trad. Gb. P. OraproSiria
È una
città ferita, una città luminosa dalla quale il sole è fuggito.
Quartieri opulenti con persiane chiuse, tende abbassate, porte
fracassate, dormono sotto un velo spesso, opaco e pallido. A cinque
chilometri dal centro, in agguato dietro i cumuli di macerie, la
guerra è ancora lì, i tizzoni ardenti sotto la cenere aspettano che
una brezza fredda li accenda di nuovo. La guerra è al suo 7° anno!
I giorni sono brevi e al mattino presto, rivive ancora la speranza.
Domani forse le persiane dall'altra parte della strada si apriranno,
i buchi spalancati delle finestre si animeranno, le voci, le grida,
la vita tornerà a spazzare via, a cancellare, fino al ricordo degli
anni perduti.
Sette
anni, l'età della ragione! Ora sappiamo, ora capiamo, anche se il
perché sfugge. Chi, del resto, sensatamente, poteva trovare cause e
ancor meno scuse, per tale follia distruttiva?
Maged,
l'amico di Aleppo, nell'ufficio sopra il suo studio, dove ha formato
per anni tanti apprendisti nell'oreficeria, al delicato e preciso
lavoro di oro, argento e pietre preziose, può immaginare il futuro
da molte prospettive. Non viene più pressato sui tempi, né dai suoi
clienti esigenti, né dai suoi otto dipendenti licenziati, la maggior
parte dei quali ha lasciato la città.
Con la sua
esperienza, la sua reputazione, la sua fama, avrebbe potuto lasciare
l'inferno di Aleppo e mettersi al riparo da tutto, lui e la sua
famiglia. Ci ha pensato, ci si è persino preparato, ma ecco, Lei lo
ha trattenuto. Lo dice chiaramente e senza enfasi: Lei lo ha
trattenuto! Nel momento in cui era arrivato da basso nell'edificio
sventrato e trovato la madre e la sorella irriconoscibili, fantasmi
intonacati, stravolti ma incolumi, ha saputo che non avrebbe mai
potuto lasciare l'appartamento al primo piano, intatto in mezzo alle
macerie degli edifici circostanti colpiti da un missile.
La scala
ha resistito, nulla è stato toccato. Nella stanza d'ingresso,
l'Icona della Madonna col Bambino nella sua cornice scolpita e
smaltata brilla debolmente, esattamente nello stesso posto. Se non
fosse per il deflusso dell'acqua dalle tubazioni recise dei piani
superiori che si riversano sul pavimento, nulla potrebbe indicare il
terremoto avvenuto lì accanto. Era il 4 maggio 2014, il mese di
Maria, ad Azizié, più di 4 anni fa: Aleppo era appena stata colpita
nel cuore del quartiere cristiano. Seduto dietro la sua scrivania,
Maged rivive intensamente quel giorno, pallido, gli occhi umidi, poi
rivolge verso di noi una piccola immagine dell'Icona miracolosa,
circondata da tre volti di bambini ridenti. "È Lei che mi ha
trattenuto", dice, "e mi trattiene ancora oggi! È nella
famiglia di mio padre da 300 anni, lo sai?! È una lunga storia
iniziata ad Antiochia."
JCA: Sei
di Antiochia, dico sorpreso. Mio nonno è nato lì.
Maged: Sì,
siamo come te originari di Antiochia.
Un
silenzio, quindi:
- vorresti
vederla o raccoglierti davanti questa icona? Ti ci posso portare
quando vuoi. Lei è ancora a casa di mia madre e delle mie sorelle.
Potremmo
rifiutarci di onorare la Santa Vergine? Il giorno seguente, Maged ci
conduce da sua madre che ci stava aspettando, piccola, fragile,
rannicchiata su una poltrona con un plaid sulle ginocchia. La stanza
è aperta e illuminata, e con un gesto lei ci invita a entrare. La
stanza è abitata da un'Icona maestosa collocata nel suo reliquiario.
Lei brilla incoronata d'oro. Il bambino è sulle sue ginocchia,
coronato anche lui, la bocca al seno di lei che possiamo indovinare
senza vederlo. È fasciato e mezzo-nudo, protetto dalle due mani di
sua madre. La luce si riflette delicatamente sul pizzo della corona e
sul bordo orlato del severo velo che le incornicia il viso. Entrambi
ci guardano, pacifici ma seri. Nel mezzo del dipinto, una croce
preziosa.
Ritorniamo
da Madeleine (la madre di Maged) e da sua figlia Nayla. La stanza è
fredda e improvvisamente la luce si spegne. Le interruzioni di
corrente sono frequenti e ogni famiglia deve utilizzare dei
generatori.
- Lei è
rimasta nonostante tutto - dico.
- Sì -
risponde Nayla - ci siamo abituati.
- Non ci
si abitua mai alla guerra - dice mia moglie.
- Se ti
trovi di fronte all'orrore - risponde Nayla - non hai scelta:
l'affronti, ti rialzi. E poi Maged ve l'ha già spiegato. Dopo il
bombardamento non potevamo più andarcene e dimenticare il segno che
avevamo ricevuto; non è così mamma?
Madeleine,
silenziosa fino ad allora, ha riordinato i suoi ricordi e inizia:
« Sono nata ad Antiochia nel 1926 nella famiglia Khoury. Mio padre era
un orafo e io avevo una sorella maggiore: Antoinette. Gli ottomani,
ai quali la Francia poco dopo ha dato questa regione, hanno
immediatamente chiuso le scuole private. I miei genitori ci mandarono
quindi a studiare a Beirut (Libano) presso le suore di San Giuseppe,
poco prima dello scoppio della seconda guerra mondiale. Eravamo là
in convitto. Ho sposato mio marito ad Antiochia nel 1954. Avevo 28
anni. Il vero nome di famiglia di mio marito è Yaacoub Pandelli
Daoud. Ma per tre secoli (Origine dell'icona) è diventato usuale
chiamarli «Saïdé» cioè «la
Vergine». Erano diventati familiarmente la «famiglia della Vergine»
o «la casa della Vergine» ed è così che l'Icona è entrata nella
mia vita e che tutti portiamo fino ad oggi, il nome di
«Saïdé»
JCA: La
prego, può raccontarci la sua storia?
Madeleine:
Beninteso, noi la veneriamo. Io, ogni mattina, prego davanti a Lei.
Ad Antiochia, la casa dei «Saïdé»
era un luogo aperto alla preghiera. Un giorno, sotto l'impero
ottomano, si presenta una delegazione greco-ortodossa. Hanno sentito
parlare di questa icona miracolosa e mentre il Patriarca è in visita
apostolica nella regione chiede incuriosito e intrigato che gliela si
porti, per pregare davanti a Lei. Ma il nonno di mio marito si
rifiuta, non tocca alla Beata Vergine di spostarsi, è lui che deve
venire per renderle omaggio. Il patriarca insiste e manda un vescovo
accompagnato da un diacono, a capo di una processione di seminaristi.
La famiglia finisce per cedere. L'Icona viene quindi portata via e
messa sotto sigilli in una Chiesa chiusa a chiave, dove il Patriarca
è invitato a venire il giorno dopo per onorarla. Arriva il
Patriarca, si apre la porta... l'Icona è scomparsa! Nella famiglia
Saidé, come ogni sera, ci riuniamo per pregare, quella sera con il
cuore un po' pesante, e miracolo... Lei è tornata nello stesso
posto! La voce si sparge immediatamente fino al Patriarca, che
comprende il segno e la lezione: è lui che deve andare alla Vergine
Maria!
Prima di
questo evento si racconta anche che nel 1820 un'epidemia di colera
aveva infuriato a Baghdad e ad Aleppo, fino alle province russe del
Mar Caspio, senza risparmiare Antiochia. L'epidemia colpì
indiscriminatamente tutte le classi della popolazione e in quel
periodo la città, come tutte le città d'Oriente, era organizzata in
quartieri. Fu una grande piaga che ispirava terrore e colpiva la
nostra immaginazione. L'inutilità dei trattamenti portava a
ricorrere alla preghiera per proteggersi. Nel quartiere della
famiglia Saïdé, in quarantena come
tutte le altre, si affidavano alla Vergine. Si dice che non sia stato
trovato un solo caso di contagio, mentre tutti i quartieri senza
eccezione ne furono interessati! Diverse testimonianze affermavano
che, mentre ogni sera i barellieri venivano per rimuovere i cadaveri,
nel quartiere « della Vergine » c'era una donna vestita
di bianco, misteriosa e bella, che vagava di porta in porta senza che
nessuno, mai, abbia potuto conoscere il suo nome.
Circa
Nayla e me, tuttavia, nel 2014, sappiamo chi ci ha risparmiato!
Perché il missile ha colpito i tre piani sopra di noi, e l'altra
parte dell'edificio è completamente crollata. Solo il nostro
appartamento è rimasto intatto.
JCA: Da
quanto tempo l'avete portata in Siria?
Madeleine:
Una parte della famiglia di mio marito è emigrata a Damasco tra
1938-1940, alla vigilia della Seconda Guerra Mondiale. È rimasta lì
fino al 1973, quando l'abbiamo collocata qui ad Aleppo, dove la
vedete. Non ha mai cambiato posto.
JCA: In
questo piccolo oratorio dove pregate ogni mattina, la Vergine si è
manifestata?
Madeleine
è un po' sorpresa. Ma la Vergine è qui! La casa dei Saïdé è la
casa della Vergine! Rimette il plaid sulle ginocchia. La luce non è
tornata, il riscaldamento è spento, fuori fa molto freddo. Il caffè,
i pasticcini e la calma di questo appartamento ci riscaldano. Nayla
si alza e torna con una cornice contenente la fotografia leggermente
invecchiata e ingiallita dell'icona. È sigillata.
- Ah! Sì,
dice Madeleine, questa cornice ha una storia, è vero, raccontala,
Nayla.
- Era alla
fine degli anni 1970. Mio nonno era stato portato d'urgenza
all'ospedale St. Louis di Aleppo, che voi conoscete. Per sostenerlo
in questa prova, mia nonna aveva portato al suo capezzale la foto in
bianco e nero della Vergine con il Bambino che aveva messo in una
teca sotto vetro. Mentre lei lo veglia la notte, sente nella stanza
accanto alla sua singhiozzi e gemiti. Va nel corridoio, socchiude la
porta più vicina e vede una donna seduta accanto al letto di un
paziente inanimato. Lei le parla per consolarla, perché il chirurgo
ha dato pochi giorni di vita al marito che era venuto da Kamishli
(città siriana sulle rive dell'Eufrate) per le cure. Mia nonna
allora le propone di mettere al capezzale del morente la foto che ha
portato e di pregare intensamente la Vergine. Al mattino, il signor
Bakdachi è vivo, cosciente e dice di aver visto ai piedi del suo
letto una donna vestita di bianco che lo ha vegliato tutta la notte.
Una volta guarito lui testimonierà.
Sporgendomi
un poco in avanti, vedo la croce al centro dell'icona che spicca e
brilla, così come le due corone d'oro. Nei momenti difficili, è
stata un promemoria per la vibrante fede di questi Cristiani
d'Oriente. Da dove viene? Quale mano d'artista l'ha modellata? Forse
Youssef che è un famoso iconografo della cosiddetta scuola
Aleppina?
JCA: Se
voi l'avete fin dal diciottesimo secolo in famiglia, l'avevate
ordinata voi?
Madeleine:
Niente affatto. Sono stati dei viaggiatori che, provenienti dalla
Grecia, si sono fermati ad Antiochia. Lì si ammalarono e la famiglia
Pandelli li accolse e si prese cura di loro per molti mesi.
Riprendendo il loro viaggio di ritorno a casa, hanno manifestato la
loro gratitudine offrendo loro ciò che avevano di più caro.
Frutto di
un'arte religiosa tipicamente orientale, che non ha cessato di
esprimere una pietà ahimè estranea all'Occidente, l'Icona non è
un'arte gelida e sclerotizzata. Ciò che è dipinto, converge verso
chi lo contempla e appare come una proiezione sacra di teologia e di
spiritualità strettamente legate, di una ricchezza, di una
delicatezza che ci immergono nella contemplazione, spogliati di ogni
esaltazione. Questa è la sacralità dell'icona. La nostra profonda
gratitudine va alla famiglia «Saïdé», la
cui accoglienza calda e semplice non è che il riflesso dell'arte di
vivere dei Cristiani d'Oriente.
J.C. e Geneviève Antakli