(1° PARTE QUI)
2.
Le chiese paleocristiane
Di
Maria Antonietta Carta
Il
Massiccio Calcare
Da
li, in epoca romano-protobizantina, si esportava nel resto della
Siria e in altre parti dell’impero l’olio di oliva, prodotto di
grande valore commerciale per il suo vasto impiego: saponi,
lubrificanti, cosmetici, unguenti, base dell’alimentazione
popolare, illuminazione pubblica e privata. Anche i suoi vini erano
conosciuti a Roma e in Gallia.
Nel
IV secolo, vi si stabilirono i primi monaci cristiani e, a partire
dal V secolo, i pellegrini cominciarono a giungere da Oriente e
Occidente per venerare Simeone stilita. Conserva più di settecento
siti con migliaia di edifici, tra cui vestigia di 1200 chiese, una
ogni 3 km2
e, visitandolo si assiste all’ininterrotto sviluppo, dal I VI
secolo, di un’architettura nata dall’occupazione romana, ma più
vicina a quella apparsa tra il Mediterraneo e l’Altipiano iranico e
con originali apporti dell’arte
della costruzione locale, soprattutto nell’impiego delle pietre di
grosso taglio senza alcun elemento coesivo. Questa regione della
Siria, (lunga 140 Km circa in direzione Nord-Sud e larga dai 20 ai
40) compresa tra Antiochia, terza metropoli dell’Impero Romano,
Aleppo antichissimo emporio internazionale, Chalcis ed Apamea centri
carovanieri e strategici, ricca di vestigia storiche è oggi vittima
della bramosia di conquista di uno degli arroganti governanti dei
nostri giorni oscuri: il presidente della Turchia Erdogan. Ho
frequentato e studiato per lunghi anni questi luoghi ora devastati
dalla guerra e voglio raccontarveli così come sono scolpiti nella
mia memoria.
Lasciando
Aleppo, la confusione, i rumori, le mille atmosfere di quella vivace
città mediorientale e dirigendosi a Nord-Ovest verso la via che,
anticamente, portava ad Antiochia o verso Sud-Ovest alla volta di
Apamea, si iniziava un viaggio in luoghi formati per lo più da
altipiani e colli di gruppi montagnosi situati tra le steppe
dell’Est e il Mediterraneo: i Gebel (montagna in arabo) Sim’an a
Nord, Barisha-A’la-Wastani al centro e a Sud il Gebel Zawiye che,
nella parte orientale degrada verso la steppa. Si tratta di territori
quasi privi di risorse idriche: un deserto petreo spesso mitigato
soltanto da radi e stentati lazzeruoli, allori e pistacchi selvatici,
forse fantasmi di boschi un tempo lussureggianti, macchie di terra
rossa sottratta da tenaci contadini alle rocce per coltivarvi l’ulivo
e da due fertili piane interne, Sarmada e Rouj. Ma, guardando con
attenzione, dal confuso magma del calcare ecco che si delineava il
contorno di edifici solitari o di interi paesi con strade ingombre di
massi squadrati, muri bordati di portici a pilastri o colonne, porte
o finestre con architravi scolpiti, parapetti di balconi, capitelli.
Non mi sono mai stancata di quei panorami e di quelle vestigia tante
volte incontrati, dei silenzi e delle atmosfere di luoghi dove il
tempo sembrava essersi fermato per oltre settecento anni.
Il
Massiccio Calcare fu tra le prime regioni della Siria colonizzate dai
Romani: l’Antiochene e l’Apamene. Traiano l’aveva assegnata a
veterani emeriti e funzionari indigeni che vi avevano edificato le
prime ville e introdotto la coltivazione intensiva dell’ulivo e
della vite. A partire dal I secolo, furono edificati borghi, villaggi
e, nelle alture, templi. Dal III secolo, vi si stabilì una
popolazione semitica e i latifondi lasciarono il posto a medie e
piccole proprietà. Lungo le piste carovaniere e la via
Antiochia-Chalcis, fino alla conquista araba ponte tra Ctesifonte,
Bisanzio, l’Asia e il Mediterraneo, si incrociavano soldati,
pellegrini e mercanti. Nella seconda metà del VI secolo, ebbe inizio
il declino. Le cause furono molteplici: invasioni di cavallette,
peste, siccità, terremoti, incursioni dei Persiani e, dopo la
conquista araba, il blocco del Mediterraneo da parte dei Bizantini,
che secondo alcuni storici causò la fine dei commerci tra Occidente
e Siria. Dal X secolo, chiusero anche i grandi complessi monastici,
tra cui il famoso convento di Teleda, quando i monaci si schierarono
a fianco dei principi musulmani contro Costantinopoli intenzionata a
riconquistare la Siria. Il Massiccio fu terra di frontiera nel
periodo delle Crociate: si costruirono cittadelle, si fortificarono
numerosi monasteri e chiese e vi si svolsero battaglie cruente come
quella dell’Ager
Sanguinis presso
Sarmada
(28
giugno 1119) tra l’esercito di Ruggero principe di Antiochia e le
truppe di al-Ghazi. Steli funerarie e vestigia di moschee attestano
un parziale ripopolamento e una certa rinascita economica durante il
regno Ayyubide (1169-1291). Con l’occupazione mamelucca (1291) e
ottomana (1515) fu decadenza totale. La regione rimase quasi isolata
dal resto del Paese fino agli ultimi decenni del XIX secolo, epoca in
cui ricominciò lentamente a popolarsi. Durante la prima metà del XX
secolo, i nuovi abitanti continuavano a stabilirsi negli antichi
edifici.
Chiese
paleocristiane del Massiccio Calcare
Scrive
lo storico di arte
paleocristiana, bizantina e altomedievale André
Grabar in: L’age
d’or de Justinien:
‘’Il numero di chiese in Siria durante i secoli V e VI è
superiore a quello di altre provincie dell’impero di quella
medesima epoca.’’ La Siria è dunque un luogo privilegiato per la
storia dell’architettura cristiana e il Massiccio Calcare, essendo
rimasto disabitato in gran parte per centinaia di anni, custodisce
numerosissimi edifici sacri paleocristiani nelle loro forme
originali; un numero maggiore di quanto, forse, possa contarne
qualsiasi altra regione della terra.
Anche
piccolissimi villaggi ne possedevano due o tre, e alcuni siti
conservano vestigia di quattro, cinque, sei e persino otto chiese.
Il fiorire di edifici sacri presso quelle comunità rurali non
dipendeva dal numero degli abitanti, ma dalla sua composizione
etnico-religiosa: popolazione semitica ed ellenistica, dispute
cristologiche, soprattutto tra Calcedonesi e Monofisiti, all’interno
dello stesso villaggio, come mi insegnò il P. Pasquale Castellana
durante le nostre escursioni in quei luoghi straordinari, ’’Se i
fedeli che aderivano al Concilio di Calcedonia avevano la loro chiesa
a Sud, quelli anticalcedonesi ne costruivano una a Nord; se la prima
era situata a Ovest, un’altra era costruita dagli antagonisti a
Est.’’ Già dal IV secolo, si veneravano le reliquie dei martiri.
Le loro ossa, distribuite alle chiese, erano collocate dentro urne di
pietra (reliquiari) posti accanto all’altare del presbiterio.
reliquiario |
I
fedeli versavano l’olio in un foro a imbuto, praticato nel
coperchio, e lo raccoglievano con panni e fiale da una nicchia sotto
la fossetta che conteneva le reliquie. Nella prima metà del secolo
V, la cappella della navata a Sud, prothesis,
diventò Martyrium.
La
chiesa di Qirq Bize, nel Gebel A’la, è particolarmente
interessante per la storia dell’architettura sacra in Siria. Appena
anteriore o di poco successiva all’Editto di Costantino (313 d.C.),
segna il passaggio dalla Domus-ecclesiae
precostantiniana ai luoghi espressamente di culto. Fu concepita in
funzione delle case e di un edificio pubblico, l’andron,
tipico di quella regione. Dell’architettura domestica riprende la
posizione Est-Ovest, il cortile con porticato (che sostituiva il
temenos
dei templi politeisti) e le due porte nel lato sud. Aveva un’unica
navata rettangolare (di m. 14,75 x 6,40) con il bema (lungo m. 3,77)
e il santuario, o presbiterio, che occupava l’estremità est. Il
santuario, profondo 3 m. circa, era rialzato rispetto al resto della
sala e vi si accedeva per mezzo di due gradini. Ai lati del primo
gradino, erano collocati due reliquiari, (e altri tre stavano accanto
alla parete sud del santuario). Il secondo gradino, l’arco
trionfale, il martyrion e una balaustra decorata da simboli scolpiti
furono aggiunti in tempi successivi. Il porticato, a colonne,
poggiava su una piattaforma rocciosa. Nel cortile, come nelle case,
una grande cisterna per la raccolta dell’acqua piovana: coperta da
cinque lastre di pietra e con un’apertura quadrata. L’ingresso
del cortile era monumentale.
Le
chiese di Ishroq e Ma’ramaya (Gebel Barisha) sono quasi
contemporanee e simili a Qirq Bize per le dimensioni e le
caratteristiche architettoniche. A Nouriye (Gebel Barisha) si
conserva la prima chiesa con abside sporgente e a Banqousa (Gebel
Barisha) la prima basilica. Della stessa epoca, sono le basiliche di
Sinhar, Borj Heidar, Kharab Shams, nel Gebel Sim’an, tutte con le
arcate della navata centrale sostenute da colonne.
Borj Heidar |
Kharab Shams |
Dopo
il concilio di Efeso (431 d.C.), a Sheikh Souleiman (nel Gebel
Sim’an) fu edificata una basilica in onore della Madonna.
I
templi cristiani non nascono isolati e dominanti sulle alture come i
templi politeisti ma, a eccezione delle cappelle monastiche, fanno
parte del centro abitato. Le chiese del IV secolo sono piccole,
allungate e massicce, hanno stretti colonnati, l’abside affiancata
da due locali laterali e quasi sempre chiusa all’esterno da un muro
dritto. Gli elementi decorativi sono pochi, semplici e limitati a
capitelli, architravi, che recano scolpiti i primi simboli cristiani
(croci greche e di Malta, monogrammatiche, a sei bracci inscritte in
cerchio) e al marthyrium. Verso la fine del secolo, acquista risalto
la facciata ovest. Dal V secolo, che vede operare uno tra i pochi
architetti di cui è conosciuto il nome, Markianos Kyris, lo stile
architettonico e quello decorativo si affinano sempre piu e
acquistano tratti originali. La scultura di Lintelli, pareti,
archivolti, cornici diventa esuberante e artisticamente notevole. I
motivi essenziali: croci a sei o otto bracci, chrismon, rosette a sei
petali, elici, si sviluppano in innumerevoli varianti stilistiche,
sono scolpite in rilievo e talvolta racchiuse o anche costituite da
nastri perlati, motivi accordellati e, con termine improprio,
arabescati, provvisti di borchie all’esterno o di perle o globuli
all’interno (motivi che si trovano anche nella decorazione degli
edifici civili). Le finestre, talvolta, si fanno geminate con la
separazione di una colonnetta.
Alcuni
elementi sembrano anticipare il romanico. Ricordiamo, tra le tante di
questo periodo: le basiliche di Babisqa, Kseijbe, Dar Qita, Qasr
el-Banat, Sarfoud, Taqle e Mouchabbak.
Baqirha |
Sitti el Roum |
Deir Sim'an Le fotografie sono dell'autore dell'articolo |