IL
FUTURO DELLA SIRIA SENZA L'OCCIDENTE
di
Richard Labévière
Ci
sono crisi difficili da comprendere a causa delle loro radici
profonde, delle loro ramificazioni complesse, delle evoluzioni
imprevedibili e delle analisi spesso deliranti. È così per i il
conflitto arabo-israeliano, le guerre balcaniche o i genocidi
ruandesi: tutti eventi diventati totemici e oggetto di culti
irrazionali. Sotto questa angolazione teologico-politica, la Siria
occupa un posto speciale perché al tempo stesso risveglia tre demoni
insubordinabili: quello delle scorie coloniali e risentimenti del
mandato francese della Società delle Nazioni (SDN); quello
dell'antisovietismo durante la Guerra Fredda; e quello del buon
Curdo, maronita, Kosovaro, Bosniaco, Cabilo, Tuareg o Papuano…
I
TRE DEMONI
Il primo demone resta profondamente radicato nella memoria della nostra
diplomazia, che continua a ripete gli stessi errori commessi durante
la rivolta del Gebel druso (1). Proclamando in perfetta sintonia con
David Cameron e Barack Obama, dall’estate 2011, che «Assad deve
lasciare il potere», Nicolas Sarkozy e Alain Juppé prendevano la
decisione assolutamente incomprensibile di chiudere l'ambasciata di
Francia a Damasco, nel marzo 2012. Figuriamoci se si dovessero
chiudere tutte le cancellerie situate in Paesi con cui la Francia
avesse delle divergenze! È quando una relazione bilaterale diventa
tesa che i diplomatici possono, in linea di principio dare la piena
misura della loro competenza; per non parlare dei servizi speciali
che sono lì proprio per esplorare le possibilità di dialogo.
Il
secondo demone, ancora più grottesco, risveglia i numerosi cliché
polimorfi e permanenti dell’anti-comunismo mondiale nato dopo la
rivoluzione sovietica del 1917; e che la caduta del muro di Berlino
ha ravvivato attraverso molteplici personaggi sempre pronti a
dipingere la Russia come male assoluto, subdolo e vendicativo. In
questa prospettiva, Putin può essere solo la reincarnazione di Ivan
il Terribile o di Felix Dzerzhinsky, fondatore della Ceka,
antesignana del KGB e FSB. Per chiarire trucchi, programmi e
dichiarazioni, si dovrebbe leggere o rileggere con grande attenzione
l’opera di Guy Mettan (2): Russie
– Occident, une guerre de mille ans.
In quest’ottica, il capo della diplomazia francese Jean-Yves Le
Chouchen non perde mai l'occasione di ricordare che, insieme al
terrorismo, la Russia rimane il primo Paese che minaccia la Francia!
E quando si ha l'ardire di chiedere più specificamente come e
perché, i piccoli marchesi del Quai d'Orsay sollevano lo sguardo
verso il cielo, indignati con chi ha osato rivolgergli una domanda
del genere.
Cugino
del primo demone coloniale, l'ultimo moltiplica le iniziative per
scongiurare la pretesa di poter accedere all'autodeterminazione
nazionale e ai suoi principi di indipendenza e sovranità. Fa
scontrare i Cabili contro gli Arabi, i maroniti contro i musulmani, i
Kosovari e i Bosniaci contro i Serbi, i Tuareg contro i Pirogue e
così via. In conformità alla locuzione latina divide
et impera,
cerca di sfruttare le minoranze etniche e religiose. Proprio come
David Ben-Gurion aveva raccomandato di fare contro i Popoli arabi
affinché regredissero allo stadio di tribù primitive per il massimo
beneficio del giovane Stato di Israele.
Questa
volontà di frammentazione tribale fu persino teorizzata da un
funzionario del Ministero degli Affari Esteri israeliano - Oded Yinon
- nel febbraio 1982. Secondo il diligente funzionario, l'interesse di
Tel Aviv consisterebbe nel promuovere la creazione, all’interno del
mondo arabo,
di micro-Stati antagonisti troppo
deboli e troppo divisi per opporglisi efficacemente: «La
disgregazione della Siria e dell'Iraq in regioni individuate in base
a criteri etnici o religiosi deve essere, a lungo termine, obiettivo
prioritario per Israele. Il primo passo è la distruzione del potere
militare di questi Stati (...). Ricco di petrolio e tormentato dalle
lotte intestine, l'Iraq è nella linea di fuoco israeliana. La sua
dissoluzione sarebbe più importante per noi di quella della Siria,
perché è quello che rappresenta, a breve termine, la minaccia più
seria per Israele».
In
questa prospettiva, i Curdi sono stati innalzati a eroi nella lotta
contro Dae'sh e altre fazioni terroristiche, mentre le spie
israeliane armavano e informavano gli stessi gruppi terroristici,
evacuando e curando i loro feriti, in particolare sulle alture del
Golan e nel nord del Libano!
L'ALIBI
DELLA LOTTA CONTRO IL TERRORE
Certamente,
questi poveri Curdi sono stati, più spesso che no, i cornuti della
storia. Alla fine della prima guerra mondiale, inclusa nei vari
trattati sulla gestione dello smantellamento dell'Impero ottomano, la
promessa di uno Stato curdo indipendente fu sostenuta dalla totalità
delle potenze occidentali. Ma la ripartizione - nella regola
petrolifera dei nuovi Stati del Medio Oriente – rese la promessa
perfettamente impossibile da mantenere, nonostante i Curdi abbiano
continuato a rincorrere questa chimera molto utile.
In
effetti, Tel Aviv aveva capito molto rapidamente tutta la convenienza
di questa «ingiustizia storica». Indipendentemente dai legami di
parentela molto ipotetici tra il Popolo curdo e la «tredicesima
tribù» di Israele, i servizi speciali ebraici si insediarono - a
partire dagli anni '50 - nel Kurdistan iracheno con un duplice
obiettivo: promuovere la frammentazione dell’Iraq in conformità al
piano di Oded Yinon e destabilizzare il vicino Iran armando il PEJAK,
la milizia kurda del Kurdistan Iraniano, nella regione di confine di
Kermanshah.
Ma il meglio sarebbe arrivato
con la proclamazione del Califfato di Dae’sh, il 29 giugno 2014!
Mentre favorivano i vari gruppi armati che cercavano di rovesciare il
«regime di Bashar al-Assad», come continua a sostenere la stampa
occidentale dall'estate del 2011, Tel Aviv, Washington, Londra,
Parigi e le monarchie petrolifere del Golfo non cessavano di
utilizzare la milizia curda per condurre la guerra contro il terrore!
Una gran storia ...
Durante la sessione
dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite del settembre 2015,
Vladimir Putin propose agli Occidentali di formare un'unica
coalizione per combattere il terrorismo, ma essi opposero un rifiuto
stizzito. Il motivo è evidente. Dall'agosto 2015, gli Stati Uniti
avevano assunto il comando di una coalizione «anti-terroristica»,
ufficialmente incaricata di combattere Dae'sh. Quando il presidente
russo fece il punto, bisognava riconoscere che questa armata aveva
fallito completamente, anzi per meglio dire era servita a sostenere e
armare le fazioni terroristiche che avrebbe dovuto combattere per
indirizzarle contro l’Esercito governativo siriano e le autorità
legali del Paese!
Dall'autunno
del 2015, l'esercito russo interviene in Siria su richiesta del
governo siriano, mentre i servizi speciali americani, britannici e
francesi (fuori da ogni principio di legalità internazionale) vi
agivano dall'estate 2011! Molto prima di adornarsi con le penne di
pavone della lotta contro il terrorismo, le potenze occidentali
avevano già deciso di fare della Siria quello che avevano fatto
dell'Iraq e della Libia: uno Stato-Nazione imploso, frammentato se
non eliminato completamente dalla mappa e sostituito con
un’accozzaglia di comunità, fazioni armate e gruppi mafiosi utili
per una rinnovata tribalizzazione estesa all’intera Mezzaluna
fertile.
In
questo contesto, - stiamo parlando del fatto che si cerca di
distruggere la Siria e impiantare un regime al soldo degli
Occidentali, di Israele e dei Paesi del Golfo - i Curdi sono
diventati alleati di primo piano, a cui forze speciali americane,
britanniche e francesi consegnano armi, sistemi di comunicazione,
intelligence e supporto logistico in nome della sacrosanta lotta
contro il terrorismo. Ma senza fare i conti con le buffonate di
Donald Trump che non vuole vedere il suo Paese giocare ai gendarmi
del mondo a fondo perduto. E l'inquilino imprevedibile della Casa
Bianca annuncia – lo aveva esplicitamente scritto nel suo programma
elettorale - il ritiro delle forze speciali statunitensi dalla Siria
(3). Catastrofe per Londra e Parigi che si ritrovano da sole a
interferire in Siria contro ogni legge internazionale!
Con un'ingenuità da non
credere, se non con sicura stupidità, Le
Figaro del 3
gennaio riprende l'antifona, combinando contemporaneamente Fake News,
propaganda e moralismo: «Come mantenere la pressione contro Dae'sh,
stanare i jihadisti francesi e minacciare il regime quando lancia
attacchi chimici senza il supporto degli Americani?» Sugli «attacchi
chimici», consiglio vivamente di leggere e ascoltare le ultime
interviste al diplomatico brasiliano José Bustani, che è stato il
primo direttore generale dell'OPCW (Organizzazione per la proibizione
delle armi chimiche), estromesso nel 2002 da Washington. I
«giornalisti» di Le
Figaro
conoscono almeno il suo nome?
E il quotidiano di Dassault
continua: «Come difendere i valori democratici di fronte
all’intensificarsi dell'autoritarismo e alla crescente influenza di
potenze considerate destabilizzanti - Iran, Russia, Turchia - che in
Medio Oriente si insinuano nel vuoto lasciato dalla partenza
americana?» Chi pensa che Iran, Russia e Turchia siano «potenze
destabilizzanti» mentre difendono logicamente i loro interessi nella
regione? Certo, dalla fine della Guerra Fredda chi potrebbe decidere
che i Paesi occidentali sono coinvolti in intrighi, se non in guerre
«destabilizzanti?»
Sotto
forma di ode macroniana, la conclusione è ancora più patetica: «Da
solo non poteva cambiare il sistema. L'Europa sarà in grado di
trovare energia e risorse sufficienti per prendere in mano la sua
difesa, trasformarsi in potenza e compensare l'indebolimento del
legame transatlantico»? Europa: quante divisioni? Un'altra domanda è
necessaria: quando i giornalisti parigini troveranno l'intelligenza e
la forza per fare correttamente il loro lavoro?
LA
SVOLTA DI ALEPPO
In
seguito all'appello dei Curdi delle Unità di protezione del popolo
(YPG), che chiedevano a Damasco di andare a proteggerli dai Turchi di
Manbij, il comando dell'esercito siriano ha annunciato il suo
ingresso nella regione. Le forze governative siriane lo scorso venerdì 4 gennaio hanno formalizzato il loro ingresso in questa
città cruciale del nord della Siria (con le località curde di
Kobane e Hasakeh), finora sotto controllo curdo. La bandiera siriana
è stata issata in città e l'esercito ha dichiarato di «garantire
la sicurezza dei cittadini siriani e di tutte le altre persone
presenti a Manbij».
All'inizio della giornata, le
milizie curde YPG hanno esortato le forze siriane a prendere
posizione per evitare un'offensiva da parte dell'esercito turco. La
milizia curda, che Ankara considera un movimento terroristico
strettamente legato al Partito dei lavoratori del Kurdistan (PKK),
assicura che i suoi membri hanno lasciato la città per combattere
Dae'sh nell'est del Paese. Da parte sua, il presidente turco, Recep
Tayyip Erdogan, ha descritto l'annuncio dell'ingresso dell'esercito
siriano a Manbij come «impatto psicologico». «Per il momento, la
situazione non presenta uno sviluppo serio e concreto», ha riportato
il quotidiano Hürriyet.
Quest'ultima
riconquista dell'esercito governativo siriano è una buona notizia
per diverse ragioni: essendo coperta da Mosca, esclude la possibilità
di un intervento turco; completa il ripristino della sovranità
siriana su quasi tutto il suo territorio storico; infine, incoraggia
i Curdi a riprendere i negoziati con il governo di Damasco,
interrotti nel 2013.
Altri
tre avvenimenti importanti rafforzano Damasco: il primo ministro
iracheno Adel Abdel Mahdi ha annunciato il 30 dicembre scorso, che
alti funzionari della sicurezza a Baghdad avevano incontrato il
presidente siriano Bashar al-Assad a Damasco. Il loro incontro ha
portato ad un accordo di cooperazione militare nella lotta contro
l'organizzazione Stato Islamico / Dae'sh con il ritiro delle truppe
statunitensi dalla Siria. Gli Emirati Arabi Uniti (EAU) hanno deciso
di riaprire la loro ambasciata a Damasco, evento foriero di una
possibile normalizzazione dei rapporti con gli altri Paesi del
Consiglio di cooperazione del Golfo, il primo dei quali Arabia
Saudita. Infine, colloqui di pace in Siria con i presidenti di
Russia, Iran e Turchia sono previsti per l'inizio del 2019. «È il
nostro turno di ospitare il summit dei tre Paesi garanti con il
presidente turco, quello iraniano e la Siria. Concordando che avrebbe
avuto luogo intorno alla prima settimana dell'anno. Ciò dipenderà
dall'ordine del giorno dei presidenti», dichiarava il viceministro
degli Esteri russo Mikhail Bogdanov citando Interfax. Il vertice fa
parte del processo di pace di Astana, che dal gennaio 2017 ha riunito
rappresentanti di Damasco e una delegazione dell’opposizione, senza
il coinvolgimento di Washington. È guidato da Russia, Iran e
Turchia.
Capitale
per il futuro della Siria e del Medio Oriente, il vertice di Mosca si
riunirà senza l'Occidente, secondo un formato predisposto durante la
battaglia di Aleppo, vale a dire una base tripartita tra Russia,
Turchia e Iran, potenze regionali «considerate destabilizzanti»
dagli oracoli di Le
Figaro. Non
sorprende che questa evoluzione sia descritta in modo
particolareggiato nel libro magistrale del diplomatico russo Maria
Khodynskaya-Golenishcheva (4). Più intelligenti di quelli di tutto
il mondo, i giornalisti parigini e i diplomatici francesi hanno
davvero bisogno di leggere libri simili?
Se gli avessero dato uno
sguardo, avrebbero potuto anticipare più o meno quello che significa
«La svolta di Aleppo» e quali soggetti avrebbero gestito la
ricostruzione politica ed economica della Siria. Avrebbero anche
capito come e perché la Francia si era estromessa dai giochi in
Siria e nell’insieme della Regione, perdendo una dopo l’altra le
sue posizioni tradizionali in Medio Oriente. Disastrosa per il nostro
Paese, questa prevedibile evoluzione - che prochetmoyen-orient.ch
cerca di spiegare da diversi anni – è arrivata persino a
preoccupare il quotidiano Le
Monde, lo
stesso Le
Monde che da
Marzo 2011 alimenta una campagna anti-siriana assolutamente
delirante.
Fedele
servitore della doxa fabiusiana - «I ragazzi di al-Nusra (al-Qaeda
in Siria) fanno un buon lavoro» e «Bashar non ha il diritto di
esistere» - Marc Sémo di Le
Monde,
guarda caso,
ha appena scoperto - oh miracolo! - che «nel dossier siriano la
Francia è ... isolata». Meglio tardi che mai, anche se almeno da
quando gli sviluppi sul terreno contraddicevano appieno le sue analisi
ideologiche, Le
Monde
avrebbe potuto non solo fare il mea
culpa, ma
provare a ritrovare l’essenza della sua attività, informando i
suoi lettori invece di fargli il lavaggio del cervello con frasi
moralistiche, ideologiche e false.
Una
cosa è certa: come recentemente hanno confermato diversi leader
siriani di altissimo livello, la ricostruzione politica ed economica
della Siria si farà senza la Francia. "Prima di vedere una
compagnia francese tornare in Siria, le autorità di questo Paese
faranno appello a qualsiasi altro partner, anche americano", si
lamenta un alto diplomatico francese inviato nella regione, «Il
governo di Damasco - in qualunque situazione - farà pagare
caramente, molto caramente, al nostro Paese e per molto tempo la sua
politica, dal 2011 la più anti-siriana tra i Paesi occidentali».
Ancora una volta, il Quai d'Orsay avrà privilegiato non si sa quali
interessi, ma non certo quelli della Francia eterna.
Richard Labévière, 7 gennaio
2019
Trad. Maria Antonietta Carta