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sabato 29 febbraio 2020

Lo scontro tra Turchia e Siria visto da chi vive là


Ultimissime dalla Siria, 28 febbraio 2019

Lilly Martin, che la guerra non la vive attraverso i menzogneri comunicati dei media mainstream ma sulla propria pelle, scrive da Latakia:

Ieri sera abbiamo sfiorato il conflitto aperto. Come sapete, la Turchia ha invaso la Siria per sostenere al-Qaeda a Idlib, rifornendo i terroristi di missili antiaerei a spalla, impiegati anche per colpire un jet russo che sorvolava Idlib. La Russia e la Siria sorvolano entrambe Idlib e prendono di mira postazioni dei terroristi, che sono segnalate da osservatori sul terreno. Il pilota russo ha evitato di essere colpito prendendo contromisure contro il missile attirato dal calore del suo velivolo, ma ha riferito dell'evento.

Più tardi, l'aviazione siriana ha bombardato un gruppo di terroristi che stavano progettando di attaccare le forze di terra siriane nella regione di Idlib. L'esercito turco si nascondeva in mezzo ai terroristi, cercando di "mascherare" propria posizione. Per cui, quando l'aviazione siriana ha bombardato i terroristi, sono rimasti uccisi circa 34 soldati turchi e molti altri sono stati feriti. Quattro elicotteri turchi giunti sul posto hanno trasportato morti e feriti all'ospedale Reyhanli (in Turchia).
Ciò ha indotto il Presidente Erdogan a chiamare gli Stati Uniti poi la NATO e infine la Russia. Fondamentalmente, tutti loro non vogliono offrire [direi che forse non vogliono offrire apertamente N.d.T.]  aiuto alla Turchia perché:
  1. E' la Turchia che ha invaso la Siria, e i suoi soldati sono stati attaccati in Siria, quindi questa è stata un'azione militare legale, secondo il diritto internazionale.
  2. Il gruppo che la Turchia sta supportando a Idlib è al-Qaeda, e Stati Uniti, NATO e Russia non appoggeranno pubblicamente al- Qaeda, classificato come gruppo terroristico . Ricordate l'11 settembre?
  3. Erdogan ha due opzioni: 1. Ammettere la sconfitta e ritirarsi in Turchia. 2. Andare avanti, dichiarare guerra alla Siria e alla Russia, sapendo che sarà da solo nella sua guerra, e nessuno potrà aiutarlo, tranne i terroristi di al- Qaeda. Si potrebbe scrivere un libro sugli errori commessi da Erdogan che coopera con l'Islam radicale e la sua ideologia, definita da numerosi analisti politici un ‘’culto della morte’’.
      
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    Queste foto sono tutte delle zone
     tenute dai " ribelli moderati" :
    vedi quanto sono moderati
    Gruppi umanitari, Enti di beneficenza e Nazioni Unite sono di fatto un meccanismo di supporto ai terroristi e le loro famiglie, che consente il prolungarsi della sofferenza di bambini innocenti.  Questo progetto sunnita-utopico chiamato Idlib avrebbe dovuto essere eliminato anni fa. I libri di storia spiegheranno come l'Islam radicale sia stato usato quale strumento politico per attuare il "cambio di regime" e, anche se non ha mai avuto successo in 9 anni di guerra, Stati Uniti-UE-NATO-Turchia non possono lasciarlo morire. Continuano a nutrire la loro creatura come un animale domestico malato che non si vuole sopprimere. I civili sono stati nutriti da questi gruppi, a seconda dei finanziatori che pensano di servire, ma in realtà stanno pagando il fio per ulteriori sofferenze;
    senza considerare la morte e le sofferenze degli abitanti di Kessab, Latakia, M'Hardeh, Aleppo …, massacrati e mutilati da terroristi che l'Occidente sponsorizza da 9 anni.
                                                                     Lilly Martin
       traduzione: Maria Antonietta Carta

martedì 25 febbraio 2020

Abbandonate ma non dimenticate: le antiche grandi chiese e Città Morte della Siria

Proponiamo un breve reportage di viaggio, come introduzione alla pubblicazione del successivo studio approfondito di Maria Antonietta Carta dedicato alla fioritura dell'architettura sacra e ai movimenti ascetici nel Massiccio Calcare, con particolare rilievo su San Simeone lo Stilita.

Di Susan Dirgham - Beloved Syria, 18 febbraio 2020



Città Morte, Siria, 2004 (di Chris H.)
L'autore di questo articolo, Jack Bettar, è uno studente di Sydney, in Australia, che ha una profonda passione per la storia e la scrittura. Ha pubblicato numerosi articoli sulla prima migrazione siriana a Sydney. Ha anche registrato storie orali di migranti siriani come un modo per conservare e tramandare sia le esperienze individuali che quelle comunitarie. Attualmente sta curando una mostra archivistica permanente che celebrerà i 125 anni di storia della Chiesa cattolica Melkita in Australia. Jack è anche un musicista appassionato, suonando sia musica classica che contemporanea e araba. È stato invitato a esibirsi alla Great Hall dell'Università di Sydney nel 2015.
Sparso tra fertili montagne, tra ulivi e pistacchi, e attraverso colline calcaree spazzate dal vento, si trova un assortimento di antiche rovine, alcune misteriose, ma tutte preziose non solo per la storia della Siria ma per la storia dell'umanità in generale.
Nei governatorati di Aleppo e Idlib (province), si possono trovare spunti unici e rari sulla vita di oltre millecinquecento anni fa e forse il più bel deposito al mondo di chiese e monasteri bizantini da scoprire.
Immagini: la Basilica di Qalb Lozeh.
An adorned arc at the 5th century basilica in Qalb Lozeh village in northwestern Syria on Thursday. Photo: AFP
Fu da Idlib, in particolare nella cittadina situata lungo la strada polverosa di Qalb Lozeh (tradotto come "Cuore di mandorle"), che arrivò l'ispirazione architettonica per la cattedrale più iconica e splendente del mondo, Notre Dame de Paris. Sebbene parzialmente in rovina, la basilica, costruita in pietra calcarea locale a metà del V° secolo, si trova ancora in tutto il suo splendore, in cima a una collina.
Ogni visitatore di Parigi ricorderà per sempre l'iconica facciata a doppia torre, la caratteristica che differenzia Notre Dame dalle cattedrali sue contemporanee, ma pochi sapranno che la prima chiesa a vantare questo grandioso design fu la Basilica di Qalb Lozeh a Idlib, ed anche che questa chiesa è un "antenato" di altre grandi cattedrali gotiche d'Europa.
Il suo stravagante nartece arcuato (In architettura, parte della basilica paleocristiana e bizantina riservata ai catecumeni e ai penitenti N.D.T.) ha accolto migliaia di pellegrini provenienti da tutta la Mezzaluna Fertile e oltre, molti dei quali intraprendevano il loro viaggio per ascoltare uno strano e devoto eremita (San Simeone) mentre predicava seduto su un pilastro per oltre 30 anni, proprio nel punto in cui in seguito una chiesa, commissionata dall'imperatore bizantino Zenone, sarebbe stata eretta in suo onore.
L'immagine può contenere: cielo, spazio all'aperto e natura
Uno struggente senso di bellezza lascia stupito il visitatore della chiesa di San Simeone lo Stilita. Il complesso di oltre 5.000 metri quadrati della chiesa di San Simeone, costruita nel V° secolo dopo la morte del santo, comprendeva quattro basiliche, un monastero, alloggi, due chiese minori e un battistero, rendendolo il più eccezionale e più grande complesso religioso del suo tempo, non superato in tutta la cristianità fino alla costruzione di Santa Sofia a Costantinopoli (l'odierna Istanbul).  A differenza della Basilica di Santa Sofia, la chiesa di San Simeone, nell'odierno governatorato di Aleppo, fu costruita su una collina a decine di chilometri dalla città più vicina. La chiesa a forma di crocifisso custodiva la colonna di San Simeone al centro, dove si trova ancora [fino all'occupazione dei barbari di Al Nusra N.D.T.]. Per diversi secoli, i pellegrini sarebbero venuti alla chiesa e avrebbero staccato una scheggia dalla colonna, lasciandone solo un moncone.
Sebbene la credenza comune ponga le radici del rito maronita in Libano, a 30 minuti di auto dalla chiesa di San Simeone si arriva alle rovine di Brad. Qui, il patrono San Marone è nato ed è sepolto. La tomba modesta forma un complesso molto più grande tra cui la Chiesa Julianos, costruita dalla fine del 4° secolo ai primi anni del 5°, solo pochi anni prima della morte di San Marone e prima che Qalb Lozeh fosse edificato. La storia maronita in Libano iniziò solo molti secoli dopo.
La chiesa di Julianos, la Basilica di Qalb Lozeh, la chiesa di Saint Simeon e le rovine di altre chiese bizantine si trovano in un'area classificata nel 2011 dall'UNESCO come "Le città morte della Siria settentrionale".
Oltre alle imponenti rovine menzionate sopra, centinaia di siti meno importanti nelle Città Morte che sono notevolmente conservati, forniscono informazioni sulla vita antica attraverso l'esistenza di ville, torchi per l'uva, bagni pubblici insieme a frantoi per le olive e mulini. Questi villaggi forniscono un'eccezionale illustrazione del diffuso sviluppo del cristianesimo in Siria e nel Vicino Oriente e un'impareggiabile dimostrazione degli stili di vita e delle pratiche culturali di queste civiltà rurali.
I villaggi più famosi sono Serjilla e Bara sul Jebel Riha. A Bara, un insediamento che un tempo doveva essere stato circondato da vigneti e uliveti, sorgono appariscenti tombe piramidali e sarcofagi che si trovano unicamente solo in questa Città Morta.
Ross Burns, ex ambasciatore australiano e autore di "I monumenti della Siria: una guida", scrive che le città morte sono "un grande enigma archeologico". I lettori sono incoraggiati a sondare questo mistero. Burns scrive che nel X° secolo la regione era deserta; era "una zona di frontiera tra Bizantini e Arabi". Poi, nel tempo, le rotte mercantili furono interrotte e città agricole come Serjilla, che prosperarono nel commercio, si sciolsero nel paesaggio ormai sterile, lasciandosi dietro, lentamente sbiadendo, la testimonianza fisica della magnificenza di questi siti nei loro primi anni. Di fatto queste città si trovano nel territorio di due province balzate sulle prime pagine, sono un promemoria per l'antica gloria di questa regione e per il loro significato e l'influenza sul mondo. Si può sentire il potere delle pareti calcaree e sebbene permeate da una atmosfera inquietante a causa della mancanza di turisti, mantengono ancora il loro splendore e fascino romantico.
Immagini scattate in Città Morte, 2004. Susan Dirgham
Per maggiori informazioni
Nel villaggio di Qalb Lozeh nella Siria devastata dalla guerra, questa chiesa che "ha ispirato la Cattedrale di Notre Dame" è ancora in piedi , pubblicato su South China Morning Post , 20 aprile 2019
e su MiddleEastArchitect, 13 giugno 2019
Di seguito sono riportati i mosaici del periodo descritto nell'articolo. Provengono da una chiesa del governatorato siriano di Hama, che confina con Idlib e Aleppo.
Mosaico della Chiesa di San Michele, Huarte, 487 d.C. (cartolina)
Mosaici della chiesa di Huarte, Siria, V° secolo d.C. (cartoline)

domenica 23 febbraio 2020

Incontro pubblico con il Vescovo di Aleppo: Il grande investimento umano per il futuro della Siria *ANNULLATO

⛔️⛔️⛔️ A causa dell'ordinanza della regione Emilia Romagna e su indicazione del Sindaco l'incontro è annullato ⛔️⛔️⛔️



All’amata e martoriata Siria” è il pensiero che porta all’incontro con S.E. Mons. Georges Abou Khazen
 Il 24 febbraio ore 20,45 alla sala del Carmine via Garibaldi,16 a Lugo lo incontreremo insieme all’inviato speciale di Tempi, Rodolfo Casadei.

Un legame fortissimo con Aleppo nato con Mons. Giuseppe Nazzaro, precedente Vescovo latino in Siria, ed ora consolidato con Mons. Georges Abou Khazen. Una amicizia cominciata dalla commozione fraterna di amore e responsabilità verso l’umanità violata.
Una popolazione che è costretta ad abbandonare le proprie case a causa di azioni militari, moltissime sono le famiglie cristiane. 
L’impegno del Circolo JH Newman “liberailpresente” ha portato alla sensibilizzazione dei lughesi, di tutta la diocesi e si è allargato alla Regione e molte zone d’Italia tessendo una rete di sostegno cercando soluzioni. Dai medicinali, al gasolio, ai computer per gli studenti, all’acquisto e la riparazione di appartamenti fino al gas per la cucina e l’acquisto di frigoriferi. Azione resa possibile dall’impegno di don Leonardo Poli insieme alla Parrocchia e alla Caritas locale, oltre 70.000 euro solo nel 2019 e il sostegno è attivo da diversi anni.
Noi francescani abbiamo un carisma speciale- dice Padre Georges- privi di tutto eccetto dell’amore di Dio e per il prossimo. Rifiutiamo il nome di minoranza, tutti gli uomini sono uguali davanti a Dio. Uguali in diritti, uguali in doveri. Ad Aleppo ci siamo trovati insieme e la necessità ci ha riunito.”

Fate l’ecumenismo del sangue, diceva San Francesco. Con Rodolfo Casadei la possibilità di dialogare e conoscere le minacce che dallo scenario siriano arrivano fino all’Unione Europea. La Turchia, Erdogan, le polemiche di Trump, i curdi, dalla logica dell’odio e della vendetta al desiderio di pace, stabilità e prosperità in Siria. 
 UN NOME E UN FUTURO è il progetto per sostenere i bambini abbandonati di Aleppo voluto fortemente dal Vicario Apostolico Mons. Georges Abou Khazen, da fra Firas Lutfi e dal Gran Mufti di Aleppo, proposto nei mesi scorsi, portare l’attenzione ai loro bisogni essenziali, rinforzarli psicologicamente e sostenere le madri. L’occasione di una presentazione delle 500 famiglie coinvolte e dei 2.000 bambini aiutati.
Con il Patrocinio del Comune di Lugo, il Sindaco Davide Ranalli si è fatto portavoce verso gli imprenditori per aprire una possibilità di collaborazione alla ricostruzione di Aleppo, prima della guerra centro economico della Siria, paragonabile a Milano.
Wasp, azienda di Massalombarda, leader nel settore della stampa in 3D, ha donato all’Università di Damasco un laboratorio attrezzato, dove insegnanti e studenti sono continuamente al lavoro per realizzare protesi ai bambini mutilati che sono oltre 50.000.

Nove anni di guerra non hanno sfinito il popolo siriano che rimane tenace e pieno di speranza. Questa collaborazione, Università e mondo imprenditoriale, è un punto di riferimento che desideriamo fare crescere . Perché il popolo desidera la pace, questa guerra serve solo a chi desidera che la Siria diventi terreno di conquista.
L’intervento di Rodolfo Casadei, supportato dalle foto da lui raccolte, è preziosissimo perché l’opinione pubblica occidentale non è messa in condizione di capire cosa accade realmente in Siria, la maggioranza dei mass media propone una rappresentazione deformata della realtà.
La formidabile testimonianza di Padre Georges aiuterà a capire l’intensità di umanità, i gesti di condivisione che sono il grande investimento umano per il futuro della Siria. Con la certezza che ciò che “libera il presente” è la costruzione, da oggi, di un’esperienza che la renda sperimentabile e credibile.

Paola Paoletti, Circolo JH Newman “liberailpresente”

AI MARTIRI DI OGGI
 celebrazione della Santa Messa, ore 18,30 Chiesa della Collegiata di Lugo dal Vescovo di Imola Mons. Giovanni Mosciatti e Mons. Georges Abou Khazen
Invito alla cittadinanza, ai benefattori e alle oltre 200 famiglie che sostengono mensilmente le attività in Siria attraverso la Caritas

venerdì 21 febbraio 2020

Pezzi di vita ... da Aleppo finalmente libera

Il volontario francese Pierre Le Corf raccoglie nel suo diario i commoventi preziosi racconti di vita dei ragazzi di Aleppo di cui si prende cura.
Ne riportiamo uno, per capire cosa significa per un popolo che non desidera altro che di poter vivere in pace aver sopportato per 7 anni ogni giorno la minaccia di centinaia di mortai e razzi, paura, freddo, fame, esodo forzato, perdita di speranza; nell'evidenza che quei terroristi e soprattutto le organizzazioni straniere che li manovrano hanno distrutto il Paese ma non la volontà di resistere.


"Mi chiamo George e ho 16 anni. Ho imparato molto dalla guerra, abbiamo assunto grandi responsabilità e abbiamo guadagnato forza, capacità di resilienza ... abbiamo imparato a resistere per ciò in cui crediamo, a non lasciarci indebolire, per resistere, per capire il valore della nostra vita e per rafforzare la nostra volontà di farne qualcosa di positivo.
Ci sono stati momenti buoni e cattivi, il più bello è stato quando ho ritrovato mio cugino che non vedevo da 5 anni, ricordo che ci siamo abbracciati e pianto ... sì, siamo cresciuti insieme, ma quando la situazione si è deteriorata ad Aleppo lui si è rifugiato a Damasco, anche mio fratello è espatriato in Libano.
Conservo in me anche molti vissuti di bombardamenti.. Ricordo che una volta ero nel mio letto e un colpo di mortaio è caduto a qualcosa come 7 metri di distanza, sono stato fortunato. Quel suono ... gente che urlava ... la mia famiglia ha deciso di lasciare Aleppo per Tartous, 2 mesi dopo siamo tornati. Una delle cose che mi fa più male di ogni altra è il fatto che la maggior parte dei miei amici ha dovuto espatriare durante la guerra.
All'inizio non potevamo uscire, era troppo pericoloso, ma col tempo ci siamo abituati, abbiamo imparato a conviverci perché la vita deve continuare, siamo dei ragazzini che devono crescere e malgrado tutto dobbiamo avere speranza per il futuro.
Purtroppo c'erano molte volte in cui non avevamo altra scelta che semplicemente sopravvivere. Siamo stati sotto assedio per un po', non riuscivamo più a trovare cibo, non c'era più acqua, abbiamo provato ad attingerla dai pozzi ma spesso erano stati avvelenati, ... tutto questo mentre continuavano pesanti bombardamenti su di noi , proiettili che cadevano dappertutto ... eravamo intrappolati nelle nostre case, a volte per intere ore.
L'esercito libero (FSA), Al Nosra ecc. sono arrivati nelle nostre strade ma non sono riusciti a ottenere quello che cercavano perché è il nostro Paese e siamo rimasti qui, io odio l'idea di andarmene dalla Siria perché non ne vedo l'interesse, non c'è niente per me fuori, questo è il mio Paese, il nostro futuro è qui, la nostra vita è qui.
Di quello che sta succedendo qui, ancora una volta l'esercito libero (ESL o FSA), Al Nosra o gli altri gruppi sono quelli che ci massacrano, non il regime o l'esercito regolare siriano, come dicono i vostri media in Europa, questa è propaganda e molte persone lo sanno ma non lo dicono e non fanno nulla al riguardo ... i soldi, i soldi fanno tutto ... ma qui è la nostra vita e qui resteremo.
Spero che la vita torni bella come prima, ritrovandoci tutti come un'unica famiglia, amici, fratelli e sorelle, e spero che questa guerra sia alla fine".

mercoledì 19 febbraio 2020

Libano, terra di santi... anche italiani.

 Padre Romano Bottegal  (28 dic 1921- 19 febb 1978) 
e l'offerta della vita per la pace in Oriente

L’“eremita missionario”, come è stato chiamato, figura monastica fuori dell’ordinario e grande mistico, la cui fama di santità si sta sempre più allargando, nasce, ultimo di sei figli, a san Donato di Lamon (Belluno) nel 1921, in una famiglia di condizione molto modesta. Dopo le scuole elementari, il piccolo Romano entra nel seminario minore di Feltre e poi in quello maggiore di Belluno, dove ha come vice-rettore don Albino Luciani, il futuro papa Giovanni Paolo I, che lo apprezza molto e lascerà di lui una testimonianza significativa. 
Durante gli anni di teologia matura una forte vocazione monastica, ma i suoi superiori ed il direttore spirituale gli consigliano di aspettare l’ordinazione sacerdotale, che riceve il 29 giugno 1946. Dopo l’ordinazione lascia la diocesi ed entra nell’abbazia delle Tre Fontane, a Roma. Qui fa la professione solenne nel 1951, segue dei corsi all’università Gregoriana, dove nel 1953 ottiene la licenza di teologia, ed è maestro dei fratelli conversi, cantore, poi maestro dei novizi e priore. 
Nel 1961 risponde all’appello dell’abate di Latroun, in Israele, che cercava dei volontari per realizzare in Libano una fondazione trappista di rito maronita e partecipa a questo tentativo, iniziando a studiare l’arabo, il siriaco e la liturgia orientale. Nel mese di dicembre del 1963, dopo che il progetto libanese non riceve l’approvazione del capitolo generale dell’Ordine, lascia il Medio Oriente e rientra alle Tre Fontane, dove, l’abate, che conosce la serietà del suo impegno monastico e la sua virtù interiore,  gli permette di condurre una vita solitaria nel territorio del monastero. Poco più tardi, però, quando il nuovo superiore pensa di non potergli più concedere di continuare la sua esperienza di vita solitaria nella sua comunità, P. Romano, che ha ormai la certezza della chiamata del Signore a una vita più austera e solitaria, domanda alla Santa Sede un indulto di esclaustrazione, che gli viene accordato, per poter condurre vita eremitica. 


Dopo un tempo di ricerca, parte per il Libano, mettendosi sotto l’autorità del vescovo melkita di Baalbek e vivendo in vita solitaria a Jabbouleh, in un eremitaggio appartenente alla diocesi. Qui condusse una vita molto austera, con un regime alimentare appena sufficiente, senza mai riscaldamento, né mobili, né alcun agio. 
Il suo eremo era formato da 4 minuscole celle: l’oratorio, il dormitorio, la cucina, il deposito e luogo di lavoro. Il suo letto consisteva in assi di legno poste su blocchi di cemento, come materasso aveva un pagliericcio e per coprirsi una vecchia coperta di lana. Nella cucina c’era una caminetto rudimentale a legna su cui faceva cuocere delle gallette di pane e un po’ di riso o grano. Per vestirsi una sola tonaca bianca da monaco trappista che gli serviva anche per celebrare la Messa, e per il lavoro un abito di canapa che si era cucito da sé. Rifiutava tutti i doni, dicendo che doveva provvedere lui stesso alle sue necessità. 
La penitenza, però, non lo indurì, anzi, era gioioso, sorridente, amabile pieno di amore e anche di tenerezza. Tutti i testimoni parlano della sua gioia e dell’irradiazione della presenza del Signore dal suo volto, frutto anche di qualche esperienza mistica, di cui ha conservato un geloso segreto, ma che traspare chiaramente dai suoi diari. P. Romano ha vissuto in mezzo ai musulmani, semplicemente pregando e perdonando. Si racconta che, arrestato nella notte da dei soldati siriani che avevano invaso e saccheggiato il suo eremo, sospettandolo ingiustamente di spionaggio, lì perdonò di cuore e fu subito rilasciato dal comandante musulmano, che poi si raccomandò alle sue preghiere. Era convinto che il miglior apostolato in mezzo ai musulmani fosse una vita povera, di preghiera, di lavoro e che la sua missione in mezzo a loro era di vivere solo, ma vicino a loro più povero di loro, aiutandoli e amandoli. Colpito dalla tubercolosi e sfinito dalle privazioni, P. Romano si spense il 19 febbraio del 1978, all’età di 56 anni, all’ospedale di Beirut, dopo 32 anni di vita monastica, di cui 14 passati in solitudine. Il Capitolo generale del 1999 ha approvato l’inizio della causa di beatificazione, Papa Francesco l’ha dichiarato Venerabile il 9 dicembre 2013.
È stato scritto che se “la sua austerissima vita è difficilmente imitabile, la semplicità e l’unificazione da lui raggiunte sono invece il cammino normale di ogni ricercatore di Dio”. L’archimandrita Hanna Naddaff ha testimoniato di lui: «P. Romano mi impressionava molto per la sua semplicità: semplicità di cuore, d’anima, di mente; penso che questa semplicità fosse il risultato dello spogliamento totale nel quale viveva. A lui importava solo Dio, tutta la sua vita era orientata a Dio: viveva senza preoccupazioni, come un bambino. Mi sembra che guardasse con gli occhi di un bambino, amasse con il cuore di un bambino, ammirasse con lo spirito di un bambino, pregasse con la fiducia di un bambino». In una lettera del 5 ottobre 1974 lo stesso P. Romano spiegava il senso della sua vita monastica: «La vita eremitica da me concepita non era tanto il vivere solo, ma vivere meglio la regola da me professata nel suo spirito di amore, di regalità, di umiltà, di obbedienza, di silenzio, di povertà, di lavoro, di astinenza e digiuno, di preghiera, sì da realizzare più che possibile la vita fervorosa della Chiesa, la vita fervorosa della vita monastica che si ha in una vita quaresimale e pasquale».
Sr. Patrizia – Monastero Trappiste di Valserena

martedì 18 febbraio 2020

Strage bambini in Siria: Unicef e Save the Children lanciano l’allarme, la Chiesa siriana replica

uno dei tanti bambini di Aleppo resi mutilati dai missili
lanciati dai jhadisti sui quartieri della città fino a ieri
(foto Pierre le Corf)

Intervista di Paolo Vites a Fra Firas Lutfi
L’Unicef lancia l’allarme, ma cosa ha fatto finora per i bambini siriani? E cosa fanno le potenti nazioni occidentali, i cui giornali mettono in prima pagina le foto del piccolo Aylan, morto annegato, o di Iman, morta assiderata tra le braccia del padre? Non parlano di chi ha scatenato la guerra in Siria, una guerra per procura, dietro alla quale si nascondono le nazioni più potenti del mondo. Non dicono niente. Ma non ci sono solo Aylan e Iman, in questa guerra si contano almeno 300mila bambini morti”.

A parlare così, con voce alta e decisa, è padre Firas Lutfi, Superiore del Collegio di Terra Santa ad Aleppo, dopo l’“allarme” lanciato in queste ore dall’Unicef: “Il clima freddo presto colpirà di nuovo tutto il Medio Oriente, con temperature che scenderanno sotto lo zero in diverse aree e ogni inverno i bambini nella regione si ammalano, smettono di andare a scuola e rischiano di morire… Occorre un grande movimento globale e umano di carità o sarà una strage”.
L’Unicef – aggiunge Lutfi – non dice però che ‘un grande movimento’ esiste già e andrebbe aiutato: è la Chiesa siriana, che ha sempre sostenuto, da quando è iniziata questa guerra e ancora oggi, i bambini e le donne siriane. Nessuno dice che a Idlib, dove la Siria sta combattendo contro gli ultimi ribelli jihadisti per liberare la provincia, operano due padri francescani che accolgono nelle case dei cristiani e nei loro conventi tutti coloro che scappano dalle bombe, anche i musulmani. E la responsabilità dei giornalisti che tacciono su queste cose è gravissima”.

Padre Lutfi, l’Unicef lancia l’allarme, dopo il caso di Iman, la bambina di un anno e mezzo morta assiderata in un villaggio vicino ad Aleppo in braccio al suo papà che cercava disperatamente di raggiungere l’ospedale per farla curare. Come stanno le cose?
   Chiariamo alcune cose prima di entrare nei dettagli.
 I bambini rappresentano una linea rossa che non si può superare, vanno difesi in ogni istante, fin dalla nascita, come insegna il Magistero della Chiesa ed è ciò che il Vangelo richiama alla coscienza di tutti ogni giorno. In una guerra bambini, donne e anziani sono i primi a pagare con la vita le conseguenze delle atrocità e della cattiveria degli adulti. Detto questo, aggiungo un altro appunto: spesso e volentieri la vita di questi bambini viene strumentalizzata.

In che senso?
    Il caso di Aylan è diventato un simbolo, il simbolo di queste famiglie che scappano in cerca di una vita sicura. Ma non solo lui ha pagato, prima e dopo tanti altri Aylan e tante altre famiglie sono morti. Dove scoppia un conflitto i più vulnerabili sono i bambini, i primi ad andarci di mezzo, perché o civili sono i primi bersagli quando i combattimenti si fanno più intensi e cruenti.
Hassan, unico sopravvissuto della
sua famiglia nel bombardamento
dei jihadisti di Idlib su Aleppo,
il 25 gennaio di quest'anno

C’è però chi dice, come una volta gli americani, che in guerra si possono usare “le bombe intelligenti”: colpiscono gli obiettivi in modo chirurgico risparmiando però vittime civili…
    Ipocrisia vergognosa. La realtà, invece, ci dice che oltre alle bombe, ora si aggiungono situazioni climatiche durissime, come il freddo del deserto siriano, dove si può scendere anche sotto lo zero. E tutto questo accresce la tragedia. Piuttosto che piangere e basta sui corpi inermi di Iman o Aylan come simboli di questa strage di innocenti, tutti dovrebbero spostare l’attenzione sui responsabili di questa drammatica situazione e raccontare per quali veri fini, già nove anni fa, fu scatenata la guerra in Libia, in Siria e in Iraq, che ha già mietuto milioni di bambini e di anziani morti.

Si riferisce alle potenze occidentali e non solo, che hanno dato inizio a queste guerre che stanno devastando il Medio Oriente?
   Sono circa 300mila i bambini morti in questi nove anni. Invece di impietosire le coscienze portando alla ribalta uno o due casi drammatici, bisogna risolvere la questione alla radice. Non è giusto prendere in giro l’intelligenza degli uomini. La guerra non scoppia solo perché si vuole combattere un regime o abbattere un dittatore, ma per interessi politici e economici anche da parte di grandi nazioni che predicano la libertà, la democrazia e la dignità umana. La vita non è sacra solo se muore un americano o un europeo, la vita è sacra per tutti. Ma questo sembra non avere importanza.

Davanti alla denuncia dell’Unicef e dei media internazionali che hanno messo in prima pagina i casi di Aylan e Iman cosa dice?
   Direi che non si possono assumere solo posizioni singole di denuncia, ma occorre andare contro tutta la situazione che devasta la Siria.  Cito il caso della Turchia che invade la Siria. La Siria è un paese sovrano, deve difendere il proprio territorio, che già in precedenza era stato violato dai terroristi di tutto il mondo. È una guerra per procura. 
E il colmo è che l’esercito siriano, impegnato a liberare la provincia siriana di Idlib, viene dipinto come invasore.

Unicef e Onu non fanno mai riferimento all’impegno costante profuso in questi anni di violenze dalla Chiesa per aiutare il popolo siriano. Perché, secondo lei?
   Purtroppo certi mestieri dovrebbero mostrare maggiore onestà intellettuale. Il ruolo di queste organizzazioni, come l’Unicef, ha perso credibilità, sono diventati burattini in mano ai potenti. Anche le Nazioni Unite non hanno avuto il coraggio di prendere decisioni sulla Siria. E come ha ricordato lei non parlano del bene, enorme, che viene fatto.

Si censura il bene, si esalta il male?
   Vivo ad Aleppo da quando è cominciata la guerra e la Chiesa si è sempre mossa per tutti, non solo per i cristiani . 
La comunità cristiana a Idlib è sotto il tallone jihadista, ci sono centinaia di cristiani ostaggi in quella regione. Sono rimasti solo due sacerdoti francescani di rito latino, che però continuano a servire tutte le comunità, non solo la comunità latina, ma anche quelle armena e greco-ortodossa, e stanno cercando in tutti i modi di aiutare, sia a livello umanitario, sia a livello spirituale. Accolgono nei conventi e nelle case dei cristiani anche i musulmani in fuga. Eppure questi due sacerdoti sono sottoposti a ogni limitazione, non possono manifestare la loro fede, rischiano ogni giorno di essere rapiti o uccisi.

Intanto i giornali occidentali accusano Assad di stragismo…
   Un proverbio italiano dice che fa più rumore un albero che cade che una foresta che cresce. Questi due sacerdoti vivono una fede umana e coraggiosa, aperta a tutti. Voi giornalisti che avete una coscienza e il coraggio di dire la verità parlate della presenza eroica di queste persone e della loro straordinaria testimonianza in un contesto di persecuzione.

Alla fine, in tutta questa tragedia, si può dire che resteranno impressi i gesti di carità compiuti eroicamente da questi uomini santi?
  È il compito di noi cristiani: essere lievito e sale del mondo.

domenica 16 febbraio 2020

Per aiutare insieme il popolo siriano nasce in Italia il 'Comitato per la solidarietà con la Siria'


Aderiamo con convinzione: 

La tragica guerra alla Siria
  Da quasi dieci anni la Siria è teatro di una guerra devastante che ha causato cinquecentomila morti e milioni di sfollati, all'interno del paese e all'estero. Scopo della guerra era ed è è la sconfitta militare del governo siriano presieduto da Bashar Assad. Meno chiaro è chi, da anni, stia conducendo la guerra e cosa si proponga di sostituire all’ attuale assetto politico del paese.
Non si può descrivere un conflitto così lungo e complesso in poche righe, ma, per capire che non si tratta di una semplice guerra civile tra schieramenti siriani contrapposti, è sufficiente sapere che dall’ inizio della guerra operano nel paese decine di migliaia di combattenti non siriani e che la coalizione delle milizie armate anti governative, anche quando fino a metà 2013 ne era componente organica lo Stato islamico di Al Baghdadi, è stata sempre sostenuta ufficialmente dagli “Amici della Siria”, undici paesi appartenenti alla Nato o alle petromonarchie del Golfo Persico.
Comunque il governo e lo stato siriano, con l’ aiuto della Russia e di altri alleati regionali, hanno resistito alla violenta offensiva e territori che erano stati occupati dalla coalizione avversaria sono tornati sotto il controllo di Damasco. La vita del paese è stata però drammaticamente sconvolta, alcune città sono praticamente distrutte e l’ economia ridotta ai minimi termini.

Le sanzioni italiane e UE a Damasco
 In questo difficile contesto l’ Unione Europea non trova di meglio che continuare a infliggere alla Siria pesanti sanzioni economiche che colpiscono la vita quotidiana della gente comune, come denunciato più volte anche dai religiosi cristiani operanti nel paese, mentre l’ Italia continua a non avere con Damasco relazioni diplomatiche nonostante fosse al momento dell’ inizio della guerra il suo primo partner economico europeo.

Appello per aiutare insieme gli uomini e le donne siriane
 I siriani hanno bisogno di aiuto per continuare a difendersi e per ricostruire una vita migliore.
Siamo un gruppo di persone e piccole associazioni che hanno seguito e seguono le tragiche vicende siriane e vogliamo unirci per contribuire a sostenere in modo più efficace la popolazione di questo martoriato paese.
Vogliamo aiutare gli uomini e le donne siriane, dagli anziani ai bambini e alle bambine,
- dando il nostro contributo alla lotta per abolire le sanzioni economiche UE alla Siria e per ristabilire le relazioni diplomatiche di Damasco con l’ Italia
- diffondendo un’ informazione più veritiera sulla guerra in corso dal 2011 e sugli avvenimenti degli ultimi anni, organizzando presentazioni di libri, video, dossier e tenendo altri incontri pubblici, aiutando i siti di informazione, piccoli ma di ottima qualità, che seguono da tempo la vicenda siriana.
- favorendo relazioni tra comunità siriane e italiane di ogni tipo, con particolare attenzione alle scuole e alle realtà locali.
avviando forme di "gemellaggio" per la ripresa e la resilienza, fra realtà e cittadini italiani e siriani.
- aiutando le attività economiche, piccole e grandi, a ripartire nel loro lavoro, sin da subito dando un piccolo sbocco di mercato ad iniziative artigianali già operanti.
- facendo conoscere in Italia la storia e la cultura di questo straordinario paese mediorientale.
Ci siamo dati appuntamento a Roma
Roma, sabato 7 marzo 2020 alle ore 16 in via Opita Oppio 24 (fermata metro A Porta Furba), Circolo Berlinguer, per discutere come organizzarci e concretizzare il nostro proposito comune e invitiamo caldamente ad unirsi a noi tutti coloro, singole persone o associazioni, che condividono le nostre idee.
Sappiamo che ci rivolgiamo a persone che vivono in ogni angolo d’ Italia, e speriamo anche fuori dal nostro paese, e che non possono facilmente venire a Roma.
Invitiamo comunque tutti a contattarci, e a scambiare con noi opinioni, notizie e speranze, troveremo sicuramente un modo soddisfacente per operare concretamente nella direzione che auspichiamo.

Per aderire al nostro appello e mettersi in comunicazione con noi
scrivete all' indirizzo email


Integrazione del 17 febbraio, per dar conto della gioia degli amici di Aleppo 
L'immagine può contenere: spazio all'aperto
" Mabrouk!  congratulazioni!
Da stasera Aleppo è completamente libera.
La folla è in allegria, gli aleppini ballano per le strade; la periferia occidentale di Aleppo è stata liberata. Non riceveremo più granate ogni giorno come succedeva da anni. Inoltre, l'altroieri, l'autostrada Aleppo-Damasco è stata liberata e resa sicura." 
dott. Nabil Antaki

giovedì 13 febbraio 2020

Il ministro della Difesa turco chiede alla NATO e all'Europa di intervenire a Idlib


Il ministro della Difesa turco Hulusi Akar ieri, nell'intervista con AP, ha chiesto alla NATO e all'Europa di intervenire a Idlib al di là degli aiuti umanitari. Dovrebbero "prevenire questi attacchi indipendentemente dalle loro relazioni con Russia e Siria".

Akar ha detto esattamente:
I paesi della NATO, la NATO, l'Europa e il mondo devono esaminare più da vicino la questione e fornire un sostegno serio e concreto. Devono fermare questi attacchi non solo da una prospettiva umanitaria, a prescindere dalle loro relazioni con la Russia e la Siria.
Inoltre, ha sottolineato che la Turchia non lascerà nessuno dei suoi 12 posti di osservazione, alcuni dei quali si trovano in aree riconquistate dell'esercito siriano. Ha assicurato che se le truppe siriane li dovessero attaccare, la Turchia risponderebbe con attacchi di ritorsione molto "più potenti".

Con l'aiuto russo e iraniano, le truppe siriane sono in avanzamento a Idlib e vogliono sconfiggere l'ultima roccaforte estremista nel paese. Oltre a decine di villaggi e città che sono già stati riconquistati, le unità di combattimento siriane sono state recentemente in grado di riprendere il pieno controllo della superstrada M5 strategicamente importante, che collega la Siria meridionale e settentrionale, per la prima volta dal 2012.

Il ministro della Difesa turco ha chiesto che le truppe siriane si ritirassero da questa.
Abbiamo chiesto che le unità del regime si ritirino immediatamente dalla autostrada M5 e continueremo a farlo. A questo proposito, non abbiamo altri punti di vista, nessun cambiamento di posizione. Stiamo facendo tutto il possibile per garantire che questo tema venga realizzato al più presto. Allo stesso modo, abbiamo chiesto alla Russia di farlo attraverso una molteplicità di incontri, faccia a faccia o per telefono. Stiamo aspettando”

Ha esortato la Russia a usare la sua influenza sul governo siriano per fermare gli attacchi a Idlib.

La Russia, a sua volta, critica la Turchia, che non ha rispettato gli impegni assunti con Idlib secondo gli accordi comuni. Ha mancato di separare i nemici "moderati" del governo da quei terroristi radicali che si rifiutano di dialogare e che fanno affidamento su attacchi quotidiani.

La Turchia sostiene gli oppositori del governo a Idlib, nei cui ranghi si mescolano anche estremisti dell'ex Fronte di Al Nusra. Dopo due scontri diretti tra truppe turche e siriane che hanno provocato morti da entrambe le parti, le tensioni sono aumentate e la Turchia ha risposto con massicci contrattacchi, presumibilmente uccidendo dozzine di soldati siriani. Inoltre, la Turchia sta trasferendo massicciamente i militari turchi nella regione e si sta preparando per un'offensiva insieme alle milizie.

Il ministro turco ha anche chiesto alle forze siriane di ritirarsi dietro le frontiere dai negoziati di Astana.
Il regime si trova assolutamente nell'area della de-escalation ... c'è una mappa creata con il processo di Astana, ci sono linee di confine nella regione di Idlib dove si stanno diffondendo le tensioni, ed è per questo che vogliamo che il regime si tiri indietro su queste linee.
Il ministro ha affermato che l'obiettivo della Turchia a Idlib era sostenere un accordo di cessate il fuoco per Idlib e prevenire un flusso di rifugiati.”
Si dice che circa 700.000 persone siano in fuga dalla regione di Idlib .
Il presidente turco ha parlato di Idlib oggi e ha minacciato le truppe siriane:
“ A
nnuncio che da oggi in poi attaccheremo ovunque le forze del regime in caso di danni anche minori ai nostri soldati, senza essere vincolati dall'Idlib o dai limiti dell'Accordo di Sochi.”
   Fonte : https://deutsch.rt.com/


Gli accordi di Astana sono ora imposti dall'Esercito Siriano

di Eliah Magnier
Tradotto da Alice Censi

E’ dal 2012 che l’autostrada M5 che collega Damasco ad Aleppo è sotto il controllo dei gruppi jihadisti. L’esercito siriano l’ha appena liberata, riconquistando 140 città, villaggi e colline strategiche. La Turchia con gli Uzbeki, gli Uiguri e Hayat Tahrir al-Sham (ex al-Nusra) non è riuscita a proteggere le sue postazioni fortificate e le ha abbandonate ritirandosi nella zona attorno a Idlib. 
Per la prima volta l’esercito turco è stato bombardato da quello siriano. Cinque soldati turchi sono morti nell’aeroporto militare di Taftanaz, la base in cui sono radunati soldati turchi e jihadisti. Ankara è stata obbligata a schierare le sue truppe in Siria a sostegno dei suoi alleati jihadisti in evidente difficoltà dal punto di vista militare. 

La liberazione di tutti i 432 km dell’autostrada M5 dalla presenza dei jihadisti era prevista negli accordi di Astana siglati nell’ottobre 2018,  accordi che però la Turchia in questi anni non è stata in grado di rispettare. Da allora l’esercito siriano è avanzato per ben tre volte verso l’autostrada ma stavolta il governo ha preso la decisione  di riconquistarla definitivamente. E’ il messaggio, chiaro, della Russia e della Siria al presidente Erdogan in riferimento a Idlib: il tempo è scaduto. Ma la prova di forza tra la Turchia e la Russia va oltre i confini della Siria e si manifesta in Ucraina e in Libia dove la Turchia sta cercando di avere un ruolo importante. 

La Russia sta fornendo all’esercito siriano attrezzature militari d’avanguardia e decine di carri armati T-90 efficaci anche nelle offensive notturne. Tutto questo, unito alle centinaia di raid aerei condotti dall’aviazione russa ha fatto in modo che avvenisse la liberazione di tutta l’area a est dell’autostrada e di molte zone a ovest dove le operazioni militari continuano. La Russia ha inoltre garantito all’esercito siriano una intelligence militare senza precedenti, il suo aiuto nella pianificazione di questa operazione vincente e la sua partecipazione al bombardamento delle linee dei jihadisti anche alle loro spalle durante la ritirata. 

La cosa sorprendente è stata la scoperta di chilometri di tunnel sotterranei in tutte le aree liberate su entrambi i lati della M5 e nelle città più importanti come Saraqeb e El-Eiss, gallerie sotterranee in cui c’erano ospedali da campo, munizioni e vettovaglie per resistere ad un lunghissimo assedio. Questi tunnel erano collegati tra loro, univano i vari villaggi e alcuni erano anche profondi 20 metri, per proteggerli dai bombardamenti aerei. I jihadisti in fuga li hanno evacuati lasciandosi dietro ogni cosa. 
Una delle tattiche dell’esercito siriano negli ultimi anni è quella di lasciare una via aperta ai jihadisti che permetta loro di andarsene prima di essere circondati. Dopo la liberazione di Aleppo l’esercito siriano ha sempre evitato di assediare le città per non dare spago alla propaganda a favore dei jihadisti portata avanti dai mezzi di informazione e dagli interventisti stranieri che farebbero di tutto per impedire la liberazione della Siria e la sua riunificazione. Ecco perché c’erano sempre strade aperte per la fuga dei jihadisti prima dell’assalto finale.

La Turchia in realtà non è in grado di proteggere i suoi alleati jihadisti e non può intervenire con l’aviazione in loro soccorso. E’ la Russia che ha il controllo dello spazio aereo siriano e Damasco aveva avvertito la Turchia che avrebbe abbattuto i suoi aerei se avessero violato il suo cielo. 
La liberazione di Maarat al-Nu’man, di Saraqeb, di Tal el-Eiss e del distretto di Rashidin4 segna una svolta strategica nella guerra in Siria. Indica che alla lunga la Turchia farà molta fatica a proteggere i suoi jihadisti. La stabilità della Siria è strettamente legata alla liberazione di tutto il suo territorio ma non solo, questa stabilità è essenziale per la Russia e i suoi obbiettivi di sicurezza nazionale. La Russia è entrata nel Levante per metter fine alla guerra. E’ in gioco la sua credibilità. Ha una grande base navale che offre un accesso unico al mar Mediterraneo. E’ inoltre nell’interesse di Mosca eliminare al-Qaeda e tutti quei gruppi che ne condividono l’ideologia takfira nonostante abbiano priorità e nomi diversi. I jihadisti uzbeki e uiguri che si trovano in Siria non hanno nessun altro posto dove andare per cui molto probabilmente combatteranno fino all’ultimo. 

La Turchia sta mostrando i denti alla Russia, si rifiuta di riconoscere la Crimea e offre armi all’Ucraina per 33 miliardi di dollari. Sta cercando di avere un ruolo di primo piano in Libia e  il governo centrale ha richiesto ufficialmente il suo appoggio. La situazione in Siria però è diversa. Ankara sa che la sua presenza in Siria non può durare ancora a lungo e che la liberazione di Idlib, sebbene non sia prevista subito, avverrà a breve. E’ solo questione di tempo. 

Le forze d’occupazione statunitensi sono confinate in una zona limitata del nordest della Siria dove possono rubare il petrolio siriano, come ha affermato il presidente Trump. La loro presenza non è però una priorità per l’esercito siriano. Prima verrà liberata Idlib e poi Afrin. E questo è il motivo per cui la Turchia sta cercando di aumentare e stabilizzare la sua influenza in Siria. Quattro incontri ci sono stati tra membri di alto livello dell’intelligence siriana e turca per trovare nuovi accordi. La Turchia vorrebbe modificare gli accordi di Adana del 1998 con la Siria perché il suo esercito possa dare la caccia al PKK curdo in territorio siriano. 

La Russia e l’Iran giocano un ruolo importante nel cercare di sciogliere le tensioni esistenti tra Turchia e Siria ma un ritiro totale della Turchia dalla Siria è fondamentale. 
La Turchia ha comprato il sistema missilistico di difesa aerea  S-400 dalla Russia e il gasdotto TurkStream, che riduce il passaggio del gas russo dall’Ucraina, è stato inaugurato il mese scorso. Ma la Turchia fa anche parte della NATO e ha una importante base militare americana sui suoi confini. Ankara avrà mille difficoltà a stare in equilibrio tra le due superpotenze e contemporaneamente a proteggere i suoi jihadisti in Siria. E’ arrivato il momento, per la Turchia, di valutare con attenzione le diverse opzioni. 

lunedì 10 febbraio 2020

Cosa succede a Idlib?


di Gianandrea Gaiani 

Scontri annunciati e poi smentiti o ridimensionati tra truppe regolari siriane ed esercito turco, tensione alle stelle negli avamposti turchi nel nord ovest della Siria ormai circondati dalle truppe di Bashar Assad e russe; ed infine l’Iran, che a conferma della gravità della situazione, si offre di mediare tra Ankara e Damasco.
L’ennesima fase di tensione tra turchi e siriani, dopo l’attacco di Ankara nel nord della Siria dell’ottobre scorso, si è aperta nella provincia nord-occidentale di Idlib, ultima roccaforte dei ribelli jihadisti sostenuti con armi e truppe dalla Turchia.

L’Esercito Arabo Siriano ha lanciato da un paio di settimane un’offensiva che potrebbe rivelarsi risolutiva spazzando via le milizie qaediste e di altri gruppi estremisti islamici e riconquistando la regione di confine con la Turchia nel nord ovest.
L'8 febbraio l’esercito siriano, sostenuto da aerei e truppe russi, ha conquistato dopo due giorni di duri combattimenti Saraqeb, crocevia strategico nella regione all'incrocio delle autostrade Latakia-Aleppo e Hama-Aleppo.
Mercoledì scorso i media governativi avevano annunciato la presa di Saraqeb, ma fonti sul terreno e miliziani anti-regime avevano smentito la circostanza.
L' Onu ha documentato lo sfollamento di più di 200mila persone nelle ultime due settimane dalla zona di Saraqeb e dei distretti circostanti investiti dall' offensiva governativa e russa. In tutto, sempre secondo l'Onu, sono quasi 600mila i civili sfollati a Idlib da inizio dicembre scorso, quando prese il via l’operazione siriana che potrebbe concludere la guerra civile in atto dal 2012.

Nei giorni precedenti, l’offensiva siriana aveva determinato numerosi contatti con le forze turche. L’uccisione di 5 soldati e 3 contractors di Ankara (già quasi 150 i caduti turchi in Siria), dopo che i siriani avevano lamentato l’arrivo di un convoglio di 240 camion turchi carichi di rifornimenti per i ribelli, aveva determinato un bombardamento di rappresaglia che avrebbe ucciso 13 soldati siriani e ferendone una ventina, anche se il ministro della Difesa di Ankara, Hulusi Akar, ha rivendicato l'uccisione di 76 militari di Damasco.
Le forze governative siriane avevano poi circondato la postazione di osservazione militare turca di Tell Tuqan, nei pressi di Saraqeb, a est del capoluogo di Idlib e teatro degli scontri tra turchi e siriani.

Consapevole delle ripercussioni interne di un inasprimento del conflitto siriano, il presidente turco Recep Tayyp Erdogan ha annunciato prossime consultazioni con Mosca, un asse strategico che finora ha garantito un equilibrio lungo tutto il confine siro-turco. Un accordo che prevedeva anche la tregua a Idlib anche se il legittimo desiderio di Assad di chiudere la guerra con la vittoria nell’ultima roccaforte dei ribelli jihadisti non può essere messo in discussione, soprattutto sul piano giuridico.

È evidente che la presenza di milizie jihadiste così come di militari turchi nel nord e statunitensi (questi ultimi intorno a un paio di pozzi petroliferi nella Siria orientale) è del tutto illegittima e autorizza Assad a compiere ogni azione per liberare il territorio nazionale.
La posizione russa mostra ambiguità poiché da un lato tende a rassicurare i turchi circa gli accordi raggiunti nelle zone di "de-escalation" ma poi appoggia con truppe e raid aerei ed elicotteri le offensive di Assad a Idlib.

Il 5 febbraio Erdogan è tornato a minacciare i siriani promettendo che Ankara "interverrà" se gli uomini di Damasco non si ritireranno entro febbraio dalle aree di Idlib dove sono presenti i turchi. "Ne ho parlato con il presidente russo Vladimir Putin e ho detto che il regime deve ritirarsi dalle aree dei nostri check point entro febbraio, come stabilito dagli accordi di Sochi, se il ritiro non avverrà saremo costretti a intervenire", ha detto Erdogan. "A Idlib abbiamo dei check-point costituiti d'accordo con la Russia e non vogliamo avere problemi con i nostri alleati con cui gli accordi e i patti saranno mantenuti. Con la Russia abbiamo relazioni ottime e ci aspettiamo sensibilità da parte di Mosca nel capire la nostra posizione in Siria”.
Damasco ha risposto con un portavoce del ministero della Difesa che ha reso noto che "i militari risponderanno a ogni attacco proveniente dalle forze turche nella regione di Idlib”.
L’obiettivo di Assad (e di Mosca) sembra quindi essere quello di ottenere rapidi successi sul fronte nord occidentale ma senza attaccare direttamente gli avamposti turchi per mettere Ankara di fronte alla rapida riconquista della provincia e indurre le truppe turche al ritiro.

Non è certo la prima volta che Siria e Turchia si trovano ai ferri corti dall’inizio del conflitto civile (largamente ispirato da Ankara) e certo Erdogan può mettere in campo un discreto dispositivo militare, ma sul fronte interno non può permettersi ulteriori gravi perdite tra i suoi soldati che avrebbero un forte peso sociale. Anche per questo i turchi impiegano preferibilmente, in Siria come in Libia, volontari e mercenari siriani arruolati tra i disertori sunniti dell’esercito di Assad, le milizie jihadiste sunnite e la minoranza turcomanna.

Fonte: https://lanuovabq.it/it/scontri-a-idlib-siria-e-turchia-non-si-tengono

I media non vi dicono perché la Turchia ha invaso la Siria. Facciamo chiarezza

Da parte dell’informazione su Idlib sembra in atto una congiura del silenzio. Anzi peggio: è in atto una distorsione delle notizie, una selezione e sostituzione delle parole (“ribelli” invece di pericolosi takfiri), la censura di altre. Finché a capovolgere in maniera diametralmente opposta i fatti, ci sono le campagne mediatiche dei soliti media center (in passato abbondantemente smascherati ma tornati magicamente alla ribalta).
Mentre questo fuoco di sbarramento informativo è per noi, la parte più dura la devono sopportare i siriani: le sanzioni internazionali rimangono, le centrali elettriche, i depositi di energia e impianti petroliferi siriani vengono attaccati frequentemente da droni di ”paesi” la cui tecnologia non è alla portata dei militanti jihadisti. Infine il simbolo ecco più efficace: Europa che si dice che lotta contro il terrorismo, ha minacciosamente mandato sulle coste della Siria la portaerei francese Charles de Gaulle. Non male per far sentire tutta la nostra amicizia, in un momento per la Siria di estrema difficoltà.
......
Poi c’ è un altro punto mai toccato riguardo alle tensioni tra Turchia e Siria di questi giorni. Nessuna testata giornalistica dice chiaramente cosa sta effettivamente facendo Erdogan,
 ovvero chi sono i soggetti che si combattono nella provincia di Idlib, chi la detiene, che tipo di vita conduce la popolazione e chi è l’aggressore. Non fornire mai questi elementi al giudizio pubblico, è molto scorretto da parte dell’informazione.

Il vero motivo per cui la Turchia non vuol mollare la Siria

Eppure è molto semplice : Erdogan”, fa ogni cosa, fa tutto ciò che sta facendo, ha preoccupazioni umanistiche perché semplicemente non vuol lasciare la Siria. Ed in questi giorni ha ammassato intorno ad Idlib una mole gigantesca di mezzi e truppe che vanno in crescendo. In questo contesto, gli Stati Uniti, già fanno per riavvicinarsi ad Erdogan mostrando il proprio sostegno. Nulla importa se in quell’area all’ufficio comunale siede il capo locale di al Qaeda, che ad amministrare la legge ci sia il tribunale della Sharia e che alle scuole i minorenni imparino solo la dottrina whabita. Non ci troviamo in Venezuela e non occorre un Guaido da contrapporre al cattivissimo Maduro, in Siria vanno bene i tagliagole di al Qaeda.
Ma lasciamo stare le ambiguità occidentali, alla sua lotta al terrorismo che serve solo a sfornare una nuova scusa utile all’occorrenza per intervenire dove si vuole o giustificare una sottrazione di libertà ai propri cittadini all’insegna della sicurezza. Torniamo a noi dicevo, torniamo ad Erdogan: a cosa mira Erdogan? Cosa si aspetta da tutto questo ”il Sultano”, a cosa mira? La risposta è semplice, anche se nessuno la proferisce: Erdogan semplicemente cerca di cambiare il quadro etnico nelle regioni del paese occupato dalla Turchia – per cacciare i curdi e gli arabi, per formare enclavi compatte per i turchi – Turkmeni siriani vicino ai turchi in lingua e cultura.
Nelle aree sotto il controllo dell’esercito turco, la lira turca è in circolazione e le scuole sono introdotte secondo gli standard turchi. Cosa c’è da capire? Viene a pensare che la stampa occidentale mentre si strappa le vesti per i civili che muoiono sotto i bombardamenti, sia in linea con Erdogan. Altrimenti caccerebbe le bande di Tharir al Sham da Idlib e restituirebbe la sovranità al paese. La stessa cosa farebbero gli USA la nord della Siria dove continuano ad uno stato sovrano (riconosciuto dalle Nazioni Unite), a distogliere risorse e a costruire basi.
L’Europa ed il mondo occidentale in genere, non parla chiaro, e questo non parlar mai chiaro non può uscire mai niente di buono anche se molti sono convinti del contrario. L’ambito che oggi detiene i principali diritti dell’uomo dell’uomo non si rende conto che agire in modo disonesto ed essere bravi solo con gli alleati ed agire in modo disonesto con tutti gli altri, alla lunga non paga. Agire in questo modo equivale a barare. Non si può intrattenere buoni rapporti solo con partner strategici: anche un piccolo paese deve poter essere sovrano, indipendente, rispettato  e vivere dignitosamente.