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TEMPI, 22 luglio
reportage dell'inviato Rodolfo Casadei
La
rinascita di Maloula, la perla aramaica delle montagne del Qalamoun,
è ancora lontana. Occupata
dai jihadisti di
Jabhat al Nusra e da elementi di altre brigate di ribelli
inizialmente affiliati al Free Syrian Army fra il settembre 2013 e
l’aprile 2014, quindici mesi dopo la liberazione
per mano delle truppe governative è
ancora semidisabitata e semidistrutta, a immagine dei suoi preziosi
edifici storici cristiani.
Tutte le strutture presenti – otto chiese e due santuari – sono state saccheggiate e devastate durante l’occupazione ribelle e hanno subìto offese causate dai combattimenti. Attualmente solo tre di esse sono in via di restauro: la parrocchia greco cattolica di San Giorgio e i due storici monasteri del IV secolo, cioè quello greco ortodosso di Santa Tecla (le cui monache furono sequestrate per tre mesi) e quello greco cattolico dei Santi Sergio e Bacco.
Tutte le strutture presenti – otto chiese e due santuari – sono state saccheggiate e devastate durante l’occupazione ribelle e hanno subìto offese causate dai combattimenti. Attualmente solo tre di esse sono in via di restauro: la parrocchia greco cattolica di San Giorgio e i due storici monasteri del IV secolo, cioè quello greco ortodosso di Santa Tecla (le cui monache furono sequestrate per tre mesi) e quello greco cattolico dei Santi Sergio e Bacco.
Il
paese, che si apre a semicerchio contro la parete di una montagna ed
è sormontato dai due monasteri posti sulla sommità uno in faccia
all’altro sull’asse nord-sud, è nelle stesse condizioni: delle
120 case distrutte o gravemente degradate durante l’occupazione, un
terzo delle quali concentrate nel centro storico, solo 20 sono state
restaurate. Alcune famiglie vivono ammassate in un singolo locale
recuperato della propria casa per il resto inagibile. Le condizioni
di sicurezza sono ottime (il fronte si è spostato al confine col
Libano, a 30 chilometri da qui), ma l’economia è ancora
azzoppata: Maloula viveva di turismo, agricoltura e allevamento.
La prima fonte di reddito è completamente disseccata per ovvie ragioni, e i residenti che sono tornati sono occupati nella ricostruzione delle proprie case, pertanto hanno poche risorse e forze da dedicare alla coltivazione dei campi e alla pastorizia come accadeva in passato. Prima della crisi, la cittadina contava 12 mila abitanti nella stagione estiva, cristiani per due terzi e musulmani per il restante terzo. Oggi risultano rientrati il 45 per cento degli abitanti cristiani e 15 famiglie appena fra quelle musulmane. «Non abbiamo preclusioni circa il loro ritorno, ma la questione riguarda in parte anche la magistratura e i servizi di sicurezza: gli omicidi, le razzie, il terrorismo di cui si sono macchiati un certo numero di appartenenti alla comunità musulmana sono materia giudiziaria». A parlare così è Naji Elian Wahbe, cristiano, da tre anni sindaco della località.
Nell’agosto di due anni fa questo giovane padre ha perso un figlioletto di 6 anni, falciato dalle schegge di un colpo di mortaio sparato dai ribelli sul quartiere cristiano di Baab el Touma a Damasco, dove il bambino era temporaneamente ospite dei nonni. «Non fraintendetemi: Maaloula non aveva nessuna importanza strategica per le forze ribelli, l’hanno attaccata e occupata nel settembre 2013 soltanto per sfregio al cristianesimo, e al Papa che stava pregando e digiunando perché la Siria non fosse bombardata dagli occidentali. Grazie a complicità interne».
L’attacco
di Jabhat al Nusra all’abitato di Maloula, dopo che già in marzo
le alture col monastero dei Santi Sergio e Bacco e un grande albergo
nelle vicinanze erano state occupate dai ribelli, iniziò con
l’attentato di un kamikaze palestinese di Giordania entrato dal
Libano che fece esplodere un camion imbottito di quintali di
esplosivo contro il posto di blocco all’ingresso della cittadina
uccidendo molti militari.
Padre
Tawfik, parroco melkita di San Giorgio che grazie all’aiuto di “SOS
Chrètiens d’Orient” ha quasi finito di restaurare la sua chiesa
e ora sta cominciando a riabilitare le altre strutture parrocchiali
(1 milione e mezzo di dollari i danni stimati), non è meno amaro: «A
parte la sofferenza per le distruzioni materiali, ciò che ci ha più
rattristato è stato scoprire che persone che credevamo amiche si
sono poi unite a coloro che hanno saccheggiato tutte le case della
città, anche quelle che non sono state distrutte, e le nostre
chiese, devastate dopo le razzie».
La vicenda è amaramente istruttiva. All’inizio delle proteste antigovernative, due terzi dei musulmani di Maloula hanno preso le parti del Free Syrian Army e si sono presentati come protettori dei residenti cristiani di fronte ai jihadisti di Jabhat al Nusra a condizione che i cristiani non si organizzassero in una milizia di difesa locale e facessero pressioni sui militari per rimuovere il posto di blocco che era stato istituito nei pressi del monastero dei Santi Sergio e Bacco. Cosa che poi è avvenuta, col risultato di consegnare alture e monastero a Jabhat al Nusra sin dal marzo 2013. In seguito i musulmani antigovernativi di Maloula hanno appoggiato le operazioni militari dei jihadisti o addirittura si sono uniti a loro. Su una parete del salone polifunzionale della parrocchia di San Giorgio, accuratamente razziato, si legge una grande scritta verniciata su di una parete: «Cristiani, alawiti, sciiti, drusi: siamo venuti per uccidervi».
E
su al monastero di Santa Tecla, dove la splendida chiesa dedicata
alla santa è stata derubata della dozzina di icone dell’iconostasi,
privata dell’altare fatto saltare con una carica di esplosivo,
martoriata nelle tavole lignee dipinte più grandi, fatte a pezzi o
carbonizzate, sulle pareti si leggono i nomi di brigate ribelli che
non coincidono con gli alqaedisti di Jabhat al Nusra, ma con
formazioni formalmente affiliate al moderato Free Syrian Army,
riconosciuto e appoggiato da Europa e Stati Uniti. Uno strato
caliginoso copre le volte dipinte e un tempo luminose delle cupole
sfuggite all’incendio, dietro all’altare figure di santi su tela
incollata alla parete come una carta da parati sono state rozzamente
asportate con un taglierino che non ha saputo seguire i contorni
delle immagini. Sulla parte superiore di un frammento di tavola
lignea ottocentesca di scuola russa è vergato un insulto in lingua
araba subito sopra la testa di san Giorgio.
Non
è andata meglio al monastero melkita dei Santi Sergio e Bacco:
sparite l’icona dei due santi e quelle dipinte da Michele di Creta
che ritraevano la Madre di Dio e un Cristo Pantocratore. Il
trafugamento dell’altare del IV secolo, il più antico altare
marmoreo cristiano di cui si abbia notizia, non è andato a buon
fine: era troppo pesante, è caduto a terra e si è spezzato, e i
jihadisti lo hanno abbandonato lì.
È stato perfettamente restaurato e rimesso al suo posto, unica eredità sopravvissuta dentro alla chiesa del santuario.
È stato perfettamente restaurato e rimesso al suo posto, unica eredità sopravvissuta dentro alla chiesa del santuario.
Altra
piccola rivincita: su tutte le chiese, in gran parte inagibili, è
stata rimessa la croce che i jihadisti avevano rimosso, ed è stata
innalzata una nuova statua della Vergine Maria bianca
e azzurra che benedice Maloula dall’alto, dopo che quella originale
è stata distrutta dai ribelli.
Costantin, il custode greco ortodosso di Santa Tecla, è scatenato: «Per quattro secoli gli ottomani hanno cercato di rimuovere quelle croci senza riuscirci, ma ci sono riusciti i ribelli che avete aiutato voi cristiani europei. Dopo che avranno finito con noi, toccherà a voi, statene certi». Anche Costantin era uno di quelli che all’inizio si erano fidati delle promesse dell’opposizione e si erano mantenuti neutrali. Nella sua invettiva e nel suo monito vibra anche un po’ di senso di colpa.