guerra. I bambini e gli adulti hanno spesso bisogno di una parola di speranza e vogliono diventare più forti nella loro fede. I bambini vengono in chiesa e possono anche essere molto esigenti. Durante l'estate, ad esempio, abbiamo tenuto un certo numero di campi giovanili, che hanno dato nuova speranza a molte persone. Questo è ciò che ci motiva ".
Nel 2018, l'Aiuto alla Chiesa che Soffre ha finanziato diverse dozzine di programmi pastorali a beneficio dei giovani e dei bambini in tutta la Siria.

lunedì 21 gennaio 2019

Padre Ibrahim da Aleppo: in mezzo alla morte, testimoni della Sua presenza

settimana di preghiera per l'unità dei cristiani ad Aleppo

Intervista di Francesco Inguanti
 
Padre Ibrahim, come è nata la guerra in Siria?
La guerra in Siria è nata dal cuore dell’uomo, che è capace di tanto bene, ma anche di tanto male. Nasce dall’egoismo e dall’avidità personale che è insita in ogni cuore umano. Ma quando questi mali assumono una dimensione comunitaria, si comincia a desiderare le energie economiche di un altro popolo, il vantaggio della sua posizione geopolitica e si pensa di risolvere i propri problemi a scapito di quelli di altri popoli.

E qual è la situazione sul campo?
Siamo giunti ormai all’ottavo anno di guerra; abbiamo censito un anno fa ben 10 eserciti internazionali, presenti sul campo senza nessun coordinamento fra di loro, alcuni più degli altri si fanno la guerra sul territorio siriano; è, dunque, una situazione molto complessa e delicata.

Si può raggiungere la pace?
È difficile fare la pace perché la guerra è più conveniente, per un motivo semplice: perché nel caos, nel disordine si può fare quello che nella pace non si può fare. Per esempio si possono vendere tante armi. Il commercio delle armi ha raggiunto nel Medio Oriente la cifra record di 700 miliardi di dollari, ma tutti pensano che sia molto più alta. Con le armi poi, si possono rubare le case, rapire le persone, appropriarsi delle risorse energetiche e degli impianti industriali. La guerra in Siria conviene a tanti.

Aleppo vive da due anni una situazione meno drammatica di prima?
Non so se è più o meno drammatica di prima. È vero che, dal 22 dicembre 2016, non cadono missili su diversi quartieri aleppini, ma continuano purtroppo a cadere sulla parte ovest della città, in modo particolare su tre quartieri. Giorni fa sono stati lanciati missili pieni di cloro, dai gruppi armati nella periferia di Idlib, che pur non avendo fatto morti, hanno provocato disturbi gravi a 110 persone, che sono state costrette a passare ore o giorni all’ospedale con la maschera d’ossigeno. Quindi, meno o più drammatica non si sa, ma è una situazione assurda.

Quale futuro vede per la Siria?
La Siria era un luogo di convivenza, un mosaico di diversi colori in cui c’era spazio per tutti. Adesso invece si va verso la creazione di zone ad influenza etnica o religiosa maggioritaria. Questo è contro la nostra storia e non risolverebbe il problema della convivenza. Sembra che la comunità internazionale non abbia imparato niente dalle due guerre mondiali. In Medio Oriente è in atto un pezzo della terza guerra mondiale a pezzi di cui ha parlato il Papa. Vediamo quindi nuvole nere che riempiono l’orizzonte; che tutto quello che è successo e succede in Siria è una possibile introduzione a un inverno freddo pieno di fulmini che potrà espandersi come guerra mondiale in tutto il mondo.

E ad Aleppo come si vive oggi?
Una volta Aleppo era la Milano della Siria dal punto di vista dello sviluppo economico: aveva il 60 per cento della produzione economica dell’intero paese. Adesso ha le ali tagliate e non riesce a tornare ad essere produttiva. Soprattutto non c’è lavoro e quindi non c’è sviluppo. I macchinari delle fabbriche sono stati derubati mentre le strutture sono state rase al suolo. Di conseguenza, c’è una povertà incredibile ed inimmaginabile che può trasformarsi da un momento all’altro nella carestia di un’intera città o di un intero popolo.

Ma chi rimane allora in città?
A causa di questa mancanza di futuro la gente continua a lasciare il Paese senza sperare di potervi tornare. Le minoranze e con esse i cristiani sono quelli che soffrono di più. Basti pensare che due terzi della popolazione della Siria e della comunità cristiana sono andati via. Quelli andati all’estero torneranno molto difficilmente, forse potranno tornare quelli spostati in altre città della Siria o in campi profughi del Libano. Abbiamo calcolato che da gennaio di quest’anno 10 famiglie della parrocchia sono tornate ad Aleppo a fronte di 10 famiglie che hanno lasciato la città. Tornando alla domanda, si può rispondere che solo i poveri che non potevano scappare sono rimasti nella città.

Di fronte a tanto male torna sempre la solita domanda: dov’è Dio? Perché rimane in silenzio?
Sicuramente, c’è il Mysterium iniquitatis; alcuni potranno inciampare in quello che chiamiamo il problema del male, accusando Dio di essere assente; è una tentazione. Noi invece vediamo Dio ogni giorno: un Dio soffrente, inchiodato sulla croce, nelle membra dell’umanità sofferente, derubate dalla sua dignità umana. Dio innanzitutto lo adoriamo come presente nelle ferite della popolazione, poi lo vediamo al timone di questa Chiesa in mezzo alle onde più alte di quelle del “mare di Galilea”, lo vediamo ogni giorno che si avvicina con tutta la sua tenerezza per curare noi e provvedere ai bisogni delle sue creature.

In tutto questo voi come riuscite a sopravvivere?
Molto spesso chi chiediamo: come mai noi siamo sopravvissuti? Siamo sopravvissuti a tanti missili, alla mancanza d’acqua, di elettricità e di molto altro. Questo è stato possibile solo perché Lui era presente con tutta la sua forza, una forza di bene, di cura, di provvidenza, che sempre ci ha sorpresi e continua ancora oggi a sorprenderci. Questo lo vediamo ogni giorno nelle piccole come nelle grandi cose, nelle persone che pregano per noi in tutto il mondo, ma anche in tante persone che fanno sacrifici per aiutarci, dal punto di vista concreto e anche i pochi spiccioli si moltiplicano come i pani e i pesci, fino a poter vedere anche gli avanzi. Nella nostra vita quotidiana ad Aleppo, in mezzo ai missili che cadono, noi siamo testimoni della Sua presenza tenera con noi.

Con quali aspettative è andato ad Aleppo?
Quando sono partito per Aleppo avevo le mani nude, ma un cuore disponibile; armato della mia fede e della mia carità. E posso assimilare questa carità coraggiosa e anche creativa a quella di una madre che quando nasce il primo figlio non sa come allattarlo, lavarlo, accudirlo, ma ha un istinto spirituale che la muove a fare ugualmente tutto questo. La carità è una cosa che scoppia dal cuore disponibile e che guida a fare cose che mai hai immaginato. Così sono scattati tutti i miracoli di questi quattro anni della mia presenza ad Aleppo.

Cosa significa in concreto?
Significa che il Signore mi ha chiesto di far fronte non solo ad un compito spirituale, ma di rispondere ad una emergenza che è oltre ogni limite. Ogni giorno mi trovo a fare l’infermiere, il medico, l’ingegnere, il poliziotto, l’architetto, l’assistente sociale. Quindi, come faccio il parroco? Facendo la volontà istantanea di Dio, rendendomi disponibile alle sue ispirazioni ogni istante. Ad Aleppo, è Dio che pianifica e esegue, mentre il parroco di Aleppo è soltanto un servo inutile.

Che cosa vuol dire per lei fare la volontà di Dio in questa situazione?
Non è rassegnazione, si tratta di un’attesa, come quella vissuta in questo periodo di Avvento. Siamo nel buio della notte, ma aspettiamo con certezza che l’alba arrivi. L’alba della pace non è arrivata ancora, viviamo nell’ansia che verrà, in quest’attesa sofferente, pazienti, di un mattino che dovrebbe arrivare, anzi arriverà. Non sappiamo quando, ma dovremo essere pronti e vigilanti.

E fare il parroco?
Tutto il lavoro di sostegno alla popolazione che soffre, cioè il lavoro di emergenza e di ricostruzione, lo sento come parte del lavoro pastorale. Se concepiamo la parrocchia come un “ospedale da campo”, come dice papa Francesco, certamente lì non si può parlare di Dio ad un bambino ammalato o ad una famiglia in difficoltà, prima di curare il bimbo e prima di ricostruire la casa distrutta e prima di pagare un intervento chirurgico cardiaco costoso. La prima forma della pastorale è andare incontro al bisogno concreto immediato. Poi, c’è l’abito che ci fa strada.

Cioè? Si riferisce al saio che indossa?
Sì, perché serve a ricordare a tutti che tutto ha senso a partire dall’evento di Gesù Cristo. È Gesù che mi manda a loro, ed io, frate e sacerdote, sono l’emanazione del Suo Amore e la Sua trasfigurazione nell’oggi della loro vita. Tutto quello che faccio, come servizio umanitario, non è altro quindi se non una testimonianza all’amore di Cristo verso le Sue creature. Quello infatti, che mi ha “rubato il cuore” e mi ha fatto “abbandonare le reti” è Gesù Cristo. Non ho lasciato la mia casa e la mia famiglia per una ideologia umanistica, ma perché me lo ha chiesto Uno che guida la storia e questo mi richiama a dare la vita come Lui.

Ma come si fa a parlare di futuro in un contesto simile?
L’intelligenza della fede ci impone di progettare il futuro, non soltanto di conservare qualcosa del presente. I giovani che si sposano e i bambini che nascono sono il nostro futuro, come Chiesa e come società, e le nostre attenzioni pastorali sono rivolte soprattutto a loro. Il progetto del matrimonio non è un progetto di due fidanzati. È un progetto che inizia con loro, ma che alla fine è un progetto di tutta la società e di tutta la Chiesa. Riconoscere questo, specialmente in una situazione di guerra, è fondamentale per saperlo mettere come priorità, come una cosa che interessa tutti e che tutti devono aiutare a nascere.

Può quantificare quello che state facendo, per avere un’idea?
L’anno scorso abbiamo raggiunto il massimo nella distribuzione di pacchi alimentari mensili a 3.700 famiglie bisognose; quest’anno invece, ci siamo limitati a mille famiglie. E lo stesso vale per l’assistenza sanitaria che ad Aleppo è quasi inesistente. Poi bisognava andare oltre il servizio di emergenza, così abbiamo iniziato con i progetti chiamati “progetti di ricostruzione”. Abbiamo messo mano alla ricostruzione delle case, riuscendo a rimetterne in piedi 1.250, dal 2016 ad oggi, grazie all’aiuto di otto ingegneri. Certo non abbiamo ricostruito la città, ma abbiamo procurato la casa a un numero elevato di famiglie che rischiavano di rimanere senza tetto. In questo campo, quello che abbiamo fatto va ogni oltre misura se si tiene conto che siamo solo una piccola parrocchia latina e non uno Stato. Abbiamo anche avviato 500 progetti di microeconomia per far ripartire il processo economico, per rendere le persone indipendenti dagli aiuti che ricevono.

Ma lei ripete sempre che il primo e più importante obiettivo è la ricostruzione della persona umana. Ce lo spiega?
Certamente la persona umana è quella che ha subìto il danno più forte; ha bisogno quindi di una vera “ricostruzione”. Per questo, abbiamo messo grande attenzione a creare dei progetti educativi dei bambini, per esempio con doposcuola a tanti soggetti molti dei quali considerati “irrecuperabili” dalle istituzioni scolastiche. Abbiamo anche creato ambienti accoglienti per loro (l’oratorio estivo di quest’anno ne ha coinvolto 1.300) aiutandoli a scoprire i propri talenti e a farli sviluppare da tutti i punti di vista, non soltanto dal punto di vista spirituale. Tutto ha l’obbiettivo di far avere al bambino di Aleppo una guarigione e una vita nuova.

Come fate a non rimanere isolati dal resto del mondo?
Siamo stati avvolti dalla tenerezza di Dio. Papa Francesco ha detto che “la Chiesa è la mano tenera di Dio”. Noi abbiamo visto Cristo, sperimentato la sua tenerezza, attraverso parrocchie, chiese, vescovi, sacerdoti e laici che hanno voluto manifestare la loro vicinanza aiutandoci in tanti modi. Le istituzioni sono arrivate alla fine, anche se in ritardo, ma tutto è partito dalla Chiesa e dal Papa che ha sempre parlato del dramma della Siria.

Come ha recepito le più recenti parole del papa all’Angelus su di voi?
Il Santo Padre ha pregato perché i cristiani rimangano in Medio Oriente. Lui sa quale importanza hanno i cristiani per essere ponti tra tante parti, per essere testimoni proprio in quella parte di mondo che ha visto la nascita delle prime comunità cristiane. Questa testimonianza, come egli spiega, passa attraverso “la misericordia, il perdono, la riconciliazione”.

Quindi voi attendete il papa in Siria?
Certo ci piacerebbe che venisse, ma oggi credo proprio che sia impossibile. Domani chissà! In ogni caso lo sentiamo ogni giorno vicino e presente con le sue parole e la sua preghiera. Ci sentiamo amati e voluti bene.

Cosa chiedete a noi che siamo in Europa?
Prima di tutto di pregare per noi, perché la missione della Chiesa ad Aleppo è parte della missione universale della Chiesa. Chiediamo poi a tutti di lavorare ciascuno nel proprio campo con le parole e con le opere per favorire una pace che purtroppo è ancora lontana. E poi chiediamo a voi di seguire le ispirazioni del cuore. Se ciascuno seguisse le proprie ispirazioni del cuore, com’è accaduto a me andando ad Aleppo, potremmo costruire e far espandere il Regno di Dio, non solo in Siria, ma anche in tutto il mondo. La quarta cosa è combattere contro il nostro male, piccolo e personale. Tutto nasce dal cuore dell’uomo, il bene e il male. Contrastare il male nei nostri cuori significa vincerlo in tutto il mondo e far vincere il Regno dei Cieli sul regno delle tenebre.