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mercoledì 18 giugno 2014

La situazione dei cristiani siriani : cittadini in uno stato laico

Fra Firas Lutfi, giovane francescano siriano, racconta di quale cambiamento abbia realmente bisogno il suo paese e la difficoltà di ricostruire l'anima ferita dei suoi connazionali





Zenit
seconda parte dell'intervista di Naman Tarcha a fra Firas Lufti



Qual è la situazione dei siriani cristiani?
I siriani cristiani hanno goduto da sempre di una libertà religiosa, potevano praticare ed esercitare le loro funzioni liberamente dentro e fuori delle chiese, perfino in affollate processioni nelle strade durante il mese mariano o nella settimana santa. Ovvio che in alcuni casi si chiedono i permessi, come in tutte le parti, avvisando le autorità per proteggere le funzioni, e questo è una cosa molto importante perché esprime la tua fede nel rispetto delle altre fedi. Questa libertà religiosa è garantita perché la Siria è uno stato laico e non uno stato teocratico, perché se lo fosse il siriano di fede cristiana sarebbe cittadino di serie B come in altri paesi arabi. E questo, in uno stato civile, è una questione inaccettabile in uno società che crede nella cittadinanza nel quale io e te siamo pari, e malgrado la nostra diversa appartenenza etnica o religiosa abbiamo gli stessi diritti e doveri. I cristiani in Siria e in tutto il Medio Oriente vorrebbero vivere in questo contesto sociale senza privilegi ma con parità e uguaglianza nella cittadinanza. Nonostante il numero dei siriani cristiani non sia altissimo, crediamo che il numero non è la misura,  non avevano mai subito persecuzioni e minacce quotidiane alla loro vita ed esistenza. Oggi le cose sono cambiate e l'esempio palese è la città di Al Raqaa dove ai cristiani viene richiesto il dazio per lasciarli in vita.

Tanti accusano i siriani cristiani di avere una posizione ambigua. Cosa vogliono davvero?
Prima della crisi siriana i cristiani siriani avevano diverse richieste, come ad esempio la questione dell'appartenenza completa al paese dentro la costituzione siriana, la quale indica che il Presidente della Repubblica deve essere esclusivamente di fede mussulmana. Ma se vogliamo uno stato con l'uguaglianza dei cittadini la fede non dovrebbe essere un problema, bensì conta l'appartenenza al paese. Da cristiano la mia storia e radici risalgono a migliaia di anni e ho il diritto di raggiungere la più alta carica dello stato.
Oggi i cristiani vogliono invece almeno ritornare al passato. Soprattutto vedendo i conventi e le chiese profanate, saccheggiate, bruciate e distrutte, mentre il cristiano viene giustiziato con l'accusa di essere miscredente e infedele, o di essere lealista e vicino al governo. In questa situazione si trovano tanti giovani nell'esercito siriano, che prestano il servizio di leva: il giovane cristiano serve il suo paese convinto che é un suo dovere civile nel difendere la patria ma anche dovere religioso contro un pericolo di Jihadismo ed estremismo. Per questo motivo i cristiani difendono lo stato partendo dal principio della cittadinanza, e se non fosse la cittadinanza la misura della convivenza, qualsiasi misura sarebbe squilibrata. Se la misura é numerica siamo minoranza e si consacrerà il potere di una maggioranza sugli altri; se il criterio fosse settario, allora io mussulmano vengo prima poi gli altri sono di serie B; e allo stessi modo se la misura è su base etnica,  la società viene divisa e vengono esclusi curdi, armeni, cerchesi, turcmeni.
Sono una persona e non un numero, nè una percentuale; sono nato su questa terra, e vorrei continuare a viverci e l'altro dovrebbe riconoscermi come partner, non come ospite, al quale concede alcuni diritti. La cosa principale è questa: chi si considera amico dei siriani, o che pensa di lavorare per il loro bene, ci lasci decidere noi stessi, e  non decida al nostro posto, senza trattarci come deficienti o incapaci di ragionare. Abbiamo tutto il diritto di decidere il nostro destino. La civiltà siriana ha lasciato le sue impronte su tutto, perciò i siriani sono maturi abbastanza per capire ciò che è il loro bene è il loro male.

C'è in atto una persecuzione dei siriani cristiani?
Sì, i cristiani sono presi di mira. All'inizio le cose non erano chiare, oggi invece i siriani conoscono bene l'identità dei combattenti e la loro provenienza e appartenenza, soprattutto dopo quel che é accaduto nelle città cristiane vicino a Idlib. Quelli che parlano oggi del cosiddetto Esercito Libero come forza d'opposizione moderata sanno di mentire, e sanno bene che i diversi gruppi armati sono in un conflitto interno su terreni e sui bottini di guerra. I casi sono infiniti, vorrei ricordare i due arcivescovi siriani di Aleppo, Ibrahim, Siro-ortodosso, e Yazji, greco-ortodosso, ancora nelle mani dei ribelli, insieme ai due giovani sacerdoti Michael Kayal armeno cattolico e Isaak Mahfuz greco ortodosso spariti nel nulla. L'ultimo martire é il padre gesuita Franz Van der Lught, di nazionalità olandese che ha scelto di restare a fianco dei suoi parrocchiani a Homs, e ucciso barbaramente dai gruppi armati dopo aver tentato di prenderlo in ostaggio.
Quelli che prendono di mira i cristiani non sono siriani, perché un siriano mussulmano che ha vissuto accanto a suo fratello cristiano, non può farlo, sa come vive, a cosa crede e come si comporta, mentre chi viene da fuori, gli estremisti, indottrinati dal pensiero salafita e wahhabita, porta con sè un profondo odio dell'altro, del diverso, e non ha mai conosciuto un cristiano. Per lui la vita inizia e finisce nell'islam e tutti quelli che non appartengono alla sua presunta religione, sono miscredenti ed è lecito ucciderli.


Ha vissuto un’esperienza molto dolorosa. Cosa è accaduto a Ghassaniye?
il martire padre François Murad
Ero in servizio nella provincia di Idlib, dove sono stati assaltati tre villaggi cristiani, e lì viveva padre François Murad, un monaco che ha costruito un piccolo monastero per far rivivere la spiritualità del monachesimo orientale, e quando sono arrivati i ribelli ha aperto le porte a loro, ospitandoli, dopo un breve periodo l'hanno cacciato via occupando casa sua, e abbiamo dovuto ospitarlo nel nostro convento francescano, dove c'erano tre suore che offrivano il servizio di ambulatorio ai civili rimasti.
I ribelli hanno tentato diverse volte di assaltare il convento, e alla fine sono riusciti. Appena mi hanno avvisato sono corso, trovandomi davanti ad una scena agghiacciante. Avevano rubato e saccheggiato tutto, distruggendo croci e statue, e profanando la chiesa sgozzando il cane del convento sull'altare, e uccidendo padre Francois con sette colpi di pistola. Bastava una per ammazzare un uomo indifeso e disarmato, ma hanno preferito ucciderlo con sette colpi nel petto, e io l'ho sepolto.

Aleppo, la città più antica al mondo, oggi si trova in una situazione disastrosa...
Aleppo sta soffrendo in una condizione disumana e tragica, perché l'essere umano può anche supportare le difficoltà e i pericoli, ma quando viene privato dei bisogni primari restando senza acqua e cibo, perde tutta la dignità umana. La gente cerca di sopravvivere malgrado il costo della vita altissimo e la mancanza di introiti, senza benzina nè gas nè corrente e acqua. Anche se i quartieri cristiani della città sono relativamente sicuri, questa zona viene presa di mira dai gruppi armati con lanci continui di colpi di mortaio e missili artigianali, perfino la nostra cattedrale ha subito danni da questi missili. L'ultimo incidente é stato quando i ribelli hanno fatto saltare il palazzo della camera di commercio: è caduto il vetro della chiesa durante la messa, tanta era la forza dell'esplosione. I frati cercano di sostenere e aiutare la gente come possono, aprendo le porte ai bisognosi, e offrendo l'acqua potabile a tutti, mentre la scuola francescana ospita i bambini dell'orfanotrofio islamico. La sfida principale infatti é la sfida morale e spirituale, perché se l'uomo perde la speranza non riesce a superare e sopportare le difficoltà, senza la speranza la vita diventa senza senso nè futuro.

Ultima parola?
Durante le Crociate, San Francesco è riuscito ad ottenere il permesso di custodire la terra santa non con la forza delle spade e della violenza, ma con l'intelligenza, la semplicità e il dialogo. Questo conferma che l'unica strada per ottenere ciò che desidero dall'altro è nel riconoscimento e nel rispetto reciproco, senza ammazzare nè farmi ammazzare. Dobbiamo insistere sul dire tutta la verità con amore, e insistere nel dialogo con l'altro, senza questo dialogo saremo  distanti dalla nostra vita.

http://www.zenit.org/it/articles/la-siria-ha-bisogno-di-evoluzione-non-di-rivoluzione-seconda-parte

martedì 17 giugno 2014

L'esercito governativo riprende il controllo di Kessab. Chiese armene profanate dai ribelli


Agenzia Fides, 16/6/2014

Tra sabato 14 e domenica 15 giugno, l'esercito governativo siriano ha ripreso integralmente il controllo di Kessab, la città nord-orientale siriana a maggioranza armena che era stata conquistata dalle milizie anti-Assad lo scorso marzo.
"Alla riconquista di Kessab” riferisce all'Agenzia Fides il Patriarca armeno cattolico Nerses Bedros XIX Tarmouni, “hanno preso parte anche i gruppi di autodifesa formati da armeni siriani e le milizie sciite di Hezbollah. Il parroco della chiesa di San Michele ha già fatto un sopralluogo nella sua parrocchia, trovandola devastata: i ribelli hanno danneggiato le icone, divelto le croci, distrutto libri, reso inagibili i locali. Con l'unica intenzione di impedirne l'utilizzo, visto che non c'erano cose preziose da saccheggiare. La stessa sorte è toccata alla nostra scuola”.


 Secondo fonti consultate da Fides, le milizie islamiste hanno divelto le croci anche nella chiesa armena evangelica dedicata alla Santissima Trinità, mentre risulta devastato il Centro culturale armeno Misakyan. 
Le incursioni delle milizie islamiste – comprese quelle della fazione jihadista Jabhat al-Nusra - erano iniziate lo scorso 21 marzo. 


Quasi 700 famiglie, in maggioranza cristiane, erano fuggite per trovare riparo nell'area costiera di Latakia. I ribelli erano arrivati dalle montagne al confine con la Turchia, numerosi e ben armati. Le formazioni dell'esercito che presidiavano la città si erano ritirate, così come i giovani armeni che avevano organizzato gruppi di autodifesa armata intorno alle chiese. 
“Mi ha sorpreso la velocità con cui Kessab è stata riconquistata” sottolinea il Patriarca Tarmouni, “e mi auguro che adesso, con pazienza, gli abitanti di Kessab tornino alle proprie case e ricostruiscano quello che è stato danneggiato. Sarebbe bello poter riaprire la scuola già ai primi di settembre. Occorreranno risorse economiche e l'aiuto di tutti”. 



 Nel contempo, il Patriarca teme che almeno il 30 per cento degli abitanti di Kessab non farà ritorno alle proprie case, avendo trovato sistemazioni più sicure nell'area di Latakia o in Libano. 
Gli armeni di Kessab sono in gran parte agricoltori. L'area rurale, fino allo scorso marzo, non era stata toccata dal conflitto siriano. 



La città occupa un posto simbolico nella memoria condivisa del popolo armeno: Nel 1915, quando gli armeni hanno abbandonato la Cilicia dopo il genocidio perpetrato dai turchi, proprio a Kessab era rimasta l'ultima comunità armena dell'area.



http://www.fides.org/it/news/55416-ASIA_SIRIA_L_esercito_governativo_riprende_il_controllo_di_Kessab_Il_Patriarca_Tarmouni_chiese_armene_profanate_dai_ribelli#.U5_0lEaKDwo

domenica 15 giugno 2014

Papa Francesco: non dimenticare la Siria. Testimonianza di una suora

Da Radio Vaticana
14/06/2014

C’è il rischio di dimenticare le sofferenze che non ci toccano da vicino. Reagiamo, e preghiamo per la pace in Siria”. 
Con questo tweet il Papa torna oggi a richiamare l’attenzione del mondo su un Paese martoriato da più di 3 anni di guerra e che anche dopo le elezioni presidenziali d’inizio mese continua a vivere spaccature e scontri tra ribelli e lealisti. Almeno 30 i miliziani uccisi oggi a Mayaden al confine con l’Iraq. Sull’appello del Papa alla preghiera e a non dimenticare, Gabriella Ceraso ha raccolto il commento di una suora trappista, raggiunta telefonicamente in Siria:

R. – Penso che il rischio di dimenticare ci sia, anche se ci sono tantissime persone che con molta generosità continuano ad aiutare. Il problema è che certe situazioni si stanno cronicizzando: la divisione del territorio con zone controllate dai fondamentalisti, altre dal governo, il continuo invio di armi… Il rischio che questa cosa diventi cronica e che ci si abitui, è molto forte.

D. – Il Papa parla proprio di sofferenze: quanto sta ancora soffrendo e in che cosa la popolazione siriana?

R. – Dipende da zona a zona, ma tutti stanno soffrendo. Nelle zone dove la situazione è un po’ migliore c’è comunque una sofferenza di instabilità, i giovani non hanno prospettive di studio. Poi, ci sono zone come Aleppo, senz’acqua da 15 giorni e senza elettricità, dove la sofferenza è davvero reale. I nostri amici che sono là ci raccontano che sono proprio alla fame, con questi proiettili che cadono continuamente alla cieca, si esce e non si sa se si ritorna, gente a cui manca il necessario per vivere e i salari che non sono sufficienti… Quindi, c’è una sofferenza materiale e una sofferenza morale, molto forti.

D. – Il Papa dice: “Reagiamo”. La reazione in che termini dovrebbe essere?

R. – Io direi che la reazione richieda darsi da fare. Non basta reagire con dei luoghi comuni, altrimenti si rischia di fare peggio. Bisogna veramente avere a cuore la situazione, cercare di capire le cose che sono in gioco e che sono complesse, solo così si possono trovare le soluzioni.

D. – Una preghiera per la pace in Siria, sempre necessaria per il Papa, che ha pregato in una giornata memorabile per la pace in tutta l’area mediorientale con grande coraggio. Vi è arrivata quella testimonianza?

R. – Direi che arriva, arriva anche a tutti, non solo a noi. Proprio ieri un musulmano mi diceva: “Io sono musulmano, ma penso che il Papa sta facendo tantissimo per noi e per la Siria con immensa gratitudine”. Quindi, direi che arriva proprio a tutti. E' necessario, perché credo che certe cose si risolvano veramente solo con uno sguardo di preghiera, perché la preghiera poi è anche un’azione e cambia il modo di vedere le cose: ti dà modo di capire cosa fare, come intervenire e come ascoltare questa gente.

D. – Ed è un appello, quello del Papa, valido per tutti?

R. – Certo, io penso di sì. Ci sembra che ci si ritrovi sempre più insieme davanti al Dio Creatore e davanti al bene che è nel cuore di ogni uomo. Penso che il Papa in questo abbia fatto fin dall’inizio un appello proprio all’uomo in quanto tale.

D. – Nel vicino Iraq è in atto un’offensiva di tipo integralista islamica, che sta spaventando il mondo intero. Voi siete al confine e gli integralisti sono presenti in alcune località della Sira. Che effetto vi fa questa notizia? C’è timore, ci sono delle reazioni?

R. – Certamente, la cosa ci ha molto preoccupato, proprio perché si sta creando una zona, una vasta fascia di territorio continuo che ormai è in mano ai fondamentalisti. Questo da una parte non sorprende tanto, soprattutto i siriani, perché già da tempo vedevano questo avanzare, questo modo di frammentare la nazione in zone sotto il controllo di diverse parti. Da una parte non è una sorpresa quindi. Dall’altro preoccupa e spaventa, perché adesso è veramente una presenza imponente e anche molto attiva, i combattimenti si stanno inasprendo. 
A fronte di questo, c’è stata la grossa sorpresa di questo voto che non era affatto scontato. Poteva essere scontato il risultato, ma non certo il tipo di unanimità. Credo che la gente abbia voluto dire: “Vogliamo insieme ricostruire il nostro Paese! Vogliamo la pace, vogliamo la sicurezza!”.

D. – Un califfato jihadista in un Paese come l’Iraq mette a repentaglio la vita dei cristiani. Da cristiana, se succedesse una cosa del genere sul suo territorio?

R. – Quello che conosciamo anche dei sunniti, dei siriani e di tutti i cristiani, musulmani, la Siria non è mai stato un Paese dove il fondamentalismo ha preso piede. La gente ha un’altra anima. Chiaramente, la paura di fronte ad un integralismo c’è, perché è un integralismo reale, evidente ed armato. Però, preghiamo.

mercoledì 11 giugno 2014

«Aleppo, la guerra dell'acqua»




Un religioso racconta a ilGiornale.it i piani ribelli per assetare il popolo assediato

Gian Micalessin - Mar, 10/06/2014 - 17:14

È una guerra crudele e spietata. È la guerra dell'acqua. È scoppiata ai primi di maggio e da allora si riaccende a periodi alterni.
È l'ultima inutile e folle sofferenza imposta ai civili dai ribelli jihadisti che assediano Aleppo. "Ai primi di giugno l'acqua è incominciata a mancare di nuovo. Un mese fa, dopo lunghe trattative, i ribelli avevano accettato di riaprire tubature e stazioni di pompaggio, ma adesso è rincominciata. L'acqua manca già da otto giorni. E non sappiamo quanto ritornerà", racconta in questo colloquio telefonico con ilGiornale.it padre George, un religioso cristiano rimasto in questa città martoriata, abitata - un tempo - da quasi due milioni e mezzo di siriani.
L'assedio ribelle iniziato nell'agosto del 2012 ha trasformato Aleppo, un tempo il principale centro commerciale della Siria, nell'anticamera dell'inferno. Da allora un milione di aleppini ha dovuto dire addio alle proprie case minacciate da guerra e carestia. La periferia orientale, roccaforte delle milizie al qaidiste di Al Nusra, si è trasformata in una distesa macerie bersagliate dai bombardamenti dell'aviazione governativa. Sui quartieri occidentali cadono invece i colpi di mortaio di un'opposizione armata decisa a punire i civili rimasti nelle aree fedeli a Bashar Assad. Ai primi di maggio i comandanti di Al Nusra - frustati per le sconfitte subite ad Homs e in altre zone del paese - hanno progettato un'altra, più crudele, forma di punizione collettiva. Il piano del gruppo jihadista prevedeva il blocco selettivo di alcune stazioni di pompaggio in modo da mantenere il flusso idrico nei quartieri occupati dagli insorti e ridurre alla sete il versante governativo. Il progetto non teneva conto delle complesse regole dei vasi comunicanti che regolano la distribuzione idrica in un vasto centro urbano e così l'intera Aleppo, quartieri ribelli compresi, si è ritrovata a secco. Ma il problema maggiore, come spiega padre George, è il rischio di gravi epidemie. "Aleppo è una città antica e i vecchi pozzi garantiscono l'accesso alle faglie idriche. Da più di un anno la nostra comunità ha avviato un programma per la riapertura degli antichi pozzi dentro alle chiese e nelle moschee. Ma quell'acqua non sempre è potabile di solito viene usata per lavarsi e ripulire i vestiti. Quando un mese fa i ribelli hanno tagliato l'acqua potabile molti hanno incominciato a dissetarsi con l'acqua dei pozzi. E con quella stessa acqua stiamo sopravvivendo in questi ultimi otto giorni. Quest'acqua, però, non è potabile. Andrebbe bollita e purificata, ma non sappiamo se tutto lo stiano facendo. Il rischio è la diffusione di contagi ed epidemie".

Il blocco delle forniture, verificatosi alla vigilia delle elezioni presidenziali organizzate nei quartieri sotto controllo governativo, è, fa capire padre George - tutt'altro che casuale. "La sospensione delle forniture - racconta a ilGiornale.it - è stata causata anche stavolta dai ribelli che hanno fatto esplodere un ordigno in un tunnel vicino dalla stazione principale della città dove affluisce l'acqua dall'Eufrate". Come già a maggio anche stavolta la ripresa delle forniture dipende dalle delicate trattative intraprese dalla Mezzaluna Rossa con i capi ribelli. Spetterà ai delegati dell'organizzazione islamica, l'equivalente della nostra Croce Rossa, ristabilire il delicato equilibrio concordato nel corso di questi 22 mesi di assedio durante i quali il governo ha accettato di fornire carburante alle aree ribelli per mantenere in funzione le pompe che garantiscono le forniture idriche a tutta la popolazione civile.

Fonte: http://www.ilgiornale.it/news/esteri/aleppo-guerra-dellacqua-1026401.html 

sabato 7 giugno 2014

Ebrei, cristiani e musulmani: il perdono via alla pace

Da: Missionline

06/06/2014
Ebrei, cristiani e musulmani: il perdono via alla pace

di Giorgio Bernardelli

Nella preghiera con papa Francesco, Peres e Abu Mazen tutte e tre le religioni pronunceranno una richiesta di perdono prima dell'invocazione di pace. Il tutto nei Giardini vaticani, in un nuovo prato vent'anni dopo quello della Casa Bianca




Durante un briefing questa mattina è stato presentato il momento di preghiera per la pace in Medio Oriente voluto da Papa Francesco in Vaticano insieme al presidente israeliano Shimon Peres e a quello palestinese Abu Mazen, annunciato a Betlemme durante il viaggio in Terra Santa. Come anticipato si terrà domenica a partire dalle 19 nei Giardini vaticani e vedrà presenti anche altre personalità religiose, tra cui il patriarca di Costantinopoli Bartolomeo I: un segno quest'ultimo di continuità con le giornate vissute da Papa Francesco a Gerusalemme e che dice come la riconciliazione tra le Chiese sia il segno chiesto oggi ai cristiani per mostrare a tutti la via della pace.
Tra le notizie anticipate oggi c'è anche lo schema di questo momento di preghiera, che è molto interessante. Ebrei, cristiani e musulmani pregheranno in maniera distinta, uno dopo l'altro, riprendendo testi del Tanakh (la Bibbia ebraica), del Nuovo Testamento e del Corano. Ma in tutte e tre le preghiere ci sarà un filo rosso ben preciso: un primo testo rivolgerà lo sguardo alla creazione, il disegno originario di Dio e quindi la radice della pace. Un secondo testo sarà una richiesta di perdono per le nostre colpe da cui nascono le guerre e ogni forma di inimicizia. E infine ciascun momento si concluderà con un terzo momento di preghiera, quello vero e proprio dell'invocazione alla pace.
È bello osservare come in questo schema - pur senza nessuna confusione tra la preghiera delle diverse religioni - ci sono punti di riferimento che accomunano, quasi a rendere visibile una grammatica profonda nello sguardo dell'uomo sul mistero di Dio. Una grammatica più forte di ogni divisione. In fondo è un modo per rendere visibile in un'altra forma quella stessa immagine dell'abbraccio tra il Papa, il rabbino e l'imam davanti al Muro del Pianto a Gerusalemme, rimasta così impressa nel cuore di tutti. L'abbraccio della pace per compiersi ha bisogno di uomini che si riconoscano figli dell'unico Padre e capaci di chiedere perdono. Forse è questa la lezione più grande che arriverà dai Giardini vaticani.
Insieme a una constatazione: si sottolinea il significato religioso e non politico di questo momento. E molti tendono a leggerlo come un modo per mettere le mani avanti rispetto ai risultati, che nel contesto di oggi è difficile immaginare immediati. Forse invece sarebbe più giusto vedere in questa sottolineatura una direzione ben precisa da dare al cammino verso la pace: troppe volte si è parlato di Gerusalemme pensando che la religione sia la causa del conflitto, illudendosi che solo mettendo da parte la fede sia possibile trovare un'intesa. Questa preghiera ribalta la prospettiva: dice che l'unica pace possibile a Gerusalemme deve per forza essere anche santa. E che non è un sogno impossibile se tutti si riparte da quella stessa grammatica del'umano.
Vent'anni fa gli accordi di Oslo - in cui erano state riposte tante speranze sulla pace tra israeliani e palestinesi - iniziarono sul prato della Casa Bianca. Domenica questo incontro avverrà su un altro prato, quello dei Giardini vaticani, all'ombra della Cupola di San Pietro. Il simbolismo è forte: dal prato della politica per eccellenza, a un prato simbolo dello sguardo dell'uomo verso il Cielo. La speranza è che - nonostante le difficoltà che tutti conosciamo - questo prato possa segnare l'inizio di una nuova strada di pace per il Medio Oriente.


giovedì 5 giugno 2014

E noi, cosa possiamo fare per la Siria? : intervista al Nunzio Zenari. Gli Armeni di Aleppo martoriati.

«Serve la presenza. E che nessuno ci dimentichi»


Tracce03/06/2014

di Anna Minghetti

Il nunzio apostolico monsignor Mario Zenari racconta la vita a Damasco. Le bombe, i bambini uccisi, la tensione continua. Ma rimanere con quella gente è importante: «Un valore aggiunto, molto prezioso. Molto più di un semplice aiuto»

 «Questo conflitto deve terminare, deve terminare». Lo ripete monsignor Mario Zenari, nunzio apostolico in Siria, al termine all’incontro del 30 maggio, promosso dal Pontificio Consiglio Cor Unum per coordinare gli enti caritativi cattolici operanti nella crisi siriana, a cui lo stesso Zenari ha preso parte. Il Nunzio racconta di una situazione in cui purtroppo non si vedono miglioramenti. «Anche a Damasco, dove vivo, c’è insicurezza, ci sono colpi di mortaio che cadono. Prima di Pasqua uno di questi era caduto sul cortile di una scuola elementare armeno-cattolica, proprio prima delle otto, mentre i bambini entravano. Uno è morto, una sessantina sono rimasti feriti. A una bambina di nove anni, che ho visitato all’ospedale, hanno dovuto amputare entrambe le gambe. Il giorno di Pasqua lo stesso. Mentre ero nel mio studio, ho sentito un botto: era un'altra bomba, poco lontano dalla nunziatura. Ha colpito il terrazzo di una casa, dove c’era un papà con due bambini, quattro e dieci anni, morti sul colpo. Quello di quattro, mi dicevano all’ospedale dove l’avevano portato, aveva la testa tagliata. Direi una sofferenza, soprattutto quella dei civili e dei bambini, che fa impressione».

Qual è il ruolo di un pastore che si trova ad affrontare questa situazione?Io conosco diversi parroci che danno un bell’esempio, una bella testimonianza. Tutti in genere sono rimasti, sacerdoti, religiosi, religiose, e naturalmente aiutano, secondo i mezzi che hanno. Però direi che il valore aggiunto è la loro presenza: avere un parroco, avere una suora, un religioso, in una località, in un villaggio, è una sicurezza, un conforto, per i cristiani e anche, ho visto, per i musulmani che sono in quella zona. Quindi la presenza è un valore aggiunto, direi, molto prezioso, oltre quel che si può aiutare.

Cosa pensa della giornata di oggi?È stato molto bello l’incontro che abbiamo avuto col Papa. È stato un incontro familiare, perché era fuori programma: ha voluto dedicarci alcuni minuti a Santa Marta mentre stava andando all’ordinazione episcopale. Direi molto familiare, ha insistito su alcune cose, sul far cessare la guerra, che vuol dire far cessare anche il traffico di armi, la vendita di armi. Ha ringraziato per la vicinanza alla sofferenza di tanta gente e per gli aiuti umanitari che devono essere assicurati a tutti.

E noi cosa possiamo fare per la Siria?
Purtroppo questo è un conflitto che sta per essere dimenticato. E questa è un’altra disgrazia che si aggiunge alla già grave disgrazia. Quindi direi parlarne e tenere sveglie le coscienze della gente fuori dalla Siria, del mondo. Parlare di questa sofferenza e del non senso di questo conflitto. I media devono avere questo impegno: di non far cadere nell’oblio la dimenticanza a questo conflitto, che sarebbe un altro dramma che si aggiunge a quello già presente.


Aleppo di nuovo senz'acqua, altri missili sulle zone abitate dagli armeni


Agenzia Fides, 5/6/2014

Aleppo – Ad Aleppo il voto presidenziale con cui Assad punta a perpetuare il suo potere si è svolto con i quartieri centrali sottoposti al lancio intenso di missili e dopo che in tutta la città era stata interrotta di nuovo la fornitura idrica. 

“Da due giorni siamo di nuovo senz'acqua” riferisce all'Agenzia Fides l'Arcivescovo armeno cattolico Boutros Marayati, dalla residenza patriarcale che alle 13,30 di martedì scorso è stata colpita da uno dei missili piovuti sulla città. 
“Si trattava di un proiettile abbastanza potente - spiega l'Arcivescovo - che ha danneggiato la scuola e un'ala del palazzo, scardinando le porte e mandando in frantumi molti vetri. Un altro razzo, meno potente, è caduto sulla nostra scuola anche ieri”. 

Secondo S. E. Marayati il lancio di missili intensificatosi nelle ultime giornate non puntava a colpire obiettivi mirati, ma piuttosto a contrastare l'afflusso dei votanti ai seggi elettorali: “ Nei quartieri sotto il controllo dell'esercito” spiega l'Arcivescovo armeno cattolico “tutti i cittadini sono per vari motivi schierati con Assad. E molti sono andati a votare nonostante i lanci di missili”. 

Secondo le fonti ufficiali, Bashar el Assad è stato rieletto Presidente con l'88,7% dei suffragi. Secondo le stesse fonti hanno partecipato al voto del 3 giugno (definito “una farsa” dall'opposizione) 11,6 milioni di siriani. Dei due candidati concorrenti, Hassan al-Nouri ha raccolto il 4,3% dei voti e Maher al-Hajjar il 3,2%.



Armenian Press Office in Aleppo

Photo: PRESS RELEASE URGENT CALL TO THE ARMENIAN NATION We do hereby declare the Armenian “Nor Kyough” neighborhood in Aleppo a DISASTER ZONE. We appeal to our fellow Armenians all around the world to support the immediate stopping of continuous inhuman rocket attacks on our area. We need your support, by all means, for the physical security of our people. 

mercoledì 4 giugno 2014

Elezioni presidenziali, per Assad un trionfo annunciato


Agenzia Fides 3/6/2014

Damasco  - Dalle 7 alle 19 di oggi, martedì 3 giugno, la popolazione siriana concentrata nelle aree rimaste o ritornate sotto il controllo del regime di Damasco è chiamata a esprimere il suo voto alle elezioni presidenziali definite “una farsa” dall'opposizione e dalle cancellerie dei Paesi che la sostengono. Il Ministero degli interni ha riferito che i siriani aventi diritto al voto sono 15,8 milioni, compresi i milioni di rifugiati fuggiti nei Paesi confinanti a causa del conflitto. In tutto il Paese sono stati allestiti 9.600 centri di raccolta voti. 
Fonti locali di Aleppo e Damasco consultate dall'Agenzia Fides confermano che nelle aree urbane sotto controllo dell'esercito il flusso ai seggi è ininterrotto, anche nei quartieri dove è più forte la presenza di cristiani.
La consultazione elettorale serve di fatto a consacrare il potere del Presidente Bashar al- Assad, destinato a stravincere le elezioni raccogliendo più del 90 per cento dei consensi. L'unico sfidante al Presidente, a parte un suo ministro, è il candidato di estrema sinistra Maher Hajjar. 

“L'impressione” spiega all'Agenzia Fides la suora francescana Jola Girgis, contattata a Damasco, “è che questi anni di guerra hanno fatto crescere l'appoggio al Presidente Assad anche tra molti di coloro che prima erano contro di lui. In ogni caso, tutti hanno capito che nei grandi giochi del potere politico il bene del Paese sta a cuore solo al popolo siriano, e a nessun altro”. 


arcivescovado armeno cattolico colpito oggi ad Aleppo dai missili ribelli

Ad Aleppo la giornata elettorale è stata preceduta dal lancio di missili e granate che nei giorni scorsi sono caduti in particolare sul quartiere di Meidan, abitato da cristiani armeni. “Ci sono stati feriti e case distrutte e tante famiglie sono fuggite dalle loro dimore e hanno pernottato nei saloni delle parrocchie” riferisce a Fides l'Arcivescovo armeno cattolico di Aleppo, Boutros Marayati. “Oggi la situazione appare calma” aggiunge l'Arcivescovo, “ma in un minuto può succedere di tutto e non si vede il modo di uscire da questo stato di perenne incertezza. Per questo la gente ha paura, e non sa cosa fare”. 


http://www.fides.org/it/news/55325-ASIA_SIRIA_Elezioni_presidenziali_per_Assad_un_trionfo_annunciato#.U44ND0aKDw


LA SITUAZIONE IN ALEPPO  E’ CATASTROFICA


 Due giorni fa ho detto che la situazione di Aleppo è grave
Oggi è addirittura catastrofica. Nessun quartiere è stato risparmiato dalle bombe di mortaio, causando decine di morti e centinaia di feriti. La metà degli abitanti del quartiere Midan ha lasciato le loro case e non sanno dove andare. Molti ci hanno chiesto di venire al nostro convento marista. Anche se non abbiamo posto, non possiamo non accoglierli. Domani vedremo quanti ce ne sono con noi. 
Il colmo è che la scuola accanto al convento servirà come seggio elettorale per i tre candidati delle elezioni presidenziali di Martedì, ed è quindi minacciata! 
Chi vivrà vedrà.. davvero...

 Aleppo, 1 giugno 2014
 Nabil Antaki


COMUNICATO DEI MARISTI DI ALEPPO:

Aleppo, 3 giugno 2014


OSPEDALE SAINT LOUIS

 Alle 02:00 di oggi, 3 bombe di mortaio sono cadute sull'ospedale St Louis, causando danni significativi. Fortunatamente, nessuna vita è stata persa.
Il servizio di emergenza e 2 sale operatorie sono state danneggiate. I pazienti del 2° piano hanno dovuto essere trasferiti al 1° piano. Molte finestre sono distrutte, comprese le belle finestre della cappella.
Sempre questa mattina, gli uffici e l'ospedale della Mezzaluna Rossa e il principale ospedale pubblico (Al Razi) sono stati colpiti da mortai. 

martedì 3 giugno 2014

Perchè il popolo siriano vuole votare? : la Siria ha bisogno di evoluzione, non di rivoluzione!










Fra Firas Lutfi, giovane francescano siriano, racconta di quale cambiamento abbia realmente bisogno il suo paese e della difficoltà a ricostruire l'anima ferita dei suoi connazionali





Sguardo fisso, presenza calma, dialogo franco, una vita dedicata a servire gli ultimi sulle orme di San Francesco. E' una figura che colpisce quella del giovane francescano fra Firas Lutfi. 
Figlio di Hama, la città che ha vissuto negli anni '80 la distruzione a causa di un colpo di stato fallito, il frate, mentre la sua famiglia si divideva tra Hama e Homs, ha servito la principale parrocchia cattolica dal 2004 fino a che è scoppiata la crisi siriana nel suo amato paese. 

Zenit,   

di   Naman Tarcha


Partono oggi le elezioni presidenziali siriane con una significativa partecipazione dei siriani malgrado le minacce e il terrorismo. C'è tanta voglia di un cambiamento?

Fra Firas Lutfi: La Siria come tutti i paesi del mondo aveva bisogno di cambiamento, ma per modernizzare il paese non c'era bisogno di una rivoluzione bensì di una evoluzione. L'Europa ha attraversato guerre mondiali devastanti prima di raggiungere una certa democrazia e considerare l'essere umano al centro. Il mio paese è sempre stato in mezzo a conflitti e guerre che hanno colpito la nostra regione dall'inizio dei secoli; é stato oggetto di contese e conflitti tra le forze regionali ed allo stesso tempo una delle regioni dove sono passate più civiltà, con conseguenze negative ma anche positive, offrendo tanta ricchezza e diversità meritando così di essere considerata la culla di tante civiltà. La Siria per 400 anni é rimasta sotto l'occupazione ottomana e poi l'occupazione francese, ottenendo la sua indipendenza solo trent'anni fa. Allora come si può chiedere ad un paese così giovane di essere libero indipendente stabile democratico al 100%?

Perché l'Occidente ha impedito ai siriani di votare all'estero definendo le elezioni "una farsa"?
Fra Firas Lufti: L'Occidente non riesce a cogliere due questioni: la prima è che i paesi in via di sviluppo hanno bisogno di tempo necessario per i cambiamenti, non si può chiedere ad un bambino di gareggiare in una maratona o attraversare il mare prima che cresca e possa essere autonomo. 
La seconda questione é l'indipendenza: oggi tutti i siriani lottano contro la violazione della sovranità siriana e l'ingerenza, perché credono che questa terra benedetta é la loro terra, la terra dei loro antenati, e hanno tutto il diritto di viverci in dignità. Il modello democratico nei paesi arabi é diverso da quello occidentale. La differenza é proprio nella forma mentis. L'Occidente si concentra sulla persona e sull'individualismo mentre nelle società mediorientali si vive ancora con il concetto di Pater Familias, della comunità, delle tribù. La democrazia di cui parliamo é la scelta del leader su cui viene trovato accordo per il bene comune e il meglio per il paese. Perciò dobbiamo rispettare le caratteristiche e le particolarità dei popoli senza voler applicare a loro i sistemi di altri paesi.

Tutti parlano a nome dei siriani ma cosa vogliono i siriani stessi?  

Fra Firas Lufti: C'erano da sempre ostacoli che impedivano il cambiamento e la modernizzazione del nostro paese, in primis la questione della liberazione dei nostri territori delle alture del Golan occupato. Fino ad oggi siamo in uno stato di guerra per difendere il nostro paese da un altro vicino che occupa i nostri terreni, malgrado le decine di risoluzioni delle Nazioni Unite che ribadiscono il nostro diritti ad averli. Il cittadino siriano bramava un sviluppo del paese a tutti i livelli, e vedeva nel presidente e nel governo attuale una vera speranza per questo cambiamento in un paese ricco di risorse ma colpito dalla crisi economica mondiale e dalla corruzione come in tanti altri paesi. 
Il paese di sicuro aveva bisogno di cambiamenti, alcuni già avviati e altri ritardati. Siamo tutti d'accordo sulla necessità di un cambiamento. La domanda però è: "Quale cambiamento?". Per l'opposizione siriana esterna, rappresentata dalla coalizione nazionale e l'opposizione armata, questo cambiamento avviene attraverso la violenza con l'appoggio e l'intervento militare esterno dall'Occidente, mentre per il cittadino siriano, che ha sopportato di tutto in questi tre anni, questo fatto é completamente inaccettabile. Sarebbe violazione della sovranità del paese e del rispetto dell'indipendenza degli Stati sancito dalle Nazioni Unite...

L'Occidente ancora parla di una rivoluzione del popolo siriano?
Fra Firas Lufti: I siriani, in modo particolare i cristiani, dopo tutti questi eventi sono convinti che ciò che accade é una distruzione dello stato e non un cambiamento o miglioramento, e che si va verso la trasformazione di un sistema politico, considerato dall'Occidente una dittatura laica, ad una dittatura religiosa di salafiti ed estremista. Forse all'inizio alcuni siriani si erano illusi, ma oggi tutto é più chiaro come rivelano i rapporti internazionali delle Nazioni Unite. Allora io da siriano potrei anche essere scontento di un mio governo, e non essere d'accordo con chi guida il mio paese, ma non capisco cosa c'entrano ceceni, afgani, libici, sauditi, a partecipare alla cosiddetta rivoluzione del mio paese. 
E mi chiedo pure: quale rivoluzione è questa se ci sono mercenari ed estremisti? Il cambiamento si fa per migliorare non per peggiorare. I cristiani vogliono un vero cambiamento radicale partendo da un riforma costituzionale, che è stata effettuata e approvata con un referendum e poi con una visione moderna del futuro del paese dove la religione é per Dio e il paese é di tutti.

Nel caso di Homs sono stati raggiunti alcuni accordi e tregue di cui non si ha notizia visto che, questi, sono stati ignorati dai media occidentali. Queste esperienze si potrebbero replicare in altre parti?
Fra Firas Lufti: Homs é una città famosa per i suoi cittadini pacifici e miti, auto ironici tanto da raccontare perfino barzellette su se stessi. Dopo l'uscita dei gruppi armati dalla città, la gente è ritornata di corsa per controllare le proprie case e abitazioni, ma purtroppo il 90% della città è stata distrutta. In ogni caso i palazzi si possono ricostruire mentre è più difficile ricostruire l'anima ferita e la fiducia nell'altro. Il popolo siriano è solido di natura e questa guerra ha danneggiato lo spirito dei cittadini, soprattutto i bambini, testimoni di una violenza inaudita dove nel nome di Dio si uccide l'altro perché é nemico, essendo diverso per etnia e religione. Ben vengano allora tutti gli sforzi per una riconciliazione, per liberare un rapito o salvare una famiglia... Se sono riusciti a Homs sono sicuro che verranno replicati in altre zone.

http://www.zenit.org/it/articles/la-siria-ha-bisogno-di-evoluzione-non-di-rivoluzione-prima-parte

domenica 1 giugno 2014

La domanda dei siriani



In questi giorni i siriani sono accorsi in massa alle urne: reclamano non un partito o un uomo ma il proprio diritto di esistere.  Riaffermare la propria dignità ha avuto un caro prezzo: i ribelli in più di un'occasione hanno compiuto attentati  che hanno causato decine di vittime innocenti e centinaia di feriti.
Sarebbe semplice capire che esiste una sola via per la pace, perchè come ha detto il Papa " è un dono da accogliere con pazienza e costruire in modo artigianale” e  "non può essere comprata" .
Purtroppo, la risposta dell'occidente sembra sorda anche a questo appello: Obama ed i suoi alleati  hanno  intensificato l'aiuto alle milizie jihadiste.  E' ormai chiaro: non interessa neppure  'comprare la pace' ma conquistare il potere, con le armi e la devastazione.  
Patrizio Ricci 

A Homs prima Messa di ringraziamento per l'uscita dei ribelli dalla città... Ma contemporaneamente l'Occidente decide di raddoppiare l'aiuto ai ribelli....


La Perfetta Letizia, 20.5.14
di Patrizio Ricci 

Homs, come tutta la Siria, può vantare secoli di tradizione di tolleranza e amicizia tra i diversi popoli e le diverse religioni che ospita: è qui che i cristiani avevano la presenza più cospicua nel Paese. Dallo stesso luogo, all'inizio del 2012 sono stati scacciati. Ma non da Assad ma dai ribelli 'democratici'. Sotto le finte spoglie delle 'istanze' di miglioramento sociale e della democrazia si celava l'estremismo religioso; e prima che la società civile si rendesse conto dei veri obiettivi e reagisse, il focolaio si era già propagato trasformandosi in guerriglia urbana . Qualcuno ha seguito, altri sono rimasti a guardare, neutrali, ma diffidenti.

La distruzione era dietro l'angolo; quando la gente ha capito, era già troppo tardi: Homs è stata uno dei primi campi di battaglia scelti dai terroristi a libro paga delle petrol-monarchie del Golfo e sostenuta dagli 'amici della Siria'. Quest'ultimo è il gruppo di Stati che si è sovrapposto ad ogni iniziativa di pace dell'Onu trasformando il negoziato in una richiesta incondizionata al governo, quindi irricevibile. E' così proseguendo per questa china che, i due inviati (Kofi Anan e Brahimi), uno dopo l'altro, hanno rinunciato all'incarico... 


 Non è la prima vota in questo secolo che governi legittimi vengono rimossi perché ritenuti non corrispondenti o nocivi agli 'interessi d'area' delle grandi potenze mondiali. Agli attori di questi disegni globali non interessano i cambiamenti sociali ma realizzare affari e progetti politici proficui. Ciò su cui ci si dovrebbe interrogare è se esista al mondo qualcosa che possa giustificare il prezzo pagato dalla popolazione siriana. Il dramma più grande è che non c'è niente che valga questo prezzo e non c'è nulla che lo giustifichi. La morte di migliaia di siriani, il degrado miserabile della vita, lo scardinamento delle tradizioni, la negazione della libertà religiosa e democratica: tutto è stato venduto per una collana di perle finte, per un'impostura. La realtà attende di essere guardata! L'anima siriana, l'idea di stato e il senso di appartenenza nazionale, sentimento fortissimo tra i siriani, (e con esse le aspirazioni di riforme non violente) è tramontato con i primi califfati imposti dall'ISIS (lo Stato Islamico d’Iraq e Siria) e da al-Nusra (al-Qaeda) nelle zone da loro occupate del paese. Oggi, la vita grama dei campi profughi è conosciuta da 4 milioni di siriani, mentre il terrore della guerra è incombe su tutti. 
Il popolo fugge dalle roccaforti dell’opposizione: ad Aleppo orientale chi ha potuto si è spostato nella metà occidentale controllata dal governo; quelli nella fascia sud e sud-orientale di Quneitra si sono mossi verso il centro della regione e le zone orientali; quelli di Homs controllata dai ribelli e dell’area rurale di Hama, si erano trasferisti ad Hama City e a Salamiya in mano all’esercito regolare...

Ma torniamo ad Homs. I combattimenti hanno distrutto la maggior parte della città. I jihadisti hanno imposto la sharia ed hanno impedito agli abitanti dei quartieri di scappare, usandoli come scudo umano per rendere problematica la risposta dell'esercito. Dopo tre anni guerra la settimana scorsa la svolta: le milizie jadiste hanno lasciato la città per via di un accordo con il governo che ha previsto, come contropartita, uno scambio di prigionieri e l'incolumità.

Da allora, lentamente la gente torna a casa. Tutto o quasi è distrutto, ma si torna per i legami. Una delle foto a corredo di questo articolo mi ha molto impressionato: mostra l'immagine della prima messa di ringraziamento dopo la liberazione della città dai jihadisti. Cattolici e siro-ortodossi si sono ritrovati insieme a ringraziare Dio nella chiesa di Umma al-Zennar tra i detriti degli spari e dei combattimenti uniti nella celebrazione Eucaristica. 
 Invece che le mille utopie del mondo è quell'unità fraterna che cambia il mondo se il mondo ascolta e vede. La gente di Homs ricerca il vero, vuole la pace, vuole ricominciare e piangere i propri morti e ricostruire nella sicurezza. 

 Ma altrove emerge che la pace, per le istituzioni che dovrebbero preservarla, sembra essere il peggior nemico: ogni volta che si avvicina, esse diventano più attive nell' allontanarla. Paradossale che quasi nello stesso momento in cui ad Homs si celebrava la messa di ringraziamento, a Londra 'gli amici della Siria' si ritrovavano insieme (animati da un cinismo così pervicace da mutare la sostanza) per riacutizzare il conflitto. Quella che solo gli amici della Siria chiamano 'opposizione moderata' è una realtà numericamente irrilevante (l'80 per cento delle forze anti-Assad è costituito dalle brigate di Al-Qaeda e da varie formazioni facenti capo ai Fratelli Musulmani) ed alla pari delle milizie qaediste si è macchiata di gravi crimini contro la popolazione civile. Inoltre, la sua leadership condivide la stessa ideologia religiosa radicale dei jihadisti. 

Come se ciò non bastasse, il Summit inglese ha stabilito all'unanimità che le elezioni presidenziali siriane del 3 giugno sono una farsa. Come tutte le precedenti dichiarazioni, a supporto di questo pronunciamento ci sono solo ragioni di 'squadra', quelle di un club che agisce 'a prescindere', i cui membri sono legati ambiguamente da interessi reciproci 'molto materiali' e non dai nobili scopi tanto declamati. L'atteggiamento ostile non è stato mai abbandonato: accade che in prossimità di ogni negoziato rispuntano sempre nuovi capi di accusa per Assad; al tempo stesso gli attentati dei ribelli vengono deliberatamente ignorati. Così è accaduto ancora: l'accusa questa volta è che le truppe governative hanno usato il gas clorino. Il Segretario di stato USA Kerry ha detto che è un nuovo atto d'accusa a carico di Assad e che anche se "grezzo per la mancanza di tutti i riscontri, tutti gli indizi vanno verso unica direzione". Non ci vuole molta fantasia d indovinare quale, ma alla luce delle 'false flag' dei fatti di Ghouta l'anno scorso, la circostanza dovrebbe indurre ad usare maggiore prudenza. 


 Dunque, quelle siriane, presidenziali farsa. 
Per gli USA, ''l'unico e legittimo rappresentante del popolo siriano'' è invece Ahmed Jarba (il nuovo leader degli armati dell'esercito libero siriano), un siriano sconosciuto nel proprio paese con a carico precedenti penali per traffico di droga e l'accusa di tentato omicidio del ministro degli esteri qatariota Khalifa al-Thani (http://english.al-akhbar.com/node/16463). Difficilmente l'uomo risulterebbe gradito ai siriani: ma è gradito all'Arabia Saudita e agli Stati Uniti, ed è quanto basta. Le porte della buona società gli si sono spalancate: Jarba è andato a Washington, ha incontrato Barak Obama, poi è stato presentato al Senato degli Stati Uniti (dove Kerry ha garantito personalmente per lui). E' tornato a casa con un assegno di 287 milioni dollari per aiuti 'non letali' per le sue 'forze di opposizione' (la cifra 'donata finora dagli USA ai ribelli è di $ 1,7 miliardi). 
 E l'Italia? Il nostro paese, in una situazione di evidente cospirazione internazionale ai danni di un paese sovrano, è ancora tra gli 'amici della Siria' e finora ha appoggiato tutte le decisioni palesemente contraddittorie che ivi si sono prese, in netta contrapposizione con il nostro dettato costituzionale. 

http://www.laperfettaletizia.com/2014/05/ad-homs-prima-messa-di-ringraziamento.html

sabato 31 maggio 2014

"Mettendo al primo posto il bene della Siria, di tutti i suoi abitanti" : il Papa e gli aleppini


MESSAGGIO DEL SANTO PADRE FRANCESCO
AGLI OPERATORI DI CARITÀ IN SIRIA

Venerdì, 30 maggio 2014

Eminenza, Eccellenze,
cari fratelli e sorelle,


vi ringrazio per la vostra presenza a questo incontro, promosso dal Pontificio Consiglio Cor Unum. Vi ringrazio soprattutto per il contributo quotidiano che voi, come organismi di carità cattolici, state dando in Siria e nei Paesi vicini, per aiutare le popolazioni colpite da quel terribile conflitto. Saluto il Cardinale Robert Sarah e rivolgo un caloroso benvenuto a tutti voi, specialmente a quanti si sono messi in viaggio dal Medio Oriente per essere qui oggi – e anch'io porto negli occhi e nel cuore il Medio Oriente, dopo il pellegrinaggio dei giorni scorsi in Terra Santa.

Un anno fa ci siamo riuniti per ribadire l'impegno della Chiesa in questa crisi e per lanciare insieme un appello per la pace in Siria. Ora ci incontriamo di nuovo, per tracciare un bilancio del lavoro finora svolto e per rinnovare la volontà di proseguire su questa strada, con una collaborazione ancora più stretta. Ma dobbiamo riscontrare con grande dolore che la crisi siriana non è stata risolta, anzi va avanti, e c'è il rischio di abituarsi ad essa: di dimenticare le vittime quotidiane, le indicibili sofferenze, le migliaia di profughi, tra cui anziani e bambini, che patiscono e a volte muoiono per la fame e le malattie causate dalla guerra. Questa indifferenza fa male! Un'altra volta dobbiamo ripetere il nome della malattia che ci fa tanto male oggi nel mondo: la globalizzazione dell'indifferenza.

L'azione di pace e l'opera di assistenza umanitaria che gli organismi caritativi cattolici svolgono in quel contesto sono espressione fedele dell'amore di Dio per i suoi figli che si trovano nell'oppressione e nell'angoscia. Dio ascolta il loro grido, conosce le loro sofferenze e vuole liberarli; e a Lui voi prestate le vostre mani e le vostre capacità. È importante che voi operiate in comunione con i Pastori e le comunità locali; e questa riunione costituisce un'occasione propizia per individuare opportune forme di collaborazione stabile, nel dialogo tra i diversi soggetti, allo scopo di organizzare sempre meglio i vostri sforzi per sostenere le Chiese locali e tutte le vittime della guerra, senza distinzioni etniche, religiose o sociali.

Oggi siamo qui anche per fare nuovamente appello alle coscienze dei protagonisti del conflitto, delle istituzioni mondiali e dell'opinione pubblica. Tutti siamo consapevoli che il futuro dell'umanità si costruisce con la pace e non con la guerra: la guerra distrugge, uccide, impoverisce popoli e Paesi. A tutte le parti chiedo che, guardando al bene comune, consentano subito l'opera di assistenza umanitaria e quanto prima facciano tacere le armi e si impegnino a negoziare, mettendo al primo posto il bene della Siria, di tutti i suoi abitanti, anche di quelli che purtroppo hanno dovuto rifugiarsi altrove e che hanno il diritto di ritornare al più presto in patria. Penso in particolare alle care comunità cristiane, volto di una Chiesa che soffre e spera. La loro sopravvivenza in tutto il Medio Oriente è una profonda preoccupazione della Chiesa universale: il Cristianesimo deve poter continuare a vivere là dove sono le sue origini.

Cari fratelli e sorelle, la vostra azione caritativa e assistenziale è un segno importante della vicinanza di tutta la Chiesa, e della Santa Sede in particolare, al popolo siriano e agli altri popoli del Medio Oriente. Vi rinnovo la mia gratitudine per quello che fate e invoco su di voi e sul vostro lavoro la benedizione del Signore. La Madonna vi protegga. Io prego per voi e voi pregate per me!

http://www.news.va/it/news/messaggio-agli-operatori-di-carita-in-siria-30-mag


APPELLO DA ALEPPO AGLI OPERATORI DI CARITA' RIUNITI IN 'COR UNUM'


LA SITUAZIONE PRECIPITA  IN ALEPPO

 Nelle ultime settimane  si era sparsa la voce che i ribelli di Aleppo avrebbero aumentato  i loro mortai sui quartieri Aleppo per fare pressione sullo Stato e impedire lo svolgimento delle elezioni presidenziali in programma per Martedì 3 giugno.
 Perché sono uomini d'onore ...
... HANNO MANTENUTO LA PAROLA!

Da 3 giorni, razzi e colpi di  mortai non cessano di cadere su Aleppo e in particolare sul quartiere Midan . Questa è l'area dove gli affitti sono più economici e dove abitano le famiglie povere e quelle sfollate da Jabal Al Sayde. Ma è anche la zona di confine della linea del fronte, dunque la più esposta . Molte famiglie di cui ci prendiamo cura hanno ricevuto schegge di mortai nei loro appartamenti, molte persone sono rimaste ferite e diversi sono i morti . 

Oggi, venerdì pomeriggio, la situazione è diventata insostenibile per queste famiglie ed è iniziato per loro il secondo esodo. 
(Avevano lasciato Jabal al Sayde il 30 marzo 2013 a seguito dell'invasione del quartiere da parte dei ribelli. Abbiamo ospitato 23 famiglie da noi presso il convento dei Fratelli per 6 mesi, poi le abbiamo aiutate a prendere in affitto degli appartamenti ). Fuggono dalle loro case, ci telefonano, ci supplicano di trovare loro un rifugio , anche solo temporaneo.. . Sono in preda al panico, hanno paura.  
Mentre scrivo queste parole, le sirene delle ambulanze fanno un frastuono assordante .

E TUTTAVIA ...

Non avevamo smesso di mettere in guardia i responsabili religiosi circa il problema degli alloggi degli sfollati. Abbiamo bussato invano alle porte delle associazioni cattoliche internazionali per richiedere un finanziamento per trovare per loro un’ abitazione. E' stato sempre un RIFIUTO.

Oggi, queste organizzazioni sono riunite  in Vaticano sotto gli auspici del COR UNUM . Possano essi ascoltare  questo URGENTE  APPELLO dagli Aleppini, da coloro che qui vivono la loro presenza e condividono, con le persone più vulnerabili, le loro sofferenze.

 Nabil Antaki,  per i Maristi Blu

giovedì 29 maggio 2014

Il Vaticano domanda a USA e Russia il coraggio di un'azione congiunta

Intervista con il Cardinal Sarah, presidente di «Cor Unum»: «Sulla Siria la comunità internazionale si svegli dal torpore»

 «La Santa Sede chiede che le parti in conflitto consentano da subito il dispiegarsi dell’impegno per l’assistenza umanitaria e pongano fine alle ostilità: l’obiettivo deve essere una pace concordata e duratura.  

È paradossale che faccia più notizia un missile che cade su una postazione di miliziani rispetto alla popolazione che muore per la fame e la miseria. 

Occorre ritrovare il coraggio di un’azione congiunta, soprattutto da parte delle grandi potenze come Stati Uniti e Russia, e poi di tutti i Paesi mediorientali coinvolti. 

Non mi sembra giusto progettare di armare o addestrare i combattenti e pretendere nello stesso tempo di cercare le vie della pace».





Vatican Insider, 28 maggio 14

È stata al centro della prima giornata del viaggio in Terra Santa: della guerra fratricida in Siria e della conseguente catastrofe umanitaria  ha parlato il Papa durante la tappa del suo pellegrinaggio ad Amman. 
Venerdì 30 maggio si tiene in Vaticano un summit promosso da «Cor Unum» per coordinare il lavoro delle agenzie che si occupano degli aiuti umanitari nel Paese distrutto dopo tre anni di conflitto. 


Papa Francesco ad Amman, all’inizio del suo pellegrinaggio in Terra Santa, è tornato a chiedere che si riapra il negoziato sulla Siria. Qual è la situazione oggi?

«Intanto dobbiamo dire grazie al Papa che nel corso della sua visita in Terra Santa ha rimesso al centro il problema siriano. La situazione rimane drammatica: la guerra continua, nell’indifferenza della comunità internazionale, e il negoziato per la pace è in fase di stallo. Secondo i dati in nostro possesso oggi si contano circa 140 mila vittime, oltre 9 milioni di bisognosi di assistenza sanitaria, 60% di ospedali distrutti o inagibili. I siriani rifugiati sono più di 2 milioni, la maggior parte nei Paesi dell’area mediorientale e mediterranea, dei quali il 52% circa è composto da bambini e ragazzi sotto i 17 anni. E poi vi sono oltre 6 milioni di sfollati interni. È una catastrofe umanitaria».  

Ha qualche notizia sulla sorte di padre Dall'Oglio?

«Purtroppo no, nessuna notizia ufficiale. Vivo con apprensione le indiscrezioni che sono uscite in questi giorni sulla stampa, e prego affinché si rivelino non vere e padre Dall’Oglio possa tornare presto dai suoi cari».

Qual è la posizione della Santa Sede sul conflitto siriano?

«La Santa Sede chiede che le parti in conflitto consentano da subito il dispiegarsi dell’impegno per l’assistenza umanitaria e pongano fine alle ostilità: l’obiettivo deve essere una pace concordata e duratura. Inoltre riteniamo che debba essere garantita l’integrità territoriale del Paese. Nella Siria di domani ci deve essere posto per tutti, comprese le comunità cristiane ed ogni altra minoranza».

Che cosa dovrebbe fare, secondo lei, la comunità internazionale?

«Intanto dovrebbe risvegliarsi dal torpore nel quale è caduta. È paradossale che faccia più notizia un missile che cade su una postazione di miliziani rispetto alla popolazione che muore per la fame e la miseria. Poi bisogna mettere da parte gli egoismi e lavorare perché si torni al tavolo del negoziato. Ginevra 2 non può segnare il fallimento della strategia di pace: occorre ritrovare il coraggio di un’azione congiunta, soprattutto da parte delle grandi potenze come Stati Uniti e Russia, e poi di tutti i Paesi mediorientali coinvolti. Non mi sembra giusto progettare di armare o addestrare i combattenti e pretendere nello stesso tempo di cercare le vie della pace».

«Cor Unum» ha organizzato un incontro di coordinamento per le agenzie operanti nel contesto della crisi siriana. Perché? Quali saranno i temi al centro della vostra riflessione?

«Abbiamo avvertito l’esigenza, emersa soprattutto dagli organismi cattolici che lavorano nel contesto della crisi, di trovare nuove forme di coordinamento tra di loro e con la Santa Sede. La riunione del 30 maggio, a cui parteciperanno 25 agenzie attive in Siria e nei Paesi limitrofi, ci servirà per fare un bilancio di quanto fatto finora ed evidenziare criticità e priorità per il futuro. Per esempio: è possibile creare una maggiore sinergia tra il lavoro dei vescovi locali e quello progettuale delle agenzie? Come muoverci nell’emergenza educativa e di lavoro che una grande parte della popolazione siriana sta soffrendo? Ricordo che questo appuntamento è in continuità con quello organizzato lo scorso anno, nel mese di giugno. Allora, dopo quella riunione, nacque il primo ufficio di coordinamento delle informazioni a Beirut, il cui lavoro sarà valutato e valorizzato nel corso della riunione».

Che cosa fa il Pontificio Consiglio «Cor Unum» per la Siria?

«Cor Unum svolge un lavoro che coniuga l’assistenza materiale (costruzione di scuole, ospedali, case, fornitura di generi alimentari) con l’accompagnamento spirituale e ideale degli organismi cattolici. Promuoviamo il coordinamento tra i soggetti operanti sul campo e, in molti casi, realizziamo direttamente progetti di sviluppo assieme a partner istituzionali e privati. Una missione sanitaria per bambini siriani rifugiati in Libano, realizzata assieme all’Ospedale Bambino Gesù, a Caritas Libano e a finanziatori esterni, come la Fondazione Raoul Follereau, ha permesso di aiutare già oltre 4 mila bambini. Ma pensate che secondo dati Unicef, sarebbero oltre 5 milioni i bambini che hanno bisogno urgente di aiuto: 10 mila sarebbero quelli rimasti uccisi nella guerra, 1.2 milioni i rifugiati nei Paesi vicini, 3 milioni circa non frequentano le scuole.

E la Chiesa, più in generale, come si sta muovendo in concreto?

«La Chiesa segue l’evoluzione della crisi siriana fin dall’inizio, sia nei suoi aspetti diplomatici che umanitari. Nel suo complesso essa ha stanziato oltre 80 milioni di dollari, che sono stati impiegati in progetti umanitari in diversi settori, come l’assistenza a bambini e anziani, l’alimentazione, la ricostruzione di complessi abitativi e chiese, l’educazione. Le istituzioni che operano oggi sul campo sono più di 62, mentre sono oltre 42 gli organismi cattolici che hanno finanziato questi sforzi. Nel campo educativo, per esempio, sono stati investiti quasi 18 milioni di dollari, per la ricostruzione di scuole, per garantire il diritto allo studio o promuovere corsi formativi. Sono stati raggiunti oltre 310 mila ragazzi, e l’assistenza è arrivata anche ai rifugiati negli Stati confinanti: Libano, Giordania, Turchia, Cipro, Egitto, Iraq, Armenia. Ma c’è ancora moltissimo da fare».

Qual è la situazione delle comunità cristiane? Il cristianesimo rischia di scomparire da Paesi dove è presente sin dall'epoca apostolica. Che cosa chiede la Chiesa?

«Sarebbe uno scandalo che il cristianesimo smettesse di vivere là dove Gesù è nato e ha iniziato la sua predicazione. L’origine della Chiesa è in Medio Oriente e le comunità cristiane si sono rivelate in questi anni utili strumenti per la riconciliazione. Come ha detto Papa Francesco ad Amman, “esse offrono il loro contributo per il bene comune della società nella quale sono pienamente inserite”. Credo che a nessuno convenga soffocare le prospettive di pace che possono dare. La Chiesa perciò chiede una presa d’atto da parte di tutti di questo fatto gravissimo: non possiamo sempre aspettare che una chiesa venga distrutta o magari un religioso venga ucciso, per parlarne. Se il processo di pace ripartirà, come auspichiamo, bisognerà garantire la presenza di tutte le comunità nella nuova Siria. E pensiamo in questo contesto che l’integrità territoriale del Paese debba essere salvaguardata».

http://vaticaninsider.lastampa.it/inchieste-ed-interviste/dettaglio-articolo/articolo/siria-syria-siria-34413/

Rapporto delle Nazioni Unite: la perdita economica totale dall'inizio del conflitto in Siria è stimata a 143,8 miliardi dollari



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