Un
tempo, prima della guerra, il monastero Deir Mar Yacoub (san Giacomo
l’Interciso) a Qara, sulla via fra Damasco e Homs, era un luogo di
preghiera frequentato anche da pellegrini cristiani e musulmani: sia
per ragioni spirituali che per la tranquillità e la bellezza della
costruzione, grande, di pietra chiara, con grotte antichissime, una
suggestiva chiesa sotterranea, reperti archeologi molto interessanti
sparsi un po' dappertutto.
Qara,
un tempo… in tempo di pace
I
monaci e le monache residenti vivevano (e vivono tuttora) nel grande
convento in stanze essenziali, senza mobili, con bagni in comune,
cucina semplice con molti cibi dell’orto, carne solo se arriva in
dono. Alternavano la meditazione alle attività agricole e
artistiche: la madre superiora, madre Agnès de la Croix, fondatrice
dell' Ordine
dell'Unità di Antiochia,
dipingeva icone. Grazie ai pozzi, in questo territorio scarsamente
piovoso e apparentemente desertico, il frutteto del monastero era
pieno di olivi, melograni, albicocchi. Essiccate a strati con un
metodo particolare, le albicocche si conservavano a lungo, un pieno
di vitamine da portar via insieme alle tisane di erbe e delle
preziose, delicate rose che si chiamano “di Damasco”.
Attività
umanitarie in tempo di guerra
Con
la guerra iniziata nel 2011, la tranquillità è venuta meno e la
calma monastica ha lasciato il posto a un fervore da alveare,
dapprima concentrato sul soccorso a chi doveva stare in vita. Tempo della preghiera nella notte e primo mattino, il monastero durante la giornata si è dedicato all’assistenza ai tanti sfollati, ma non
sono mancati attacchi da parte di gruppi armati jihadisti e qualche anno
fa ha vissuto drammatici giorni di assedio durante i quali i monaci
han dovuto rifugiarsi nelle antiche grotte sotterranee.
Qara
è una cittadina in prevalenza mussulmana, con 50 famiglie cristiane,
circa il 20% della popolazione. Gli uni e gli
altri adesso stanno prendendo il monastero come punto di riferimento,
una specie di centro vitale attorno al quale ruotare.
Le
sei suore e i due monaci (di diverse nazionalità) hanno la
supervisione di diverse attività umanitarie, ma hanno affidato le
operazioni a un collaboratore fidato che chiamano Abu George (il
vero nome è Sake Esrur) e a sua moglie Sylvie, due cristiani che
hanno lasciato Damasco per venire a lavorare a Qara. Con i due figli
vivono presso il monastero e gestiscono nel Centro Sociale circa 30
lavoratori, sia cristiani e musulmani. A loro volta questi dipendenti
coordinano circa 200 volontari che distribuiscono gli aiuti, vanno a
consegnare cibo e prodotti sanitari nei campi profughi, poi corrono
al porto a sdoganare i container e tornare in camion a Qara,
scaricando rapidamente tutto nel grande magazzino del monastero. Ed
eccoli ripartire per le destinazioni dei soccorsi.
I
monaci hanno fatto la scelta di una radicale povertà, benchè al monastero
arrivi di tutto sia dalle agenzie internazionali (le quali sono alla
ricerca di partner affidabili) che da benefattori dall'Europa. Nella
parte immensa della nuova costruzione al piano interrato sono
ammucchiati pacchi, secchi, scatoloni, in maggioranza provenienti
dalle organizzazioni non governative che ormai stanno prendendo il
monastero come punto di riferimento di fiducia per le distribuzioni
anche nelle zone per loro non raggiungibili. Scatoloni e secchi poi
partono in camion per le distribuzioni nei campi profughi o nelle
località più bisognose. Ad Aleppo il monastero di Qara ha addirittura aperto
una cucina per trentamila pasti al giorno,
oltre a un Hospitainer: nel linguaggio degli interventi di
emergenza, è un container completamente attrezzato, come un piccolo
ospedale da campo.
I monaci hanno ospitato nel tempo diversi sfollati. Ora è il turno di
tre ragazzine sui 12 anni e due bambini, reduci da situazioni
drammatiche.
Mussalaha:
riconciliazione, un progetto visionario
Ma
le attività umanitarie, necessarie in un’emergenza bellica, non
sono certo le uniche a brulicare al monastero e intorno. La madre
superiora è stata fra le principali animatrici del
movimento Mussalaha. In arabo questo termine significa
riconciliazione (aggiungi e togli poche lettere ed ecco che hai
l’opposto: musallahin, gruppi armati). Dal 2013, nel pieno
della guerra fomentata in modo criminale da tanti paesi rimasti
impuniti, un gruppo di religiosi cristiani e musulmani, insieme a
cittadini siriani laici si sono impegnati per ricreare l'unità del
popolo siriano, al di là delle ferite della guerra. Il movimento
Mussalaha ha lavorato per tregue locali fra l’esercito siriano e i
gruppi armati non jihadisti. In seguito è stato creato un apposito
ministero della Riconciliazione. Ma tutto è nato dalla base.
L’attuale
fervore di attività del monastero, in fondo, è un altro modo per
continuare l’opera della Mussalaha. Padre Daniel, che è il
superiore dei monaci di Qara, una persona molto buona, spirituale e
umile ma anche molto realista, dice: “La Siria è certamente un
paese piegato, quasi spezzato dalla sofferenza. Ma in fondo no, non
si è piegata e la gente è fiera, vuole rialzarsi, e in fondo in
fondo è come orgogliosa perché dice: per primi ce l'abbiamo fatta. Il destino della Siria sembrava molto simile a quello dell’Iraq,
della Libia, degli altri paesi massacrati dai piani imperialisti, e
invece ce l'hanno fatta…”.
Decisamente
i siriani potrebbero insegnare la resilienza al mondo occidentale.
Prosegue
padre Daniel: “Certo la guerra non è ancora finita e ci
vorrà ancora del tempo per la vittoria. E le strade per la vittoria
sono due: sicuramente quella militare nei confronti dei terroristi,
ma insieme la mussalaha che è la grandissima sfida”.
R
come ricostruzione e resilienza, insieme
Intrecciata
alla riconciliazione, la ricostruzione. La Siria vi si sta
coraggiosamente avviando. A tutti i livelli. Colpisce la capacità di
creare iniziative, anche lì a Qara. I monaci si sono divisi i
compiti. Suor Myri, portoghese, segue un laboratorio di sartoria. Le
donne alle macchine da cucire sono tutte musulmane. Il responsabile è
un signore sfollato da Homs che già lavorava nell'ambito della tessitura e
della produzione di capi di abbigliamento. Le donne non hanno ancora
l'esperienza sufficiente per la produzione delle borse e altri capi
in modo industriale. Suor Myri spesso rimanda indietro la borsa
malfatta ( ma quelle che abbiamo portato da vendere in Italia a sostegno delle donne rifugiate sono bellissime). Attenta è la verifica della qualità anche nel locale dove
si produce la biancheria: hanno ricevuto dall'Europa pezzi di tessuto
adatti a ricavare ricavare mutande e magliette, biancheria intima
molto richiesta. …
Spiega
suor Maria: “Nella cittadina di Qara è terminata la fase
dell'emergenza e dell'aiuto ai profughi e ora si sta passando a
un'idea di sussistenza, di lavoro autogestito. E’ impressionante,
fioriscono iniziative, idee, progetti per l’occupazione e la
ripresa: gli stessi abitanti vengono qui a proporre e noi appoggiamo,
valorizziamo, diamo in gestione le attività a laici affidabili. Non
finisce mai, un'iniziativa ne tira un'altra”.
Si
inventano di tutto. Sull'autostrada fra Homs e Damasco hanno aperto
un bar con giardino esterno e all’interno il ristorante, 'Taybat
Qara' cioè: cose buone. Chi si ferma a bere il caffè o a mangiare
può anche acquistare i prodotti del monastero cucinati da vari
gruppi di donne. Funziona così: man mano, la gente va a dire “so
fare questo”, ed ecco che viene recuperato un sapere tradizionale e
incentivata la creatività.
Anche
chi governa la città partecipa a questo sforzo di ripresa della
vita. Sotto il ristorante c’è un grande forno a cui soprintende
l’amministratore cittadino; lì lavorano come cuochi diversi
ragazzi che imparano a fare dolci antichi della Siria, come un
rinomato dolce ai pistacchi irrorato da grasso di pecora.
Insomma
uno spazio per le idee di tutti, per le proposte di tutti.
Le
donne, la famiglia, i diritti
Suor
Maria Gloria, cilena, coordina il Centro Sociale che ha molteplici
attività. Cucina tipica, lavori di cucito, fabbricazione di piccoli
oggetti regalo, decorazioni su vetro e ceramica, incontri tra donne
per parlare di bambini, di salute. A poco a poco nell'ambito di
questi dialoghi informali emergono aspetti più delicati come la
violenza familiare, le difficoltà di relazione. Ma il Centro offre
anche consulenza nell'ambito della separazione, del diritto familiare
patrimoniale …. Una volta alla settimana arriva uno psicologo da
Saydnaya per incontri con le donne. Un avvocato matrimonialista
assiste nelle cause di separazione, sempre un po' complicate nel
diritto musulmano.
I
progetti sono proposti talvolta da organizzazioni non governative altre volte da Madre Agnès, che li vaglia e se non sono consoni allo
spirito cristiano e alla mentalità locale non vengono accettati e
messi in atto. Dunque, non c'è da parte del monastero
un'accettazione supina di tutto ciò che viene proposto dalle agenzie
umanitarie, come purtroppo è accaduto in altri paesi, compreso il
Libano.
Ma
il giacimento?
Tutto
ciò che arriva viene destinato ai poveri. La distribuzione degli
aiuti è controllata in modo ferreo, così da arginare la corruzione,
uno dei mille effetti collaterali delle guerre. Abu George vaglia le
richieste di aiuto con il metro della verità e della trasparenza,
per non fare distribuzioni a casaccio a eventuali approfittatori.
A Qara, i volontari ricevono una paga minima. Non è il guadagno la
loro motivazione. E’ che attorno ai monaci sta crescendo come un
senso di famiglia, la percezione che quella è come una casa.
Tutto
bene? Lo speriamo con tutto il cuore.
Per
Qara, c’è una nuova preoccupazione: la scoperta recente, proprio
ai confini della proprietà del monastero, di un enorme giacimento di
gas che, pensano lì, inevitabilmente porterà problemi.
Non
è forse cominciata anche per il gas, la guerra per procura che per
poco non ha inghiottito la Siria?